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Autore: KillerQueen    24/12/2008    2 recensioni
Quanto le era mancato quel posto. In quei luoghi aveva passato gli anni più felici della sua vita, quelli in cui ancora non sapeva. Gli anni in cui poteva immaginare, in cui poteva fantasticare riguardo a passato e futuro. Ora non ci riusciva più, ma il solo pensare ai discorsi fatti con Ellie e con…lui le riempiva il cuore di gioia. Cominciò a passeggiare per le vie, quasi deserte a causa del maltempo. Non incontrò nessun volto noto, e nessuno sembrò riconoscere quella strana ragazzetta che sembrava felice di essere bagnata dalle gocce di pioggia. Sapeva di non avere tempo, eppure non poteva fare a meno di cedere alla tentazione di prendersela con calma.
Genere: Romantico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Iruka Umino
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ero partita con un’idea COMPLETAMENTE diversa, ma non mi piaceva: troppo lunga e complicata, impossibile concluderla in così poco tempo e spazio senza tagliare scene e spiegazioni. Così ho deciso di cambiarla completamente, e spero che vi piaccia ^^ Ah, perdonatemi, ho problemi con l'HTML, non so ancora usarlo ç__ç

Con questa storia avrei voluto partecipare al concorso “Original character in love” indetto da DarkRose86, ma, sfortunatamente, solo due degli iscritti hanno consegnato la storia

Inizialmente l’avevo pensata e presentata come one-shot, ma forse scriverò altri capitoli…

Buona lettura e buone feste ^^

KillerQueen

Take the Time

“Perché sei tornata? Hai intenzione di esporre al pericolo me e tutti gli altri?” Tuonò la voce di Iruka. Non era l’Iruka responsabile, dolce e un po’ imbranato che Valerie si aspettava di trovarsi davanti, ma non se ne stupì.

“La nostra amicizia non conta nulla?” Rispose lei, spavalda come non mai, come se quello fosse uno sconosciuto, non il suo migliore amico, l’uomo che aveva sempre amato senza avere il coraggio di dirlo.

“Dopo come sei sparita l’ultima volta, vieni a mendicare il mio aiuto?” La risposta alla domanda di Valerie fu solo un’altra domanda.

“Non sto mendicando il tuo aiuto, se me lo negherai mi consegnerò spontaneamente a loro. Sinceramente, però, credevo di contare un po’ di più per te.”

“Anche io, credevo di contare di più per te, ma l’ultima volta hai lasciato dietro di te solo un biglietto.”

“Mi avresti seguita, non potevo permetterlo. Se ti avessi rivisto, sarei tornata qui.”

“Perché?”

“Perché io ti ho sempre am…”

Una grossa goccia di pioggia cadde sul naso di Valerie, interrompendo quel dialogo immaginario che si stava svolgendo nella sua testa. Le cose non sarebbero mai e poi mai andate come nella mente della ragazza, ma non poteva evitare di farsi certi…viaggi mentali, rigorosamente come ogni volta che doveva affrontare un momento importante della sua vita. Erano discussioni ben poco realistiche, perché l’interlocutore aveva un altro volto, ma era sempre la stessa Valerie. Aveva il suo carattere, e, per quanto lei si sforzasse di rendere l’interlocutore più realistico, non ci riusciva.

La sensazione della pioggia sulla pelle era così piacevole. Valerie alzò la testa e si tolse il cappuccio del mantello, chiudendo gli occhi, assaporando lo scorrere delle gocce d’acqua sulla pelle del viso, ubriacandosi di ricordi legati agli anni passati al villaggio della foglia. Prima era solo una ragazzina qualsiasi del villaggio della foglia, ora era la viaggiatrice del tempo.

Era un nome che si era data da sola, se lo era guadagnato, e adorava sentirsi importante quando la chiamavano così. Era egocentrica e presuntuosa, e ne era consapevole. Quel nome era nato per evitare che qualcuno riuscisse a rintracciarla, e si era rivelato più azzeccato di quanto si sarebbe potuto prevedere.

Quanto le era mancato quel posto. In quei luoghi aveva passato gli anni più felici della sua vita, quelli in cui ancora non sapeva.

Gli anni in cui poteva immaginare, in cui poteva fantasticare riguardo a passato e futuro. Ora non ci riusciva più, ma il solo pensare ai discorsi fatti con Ellie e con…lui le riempiva il cuore di gioia.

Cominciò a passeggiare per le vie, quasi deserte a causa del maltempo. Non incontrò nessun volto noto, e nessuno sembrò riconoscere quella strana ragazzetta, felice di essere bagnata dalle gocce di pioggia.

Sapeva di non avere tempo, eppure non poteva fare a meno di cedere alla tentazione di prendersela con calma.

Si domandò come avrebbe reagito rivedendo gli altri: sarebbe tornata la ragazzina spensierata che non sta mai un attimo ferma, oppure quegli anni passati perlopiù in solitudine l’avevano cambiata in maniera definitiva?

Il cuore accelerò quando i suoi occhi azzurro ghiaccio scorsero la casa. Temeva che gli fosse successo qualcosa: poteva essersi sposato, oppure, peggio ancora, morto. Il solo pensarlo le causò la reazione di portare la mano sinistra all’elsa della spada, accarezzandola nervosamente, come se dovesse difendersi da qualcosa.

Esitò per qualche istante prima di battere ripetutamente le nocche sul legno della porta. Ripeté più volte il movimento, bruscamente.

Quando la serratura scattò, Valerie si accorse che le sue mani stavano tremando, e non per il freddo, dato che indossava dei guanti.

Di fronte a se vide il volto che l’aveva accompagnata nei sogni e nei ricordi di quegli anni di vagabondaggio.

Si sentì ancora più minuta accorgendosi di doverlo guardare dal basso all’alto più di quanto non fosse costretta a fare l’ultima volta che lo aveva avuto davanti: era cresciuto, ma era impossibile non riconoscerlo: i capelli castani raccolti in una coda, il coprifronte con l’inconfondibile simbolo del villaggio della foglia, gli occhi neri fissi nei suoi, cercando di ricordarla, e l’inconfondibile cicatrice su naso e zigomi.

“Iruka” Sussurrò, deglutendo, cercando di capire se l’aveva riconosciuta. Passò solo un istante, ma per Valerie fu il più lungo della sua esistenza.

Lui la guardò aggrottando la fronte, lei temette che non fosse in grado di riconoscerla, poteva averla addirittura dimenticata. Poi il suo sguardo cambiò, illuminandosi, sgranando gli occhi. “V…Valerie? Sei tu?”

In quell’istante, Valerie fu costretta ad abbassare lo sguardo per l’imbarazzo, che aumentò ulteriormente quando la ragazza capì di avere gli occhi lucidi per la crescente e eccessiva sensazione di felicità.

In quel momento Valerie capì di essere sempre la solita: spavalda con tutti, ma non con lui.

“Val? Val, sei proprio tu?” Ripeté lui. Non poteva crederci: cinque anni erano passati dall’ultima volta che vide quel volto, quegli occhi.

Valerie scoppiò a piangere per l’emozione. Gli si gettò tra le braccia, singhiozzando ininterrottamente, le lacrime mischiate alla pioggia che aveva bagnato il suo viso.

Lui la strinse al suo petto. Era successo tutto così in fretta da sembrare irreale.

“Mi sei mancato” Mormorò Valerie, senza alzare lo sguardo, dopo aver smesso di piangere, con la testa appoggiata al suo petto.

Iruka sentiva la testa esplodergli per tutte le domande che aveva da fare a Valerie: l’ultima volta si era limitata a scomparire nel nulla, senza neppure salutarlo, lasciando dietro di se solo un biglietto, che lui aveva custodito gelosamente. Ora, quell’arrivo poteva significare solo una cosa: lei era nei guai. Se si lasciava andare a gesti così emotivi, se scoppiava a piangere senza cercare di nasconderlo in ogni modo… Qualcosa la minacciava. In una situazione qualsiasi, avrebbe cercato in ogni modo di non piangere, o almeno di non farlo vedere.

Entrarono, mano nella mano: nessuno dei due avrebbe gradito interrompere il contatto fisico, anche sciogliere l’abbraccio per entrare in casa fu una sofferenza.

Si sedettero sul divano, Valerie si appoggiò alla spalla di Iruka, gustandosi quelle sensazioni che non provava da molto, troppo tempo. Cercò di pensare quando aveva abbracciato qualcuno in maniera così disinteressata e sincera l’ultima volta, non riuscendo a ricordarselo, ma di sicuro era stato prima di partire.

“Dove sei stata?” La domanda di Iruka distrusse il silenzio, e Valerie capì che prima o poi avrebbe dovuto sapere. A malincuore, si mise in piedi: in un’altra situazione si sarebbe comportata in maniera differente, ma l’importanza dell’argomento le fece desiderare di guardare Iruka negli occhi.

“Li ho trovati” si limitò a rispondere Valerie, con voce calma.

Iruka sgranò gli occhi. “Li hai trovati?” Ripeté, stupito. “I tuoi genitori?”

Lei scosse la testa. “Loro no, ma ho trovato la mia gente.”

Quella variazione non cambiò lo stato d’animo di Iruka, teso, desideroso di sentire i racconti di Valerie.

“Ci ho messo quattro anni e mezzo, Iruka. Ho vagato per ogni angolo di queste terre, per i primi due anni. Nessuno aveva mai visto o sentito di persone con il mio potere. Poi ho capito che dovevo cercarli in mare, perché… Non c’era rimasto altro posto. Quindi affittai una barca, non trovai nessuno disposto a seguirmi nella mia impresa disperata, ed è comprensibile, considerando dove avevo in mente di andare, quindi dovetti affidarmi alla tecnica della moltiplicazione del corpo. Impiegai altri due anni e mezzo, ma li trovai.”

“Dove?” La domanda sfuggì spontaneamente al ragazzo, sempre più curioso. Valerie andava avanti lenta nel racconto della storia, volontariamente, perché adorava mantenere una certa suspense.

“Le isole maledette. Nessuno le aveva mai raggiunte perché la mia gente le proteggeva con i loro poteri, che però hanno un grandissimo difetto… Non hanno alcun effetto se usati tra di noi, se non quello di farci consumare chakra per un processo di autodifesa automatico, che la mia gente ha sviluppato nei secoli. Quando hanno visto che ero immune, hanno capito che ero una di loro.”

Ci fu qualche istante di silenzio: Valerie non distoglieva lo sguardo dagli occhi del suo interlocutore, il quale ancora faticava a credere che stesse succedendo tutto così in fretta. Fino a quel pomeriggio, non avrebbe mai potuto immaginare una situazione come quella in cui si trovava.

“Mi hanno insegnato a usare i miei poteri. E mi hanno raccontato dell’inesorabile fine a cui sta andando incontro la mia gente. I miei due fratelli mi portarono via quando ero una neonata, ma morirono in un’imboscata. Io sopravvissi.” Valerie sospirò, sconsolata. “Sono l’ultima della mia gente, la più giovane. Si è diffuso un virus, le donne sono incapaci di avere figli. Tutte, tranne me, perché io sono andata via da piccola.”

Iruka era confuso: perché lei era li?

“Sei venuta a dirmi addio?” Domandò, infine, temendo il peggio.

Valerie scosse la testa. “Ai miei amici do tutto l’aiuto che riesco a dare, ma non sono così pazza da sacrificare la mia esistenza, riducendomi a sfornare marmocchi per degli sconosciuti, e chi se ne frega se sono miei parenti.” Concluse con un sorriso furbetto.

Lo sguardo di Iruka si rischiarò: fu quella frase a fargli capire due cose: Valerie era sempre la stessa, e quello non era un addio. “Quindi sei tornata per restare?”

Valerie indugiò, cominciando a fissare il pavimento. “Si, ma c’è un problema. Credo di avere i loro alle calcagna.”

Iruka si morse il labbro inferiore fino a farsi male. Come aveva potuto anche solo sperare che tutto sarebbe tornato come prima?

“Come fai a saperlo?” Domandò.

“Sono fuggita a diverse imboscate. Credo che siano dei ninja assoldati dalla mia gente, non loro stessi, perché non sono in grado di combattere, e non hanno dato segno di saper usare i nostri poteri.” Spiegò Valerie, passeggiando nervosamente.

“Sono venuta da te per due cose. Per cominciare, chiedo una mano a te, Miki, e al villaggio della foglia. E’ da un po’ che non hanno provato ad attaccarmi, ma non è detto che non ci riprovino. Io sono stanca e debilitata per tutto il chakra che ho dovuto usare per difendermi, inoltre sono giorni che mangio poco e dormo meno. Non ce la farei, da sola.”

Iruka si limitò ad annuire, prendendo la mano di Valerie tra le sue. “Non sei sola. Andiamo ora dall’Okage, ti aiuterà.” Cercò di mostrarsi sicuro e calmo, ma in realtà si sentiva il cuore a pezzi: era tornata, ma rischiava di morire. Non perché i suoi inseguitori avrebbero potuto uccidere, bensì perchè temeva che, piuttosto che passare la propria esistenza al servizio di persone che la volevano costringere a sacrificarsi completamente, avrebbe preferito uccidersi.

Si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta e aspettandosi che Valerie facesse lo stesso, ma rimase ferma, fissando il nulla, con le guance di un color rosso acceso.

“L’altro motivo per cui sono venuta qui…” Valerie lasciò la frase in sospeso, e lui la incoraggiò.

“Si, Valerie?”

“E’ da anni che lo desidero, e so che se non te lo chiedo ora, potrei non averne più l’occasione.”

“Chiedermi cosa?” Iruka non aveva la più pallida idea di quale potesse essere la richiesta di Valerie.

Valerie ci pensò su qualche secondo, cercando di nascondere l’imbarazzo. “Forse è meglio se prima vado a salutare Mikuri. Se non vado non me lo perdonerà mai.”

Iruka abbassò lo sguardo. “Meglio di No. Prima dimmi ciò che mi stavi per dire.”

Valerie rise. “Non essere stupido! Conosci Miki, sarà subito presa da attacchi di gelosia, se sa che sono tornata e non la sono andata a trovare.”

“Che fretta c’è?” Iruka stava disperatamente cercando di guadagnare tempo. Valerie sembrò non accorgersene.

“Invece c’è fretta! Dai, è la mia migliore amica, e sai che è sempre stata molto gelosa.” Valerie cominciò a ridere quasi istericamente. “O si è trovata un’altra amica? E’ per questo che mi stai impedendo di andarci, eh, Iruka?”

Iruka rimase in silenzio, mettendosi una mano sul viso, sospirando. Non era un sospiro qualsiasi, era un sospiro carico di disperazione.

Valerie lo afferrò per le spalle, cominciando a scuoterlo. Il riso isterico scomparve, lasciando il posto alle lacrime. “Cosa diavolo stai cercando di dirmi, Iruka Umino? Dannazione, parla!”

“Mikuri è morta.”

Valerie continuò a fissarlo. Smise di piangere. Incapace di versare lacrime. Incapace di urlare. Incapace di credere che la sua migliore amica avesse davvero smesso di vivere. Sentì le gambe cedere, la bocca seccarsi, lo stomaco contorcersi.

Cadde a terra, perse i sensi ma continuava a ripetere un nome.

“Miki… Miki… Morta? Miki…”

“Allora, che volevi dirmi?” domandò Mikuri, smettendo di ridere per l’ultima battuta stupida di Valerie. Se l’amica si era presentata senza invito e cominciava a dire una stupidaggine dietro l’altra, senza arrivare al vero motivo della visita, voleva dire che c’era qualcosa di serio. La conosceva fin troppo bene.

Valerie diventò improvvisamente seria. “Ecco… Ti dispiace se andiamo in camera tua? Il discorso è più complicato di quanto sembri.”

Le due ragazze salirono al piano di sopra, dopo che Val ebbe salutato i nonni di Mikuri, con i quali viveva la sua migliore amica.

Entrarono nell’ordinatissima camera, e Valerie si buttò a peso morto sul letto. Mikuri le si sedette vicino. “Riguarda un ragazzo.” Cominciò Valerie.

Mikuri parve piacevolmente sorpresa. “Davvero? Dai, parla! Chi è? Dimmelo!”

In realtà, entrambe sapevano che la verità non sarebbe saltata fuori così facilmente.

“Prova a indovinare.”

“E’ un ninja?” Domandò Mikuri.

Valerie annuì. Era una risposta prevedibile a una domanda altrettanto prevedibile.

“Mizuki?”

Valerie scosse la testa. “E’ un bel ragazzo, ma non è lui.”

“Asuma? Kakashi?”

“Non è un jonin” spiegò Valerie, riducendo notevolmente il campo di ricerca dell’amica. “…E il suo nome inizia con la lettera i.”

“Itachi?”

Valerie scosse la testa. Credeva che la risposta fosse diventata scontata, ma si era dimenticata di Itachi Uchiha. Non che fosse un brutto ragazzo, ma non era decisamente il suo tipo.

Ellie dischiuse le labbra stupita. “Non mi dire che… Iruka?”

Fu il rumore di un tuono a svegliare Valerie dal suo stato di incoscienza. Quasi cadde dal letto per la paura. Poi, quando si rese conto di dove si trovava, capì di non dover temere nulla. In quei cinque anni, i temporali non avevano mai significato nulla di buono, specialmente in navigazione. Si mise a sedere, e, non appena i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, notò Iruka, che dormiva usando le braccia appoggiate al bordo del letto come cuscino, inginocchiato per terra.

Lo scosse debolmente afferrandolo per il braccio, e lui aprì gli occhi.

Valerie stava cercando con tutte le sue forze di relegare il pensiero di Ellie nell’angolo più remoto della mente, aveva già pianto abbastanza, si era sfogata, ora voleva riuscire con tutte le sue forze a pensare ad altro.

Iruka la guardò con lo sguardo assonnato, rivolgendole un debole sorriso, mentre si metteva a sedere sul bordo del letto, vicino a Valerie.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, lei si sentiva la testa scoppiare, c’era qualcosa che doveva dire.

“Miki poi si era messa con Akinari?” Non era la frase giusta da dire, ma neppure del tutto quella sbagliata. Akinari era un compagno di accademia di Valerie, Iruka e Mikuri, un ragazzo di cui quest’ultima era pazza, ma non gli aveva mai detto niente per difendere la sua teoria.

Iruka parve sorpreso da quella domanda, ma rispose comunque. “Si, si erano appena sposati quando lei… Se ne andò.”

Valerie sentì un peso opprimente sul petto. Si era sposata. La sua migliore amica, quella che conosceva da quando potesse ricordare, quella con cui aveva condiviso tutto, si era sposata, e lei non era stata li. Non aveva potuto chiederle come si sentiva, darle dei consigli per il trucco, il vestito o i capelli, non aveva potuto confortarla, non aveva potuto vederla camminare nel suo splendido vestito da sposa, non aveva potuto commuoversi e scoppiare a piangere nel momento del bacio.

“Quante cose mi sono persa. Sembra proprio che non sarei dovuta partire.” Disse Valerie, quasi pensando a voce alta.

Iruka sorrise. “Ti spiace se ti do ragione?”

“Posso farti una domanda?” Valerie cominciò a sudare freddo. Da quella domanda sarebbe dipeso il suo futuro- o forse era meglio dire il suo passato?

Non attese la risposta. “Tu mi ami?” Non lo guardò mentre pronunciò quella domanda. Le bastò sapere che era li, vicino a lei. La mano che lui le aveva messo sulla spalla scivolò via.

“Io ti ho sempre amata.” Disse lui, cercando di trattenere le emozioni impetuose che stava provando. Le prese il viso tra le mani, accarezzandolo.

Valerie sembrò meno felice di quanto lui aveva sperato. Anzi, sembrava soltanto curiosa. “Anche prima che io partissi?”

Lui rise, teso e imbarazzato. “Da molto prima che tu partissi.”

Il volto di Valerie si illuminò, improvvisamente. “C’è un modo per recuperare tutto. Rimarrò senza poteri per il resto della mia vita, ma ne vale la pena.”

Lui sembrò non capire, rimase a fissarla, in attesa di spiegazioni, togliendo le mani dal suo volto. Le parole di Valerie sembravano senza alcun senso.

“L’abilità innata del mio popolo è il viaggio nel tempo.”

Iruka continuava a non capire.

Valerie cominciò una delle sue lunghe spiegazioni. “Posso tornare indietro al giorno della mia partenza. Tu, Mikuri e il resto del mondo non vi accorgerete di nulla. Io, invece, lo saprò, quindi avrò la possibilità di rimediare ai miei errori.”

“Quali errori?” Quel discorso lo inquietava e affascinava allo stesso tempo. Quegli anni erano stati una sofferenza, e ora lei voleva rendere possibile l’impossibile. Aveva sempre sospettato che Valerie avesse avuto poteri così strani, una volta averli sviluppati: prima della sua partenza riusciva a usare tecniche banali ma mai viste: riusciva ad aumentare o rallentare la propria velocità o quella degli altri, ma non aveva mai creduto che potesse addirittura viaggiare nel tempo.

Valerie rimase in silenzio per qualche secondo prima di rispondere. “L’errore più grande è stato amarti in silenzio per anni e anni senza avere il coraggio di dirtelo.”

Lui avvicinò il proprio volto a quello di Valerie, ma lei si spostò, intuendo le sue intenzioni. Iruka sembrò non capire.

“Ehi, vacci piano, preferisco darti il mio primo bacio quando sarò nel passato!” Spiegò, con un sorriso decisamente imbarazzato.

“Sei sicura di voler rinunciare al tuo sogno? Diventare una ninja e tutto il resto?” Domandò Iruka mentre Valerie si stava alzando dal letto.

“Mai stata più sicura. E poi sai che mi piace scrivere, no? Vorrà dire che mi limiterò a scrivere dei miei cinque anni di viaggi fino alla nausea, invece di velocizzare i miei movimenti o rallentare i nemici grazie ai poteri del mio popolo” Concluse con una strizzata d’occhio.

“Sei sicura che andrà tutto bene?”

Valerie si posizionò al centro della stanza. “Certo. Alla peggio non funziona.”

“Ci vediamo nel passato, allora.” Era tutto così strano. Iruka non aveva paura, si fidava di lei. Non vedeva l’ora di rivedere la ragazzina diciassettenne di cinque anni addietro.

“Come è morta Miki?” Domandò Valerie. Temeva la risposta, ma sperava di poter evitare la sua morte.

“Si è ammalata. Mi dispiace, non puoi evitarlo.” Spiegò con aria triste.

Valerie fece spallucce. “Fa niente. Almeno passerò un po’ di tempo con lei… E consiglierò a Akinari di farsi avanti il prima possibile.”

Lui sorrise, quasi triste. “Buona idea.”

Valerie lo guardò, con aria timida. “Ci vediamo cinque anni fa.”

Lui fece un cenno con la mano, sorridendo.

Valerie chiuse gli occhi. Lasciò che il chakra mostrasse tutto il suo potere: il suo corpo cominciò a brillare di una strana luce, le sue mani compivano rapide le posizioni necessarie per la tecnica.

Pensò al giorno della partenza. Era andata a dormire da Mikuri. Visualizzò la sua camera, nei minimi dettagli, si concentrò sulla data.

Lasciò che il chakra inondasse ogni cellula del corpo, in un’ondata esplosiva. Nell’ultimo istante prima di utilizzare la tecnica, le parve di sentire una mano sulla spalla.

Sentiva la lucidità venire meno, non riusciva ad aprire gli occhi. Sprofondò nell’oblio, dopo una domanda irrisolvibile: E’ questa la morte?

“Svegliati! Val, è mezzogiorno! Ti devo buttare giù dal letto?”

Valerie cercò di ricordarsi cosa era successo, prima ancora di aprire gli occhi.

Improvvisamente, tutte le esperienze fatte negli ultimi cinque anni, in particolare quelle degli ultimi cinque minuti riaffiorarono nitide nella sua mente.

Scattò sulle ginocchia, gli occhi spalancati. “MIKI!” Urlò, un sorriso commosso stampato sul volto.

L’amica la fissò confusa strabuzzando gli occhi. Valerie le si gettò al collo.

“Ehi, Val, sicura di sentirti bene?” Domandò Mikuri, stupita da tanto affetto.

“Mai stata meglio.” Disse con un sorriso, guardando l’amica negli occhi. Poi scese dal letto, togliendosi il pigiama e infilandosi i vestiti. “Poi giuro che ti spiegherò tutto, ma ora devo andare.”

Le strade erano piene a quell’ora del giorno. Valerie guardò il suo riflesso nelle vetrine mentre correva, era quello di una ragazzina, non di una giovane donna, e ciò la rese felice. Valerie non poteva fare a meno di sorridere più che poteva, correndo per le strade. Voleva trovarlo.

Bussò alla porta e lui aprì praticamente subito. Provò quasi tenerezza vedendo che era uguale… all’Iruka del futuro. Ancora prima che lei potesse sorprenderlo e manifestargli tutto il suo amore, lui le aveva già preso il volto tra le mani, baciandola appassionatamente.

Lei non capì. Si limitò a ricambiare il bacio, felice come non mai.

Poi lui allontanò il volto, appoggiando le labbra all’orecchio di Valerie.

“Ho voluto provare a vedere cosa sarebbe successo se fossi rimasto fisicamente in contatto con te nel momento in cui usavi il tuo potere.”

Valerie scoppiò a ridere, una risata felice, sollevata. Lui fece lo stesso, stringendola a se. Sentivano le lacrime scorrere copiose sulle loro guance, sentivano i commenti della gente, che sembrava non capire, ma non era importante: volevano godersi appieno il tempo che avevano la possibilità di trascorrere insieme. Avevano molto, molto tempo.

  
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