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Autore: rowiel    13/04/2015    2 recensioni
(IN REVISIONE)Aly è sempre stata innamorata di Alex, ma non ha mai fatto niente per conquistarlo. Per lei lui è bello e irraggiungibile come il sole, eppure i loro universi sono destinati ad avvicinarsi inesorabilmente. Cosa accadrà quando si scontreranno?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~CAP 13

Era la prima volta che mi lasciavano sola dall'incidente. I miei erano stati chiamati per un imprevisto e Tom aveva trovato un lavoretto in un ristorante per il resto dell'estate. Ci avevo messo ore a convincerli che potevano andare senza preoccuparsi. Quante probabilità c'erano che mi succedesse qualcos'altro? Inoltre papà aveva fatto installare un super allarme e una porta blindata. Quella non sarebbe venuta giù a spallate.
Per dirla tutta ero stanca di venir trattata come una bambina. Ovunque andassi c'era sempre qualcuno che mi controllava, se non era mio fratello, erano i miei genitori e perfino i miei amici si erano uniti alla congiura. Erano preoccupati per me, lo capivo e apprezzavo davvero le loro attenzioni, ma iniziavano a soffocarmi.
Tuttavia ora che ero sola e la casa era di nuovo cupa e silenziosa, cominciai a pentirmi della mia ostinazione. Non ero così coraggiosa. Forse era troppo presto. Ogni scricchiolio o strepitio mi faceva sobbalzare. Era inutile negarlo, ero terrorizzata.
Stavo per chiamare Tom chiedendogli di tornare, quando sentì il cancello aprirsi. Il cuore mi si fermò. Mi ero dimenticata di chiuderlo!
Non volevo passarci di nuovo. Cercai il telefono con le mani tremanti. Poi sentii bussare. Due colpi secchi. Trattenni il fiato e mi gelai. Altri due colpi. Sussultai.
“Aly, ci sei?”, da fuori la voce di Alex arrivò attutita.
Sospirai sollevata. Ma che ci faceva lui qui?
“Alex?”, chiesi tanto per stare sicura.
Non che fosse possibile per me non riconoscere la sua voce.
“Aspettavi qualcun altro?”, fece pungente.
“Forse.”, gli risposi.
Lo sentii ridere dall'altra parte.
“Hai intenzioni di aprirmi o dobbiamo continuare così?”, mi domandò.
“Per me possiamo continuare.”, gli risposi ridacchiando.
Ogni traccia di nervosismo o paura era evaporata. Era assurdo che mi bastasse sentire la sua voce per sentirmi protetta e al sicuro.
“Poi non venire a piangere se mi prendo una polmonite, però.”, si lamentò.
Come scusa era deboluccia, visto che eravamo in piena estate. Poteva inventarsi di meglio.
“Non mi commuovi.”, replicai.
“Ahi.”, lo sentii gridare.
In tre secondi aprii la porta e mi ritrovai la faccia compiaciuta e strafottente di Alex davanti agli occhi. Mi aveva presa in giro.
“Bugiardo!”, lo accusai colpendogli la spalla.
Mi aveva fatta preoccupare. Avevo creduto che si fosse fatto male alla gamba.
“Ehi, il fine giustifica i mezzi.”, mi rispose entrando come fosse casa sua.
“Sei un prepotente ed un bugiardo.”, dissi mettendo il broncio, “Un prepotente bugiardo.”
“Nemmeno tu sei stata molto ospitale a lasciarmi fuori con questo tempaccio.”
Ora che ci facevo caso Alex era fradicio. Era uno spettacolo indecente. La maglietta era diventata una seconda pelle rivelando l'addome scolpito e dai capelli zuppi delle gocce scendevano ad accarazzargli il viso scivolandogli lascive lungo il corpo. Dio stavo avendo una fantasia erotica.
Sentii il sangue andarmi al cervello e altre parti del corpo scuotersi. Improvvisamente non mi ricordavo più come respirare, mentre il resto del corpo rischiava l'autocombustione. Non ero sicura di avere abbastanza autocontrollo da potergli stare vicino. Non riuscivo nemmeno a guardarlo.
Mi affacciai un attimo fuori per controllare che piovesse davvero, mentre cercavo di calmare i miei bollenti spiriti con un po' di aria fresca. In effetti stava diluviando. Come avevo fatto a non accorgermene?
“Piove davvero!”, commentai sbalordita.
“Ma dai!”, rispose acido.
Si sarebbe veramente preso un accidente.
“Dovresti toglierti i vestiti.”, dissi senza pensare.
“Be' vai subito al sodo.”, mi rispose divertito.
Sentii il volto in fiamme. Non potevo credere che glielo avevo detto davvero.
Perché quando lui era presente il filtro tra testa e bocca andava in crash? Che avevo fatto di male?
Evitando di parlare ancora a sproposito andai a prendergli degli asciugamani e dei vestiti di Tom in modo che potesse cambiarsi. Forse con un aspetto meno indecente la mia immaginazione si sarebbe placata.
“Tieni.”, gli dissi ancora rossa e su di giri.
Lui aveva uno sguardo che non mi piaceva. Aveva in mente qualcosa.
Senza il minimo pudore Alex si tolse la maglietta bagnata rivelando il fisico da urlo.
Stava cercando di uccidermi. Sarei morta di infarto e tutti l'avrebbe ritenuta una fatalità. Il crimine perfetto.
“Alex!”, urlai ridendo coprendomi gli occhi con le mani.
La testa mi girava, mentre i pochi neuroni sani commettevano un suicidio di massa.
Dio quant'era bello. Lo volevo, lo volevo disperatamente. Cosa avrei dato per toccarlo anche solo una volta.
Lui mi guardò compiaciuto e divertito. Sapeva di aver un bel corpo e di sicuro non ignorava l'effetto che mi faceva.
“Qual'è il problema? Non mi stavi guardando comunque?”, fece con finta innocenza.
Volevo sotterrarmi. Se n'era accorto. Ovvio, come poteva non farlo? Praticamente avevo la faccia di chi guardava un porno. E in effetti...
“E hai pensato che spogliarsi  fosse una buona idea.”, lo brontolai.
“Sei stata tu a dirmi che dovevo togliermi i vestiti.”, commentò pacato.
“Non intendevo davanti a me.”, urlai al limite dell'imbarazzo.
“Perché non ti piaccio?”
Avevo uno sguardo malizioso. Mi stava provocando, ma era un gioco crudele. Non potevo averlo eppure non lo avevo mai desiderato tanto.
“Sei bellissimo... e non hai bisogno che sia io a dirtelo.”, mormorai, “Brutto presuntuoso arrogante.”
Un lampo cadde vicinissimo alla casa e il tuono conseguente fu così forte da far tremare i vetri, strappandomi un urlo. Improvvisamente ci ritrovammo al buio.
In un secondo le braccia di Alex mi avevano circondata.
“Tranquilla.”, mi sussurrò.
Era più facile a dirsi che a farsi. Lui mi stringeva ed era ancora mezzo nudo. Stavo toccando il suo petto, pelle contro pelle. Le gocce dei suoi capelli mi finivano sul pigiama, scendendomi lungo la schiena. Stavo tremando e non per la paura.
Quando la luce tornò, avevo la fronte poggiata sul petto di Alex.
“Tutto ok?”mi domandò accarezzandomi la guancia.
“No.”, sospirai.
“Colpa mia o del temporale?”, fece con un mezzo sorriso stampato in faccia.
“Di tutti e due.”, ammisi.
Presi l'asciugamano che aveva sulla spalla e glielo misi in testa per tamponargli i capelli. Almeno così non vedevo il suo sguardo. Lui restò immobile a farsi asciugare come un bambino.
Ora che non poteva guardarmi osservai con cura il suo corpo. I muscoli tonici risaltavano quel tanto che bastava. Non potevo pensare che là fuori c'era una ragazza che non doveva trattenersi dal toccarlo, che poteva accarezzarlo e baciarlo liberamente, che poteva fare l'amore con lui.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri. Non dovevo mettermi in testa strane idee. Dovevo ricordarmi che non ero il suo tipo, che lui ce l'aveva già una ragazza e che noi eravamo solo amici. Se perdevo di vista questo rischiavo di rovinare tutto.
Notai che sul fianco aveva alcuni graffi.
“Questi te li sei fatti nell'incidente?”, domandai piano sfiorandoli con il polpastrello.
Lo vidi sussultare.
“Si.”, aveva la voce roca.
“Ti fanno male.”, sussurrai.
“No.”
Controllai allora in cerca delle altre ferite. Esaminai accuratamente la spalla e poi il braccio ed infine la schiena. Le ferite peggiori erano sul gomito, ma era difficile credere che se le fosse fatte in un incidente. Avrei voluto baciarle come si fa con le sbucciature dei bambini, ma di nuovo mi resi conto che non potevo.
“Vuoi giocare al dottore?”, riprese a punzecchiarmi con tono più mellifluo.
“Stavo solo controllando.”, spiegai.
“E?”
“Sei stato fortunato. Davvero molto, molto fortunato. Potevi farti male.”, sospirai.
“Potrei dirti la stessa cosa.”, fece sfiorandomi la fronte, “Come va la testa?”
“Funziona male come al solito. Tom sperava che il colpo mi facesse rinsanire.”, provai a sdrammatizzare.
“Non ascoltarlo. Tu vai bene così, esattamente come sei.”, mi disse serio.
Per un attimo restò a fissarmi e il mondo intorno a noi parve sparire. Non so cosa avrei dato per poter fermare il tempo e vivere per sempre in quell'istante sospeso.
“Vado a vestirmi.”, aggiunse dopo un momento.
Solo quando rimasi sola mi resi conto che stavo trattenendo il respiro e avevo le lacrime agli occhi.
Cosa stavo facendo? Che mi era preso? La verità era che non mi bastava essere sua amica perché più mi avvicinavo a lui, più volevo stargli accanto, e allo stesso tempo però mi rendevo dolorosamente conto che non potevo. Che non avrei mai potuto, non almeno nel modo che sognavo. Non ero capace di essere sua amica e temevo che, prima o poi, lui se ne sarebbe accorto finendo per liquidarmi.
Presi un profondo respiro cercando di riprendere il controllo. Dovevo solo evitare di trovarmi in situazioni come queste. Sforzarmi di mantenere una distanza fisiologica.
“Hai fame?”, gli urlai dalla cucina.
“Sempre.”, mi rispose dalla stanza di Tom.
“Preparo la cena se ti va di restare.”
“E il dolce!”, aggiunse.
Avevo dato per scontato che volesse anche il dessert. Se avessi mangiato come lui probabilmente sarei diventata centoventi chili. Era proprio vero che certe persone avevano tutte le fortune.
Mi misi all'opera partendo proprio dal piatto che preferiva. Non avevo voglia di accendere i fornelli così mi limitai ad una crema al limoncello con fragole fresche. Feci giusto in tempo a mettere nel frigo le coppette che fuori ci fu un altro lampo seguito da un blackout.
Stavo bene. Stavo bene. Stavo bene.
Forse se continuavo a ripeterlo si sarebbe avverato, come un desiderio. Mi resi conto però che tremavo e avevo il cuore in gola. Non stavo bene affatto.
Sentii una mano sulla spalla.
“No!”, urlai indietreggiando.
“Sono io.”, la voce di Alex era cauta.
Mi buttai tra le sue braccia senza pensarci. Lui non mi strinse. Era stranamente rigido.
“Perché se hai paura sei rimasta a casa da sola Aly?”, mi sgridò.
“I miei dovevano lavorare. Non volevo creare problemi.”, mi giustificai.
“Ma se non te la sentivi non dovevi sforzarti. Cosa sarebbe successo se non fossi passato?”
Perché ora era arrabbiato con me? Forse si era infastidito perché mi ero aggrappata a lui? Non lo avevo fatto di proposito, mi era venuto spontaneo. Più ci pensavo, più mi sentivo nervosa.
“Me la sarei cavata.”, mentii.
“Ha un bel coraggio a dirlo mentre tremi come una foglia.”, mi accusò.
Mi staccai da lui di colpo e la luce ci sorprese mentre ci guardavamo arrabbiati.
Per la prima volta sembrò seccato da ciò che provavo. Glielo leggevo negli occhi il fastidio che sentiva e mi si spezzò il cuore vedendo ogni mio più oscuro timore prendere lentamente forma. L'inevitabile verità era che lo stavo perdendo, se mai si potesse perdere qualcosa che non si era mai nemmeno posseduto.
“Io sto bene!”, gli dissi.
“Cazzate. Tu hai paura. Sei solo una ragazzina spaventata.”, urlò.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime. Non volevo piangere. Non lo avrei più fatto davanti a lui, me l'ero ripromessa.
“Non ti ho detto io di venire. E se sei stanco di farmi da baby sitter la porta è da quella parte.”, gli dissi fingendo una calma che non avevo, mentre sentivo la terra sotto i piedi venire meno.
Lui mi guardò un attimo spaesato prima di tornare in sé.
“Aly...”, iniziò cercando di prendermi un braccio, ma svicolai. Non avrei sopportato di venir toccata in quel momento.
“È meglio se vai ora.”, gli dissi.
“Mi stai cacciando?”, mi chiese.
“Si.”, gli risposi mentre sentivo una lacrima scendermi lungo la guancia.
Lasciai tutto com'era e andai in camera mia a piangere. Iniziavo a rendermi conto che forse era stato tutto un grande errore. Non avrei mai dovuto avvicinarmi a lui, non avrei mai dovuto desiderare ciò che non poteva essere mio. Ingenuamente avevo creduto che mi sarebbe bastata la sua amicizia che invece si stava rivelando una lenta e brutale tortura.
Dopo qualche minuto sentii bussare alla porta. Anche se non risposi Alex entrò ugualmente.
Non accese la luce, si limitò a lasciare la porta della stanza aperta facendone filtrare un po' dal corridoio. Cosa voleva ora? Era ancora arrabbiato? Era venuto per dirmi che non voleva più saperne di me?
“Mi dispiace.”, sussurrò.
La sua voce era morbida come una carezza e colma di gentilezza e rammarico. Era tornato l'Alex di sempre, il mio Alex.
Si sdraiò alle mie spalle abbracciandomi da dietro.
“Mi dispiace tanto Aly.”, si scusò di nuovo.
“Perché hai detto quelle cose?”, gli gridai arrabbiata.
“Perché sono un'idiota.”, rispose.
Un singhiozzo mi fece sobbalzare e lui mi strinse un po' più forte con un braccio, mentre con l'altro mi accarezzava la schiena cercando di tranquillizzarmi.
“Stavo litigando con Darla quando è andata via la luce. Ho riattaccato per venirti a cercare e ho finito per prendermela con te.”, si giustificò.
“Dovevi uscire con lei stasera?”, gli chiesi con un filo di voce.
“Si.”
“Perché sei venuto qui allora?”, domandai voltandomi e ritrovandomi completamente sovrastata.
Ero tra le sue braccia eppure non potevamo essere più lontani. Faceva male. Era intollerabile. Con lui ogni sensazione era così intensa da far male e anche se gridavano e strepitavano per venire ascoltate, io non potevo cedere, soprattutto in quel momento.
“Tom mi aveva detto che eri sola...”, iniziò.
“E ti ha mandato a fare il baby sitter.”, conclusi al suo posto.
L'amarezza di quella confessione fu difficile da sopportare. Ma che mi ero messa in testa? Che fosse venuto per me? Ero una stupida se davvero, anche solo per un secondo, avevo creduto a queste illusioni. Quante volte dovevo ancora ripetermi che lui non era mio, che aveva una ragazza ed io non ero e mai sarei stata niente di più di un'amica?
Paragonato alla ferita che mi si era appena aperta nel cuore, il taglio sulla fronte sembrava la puntura di uno spillo. Mi coprì gli occhi con le mani, prendendo un profondo sospiro per non perdere il controllo. Non avrei pianto. Non di nuovo.
“Dovresti andare da lei.”, gli sussurrai anche se dirlo fu come strapparmi il cuore.
“Non ti lascio sola.”, si ostinò.
Sapevo che Alex era un amico leale e se aveva detto a Tom che sarebbe rimasto a sorvegliarmi non lo avrei persuaso facilmente a cambiare idea. Tuttavia dovevo almeno provarci.
“Sono solo un paio d'ore, non morirò. Sei stato carino a passare, ma non è necessario che resti.”, gli dissi con il tono più freddo di cui ero capace.
Dovevo solo ripetergli quello che avevo detto a Tom e ai miei genitori. Avevo convinto loro, avrei convinto anche lui. Non lo volevo lì, non in quel modo.
“Sono al sicuro ed in caso di bisogno posso chiamare Tom.”, sussurrai stanca.
“Davvero convincente.”, commentò, “Ora ripetilo guardandomi negli occhi.”
“Non dovresti essere qui e non importa cosa hai promesso a Tom.”, dissi al limite del masochismo.
“Non mi ha chiesto lui di venire.”
Gli rivolsi un sorriso triste. Doveva per forza essere stato Tom. Avevo visto la sua espressione dubbiosa quando era uscito, avevo capito di non averlo convinto del tutto, ma mai avrei immaginato che avrebbe chiamato Alex. Ero umilianta per essermi illusa, ma soprattutto era doloroso, vederlo lì sapendo che avrebbe voluto essere da un'altra parte, con un'altra donna.
“Davvero puoi andare.”, la voce mi tremava non avrei retto ancora per molto.
“Non è stato Tom a dirmi di venire.”, ripeté in tono più fermo alzandomi il mento per potermi guardare dritto negli occhi.
“Allora perché?”, gli chiesi completamente disorientata.
“Non lo so... Non sopportavo l'idea di saperti sola in casa dopo ciò che è successo.”
“Eri preoccupato per me?”, chiesi titubante.
Lui annuì accarezzandomi il volto. Le sue dita scivolavano gentili sugli zigomi, lungo la guancia, sfiorandomi la mascella e le labbra, scatenandomi brividi di piacere lungo il corpo. Era sbagliato. Stavo di nuovo male interpretando la situazione.
“Mi dispiace che tu abbia litigato con la tua ragazza per colpa mia.”, balbettai confusa.
“Non è colpa tua. È lei che era in vena di melodrammi.”, fece irritato.
Ancora gli bruciava la discussione che avevano avuto. Glielo leggevo negli occhi. Ed io non riuscivo a non sentirmi in colpa. Se non fosse stato per me e per quello stupido di mio fratello...
“No, non è vero.”, sussurrai.
“Ma se non sai neanche di cosa abbiamo discusso.”, mi accusò pentendosi subito del tono usato.
“Hai preferito un'altra persona a lei. Chiunque si sarebbe arrabbiato.”
“E tu come fai a saperlo, sentiamo.”, sbuffò alzando gli occhi al cielo.
Conoscevo fin troppo bene la pena del vedere la persona che amavi scegliere qualcun altro, l'amarezza di capire di non essere al primo posto.
“Chiamalo sesto senso.”, gli dissi cercando di sembrare non curante con un'alzata di spalle.
Alex mi fissò intensamente in silenzio. Non era il solito sguardo inquisitore, stavolta era diverso. Avvertii una vicinanza nuova, più forte di quella fisica, qualcosa che diede improvvisamente all'atmosfera della stanza una nota molto intima.
“Sei davvero una ragazza assurda Aly.”, mi sussurrò riprendendo ad accarezzarmi il viso.
“Nel senso di pazza e scompensata.”, scherzai, mentre il cuore galoppava imbizzarrito.
“Più come totalmente incomprensibile.”, mi corresse divertito.
Finsi di rifletterci su un attimo.
“Lo prenderò come un complimento, allora.”
“Non sono sicuro che volesse esserlo.”
Gli pizzicai il fianco per punizione. Facendolo sorridere.
Era più facile parlargli nella penombra. In quel momento sentii che avrei potuto confessargli qualsiasi cosa. Non mi succedeva spesso di stargli così vicina senza sentirmi intimorita o inadeguata. Per una volta sentivo di essere al posto giusto.
“Allora posso restare?”, mi chiese dolcemente.
“Sai che non sei tenuto a farlo, vero?”
“Sono esattamente dove voglio essere, Aly.”
Arrossii mentre il mio cuore suonava la rumba, lottando per ricacciare un pensiero pericoloso. Almeno per quella sera Alex aveva scelto me.

Mangiammo in tranquillità senza altri drammi o blackout parlando un po' di tutto: degli studi, dei nostri interessi, degli hobby... avevamo più cose in comune di quante immaginassi, prima tra tutte la lettura. Per lui era un amore nato da bambino, io avevo imparato ad amare i libri perché piacevano a lui, ma questo evitai di dirglielo. Mi confessò di sognare di diventare un editore un giorno e di arrivare a fondare una propria casa editrice.
Mi piaceva parlare con lui del futuro e dei sogni che avevamo.
Dopo cena ci spostammo sul divano per guardare un film, anche se io avrei preferito mille volte continuare a parlare.
“E il dolce?”, fece ad un certo punto cominciando a spulciare nella playlist dei film.
“Me n'ero quasi dimenticata!”, esclamai correndo in cucina a prenderlo.
Consegnai la coppetta ad Alex e aspettai che lo assaggiasse.
Accorgendosi che lo fissavo si fermò con il cucchiaio a mezz'aria.
“Che c'è l'hai avvelenato?” fece preoccupato.
Che scemo che era.
“Forse...lo mangerai lo stesso?”
Non gli piaceva quando usavo quel tono, eppure io lo trovavo dannatamente divertente. Roxy aveva ragione nel dire che gli uomini odiavano essere stuzzicati così, ma io non riuscivo proprio a resistere. Era come se avessi scoperto di avere un super potere fichissimo.
“Si e se morirò mi avrai sulla coscienza.”, mi disse.
“Se succederà ti seguirò in stile shakespeariano.”, esclamai melodrammatica.
Alex si soffermò a guardarmi un attimo, poi mi sfiorò la guancia con il dito. Amavo quel suo modo di toccarmi con dolcezza.
“Quindi io sarei Romeo?”, chiese poi alzando un sopracciglio scettico.
Trattenni a stento una risata immaginandomelo in costume.
“Preferivi Giulietta?”
Non mi rispose e finalmente si decise ad assaggiare il dessert. Poi fece una faccia strana si portò la mano alla gola  e si accasciò sul divano.
Recitava davvero male e non so perché la cosa mi fece ridere.
“Bravo!”, lo acclamai applaudendo con un pessimo accento francese.
Alex non si mosse.
Non capivo dove voleva andare a parare, ma mi venne un'idea. Era pazzesca ed imbarazzante, ma ormai quella sera di figure di merda ne avevo fatte di ben più grandi per cui raccolsi il coraggio a quattro mani ed iniziai a recitare a memoria.

«O mio amore, mia sposa!
La morte che ha già succhiato il miele
Del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezza.
Ancora non sei vinta, e l'insegna di bellezza,
sulle labbra e sul viso, è ancora rossa, e la pallida
bandiera della morte su te non è distesa»

Sentivo il cuore battere forte nel petto e le guance si erano colorite, ma Alex non accennava a muoversi per cui continuai.

«O amata Giulietta, perché sei ancora bella?
Ti ama forse la morte senza corpo?
L'odioso squallido mostro ti tiene qui nell'ombra
come amante? Questo io temo, e resterò con te,
per sempre, chiuso nella profonda notte.
Qui voglio restare, qui, coi vermi,
i tuoi fedeli,; avrò riposo eterno,
e scuoterò dalla carne, stanca del mondo
ogni potenza di stelle maligne.»

La prossima volta che Roxy mi avrebbe chiesto a cosa servisse studiare Shakespeare, avrei saputo cosa risponderle.
Alex resuscitato dal suo stato di morte apparente mi fissò estasiato.
“Sono davvero colpito.”, confessò, “E ti assicuro che non è una cosa facile da fare.”
Alzai le spalle non sapendo bene come rispondere.
“Mi dici perché ogni volta che qualcuno ti fa un complimento tu reagisci così?”, mi chiese tranquillo.
“Non sono a mio agio.”, gli risposi sincera.
“Ecco qualcosa su cui lavorare.”, commentò più rivolto a se stesso che a me.
Non capivo cosa voleva dire, ma non me ne curai. Finalmente mi sentivo pienamente tranquilla dopo non so quanto tempo.
“Aly, posso dirti una cosa probabilmente inappropriata?”, mi fece con un sorriso birichino.
Ecco, lo sapevo. Mi ero rilassata troppo presto. Che aveva in mente adesso? Perché mi tremavano le gambe al solo pensiero? Perché invece di dirmela e basta mi aveva chiesto il permesso? E soprattutto volevo saperla? Ma chi prendevo in giro, ovviamente volevo.
Annuii agitata.
“Profumi di limone e fragola...”, fece guardando il bicchiere ormai vuoto, “Mi chiedevo se avessi lo stesso sapore.”
Il cuore saltò un paio di battiti, mentre io sussultai per il brivido che mi scivolò lungo il corpo. Cosa voleva fare, mangiarmi? Mi accesi come una lampadina di Natale e lui scoppiò a ridere.
“Dovrai morire col dubbio.”, gli risposi un po' offesa.
“Sicura?”, mi rispose diventando di colpo serio e rivolgendomi uno sguardo penetrante.
Non dissi niente, mi limitai a fissarlo scuotendo la testa. Non ero sicura che si rendesse conto che così rischiava di uccidermi. Morivo dalla voglia di baciarlo, ma per quanto lo volessi non ero il tipo che ci provava con i ragazzi impegnati, anche quelli dannatamente sexy.
Stupida integrità morale.
Il resto della serata passò fin troppo velocemente e nonostante fuori continuasse a infuriare la tempesta io mi addormentai senza problemi.
Quella notte feci sogni molto vividi al gusto di fragola e limone.

   
 
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