Ero partita con
un’idea COMPLETAMENTE diversa, ma
non mi piaceva: troppo lunga e complicata, impossibile concluderla in
così poco
tempo e spazio senza tagliare scene e spiegazioni. Così ho deciso di
cambiarla
completamente, e spero che vi piaccia ^^ Ah, perdonatemi, ho problemi con l'HTML, non so ancora usarlo ç__ç
Con questa
storia avrei voluto partecipare al
concorso “Original character in love” indetto da DarkRose86, ma,
sfortunatamente, solo due degli iscritti hanno consegnato la storia
Inizialmente
l’avevo pensata e presentata come
one-shot, ma forse scriverò altri capitoli…
Buona lettura e
buone feste ^^
KillerQueen
Take the Time
“Perché sei tornata? Hai intenzione di
esporre al pericolo me e tutti gli altri?” Tuonò la voce di Iruka. Non
era
l’Iruka responsabile, dolce e un po’ imbranato che Valerie si aspettava
di
trovarsi davanti, ma non se ne stupì.
“La nostra amicizia non conta nulla?”
Rispose lei, spavalda come non mai, come se quello fosse uno
sconosciuto, non
il suo migliore amico, l’uomo che aveva sempre amato senza avere il
coraggio di
dirlo.
“Dopo come sei sparita l’ultima volta,
vieni a mendicare il mio aiuto?” La risposta alla domanda di Valerie fu
solo
un’altra domanda.
“Non sto mendicando il tuo aiuto, se me
lo negherai mi consegnerò spontaneamente a loro. Sinceramente, però,
credevo di
contare un po’ di più per te.”
“Anche io, credevo di contare di più per
te, ma l’ultima volta hai lasciato dietro di te solo un biglietto.”
“Mi avresti seguita, non potevo
permetterlo. Se ti avessi rivisto, sarei tornata qui.”
“Perché?”
“Perché io ti ho sempre am…”
Una
grossa goccia di pioggia cadde sul naso di Valerie, interrompendo quel
dialogo
immaginario che si stava svolgendo nella sua testa. Le cose non
sarebbero mai e
poi mai andate come nella mente della ragazza, ma non poteva evitare di
farsi
certi…viaggi mentali, rigorosamente
come ogni volta che doveva affrontare un momento importante della sua
vita.
Erano discussioni ben poco realistiche, perché l’interlocutore aveva un
altro
volto, ma era sempre la stessa Valerie. Aveva il suo carattere, e, per
quanto
lei si sforzasse di rendere l’interlocutore più realistico, non ci
riusciva.
La
sensazione della pioggia sulla pelle era così piacevole. Valerie alzò
la testa
e si tolse il cappuccio del mantello, chiudendo gli occhi, assaporando
lo
scorrere delle gocce d’acqua sulla pelle del viso, ubriacandosi di
ricordi
legati agli anni passati al villaggio della foglia. Prima era solo una
ragazzina qualsiasi del villaggio della foglia, ora era la viaggiatrice
del
tempo.
Era
un nome che si era data da sola, se lo era guadagnato, e adorava
sentirsi
importante quando la chiamavano così. Era egocentrica e presuntuosa, e
ne era
consapevole. Quel nome era nato per evitare che qualcuno riuscisse a
rintracciarla, e si era rivelato più azzeccato di quanto si sarebbe
potuto
prevedere.
Quanto
le era mancato quel posto. In quei luoghi aveva passato gli anni più
felici
della sua vita, quelli in cui ancora non
sapeva.
Gli
anni in cui poteva immaginare, in cui poteva fantasticare riguardo a
passato e
futuro. Ora non ci riusciva più, ma il solo pensare ai discorsi fatti
con Ellie
e con…lui le riempiva il cuore di
gioia.
Cominciò
a passeggiare per le vie, quasi deserte a causa del maltempo. Non
incontrò
nessun volto noto, e nessuno sembrò riconoscere quella strana
ragazzetta, felice
di essere bagnata dalle gocce di pioggia.
Sapeva
di non avere tempo, eppure non poteva fare a meno di cedere alla
tentazione di
prendersela con calma.
Si
domandò come avrebbe reagito rivedendo gli altri: sarebbe tornata la
ragazzina
spensierata che non sta mai un attimo ferma, oppure quegli anni passati
perlopiù in solitudine l’avevano cambiata in maniera definitiva?
Il
cuore accelerò quando i suoi occhi azzurro ghiaccio scorsero la casa. Temeva che gli fosse successo
qualcosa: poteva essersi sposato, oppure, peggio ancora, morto.
Il solo pensarlo le causò la reazione di portare la mano
sinistra all’elsa della spada, accarezzandola nervosamente, come se
dovesse
difendersi da qualcosa.
Esitò
per qualche istante prima di battere ripetutamente le nocche sul legno
della porta.
Ripeté più volte il movimento, bruscamente.
Quando
la serratura scattò, Valerie si accorse che le sue mani stavano
tremando, e non
per il freddo, dato che indossava dei guanti.
Di
fronte a se vide il volto che l’aveva accompagnata nei sogni e nei
ricordi di
quegli anni di vagabondaggio.
Si
sentì ancora più minuta accorgendosi di doverlo guardare dal basso
all’alto più
di quanto non fosse costretta a fare l’ultima volta che lo aveva avuto
davanti:
era cresciuto, ma era impossibile non riconoscerlo: i capelli castani
raccolti
in una coda, il coprifronte con l’inconfondibile simbolo del villaggio
della
foglia, gli occhi neri fissi nei suoi, cercando di ricordarla, e
l’inconfondibile cicatrice su naso e zigomi.
“Iruka”
Sussurrò, deglutendo, cercando di capire se l’aveva riconosciuta. Passò
solo un
istante, ma per Valerie fu il più lungo della sua esistenza.
Lui
la guardò aggrottando la fronte, lei temette che non fosse in grado di
riconoscerla, poteva averla addirittura dimenticata. Poi il suo sguardo
cambiò,
illuminandosi, sgranando gli occhi. “V…Valerie? Sei tu?”
In
quell’istante, Valerie fu costretta ad abbassare lo sguardo per
l’imbarazzo,
che aumentò ulteriormente quando la ragazza capì di avere gli occhi
lucidi per
la crescente e eccessiva sensazione di felicità.
In
quel momento Valerie capì di essere sempre la solita: spavalda con
tutti, ma
non con lui.
“Val?
Val, sei proprio tu?” Ripeté lui. Non poteva crederci: cinque anni
erano
passati dall’ultima volta che vide quel volto, quegli occhi.
Valerie
scoppiò a piangere per l’emozione. Gli si gettò tra le braccia,
singhiozzando
ininterrottamente, le lacrime mischiate alla pioggia che aveva bagnato
il suo
viso.
Lui
la strinse al suo petto. Era successo tutto così in fretta da sembrare
irreale.
“Mi
sei mancato” Mormorò Valerie, senza alzare lo sguardo, dopo aver smesso
di
piangere, con la testa appoggiata al suo petto.
Iruka
sentiva la testa esplodergli per tutte le domande che aveva da fare a
Valerie:
l’ultima volta si era limitata a scomparire nel nulla, senza neppure
salutarlo,
lasciando dietro di se solo un biglietto, che lui aveva custodito
gelosamente.
Ora, quell’arrivo poteva significare solo una cosa: lei era nei guai.
Se si
lasciava andare a gesti così emotivi, se scoppiava a piangere senza
cercare di nasconderlo
in ogni modo… Qualcosa la minacciava. In una situazione qualsiasi,
avrebbe
cercato in ogni modo di non piangere, o almeno di non farlo vedere.
Entrarono,
mano nella mano: nessuno dei due avrebbe gradito interrompere il
contatto
fisico, anche sciogliere l’abbraccio per entrare in casa fu una
sofferenza.
Si
sedettero sul divano, Valerie si appoggiò alla spalla di Iruka,
gustandosi
quelle sensazioni che non provava da molto, troppo tempo. Cercò di
pensare
quando aveva abbracciato qualcuno in maniera così disinteressata e
sincera l’ultima
volta, non riuscendo a ricordarselo, ma di sicuro era stato prima di
partire.
“Dove
sei stata?” La domanda di Iruka distrusse il silenzio, e Valerie capì
che prima
o poi avrebbe dovuto sapere. A malincuore, si mise in piedi: in
un’altra
situazione si sarebbe comportata in maniera differente, ma l’importanza
dell’argomento le fece desiderare di guardare Iruka negli occhi.
“Li
ho trovati” si limitò a rispondere Valerie, con voce calma.
Iruka
sgranò gli occhi. “Li hai trovati?” Ripeté, stupito. “I tuoi genitori?”
Lei
scosse la testa. “Loro no, ma ho trovato la mia gente.”
Quella
variazione non cambiò lo stato d’animo di Iruka, teso, desideroso di
sentire i
racconti di Valerie.
“Ci
ho messo quattro anni e mezzo, Iruka. Ho vagato per ogni angolo di
queste terre,
per i primi due anni. Nessuno aveva mai visto o sentito di persone con
il mio
potere. Poi ho capito che dovevo cercarli in mare, perché… Non c’era
rimasto
altro posto. Quindi affittai una barca, non trovai nessuno disposto a
seguirmi
nella mia impresa disperata, ed è comprensibile, considerando dove
avevo in
mente di andare, quindi dovetti affidarmi alla tecnica della
moltiplicazione
del corpo. Impiegai altri due anni e mezzo, ma li trovai.”
“Dove?”
La domanda sfuggì spontaneamente al ragazzo, sempre più curioso.
Valerie andava
avanti lenta nel racconto della storia, volontariamente, perché adorava
mantenere una certa suspense.
“Le
isole maledette. Nessuno le aveva mai raggiunte perché la mia gente le
proteggeva con i loro poteri, che però hanno un grandissimo difetto…
Non hanno
alcun effetto se usati tra di noi, se non quello di farci consumare
chakra per
un processo di autodifesa automatico, che la mia gente ha sviluppato
nei secoli.
Quando hanno visto che ero immune, hanno capito che ero una di loro.”
Ci
fu qualche istante di silenzio: Valerie non distoglieva lo sguardo
dagli occhi
del suo interlocutore, il quale ancora faticava a credere che stesse
succedendo
tutto così in fretta. Fino a quel pomeriggio, non avrebbe mai potuto
immaginare
una situazione come quella in cui si trovava.
“Mi
hanno insegnato a usare i miei poteri. E mi hanno raccontato
dell’inesorabile
fine a cui sta andando incontro la mia gente. I miei due fratelli mi
portarono
via quando ero una neonata, ma morirono in un’imboscata. Io
sopravvissi.”
Valerie sospirò, sconsolata. “Sono l’ultima della mia gente, la più
giovane. Si
è diffuso un virus, le donne sono incapaci di avere figli. Tutte,
tranne me, perché io sono andata via da piccola.”
Iruka
era confuso: perché lei era li?
“Sei
venuta a dirmi addio?” Domandò, infine, temendo il peggio.
Valerie
scosse la testa. “Ai miei amici do tutto l’aiuto che riesco a dare, ma
non sono
così pazza da sacrificare la mia esistenza, riducendomi a sfornare
marmocchi per
degli sconosciuti, e chi se ne frega se sono miei parenti.” Concluse
con un
sorriso furbetto.
Lo
sguardo di Iruka si rischiarò: fu quella frase a fargli capire due
cose:
Valerie era sempre la stessa, e quello non era un addio. “Quindi sei
tornata
per restare?”
Valerie
indugiò, cominciando a fissare il pavimento. “Si, ma c’è un problema.
Credo di
avere i loro alle calcagna.”
Iruka
si morse il labbro inferiore fino a farsi male. Come aveva potuto anche
solo
sperare che tutto sarebbe tornato come prima?
“Come
fai a saperlo?” Domandò.
“Sono
fuggita a diverse imboscate. Credo che siano dei ninja assoldati dalla
mia
gente, non loro stessi, perché non sono in grado di combattere, e non
hanno
dato segno di saper usare i nostri poteri.” Spiegò Valerie,
passeggiando
nervosamente.
“Sono
venuta da te per due cose. Per cominciare, chiedo una mano a te, Miki,
e al
villaggio della foglia. E’ da un po’ che non hanno provato ad
attaccarmi, ma
non è detto che non ci riprovino. Io sono stanca e debilitata per tutto
il
chakra che ho dovuto usare per difendermi, inoltre sono giorni che
mangio poco
e dormo meno. Non ce la farei, da sola.”
Iruka
si limitò ad annuire, prendendo la mano di Valerie tra le sue. “Non sei
sola.
Andiamo ora dall’Okage, ti aiuterà.” Cercò di mostrarsi sicuro e calmo,
ma in
realtà si sentiva il cuore a pezzi: era tornata, ma rischiava di
morire. Non
perché i suoi inseguitori avrebbero potuto uccidere, bensì perchè
temeva che,
piuttosto che passare la propria esistenza al servizio di persone che
la
volevano costringere a sacrificarsi completamente, avrebbe preferito
uccidersi.
Si
alzò in piedi, dirigendosi verso la porta e aspettandosi che Valerie
facesse lo
stesso, ma rimase ferma, fissando il nulla, con le guance di un color
rosso
acceso.
“L’altro
motivo per cui sono venuta qui…” Valerie lasciò la frase in sospeso, e
lui la
incoraggiò.
“Si,
Valerie?”
“E’
da anni che lo desidero, e so che se non te lo chiedo ora, potrei non
averne
più l’occasione.”
“Chiedermi
cosa?” Iruka non aveva la più pallida idea di quale potesse essere la
richiesta
di Valerie.
Valerie
ci pensò su qualche secondo, cercando di nascondere l’imbarazzo. “Forse
è meglio
se prima vado a salutare Mikuri. Se non vado non me lo perdonerà mai.”
Iruka
abbassò lo sguardo. “Meglio di No. Prima dimmi ciò che mi stavi per
dire.”
Valerie
rise. “Non essere stupido! Conosci Miki, sarà subito presa da attacchi
di
gelosia, se sa che sono tornata e non la sono andata a trovare.”
“Che
fretta c’è?” Iruka stava disperatamente cercando di guadagnare tempo.
Valerie
sembrò non accorgersene.
“Invece
c’è fretta! Dai, è la mia migliore amica, e sai che è sempre stata
molto
gelosa.” Valerie cominciò a ridere quasi istericamente. “O si è trovata
un’altra amica? E’ per questo che mi stai impedendo di andarci, eh,
Iruka?”
Iruka
rimase in silenzio, mettendosi una mano sul viso, sospirando. Non era
un
sospiro qualsiasi, era un sospiro carico di disperazione.
Valerie
lo afferrò per le spalle, cominciando a scuoterlo. Il riso isterico
scomparve,
lasciando il posto alle lacrime. “Cosa diavolo stai cercando di dirmi,
Iruka
Umino? Dannazione, parla!”
“Mikuri
è morta.”
Valerie
continuò a fissarlo. Smise di piangere. Incapace di versare lacrime.
Incapace
di urlare. Incapace di credere che la sua migliore amica avesse davvero
smesso di
vivere. Sentì le gambe cedere, la bocca seccarsi, lo stomaco
contorcersi.
Cadde
a terra, perse i sensi ma continuava a ripetere un nome.
“Miki…
Miki… Morta? Miki…”
“Allora, che volevi dirmi?” domandò
Mikuri, smettendo di ridere per l’ultima battuta stupida di Valerie. Se
l’amica
si era presentata senza invito e cominciava a dire una stupidaggine
dietro
l’altra, senza arrivare al vero motivo della visita, voleva dire che
c’era
qualcosa di serio. La conosceva fin troppo bene.
Valerie diventò improvvisamente seria.
“Ecco… Ti dispiace se andiamo in camera tua? Il discorso è più
complicato di
quanto sembri.”
Le due ragazze salirono al piano di
sopra, dopo che Val ebbe salutato i nonni di Mikuri, con i quali viveva
la sua
migliore amica.
Entrarono nell’ordinatissima camera, e
Valerie si buttò a peso morto sul letto. Mikuri le si sedette vicino.
“Riguarda
un ragazzo.” Cominciò Valerie.
Mikuri parve piacevolmente sorpresa.
“Davvero? Dai, parla! Chi è? Dimmelo!”
In realtà, entrambe sapevano che la
verità non sarebbe saltata fuori così facilmente.
“Prova a indovinare.”
“E’ un ninja?” Domandò Mikuri.
Valerie annuì. Era una risposta
prevedibile a una domanda altrettanto prevedibile.
“Mizuki?”
Valerie scosse la testa. “E’ un bel
ragazzo, ma non è lui.”
“Asuma? Kakashi?”
“Non è un jonin” spiegò Valerie,
riducendo notevolmente il campo di ricerca dell’amica. “…E il suo nome
inizia
con la lettera i.”
“Itachi?”
Valerie scosse la testa. Credeva che la
risposta fosse diventata scontata, ma si era dimenticata di Itachi
Uchiha. Non
che fosse un brutto ragazzo, ma non era decisamente il suo tipo.
Ellie dischiuse le labbra stupita. “Non
mi dire che… Iruka?”
Fu
il rumore di un tuono a svegliare Valerie dal suo stato di incoscienza.
Quasi
cadde dal letto per la paura. Poi, quando si rese conto di dove si
trovava,
capì di non dover temere nulla. In quei cinque anni, i temporali non
avevano
mai significato nulla di buono, specialmente in navigazione. Si mise a
sedere,
e, non appena i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, notò Iruka,
che
dormiva usando le braccia appoggiate al bordo del letto come cuscino,
inginocchiato per terra.
Lo
scosse debolmente afferrandolo per il braccio, e lui aprì gli occhi.
Valerie
stava cercando con tutte le sue forze di relegare il pensiero di Ellie
nell’angolo
più remoto della mente, aveva già pianto abbastanza, si era sfogata,
ora voleva
riuscire con tutte le sue forze a pensare ad altro.
Iruka
la guardò con lo sguardo assonnato, rivolgendole un debole sorriso,
mentre si
metteva a sedere sul bordo del letto, vicino a Valerie.
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, lei si sentiva la testa scoppiare,
c’era
qualcosa che doveva dire.
“Miki
poi si era messa con Akinari?” Non era la frase giusta da dire, ma
neppure del
tutto quella sbagliata. Akinari era un compagno di accademia di
Valerie, Iruka
e Mikuri, un ragazzo di cui quest’ultima era pazza, ma non gli aveva
mai detto
niente per difendere la sua teoria.
Iruka
parve sorpreso da quella domanda, ma rispose comunque. “Si, si erano
appena
sposati quando lei… Se ne andò.”
Valerie
sentì un peso opprimente sul petto. Si era sposata. La sua migliore
amica,
quella che conosceva da quando potesse ricordare, quella con cui aveva
condiviso tutto, si era sposata, e
lei non era stata li. Non aveva potuto chiederle come si sentiva, darle
dei
consigli per il trucco, il vestito o i capelli, non aveva potuto
confortarla,
non aveva potuto vederla camminare nel suo splendido vestito da sposa,
non
aveva potuto commuoversi e scoppiare a piangere nel momento del bacio.
“Quante
cose mi sono persa. Sembra proprio che non sarei dovuta partire.” Disse
Valerie, quasi pensando a voce alta.
Iruka
sorrise. “Ti spiace se ti do ragione?”
“Posso
farti una domanda?” Valerie cominciò a sudare freddo. Da quella domanda
sarebbe
dipeso il suo futuro- o forse era meglio dire il suo passato?
Non
attese la risposta. “Tu mi ami?” Non lo guardò mentre pronunciò quella
domanda.
Le bastò sapere che era li, vicino a lei. La mano che lui le aveva
messo sulla
spalla scivolò via.
“Io
ti ho sempre amata.” Disse lui, cercando di trattenere le emozioni
impetuose
che stava provando. Le prese il viso tra le mani, accarezzandolo.
Valerie
sembrò meno felice di quanto lui aveva sperato. Anzi, sembrava soltanto
curiosa. “Anche prima che io partissi?”
Lui
rise, teso e imbarazzato. “Da molto prima che tu partissi.”
Il
volto di Valerie si illuminò, improvvisamente. “C’è un modo per
recuperare
tutto. Rimarrò senza poteri per il resto della mia vita, ma ne vale la
pena.”
Lui
sembrò non capire, rimase a fissarla, in attesa di spiegazioni,
togliendo le
mani dal suo volto. Le parole di Valerie sembravano senza alcun senso.
“L’abilità
innata del mio popolo è il viaggio nel tempo.”
Iruka
continuava a non capire.
Valerie
cominciò una delle sue lunghe spiegazioni. “Posso tornare indietro al
giorno
della mia partenza. Tu, Mikuri e il resto del mondo non vi accorgerete
di
nulla. Io, invece, lo saprò, quindi avrò la possibilità di rimediare ai
miei
errori.”
“Quali
errori?” Quel discorso lo inquietava e affascinava allo stesso tempo.
Quegli
anni erano stati una sofferenza, e ora lei voleva rendere possibile
l’impossibile. Aveva sempre sospettato che Valerie avesse avuto poteri
così
strani, una volta averli sviluppati: prima della sua partenza riusciva
a usare
tecniche banali ma mai viste: riusciva ad aumentare o rallentare la
propria
velocità o quella degli altri, ma non aveva mai creduto che potesse
addirittura
viaggiare nel tempo.
Valerie
rimase in silenzio per qualche secondo prima di rispondere. “L’errore
più
grande è stato amarti in silenzio per anni e anni senza avere il
coraggio di
dirtelo.”
Lui
avvicinò il proprio volto a quello di Valerie, ma lei si spostò,
intuendo le
sue intenzioni. Iruka sembrò non capire.
“Ehi,
vacci piano, preferisco darti il mio primo bacio quando sarò nel
passato!”
Spiegò, con un sorriso decisamente imbarazzato.
“Sei
sicura di voler rinunciare al tuo sogno? Diventare una ninja e tutto il
resto?”
Domandò Iruka mentre Valerie si stava alzando dal letto.
“Mai
stata più sicura. E poi sai che mi piace scrivere, no? Vorrà dire che
mi
limiterò a scrivere dei miei cinque anni di viaggi fino alla nausea,
invece di
velocizzare i miei movimenti o rallentare i nemici grazie ai poteri del
mio
popolo” Concluse con una strizzata d’occhio.
“Sei
sicura che andrà tutto bene?”
Valerie
si posizionò al centro della stanza. “Certo. Alla peggio non funziona.”
“Ci
vediamo nel passato, allora.” Era tutto così strano. Iruka non aveva
paura, si
fidava di lei. Non vedeva l’ora di rivedere la ragazzina diciassettenne
di
cinque anni addietro.
“Come
è morta Miki?” Domandò Valerie. Temeva la risposta, ma sperava di poter
evitare
la sua morte.
“Si
è ammalata. Mi dispiace, non puoi evitarlo.” Spiegò con aria triste.
Valerie
fece spallucce. “Fa niente. Almeno passerò un po’ di tempo con lei… E
consiglierò a Akinari di farsi avanti il prima possibile.”
Lui
sorrise, quasi triste. “Buona idea.”
Valerie
lo guardò, con aria timida. “Ci vediamo cinque anni fa.”
Lui
fece un cenno con la mano, sorridendo.
Valerie
chiuse gli occhi. Lasciò che il chakra mostrasse tutto il suo potere:
il suo
corpo cominciò a brillare di una strana luce, le sue mani compivano
rapide le
posizioni necessarie per la tecnica.
Pensò
al giorno della partenza. Era andata a dormire da Mikuri. Visualizzò la
sua
camera, nei minimi dettagli, si concentrò sulla data.
Lasciò
che il chakra inondasse ogni cellula del corpo, in un’ondata esplosiva.
Nell’ultimo istante prima di utilizzare la tecnica, le parve di sentire
una
mano sulla spalla.
Sentiva
la lucidità venire meno, non riusciva ad aprire gli occhi. Sprofondò
nell’oblio, dopo una domanda irrisolvibile: E’
questa la morte?
“Svegliati!
Val, è mezzogiorno! Ti devo buttare giù dal letto?”
Valerie
cercò di ricordarsi cosa era successo, prima ancora di aprire gli occhi.
Improvvisamente,
tutte le esperienze fatte negli ultimi cinque anni, in particolare
quelle degli
ultimi cinque minuti riaffiorarono nitide nella sua mente.
Scattò
sulle ginocchia, gli occhi spalancati. “MIKI!” Urlò, un sorriso
commosso
stampato sul volto.
L’amica
la fissò confusa strabuzzando gli occhi. Valerie le si gettò al collo.
“Ehi,
Val, sicura di sentirti bene?” Domandò Mikuri, stupita da tanto affetto.
“Mai
stata meglio.” Disse con un sorriso, guardando l’amica negli occhi. Poi
scese
dal letto, togliendosi il pigiama e infilandosi i vestiti. “Poi giuro
che ti
spiegherò tutto, ma ora devo andare.”
Le
strade erano piene a quell’ora del giorno. Valerie guardò il suo
riflesso nelle
vetrine mentre correva, era quello di una ragazzina, non di una giovane
donna,
e ciò la rese felice. Valerie non poteva fare a meno di sorridere più
che
poteva, correndo per le strade. Voleva trovarlo.
Bussò
alla porta e lui aprì praticamente subito. Provò quasi tenerezza
vedendo che
era uguale… all’Iruka del futuro. Ancora prima che lei potesse
sorprenderlo e
manifestargli tutto il suo amore, lui le aveva già preso il volto tra
le mani,
baciandola appassionatamente.
Lei
non capì. Si limitò a ricambiare il bacio, felice come non mai.
Poi
lui allontanò il volto, appoggiando le labbra all’orecchio di Valerie.
“Ho
voluto provare a vedere cosa sarebbe successo se fossi rimasto
fisicamente in
contatto con te nel momento in cui usavi il tuo potere.”
Valerie
scoppiò a ridere, una risata felice, sollevata. Lui fece lo stesso,
stringendola a se. Sentivano le lacrime scorrere copiose sulle loro
guance, sentivano
i commenti della gente, che sembrava non capire, ma non era importante:
volevano
godersi appieno il tempo che avevano la possibilità di trascorrere
insieme. Avevano molto, molto tempo.