The
Twins
«Steph!
Smettila di guardarlo, sembra che tu non abbia mai
visto un tatuaggio in vita tua…»
sospirò esausta Alice, mentre spostava
l’ennesimo scatolone dentro la sua nuova camera da letto.
Sbuffai
contrariata e ricoprii con la manica della maglia il
segno che mi avevano tatuato da meno di ventiquattro ore. Non riuscivo
ancora a
crederci… Finalmente per i miei vent’uno anni ero
riuscita ad averlo! Erano
anni che lo aspettavo con impazienza ed ora non ero più
capace di staccargli
gli occhi di dosso! Ma questo Alice non poteva capirlo…
Per lei era solo
un innocuo ed insensato tatuaggio… Mentre
per me, per la mia famiglia, aveva un grande significato.
Mi sdraiai
meglio sul letto della mia amica e la guardai
rassegnata, mentre cercava di dare un posto a tutte le sue cose nella
nuova
camera. Da quello che potevo vedere ne avrebbe avuto ancora per un bel
po’. Era
una persona troppo pignola. Ogni volta che trovava
un’ipotetica disposizione,
finiva per spostare di nuovo tutto.
«Sai…»
disse Alice attirando la mia attenzione. «Quando ti ho
chiesto di venire da me a darmi una mano per risistemare la roba dopo
il
trasloco… Non mi aspettavo che passassi tutto il tuo tempo
svaccata sul mio
letto a fissare il vuoto. Speravo che ti saresti offerta di
aiutarmi…» affermò
schietta incrociando le braccia al petto e fissandomi intensamente.
Ricambiai il suo
sguardo arricciandomi una ciocca di capelli
intorno ad un dito. «Cosa stai facendo?» le
domandai con l’espressione più
innocente del mondo. «Aspetto…» rispose
lasciando volutamente la frase in
sospeso. «Cosa?» le domandai, ben sapendo dove
volesse andare a parare.
«Che
ti offra!» affermò con sguardo falsamente
arrabbiato.
Era stato sempre
così fra me e lei… Non c’era occasione
che
noi non battibeccassimo per qualcosa o ci facessimo qualche dispetto.
Questa
non era certo la prima volta…
La settimana
precedente eravamo nel mio appartamento e quella
ragazza si era messa in testa di fare una buonissima e splendida
torta…
Il risultato?
Sembrava che
fosse esplosa una bomba a base di farina,
zucchero e sale nella mia cucina. Tutto, pavimento e mobilio compresi,
erano
passati dal nero pece al bianco neve… Avevo passato una
giornata intera a
pulire quel casino e mi ero appuntata di non farle mai più
mettere piede in
quella stanza!
Tenendo conto di
tutto ciò… Il fatto che io stessi sdraiata
in panciolle sul suo letto con i piedi appoggiati casualmente
sul suo cuscino guardandola lavorare, era il minimo,
contando tutte le idee che mi erano passate per la mente, ma che avevo
deciso
di accantonare perché troppo concentrata sul mio tatuaggio.
Inclinai il
volto e guardai la camera ormai quasi ultimata.
Non le mancava più tanto, se non contavamo anche i quattro
scatoloni nel
corridoio ed i due sotto nel salotto… «Te la stai
cavando perfettamente anche
da sola.» mentii spudoratamente con un sorriso. Era
già pronta a ribattere con
una delle sue solite tiritere quando partì la suoneria di un
cellulare.
«Salvata
in corner!» esclamai vittoriosa rispondendo al
telefono. «Qui, Steph… Sì, certo.
Cinque minuti e sono lì.» risposi più
che
entusiasta.
Chiusi la
chiamata e vidi Alice guardarmi rassegnata. «Mi
dispiace. Questione di vita o di morte.» mi giustificai
avvicinandomi alla
finestra aperta. «Ci sentiamo domani.» dissi
sedendomi sul davanzale e saltando
nel vuoto.
La porsche nera
si fermò a qualche metro dalla casa di Alice.
Senza dire una parola aprii la portiera posteriore e salii.
«Stephanie…
È inconcepibile che ti dobbiamo sempre venire a
cercare.» affermò infastidita una voce maschile.
Maximilian era l’unica persona
a chiamarmi con il mio nome di battesimo, a suo parere, era troppo
volgare
storpiare o abbreviare nomi.
Senza
rispondergli mi sporsi verso di lui, portandogli una
mano dietro il collo ed avvicinandolo. Immediatamente il suo
sguardò cadde
sulle mie labbra, che leccai di proposito. I suoi occhi si scurirono ed
inconsciamente si avvicinò, lasciando a dividerci solo lo
spazio di un respiro.
Non indugiai oltre e colmai la distanza, baciandolo con forza e
godendomi
quell’attimo rubato. Sapevo già che dopo un primo
momento di spaesamento, mi
avrebbe allontanata.
Lo faceva tutte
le volte.
Amavo
stuzzicarlo e metterlo a disagio, ma, soprattutto,
amavo lui e questo era l’unico modo a mia disposizione per
averlo… Perché per
lui non ero altro che una parente di trentesimo grado che non aveva di
meglio
da fare che creare problemi alla famiglia con il suo carattere volubile
e
capriccioso.
Già…
Io e
l’uomo al mio fianco eravamo parenti, anche se tanto
distanti da non avere più un solo gene in comune. Nessuno
avrebbe immaginato
una parentela tra di noi. Non ci somigliavamo per niente, non avevamo
nulla in
comune: lui era alto, io bassa, lui aveva i capelli biondo cenere ed io
li
avevo castani con le punte viola, lui aveva degli splendidi occhi verdi
ed io
degli accessi occhi azzurri…
Eravamo diversi
come il giorno e la notte, ma nonostante ciò
eravamo I Gemelli…
Non gemelli nel
senso: figli della stessa madre… Un altro
tipo di gemelli.
Nella nostra
famiglia ad ogni nuova generazione nascevano
sempre due bambini lo stesso giorno alla stessa ora, non era una
semplice
coincidenza, ma un avvenimento che si susseguiva da secoli ormai. Si
tramandava
che ciò fosse dovuto ad una benedizione, ma io non ne ero
totalmente certa.
Questi due bimbi
venivano scelti per portare avanti gli
affari di famiglia, non solo nell’ambito sociale ed
economico, il loro compito
principale riguardava un altro campo…
Con un movimento
deciso Maximilian mi afferrò per le spalle e
mi allontanò. «Smettila Stephanie. Sono esausto di
questo tuo comportamento.»
mi attaccò con voce infastidita, avvicinandosi alla portiera
per mettere più
distanza fra di noi.
Come
se
fosse possibile all’interno di un’auto…, pensai
divertita dal suo
comportamento e per niente offesa dalle sue parole. Non lo pensava
davvero e ne
era la dimostrazione il fatto che si leccò più
volte le labbra, quasi a volersi
imprimere il mio sapore.
«Di
cosa si tratta stavolta?» domandai stiracchiandomi contro
il sedile della porsche.
Maximilian mi
lanciò un fascicolo pieno di fogli come
risposta alla mia domanda. «Che ne dici di un bel
riassunto?» gli chiesi
sventolando la cartellina.
Mi rivolse
un’occhiata accigliata, ma non controbatté.
«Sappi
solo che a minuti saremo arrivati.» rispose prima di voltarsi
a guardare fuori
dal finestrino, ignorandomi platealmente. Non
intendevo così breve…
«Ancora
un cimitero…» sbottai irritata. «Ma
perché non ci
capita mai una bella villetta? Mi accontenterei anche di una semplice
casetta a
schiera! Sono stufa di lapidi da ogni parte!»
Maximilian non
si scompose e si mise subito al lavoro,
attraversando le tombe con un eleganza invidiabile, non lasciandomi
altra
scelta che seguirlo. Lo ritrovai fermo davanti ad un albero a fissare
qualcosa
a pochi passi da lui.
Aveva una forma
umanoide dalla pelle bordeaux e i piccoli
occhi gialli che ci fissavano malevoli, la bocca piegata in un ghigno
pieno di
denti affilati e giallastri ed infine due corna che gli uscivano dalla
testa. «Ailim fegli fhort
werval…» sussurrò con
voce gutturale in una lingua sconosciuta. Demone…
Inclinai il capo
e lo studiai per qualche secondo prima di
spostare la mia attenzione sul ragazzo al mio fianco. «Non
sembra troppo
potente…»
«Questo
non significa che lo devi sottovalutare.» mi
redarguì
con un tono serio, mentre valutava attentamente il nemico, stavo per
aggiungere
altro, ma quello si lanciò letteralmente addosso a noi,
costringendomi ad
allontanarmi con uno scatto laterale. Peccato che quel demone sembrava
avermi
preso proprio di mira, perché si girò subito e
ripartì all’attacco verso di me.
Lo scartai e
presi lo slancio da terra per un salto mortale
all’indietro, atterrando proprio in cima ad una lapide,
mentre il demone rimase
immobile a fissarmi con una smorfia diabolica.
Era veloce, ma
io non ero da meno, non a caso ero la
personificazione di Castor*. Prima che potesse attaccare di nuovo,
Maximilian
gli fu addosso e lo mandò a sbattere contro un enorme statua
raffigurante un
angelo.
«Iniziamo?»
gli domandai quando mi raggiunse. Lui rispose con
un semplice cenno del capo.
Senza attendere
un minuto di più gli afferrai le mani con le
mie. «Castor, gemello mortale
appartenente all’oscurità, io ti invoco. Concedimi
l’arma dell’Ade.»
recitai, dopo di che Maximilian scomparve e tra le mie mani apparve una
lunga
falce.
Un grugnito poco
lontano attirò la mia attenzione ed ecco che
vidi sfrecciare nella mia direzione un pezzo del busto della statua.
Non persi
la calma e mantenni la mia posizione, limitandomi a far roteare con un
gesto
fluido della mano la falce, con la quale tagliai il marmo in due.
Il demone
ruggì infuriato ed io non potei trattenere un
ghigno, facendo aumentare la sua furia. Così
era quasi troppo facile…
Allungai una
mano verso di lui e gli feci cenno di
avvicinarsi.
Le azioni
successive furono piuttosto frenetiche. Lui si
lanciò contro di me, ma lo schivai ancora una volta e con
un’altra rotazione
del polso tagliai di netto l’essere diabolico. «Rilascio…»
sussurrai. All’istante la falce si dissolse e Maximilian
comparve ancora un volta al mio fianco. «Non ti resta che
finirlo.»
Senza farselo
ripetere due volte mi afferrò le mani. «Pollux**, gemello immortale discendente di
Zeus, io ti invoco. Concedimi la tua arma forgiata
nell’Olimpo.» recitò. In
un istante persi la percezione del mio corpo, trasformandomi nella sua
arma.
Una lancia benedetta.
In due passi fu
vicino al demone e con due rapidi gesti
trafisse ciò che rimaneva di lui, purificandolo.
Stupefacente, pensai
mentre mi accomodavo meglio contro il sedile dell’auto.
L’adrenalina
mi scorreva ancora nelle vene al solo pensiero
che nel giro di mezz’ora avevamo distrutto una creatura
demoniaca senza alcuna
difficoltà. Da ora in avanti questa sarebbe stata la nostra
vita, una caccia
continua…
Abbassai
lo sguardo
sul mio braccio e rimirai il tatuaggio che spiccava sulla pelle, il
segno
zodiacale dei gemelli, il nostro marchio.
Spostai lo
sguardo su Maximilian, intento a studiare già
nuovi fascicoli; con un leggero movimento mi avvicinai a lui e posai la
testa
sulla sua spalla. Non fece una piega, permettendomi di stargli vicina
per una
volta. Diedi una breve occhiata al suo viso in cerca di fastidio, ma
sembrava
rilassato. Ne approfittai e mi strinsi un po’ di
più al suo fianco, sorridendo
felice per questo piccolo, ma importante, cambiamento.
Facevamo parte
dello Zodiaco, un’associazione di cacciatori
di demoni…
Eravamo i suoi Gemelli.
Castor*: gemello mortale
di Pollux, figlio di Leda e Tindaro,
re spartano. Secondo il mito greco era un abile atleta e fu il
vincitore della
corsa nelle Prime Olimpiadi.
Pollux**:
gemello
immortale di Castor, figlio di Leda e Zeus. Secondo il mito greco era
un pugile
talmente abile da vincere le Prime Olimpiadi in tale categoria. Si
tramanda che
alla morte del gemello, abbia voluto vivere come il fratello un giorno
sull’Olimpo ed uno nell’Ade. Mentre un altro mito
riporta che ai due è stata
concessa la possibilità di vivere in eterno come
costellazione dei Gemelli.
Ciao
a tutti!!!
Questa
One-shot partecipa al
contest “Un segno zodiacale per una storia” di
Aurora_Boreale_ con il prompt
Gemelli.
Ho
cercato di dare un’interpretazione
originale dello Zodiaco ed alla fine ho pensato di farlo diventare
un’associazione
di cacciatori di demoni. Spero che la storia vi piaccia. :)
Se
avete tempo, fatemi sapere cosa
ne pensate.
Kiss,
Nerys