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Autore: WYWH    14/04/2015    2 recensioni
"What If" sugli avvenimenti di Furisode. E se Kojiro sopravvivesse all'incidente? Come si evolverebbe il rapporto tra di loro attraverso lo sguardo di chi gli sta attorno? Riuscirebbero a superare e ad andare avanti? Come?
“Riparare con l’oro”, il Kintsugi, è una pratica giapponese che consiste nell'utilizzare oro o argento liquido per la riparazione di oggetti in ceramica andati distrutti. Questo ne aumenta sia il valore economico che quello artistico, dato che la casualità con cui si rompe l’oggetto darà vita ad un oggetto unico.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Kojiro Hyuga/Mark, Maki, Yayoi Aoba/Amy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Oriente & Occidente'
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1: In Ospedale … Lui

 

Sentii bussare alla porta, ma non avevo bisogno di rispondere, perché sapevo chiaramente chi era; e sebbene fossi contento della sua visita, dall’altra mi apprestavo a lanciarle un’occhiataccia non appena fosse stata nel mio raggio visivo: visto le sue condizioni, lei più di me doveva stare tranquilla a letto.

Oramai riusciva a stare in piedi, ma camminava lenta ed era ancora un po’ pallida. Vederla così m’inquietava da morire, avessi potuto sarei sceso dal letto e le sarei andato incontro, rispedendola in camera sua a spintoni come avevo già fatto diverse volte, anche litigando ad alta voce con lei; ma il dottore ci aveva già beccato due volte, e aveva fatto una paternale enorme sul fatto che eravamo “convalescenti, e il movimento non avrebbe accelerato la guarigione, anzi!”.

Perciò feci appello al mio sguardo più cattivo, quello che di solito avrebbe freddato anche il più stoico dei miei avversari in una partita.

-Non dovresti essere qui, ma nella tua stanza nel tuo letto.-

Come al solito non fece caso al mio sguardo “da tigre”, o da “gatto scazzato” quando vuole prendermi in giro, limitandosi a farmi la linguaccia e portandosi vicino al letto la sedia più trasportabile, sedendosi molto lentamente mentre mi rispondeva.

-Mi annoio a morte al piano di sopra, e la nonna non verrà prima delle cinque.-

-Piano, fai piano. Perché non ti sei presa la poltrona accidenti?! Questa sedia è troppo scomoda per il tuo stato!-

-La poltrona è troppo pesante, non riesco a spostarla. Ed è lontana da te.-

E mi guardò dritto negl’occhi, con fare sicuro e addolcito.

Argh, colpito e affondato, la odio quando mi tira fuori queste frasi affettuose. E mi sorrideva pure, maledetta! Sapeva bene che non potevo resisterle e che potevo solo sbuffare contrariato.

Guardandola così sorridente non riuscivo a smettere di pensare al dolore che le è stato inferto; ed io non ero stato capace di proteggerla. A volte penso che Maki sia davvero una discendente della dea del sole, se è ancora qui con me: solo il benvolere della divinità, infatti, l’ha salvata da tutto quell’orrore.

Prese la mia mano e mi accarezzò le dita in silenzio. Non sentivamo il bisogno di parlarci, e io non sapevo proprio cosa dirle in quei momenti.

Cosa posso fare, pensavo, che posso fare adesso per lei? Come può toccarmi ancora, dopo che io l’ho lasciata in mano a quei bastardi?

-A che pensi?-

Non avevo voglia di dirle la verità, pertanto scossi la testa, appoggiandola tra i cuscini; la sentii strizzarmi le dita, e il suo sguardo si accigliò immediatamente. Alle sue sottili sopracciglia bastò un movimento per scatenare un immediato cambio di espressione su tutta la faccia.

-Hyuga, a che pensi?-

Usò il mio cognome perché voleva una risposta, la più sincera. Lo fa sempre quando vuole che le risponda o le dia attenzione; anch’io faccio la stessa cosa ma la chiamo Akamine, per rispetto nei suoi confronti e della sua famiglia: fu una sua scelta cambiare il cognome in Hyuga, ma alla sua famiglia non andò molto a genio.

Io non sono mai andato a genio alla sua famiglia, in generale.

Presi un respiro profondo, chiudendo le palpebre: non riuscivo nemmeno a guardarla in quei momenti, la vedevo pallida e fragile, per me era un miracolo che non si fosse spezzata. Avevo pregato con tutte le mie poche forze mentre mi sentivo di morire che lei ce la facesse.

-Non … non avrei mai voluto … questo, per te.-

Mi sentivo così spaventosamente debole, costretto in un letto di ospedale mentre mia moglie, colei che io avrei dovuto proteggere, si alzava tutti i giorni per venirmi a trovare quando aveva subito ferite più grandi di me, e non parlo di qualcosa di fisico.

Sentii una lacrima scivolarmi dalla guancia e scostai il volto, non volevo certo che mi vedesse piangere.

La sua mano raggiunse la mia guancia, ma con irruenza mi spostò la testa, facendomi anche male mentre aprivo le palpebre e vedevo i suoi occhi a pochi centimetri di distanza dai miei, che mi fissavano, mi scrutavano fino in fondo all’anima.

Ah, il suo sguardo. Ho sempre pensato che dentro il suo sguardo ci fosse il mare: non per il colore delle iridi, per carità trovo così freddi e vitrei gli occhi azzurri.

Io parlo … di qualcosa talmente tanto profondo e romantico che mi rifiuto di dirlo, troppo imbarazzate.

-Nemmeno io lo avrei voluto, ma sono qui e sono viva. Così come lo sei tu. Se ti sento incolparti ancora una volta ti prendo a pugni, e lo posso fare. Tanto non sei ferito in faccia.-

Oh lo so che lo poteva fare: non c’è mai stato giorno, nella nostra vita comune, in cui non volavano pugni e schiaffetti tra di noi, che fossero stati per gioco o per imbarazzo; a volte giocavamo alla lotta proprio come ragazzini, altre volte lo facevo per stuzzicarla e farla arrabbiare, trovandola adorabile. In alcuni casi mi sgridava e mi picchiava con forza, ben sapendo che non poteva farmi niente.

La guardai per qualche momento.

-… avresti il coraggio di picchiare un malato?-

-Se il malato si comporta da stupido si.-

-Allora mi toccherà chiamare il dottore.-

-Così non potrei più stare qui con te.-

-Ah, pace finalmente!-

-Ma come!-

Ridacchiammo entrambi, e a quel punto le accarezzai il volto e i capelli, in quei mesi le erano cresciuti e arrivavano alle sue spalle. Le stavamo male, non mi piacevano, le davano un’aria seria, che non stava bene sul suo viso rotondo.

-Quando ti decidi a tagliarli?-

-Guarda che non ci sono parrucchieri qui in ospedale, e non ti azzardare a dire “faccio io”! L’ultima volta mi hai obbligata quasi a rasarmi!-

-Però non stavi male, ti lasciava libera la faccia.-

-Guarda che se è per questo posso legarmeli.-

-Le code non ti stanno bene, sembri una ragazzina.-

-Meglio allora, sembro più giovane!-

Prese l’elastico che teneva al polso, ma io la bloccai con la mano libera mentre l’altra le afferrava prepotentemente il mento.

-Naah.-

-Ahi! Dai!-

Provò a resistermi, portando il polso bloccato verso di sé e cercando di allontanare la mia mano sul suo volto con l’altra, ma anche se ero in una posizione scomoda non cedetti; il gioco non durò più di un minuto, in quanto lei sbuffò e alzò la mano libera verso l’alto, aprendo anche l’altra.

-Va bene, va bene, hai vinto tu.-

-Hm, bene.-

-Sei un prepotente.-

Non lo negai, era vero. Ma era compreso nel pacchetto “Kojiro”, e lei lo sapeva bene quando accettò di sposarmi.

Sospirò ancora, rimettendosi l’elastico al polso e nascondendolo dentro la manica lunga del pigiama, addosso portava lo scialle che le aveva dato la madre.

In quel momento notai che il suo polso era più magro del solito, e d’istinto la bloccai ancora con le mani, scoprendo però lentamente il braccio dalla manica: era dimagrita, lo potevo percepire. Forse lei intuì il mio pensiero, perché dopo il primo momento non fece più resistenza, lasciando che scrutassi la sua pelle fino al gomito, passandoci anche le dita.

-Hai preso peso?-

-Un pochino.-

-Ma stai mangiando?-

-Il cibo qui non è granché, ma è solo quello.-

-Davvero? Hai avuto i risultati dal dottore?-

M’innervosiva vederla dimagrire in quel modo, dopo quello che ci era successo, conoscendo anche il suo stato di salute.

A dire la verità tutto mi stava innervosendo: la convalescenza in ospedale, il non essere in un ambiente familiare, la lenta guarigione della mia ferita, il possibile stato d’animo di mia moglie, le sue condizioni fisiche, il non saper cosa fare a fronte di quanto successo, e ora anche questo.

Ero … impotente, una sensazione odiosa per me, che non mi ero mai fermato nella mia vita.

-Kojiro non stringere.-

-Hai avuto i risultati?-

-Dovrebbero arrivarmi oggi, non preoccuparti.-

-Come faccio a non preoccuparmi del fatto che non mangi?!-

-Non è niente, sono solo schizzinosa. Kojiro calmati!-

Mi mise una sua mano sul volto, e piantò di nuovo i suoi occhi dentro ai miei, stavolta con uno sguardo più tranquillo; il mare nei suoi occhi era placido, con piccole increspature solo sul bagno asciuga.

E sentii la mia anima bagnarsi in quel tepore, calmarsi, le voci forsennate della mia testa si spensero lentamente mentre respiravo a fondo, stupendomi del mio comportamento ... isterico.

Lei aspettò ancora prima di parlare, e usò una voce bassa, allungandosi verso di me per abbracciarmi, la mia testa sul suo petto, dove potevo sentire il battito del suo cuore.

-Va tutto bene, Ko. Io sono qui, con te, e tu sei qui con me. Un passo alla volta Ko, uno alla volta.-

Non amavo aspettare, non sono una persona paziente. Ma stranamente Maki si, e dico stranamente perché da quella ragazzina così energica, che riusciva sempre a tenermi testa, non mi aspettavo una simile forza; ma forse era anche per la sua condizione fisica, per i sacrifici che aveva affrontato, e anche per questo nostro rapporto così … beh, così nostro.

Mi tenne ancora abbracciato a sé.

-Maki, puoi lasciarmi ora.-

Lei scosse la testa, ed avvertii il movimento sopra i miei capelli, la sentii stringere un po’ più forte, e il suo cuore battere un po’ più forte.

Presi un profondo respiro, e in silenzio la presi e la guidai lentamente verso di me mentre mi misi dritto con la schiena, lei si sedette sul bordo del letto per farsi abbracciare più comodamente.

In un attimo lei mi aveva calmato, e in un attimo adesso ero io che consolavo lei.

È sempre stato così fra di noi: nessuno dei due ha sempre il sopravvento sull’altra, ognuno ha le sue attività, anche se la cosa ci ha tenuto lontani a lungo. Entrambi sappiamo i difetti dell’altro, e abbiamo imparato a conoscerli e sopportarli il più possibile, anche se è inevitabile litigare. Ma, per tutto questo, ci siamo sempre amati e rispettati.

Accarezzai i capelli di mia moglie e la sua schiena, la sentii calda come la prima volta che l’abbracciai, felice e innamorato, e le baciai la testa una, due, più volte, prendendo profondi respiri per sentire il suo profumo, facendolo entrare dentro di me.

La mia amata Maki, viva e calda tra le mie braccia. Nemmeno quando le chiesi di sposarmi e accettò mi sentii così felice e sollevato.

Il bussare della porta fu un rumore così spiacevole che volevo gridare “non voglio nessuno fra i piedi!”, ma sfortunatamente mia moglie lasciò la presa, rimettendosi seduta sulla sedia e cercando di pettinarsi i capelli con le dita, passandosi il dorso delle mani sulle guance per cancellare qualsiasi traccia di lacrime.

Le diedi una mano con i miei pollici, sfregando e facendola imbronciare per toglierle via ogni tristezza dagl’occhi.

Ci sorridemmo a vicenda, adesso dovevamo farci forza per affrontare le visite: nessuno di noi aveva voglia di vedere qualcuno, ma sapevamo quanto le nostre famiglie erano preoccupate.

-Avanti.-

Per prima ci fu Naoko, la cui testa sbucò fuori timidamente dall’uscio, facendomi sorridere, il resto del corpo era in uniforme scolastica.

Dietro di lei tutti coloro che erano riusciti a raggiungerci: mia madre, la madre e il padre di Maki e Akamine-sama.

-Maki! Ci è venuto un colpo quando non ti abbiamo trovato in camera!-

-Scusami mamma.-

-Satoru, prendi la poltrona per Maki per favore.-

-Ah no nonna, è meglio che ci stai tu.-

-Che sciocchezza, non sono certo io quella in pigiama.-

-Copriti meglio Maki.-

-Si mamma.-

-Buongiorno fratellone.-

-Ciao Naoko, ciao mamma.-

-Come ti senti oggi caro?-

-Stufo di stare a letto, ma anche meglio. Voi come state?-

-Tutto tranquillo.-

Fummo divisi in due parti dalle chiacchiere e dal letto, ma ci tenevamo saldamente per mano, e niente e nessuno poteva separarci.

-Per caso ci sono state telefonate per me?-

-Si, ha chiamato la tua società, desiderano parlarti al più presto. Ti ho portato il tuo cellulare.-

Mia madre frugò nella sua borsetta e mi restituì l’apparecchio; la prima cosa che notai fu il dorso graffiato, durante l’incidente mi era caduto a terra.

Avevamo preso quel vicolo perché tagliava un po’ strada, saremo arrivati prima a casa da mia madre; era un po’ buio, uno dei lampioni si era rotto.

Quei tre tizi, appoggiati alla rete, fin da subito sapevamo che c’era qualcosa che non andava in loro, ma non volevamo tornare indietro perché ci avrebbero seguito; perciò avevo preso la mano di mia moglie, e stavamo tirando dritti. Nessun contatto visivo, nessuno scambio di parole anche se provocavano.

Per prima tentarono di afferrare Maki, ma lei si scansò mentre la portavo dietro di me.

Quando mi venne addosso, colpendomi, dev’essermi caduto allora il cellulare. Non avevamo mai avuto intenzione di rapinarci, solo di farci del male … a me … e soprattutto a lei …

-Ko.-

Sbattei gli occhi, sorpreso, e mi voltai verso Maki.

-Tutto bene?-

Le strinsi le dita, e presi un profondo respiro: mia madre era lì, mia sorella era lì, non potevo dirgli quello che avevo appena pensato, le avrei turbate, e si erano già spaventate abbastanza, ricordo ancora che quando mi svegliai, mia madre si lasciò andare al pianto, ed era così raro vedere le lacrime segnarle il volto, che mi sentii molto più male per lei che per la ferita.

Le annuii in silenzio, poi mi rivolsi di nuovo a mia madre, che mi guardava con aria ansiosa, mia sorella era più che altro confusa.

-Scusa, è che sono preoccupato per il rinnovo del contratto, nelle mie condizioni non mi sarà possibile giocare per un po’, non credo vogliano un infortunato in squadra.-

-Non puoi chiedere un posticipo?-

-No, il campionato è quasi alle porte, adesso ci sono gli ultimi movimenti di mercato.-

Vidi mia madre annuire, e capii che anche lei, come me, stava nascondendo l’ansia per non turbare Naoko.

-Per ora devi pensare al riposo, Kojiro. Intanto chiamali e fatti dare notizie, forse possiamo trovare una soluzione.-

Annuii, e mi rivolsi a mia sorella, portando la conversazione altrove mentre abbandonavo il cellulare sul letto.

-E tu signorina? Come sta andando a scuola?-

Ancora una volta bussarono alla porta, ma stavolta riuscii a rispondere “avanti” prontamente.

Era il dottore, che subito rivolse un’occhiata poco contenta a mia moglie, alla mia destra.

-Eccola signora Hyuga, come al solito fuori dalla sua stanza.-

-Le chiedo scusa dottore. Mi dica.-

-Ho qui i risultati delle analisi, vuole che ne parliamo in privato?-

Aveva l’aria di chi non portava buone notizie.

-No, non si preoccupi. Prego mi dica pure.-

Adesso era lei a stringere le mie dita, e ricambiai deciso la presa; intanto il parentado fece un religioso silenzio.

Il dottore aprì la cartella e iniziò a sfogliare i vari fogli.

-Allora … lei ha subito una lacerazione interna, e a causa di questo la sua Endometriosi ha causato un’infiammazione estesa che stiamo però curando con farmaci.-

-Possono essere questi che mi provocano una carenza nell’appetito?-

-Si, è molto probabile. Comunque la cura dovrà andare avanti per almeno due – tre mesi.-

-Mi dica dottore … la … la violenza …-

Mi strinse la mano fino a farmi male, sentii la sua voce farsi debole, e mi avvicinai a lei, spingendola delicatamente ad appoggiarsi a me mentre prendeva fiato e riformulava la domanda.

-Dottore … per caso sono diventata sterile?-

Strinsi i denti, sentii la schiena di mia moglie rigida sulla mia spalla.

-Ancora non siamo certi, ma è una possibilità che non possiamo escludere. Vediamo intanto come va la cura, e poi faremo altre analisi per verificare il suo stato di fertilità.-

-Capisco. La ringrazio.-

-Cerchi di tornare in camera sua, ha bisogno di riposo.-

-Si, va bene.-

Maki rispondeva in maniera atona, e lanciai un’occhiata chiara a mia madre, la quale prese Naoko con sé mentre la famiglia di mia moglie capiva di doversi allontanare, chiudendo la porta e lasciandoci soli.

Mi stava dando ancora le spalle, non si muoveva, il capo leggermente chino, i capelli che le coprivano il volto. Anche per questo non mi piacevano così lunghi, m’impedivano di leggere quello che le stava passando per la testa.

-Maki, guardami.-

La vidi muovere lentamente il capo in un gesto di diniego, e le strinsi la mano, portandola verso di me.

-Ti prego guardami.-

-Non ci riesco.-

-Si che ci riesci, avanti Maki.-

-No, no.-

-Maki!-

Tentai di afferrarle la spalla, e la sua reazione fu esplosiva.

-LASCIAMI!-

Rischiò di farsi male quando strattonò per liberarsi dalla mia presa, la schiena si piegò in avanti e vidi quelle mani, libere, portarsi al volto, il corpo che cominciava a scuotersi.

Maki?! Oh no …

Ora avevo paura di toccarla, sentivo che se lo facevo mi avrebbe scacciato come prima; eppure volevo abbracciarla così disperatamente, portarla a me.

Dovevo fare qualcosa, dovevo.

Scostai le lenzuola, e lentamente scesi dal letto. Il movimento la colpì subito, perché la vidi voltarsi verso di me; aveva gli occhi completamente ricoperti dalle lacrime, avevano già cominciato ad arrossarsi mentre le guance erano bagnate.

-Kojiro, che fai?!-

Mi portai davanti a lei, e lentamente provai ad inginocchiarmi. Al primo piegarmi in avanti sentii come se il mio ventre si stesse aprendo in due e i punti si stessero aggrappando ferocemente alla mia pelle.

Lei si allarmò ulteriormente.

-No, Ko! Torna subito a letto.-

-Maki, guardami.-

Riuscii non so come a mettermi in ginocchio davanti a lei, e quando provò a farmi rialzare le catturai le mani, portandole a me.

Era così bella mia moglie, anche se stava piangendo, anche se era disperata. E quel suo dolore avrei tanto voluto farlo mio, prenderne una parte per alleggerire il suo peso.

Ma io ero e sono un uomo. Non potrò mai capire il profondo dolore che può provare una donna in una situazione del genere; tuttavia volevo mostrarle che, sopra quel tremendo burrone oscuro, poteva trovare me a tenderle la mano, per aiutarla a risalire.

-Ce la faremo. Ce la farai Maki. Un passo alla volta, come hai detto tu. Uno alla volta.

Io non lo so quanto dolore provi, ma lo posso sentire, e … e vorrei fare qualcosa.

Dimmi cosa posso fare Maki, dimmi come posso aiutarti a farti stare meglio. Dimmelo.-

Appoggiai la mia fronte alle sue mani, e pregai Amaterasu: le chiesi di far guarire mia moglie dal suo dolore, di darle forza e fiducia in se stessa. Di illuminarla con la sua luce. Di aiutarmi ad aiutarla.

Sentii la testa di Maki appoggiarsi alla mia spalla, e mi sussurrò all’orecchio, come se non volesse farsi sentire da nessuno.

-Hasshou nanahai isshoukenmei.- (otto vittorie, sette sconfitte; è un proverbio che vuol dire “fai sempre del tuo meglio”)

Annuii lentamente, comprendendo le sue parole, e lentamente le lasciai andare le mani, permettendole di abbracciarmi mentre io abbracciavo lei, facendola scendere dalla poltrona.

Ci abbracciammo in ginocchio, sul pavimento. Forse scomodi e doloranti, ma stretti più che potemmo.

 

**

Questo è l’ultimo capitolo dove “sentiremo” i pensieri dei nostri due protagonisti. Da qui in avanti … chissà chi ci racconterà la loro storia? Provate ad indovinarlo con questa frase!

 

“…era bello sentirle dire quelle due parole, mi tranquillizzavano fin dentro l’anima, e mi permisi di darle un bacio sulla guancia, accarezzandogliela poi con le dita e guardandola per bene, fin dentro le pupille.”

Ci vediamo al prossimo aggiornamento!

   
 
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