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Autore: WYWH    09/04/2015    3 recensioni
"What If" sugli avvenimenti di Furisode. E se Kojiro sopravvivesse all'incidente? Come si evolverebbe il rapporto tra di loro attraverso lo sguardo di chi gli sta attorno? Riuscirebbero a superare e ad andare avanti? Come?
“Riparare con l’oro”, il Kintsugi, è una pratica giapponese che consiste nell'utilizzare oro o argento liquido per la riparazione di oggetti in ceramica andati distrutti. Questo ne aumenta sia il valore economico che quello artistico, dato che la casualità con cui si rompe l’oggetto darà vita ad un oggetto unico.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Kojiro Hyuga/Mark, Maki, Yayoi Aoba/Amy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Oriente & Occidente'
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Prologo: Risvegliandosi … Lei

 

Fin da piccola ho sempre sognato e ricordato cosa sognavo. Ogni volta mi svegliavo entusiasta e correvo da mia nonna, raccontandole per filo e per segno quello che avevo sognato. Lei mi sorrideva contenta, seduta sul suo futon, e quando finivo mi accarezzava la testa e mi diceva che ero fortunata, dato che la dea Amaterasu comunicava spesso con me.

Anche quando crebbi continuai a sognare, e il più delle volte continuavo a raccontare i miei sogni alla nonna, la quale ascoltava sempre con aria attenta, annuendo ed interpretandoli assieme a me, per gioco.

Quando conobbi mio marito i miei sogni divennero ancora più luminosi, colorati, e all’inizio non glieli rivelavo, troppo imbarazzata, per poi pian piano raccontare i più divertenti o strani; all’inizio scuoteva la testa, abbastanza perplesso, per poi iniziare a divertirsi, fino a quando non mi chiese di “prestargliene” qualcuno, dato che lui non sognava così tanto.

Ricordo … che la notte prima dell’incidente non avevo sognato. Era la prima volta, e la cosa mi turbò parecchio.

C’era stato soltanto il buio della mia mente, nessun suono e nessuna sensazione addosso, il nulla; mi svegliai con i brividi, e mi misi seduta sul letto, stringendo a me le gambe. Sentii immediatamente Kojiro scivolare verso di me, chiedendomi cos’era successo. Glielo dissi, e lui mi strinse a sé, ed entrambi restammo svegli per il resto della notte.

La giornata, tuttavia, trascorse così piacevole che dimenticai il mio sogno, fino ad arrivare a pensare che era stato solo un caso.

Poi accadde tutto.

Ricordo chiaramente che mio marito mi schermò con il corpo, ricevendo l’aggressore, per poi piegarsi in avanti con un verso strozzato, che mi bloccò il respiro; quando lo sconosciuto lo lasciò andare, lo vidi cadere pesantemente sulla strada, privo di forze. Quando riconobbi il sangue sulla strada urlai e cercai di raggiungerlo.

Mi afferrarono e trattennero per i capelli, sbattendomi prima sulla rete a fianco della strada, poi a terra; mi strapparono i pantaloni, con una tale forza da graffiarmi le gambe. Mai, come in quel momento, sentii il centro del mio corpo andare a fuoco ed esplodere come una bomba dal male; un dolore di quel genere non l’avevo mai provato, Kojiro non mi faceva mai sentire dolore.

Mi voltai, per guardarlo, e vidi negl’occhi la sofferenza di chi mi stava per lasciare senza poter fare nulla, tentando perfino di allungare una mano per toccarmi.

Avrei voluto fare lo stesso, per afferrarlo e “impedirgli” di andarsene, ma oramai il mio corpo era in balia di quell’orrore, perciò lo guardai dritto negl’occhi, cercando di metterlo a fuoco fra le lacrime, e pregai con tutte le mie forze.

“Amaterasu, ti prego, non separarci, non portarmi via Kojiro.

Se lui deve morire, allora voglio morire assieme a lui. E se io devo vivere, allora fa che lui viva.

Ti prego, ti prego dea del sole, ti prego …”

Continuai con quella preghiera anche dopo l’aggressione, quando rimanemmo soli, per un tempo che mi sembrò infinito; con il corpo che faticava a rispondermi, lentamente, allungai una mano verso di lui, arrivando a sfiorarlo, afferrandogli le dita. Erano così fredde.

Credo che, a quel punto, udii delle urla in lontananza, qualcuno che si avvicinava, che parlava, che ci chiedeva se stavamo bene; ma a quel punto ero svenuta, non riuscendo più a sopportare tutto quel dolore.

E sognai di nuovo. O meglio, sembrava un sogno, ma in realtà riconobbi anche un mio ricordo.

Vidi me, bambina, che piangevo, una delle rare volte in cui piangevo a dirotto. Davanti a me il tavolo basso del salotto; quando ero al ryokan mangiavo sempre in quella stanza, il più delle volte in compagnia. Questa volta ero sola.

Ero dall’altro lato del tavolo che mi guardavo, ed era strano vedermi così piccola, le mie manine sugl’occhi, la mia voce, i piccoli singhiozzi che muovevano il mio corpo.

Perché piangevo così?

-Raggio di sole, che succede?-

Alzai lo sguardo, e vidi mia nonna entrare nella stanza; era decisamente più giovane e in forze, anche più dritta con la schiena mentre si sedeva accanto a me, e mi accarezzava con la sua immancabile tenerezza.

-Su su, non fare così, dimmi che ti è successo.-

-La … la ciotola …-

A quel punto mia nonna guardò sul tavolo, e io feci lo stesso.

Riconobbi i pezzi di ceramica rossa, con i disegni di fiori bianchi: era la ciotola che da bambina usavo sempre per il riso. Era la mia preferita, mi era stata regalata alla festa delle bambine, e mia madre era solita riporla in alto, perché voleva che la usassi solo nelle occasioni speciali visto la sua bellezza. Io, però, riuscivo sempre a scalare i ripiani della credenza fino a raggiungerla.

Chissà come l’avevo rotta, non ricordo proprio, forse mi era scivolata dalle mani; ma vedere i suoi cocci sul tavolo m’intristì tanto quanto era triste la bambina, che adesso cercava di calmarsi, tirando su con il naso mentre la nonna le porgeva un fazzoletto.

-Io, io non volevo nonna, davvero.-

-Lo so raggio di sole, lo so. Dai, soffiati il naso.-

-La mamma mi sgriderà.-

-Eh si, hai rotto una cosa molto bella.-

-Non potrò più mangiare il riso con la mia ciotola.-

E la bimba abbassò il capo e strinse i pugni, ero davvero mortificata per quello che avevo fatto; ma mia nonna gli accarezzò i capelli, allora li portavo ancora lunghi. Poi la vidi alzarsi e raccogliere, uno ad uno, i pezzi della ciotola, con un sorriso tranquillo.

-Non preoccuparti, potrai di nuovo mangiare il tuo riso con questa ciotola. Ma mi devi promettere che ne avrai cura, tanta cura. Posso fidarmi di te?-

Vidi la bambina guardare perplessa tanto quanto me quella figura, ma quel visino rotondo annuì lento, e la figura di mia nonna scomparve in una luce bianca che non avevo notato prima.

Tutto attorno a me si fece luminoso, e per un istante credevo che mi sarei svegliata. Ma sognavo davvero? Stavo dormendo? Non ricordavo di essermi addormentata.

-Oh nonna, è bellissima!!-

Mi voltai, sorpresa da quella voce squillante, non ricordavo di avere avuto un tono così alto; dietro alle mie spalle vedevo me, bimba, con un kimono pieno di nuvole e fiori su uno sfondo arancio, le mie manine che tenevano in mano una ciotola rossa … con i fiori bianchi, la mia ciotola certamente … ma sembrava diversa.

Mi avvicinai, cercando di capire cosa ci fosse di diverso, e m’inginocchiai per vederla meglio: era riparata, si vedevano chiaramente i pezzi uniti fra loro, ma non era stata usata della colla … sembrava … oro.

-Mi raccomando ora, Maki, ricordati la tua promessa: questa ciotola ora è molto preziosa, e non perché è stata riparata usando un materiale prezioso, ma perché è di nuovo tutta intera, ed è diventata diversa.-

Entrambe alzammo lo sguardo verso mia nonna, in piedi lì accanto.

-Non capisco nonna.-

-Lo so, è un discorso un po’ difficile per te, raggio di sole.-

S’inginocchiò per potermi guardare negl’occhi.

-Guarda bene questa ciotola: è tua, ma è diversa, giusto? Questo significa che la devi trattare in modo diverso, se non vuoi che si rompa di nuovo. Perché se la rompi di nuovo, questa volta non si potrà più aggiustare, o sarà molto difficile. Hai capito?-

Vidi la bimba annuire lentamente come prima, e mia nonna sorrise.

Poi si voltò verso di me, e mi guardò negl’occhi, sorprendendomi.

-Hai capito, raggio di sole? Dovrai stare attenta, o sarà molto difficile. Ma non preoccuparti, andrà tutto bene.

E adesso svegliati, che ti aspettiamo.-

-Ah, si nonna.-

E feci un cenno del capo, per ringraziarla e salutarla. E mi svegliai.

Il primo volto che vidi, nemmeno a farlo apposta, fu proprio quello della nonna; mi sorrise, accarezzandomi la guancia.

-Ben svegliata, raggio di sole.-

La sua mano era un po’ callosa, il volto era pieno di rughe, più vecchio rispetto a quello del mio sogno, ma il sorriso, per fortuna, era sempre lo stesso, e lo ricambiai, ancora intontita.

-Nonna …-

-Come ti senti?-

-… ho sognato. Ti ho sognato.-

-Bene, allora mi racconterai tutto a tempo debito. Satoru, Natsuko.-

Scostai lo sguardo, e subito mi accorsi che non ero in camera mia, ma in una camera d’ospedale, e la cosa mi confuse, perché ero lì?

Quando mia madre si precipitò su di me, con l’aria di chi aveva pianto a lungo, mi resi conto che era strano che fosse lì: io non ero al ryokan in quei giorni, non ero nemmeno a Naha. Che succedeva?

-Maki! Tesoro.-

-Mamma, papà …-

-Meno male, meno male, sia benedetta Amaterasu.-

-Che succede? Perché sono qui?-

-Hai subito un aggressione, non ricordi? Vi hanno trovato dei passanti. Appena in tempo …-

Ci hanno trovati? Non ero sola? … l’aggressione … Kojiro!

La mia testa cominciò ad urlare quel nome, almeno con la stessa forza con cui lo avevo urlato nel tentativo di difendermi dagl’assalitori e raggiungerlo; di colpo le immagini di quanto era accaduto mi arrivarono come una valanga, e il tutto era su un fondale rosso sangue. Il sangue di mio marito, accasciato a terra, freddo, gelido.

Mi sentii assallire dalla paura e dalla nausea: era vivo? Era vivo?! O era … no, no!

Cominciai ad agitarmi, volevo scendere dal letto ma il mio corpo mi fece subito capire che sarebbe stato difficile, avevo delle orribili fitte nella pancia e nel bacino, le gambe praticamente non si muovevano.

Mia madre s’inquietò.

-Maki, Maki che succede?! Che hai?-

-Kojiro, dov’è Kojiro?!-

-Tesoro calmati.-

-Kojiro dov’è?!-

-È al reparto di terapia intensiva, al piano di sotto.-

-Sta bene, sta bene?!-

-Si, si sta bene, Maki. Sta bene, è vivo.-

Era vivo … era vivo, la dea aveva ascoltato le mie parole, mi veniva da piangere. Ma sentivo che non mi bastava sapere che era vivo, volevo scendere a tutti costi da quel letto e vederlo!

-Voglio vederlo.-

-Adesso ragiona Maki, non sei nella condizione di …-

-Mamma voglio vedere Kojiro, voglio vedere mio marito.-

-No, è fuori discussione! Ti sei appena svegliata e devi stare in riposo assoluto.-

-Nonna, ti prego, devo vederlo.-

-Lo potrai vedere tra qualche giorno Maki, ora calmati-

-Voglio vederlo ora!-

-Maki!-

Mia nonna rimase in silenzio per tutto il tempo mentre mia madre sembrava avere la meglio su di me, afferrandomi per le spalle e spingendomi con tutta la sua forza sul cuscino.

Eppure non sarebbe riuscita a trattenermi, e in un modo o nell’altro sarei andata a vedere Kojiro: dovevo assicurarmi con i miei stessi occhi che stava bene, o non sarei più riuscita a stare in quel letto.

Supplicai con lo sguardo mia nonna, mio padre e anche mia madre, la quale però rimaneva stoica.

-No, è fuori discussione. Non stai bene Maki, hai subito lacerazioni, hai capito bene?! Il dottore dice che l’Endometriosi è peggiorata. Se stata sul punto di morire!-

-Ma anche Kojiro, anche Kojiro è quasi morto! Io l’ho quasi visto morto! L’ho sentito morto! Ti prego mamma, devo vederlo!-

-Kojiro sta bene, te l’assicuro io, l’ho visto tesoro.-

-No papà. Scusatemi, ma io devo vederlo.-

-E dopo prometti di tornare a letto?-

A voce di mia nonna, nel vociare ansioso di me e mia madre, fu pacato, ma entrambi la sentimmo perfettamente, e speranzosa annuì, sporgendomi verso di lei, quasi con le lacrime agl’occhi.

-… va bene. Satoru, prendi una sedia a rotelle.-

-Nonna!-

-Capisco che sei preoccupata Natsuko, ma lo sai anche tu che appena ci allontaneremo Maki tenterà di andare da sola, e io non voglio che mia nipote si faccia ulteriormente male.-

Mia madre all’iniziò s’irrigidì, chiaramente contraria, e lanciò un’occhiataccia a mio padre, che però uscì comunque dalla stanza. Poi prese un profondo respiro, e mi guardò severamente.

-Non fare nulla di stupido, chiaro? Appena lo hai visto torni qui.-

Annuii con tutte le mie forze, e forse riuscii a sorridere a Satoru quando lo vidi tornare con la sedia a rotelle e un’infermiera. Anche questa, sulle prime, era molto contrariata, ma non appena mio padre e mia nonna le spiegarono il mio desiderio si lasciò sciogliere, e divenne nostra complice.

-Se vi vede il dottore ditegli che vi ho dato io il permesso. Tanto a me mi sgridano sempre e comunque!-

Le braccia di mio padre riuscirono a sollevarmi senza troppo sforzo, e mi sentii molto leggera e debole, già solo quel movimento mi provocò un leggero dolore, ma feci finta di non sentire niente, non sarei tornata sotto quelle lenzuola senza aver sentito la pelle calda di Kojiro.

L’infermiera, stando attenta che non ci fossero dottori nelle vicinanze, ci guidò verso la parte meno trafficata del corridoio, lì dove v’era l’ascensore di servizio, e mentre mio padre guidava la sedia a rotelle mi sentivo prendere da un’ansia febbrile, il desiderio di rivedere Kojiro diventava smodato: volevo vederlo come me lo ricordavo, volevo cancellarmi dalla mente l’orribile immagine dei suoi occhi che si spegnevano, coperti di lacrime.

L’ascensore mi sembrò che andasse ad una lentezza incredibile, stringevo le mani e i denti per trattenermi dall’alzarmi in piedi, ad ogni minimo movimento con le gambe o il torso mi sembrava che il centro del mio corpo si strappasse, come un pezzo di stoffa.

Quando si aprirono le porte, un altro piano sconosciuto si aprì ai miei occhi: guardai la gente che passava per i corridoi, ma non riconoscevo nessun viso, così mi fissai sul numero delle camere, sporgendomi ogni volta che c’era un uscio aperto, per studiarne l’interno. Ma andavamo svelti, e non c’era abbastanza tempo per soffermarsi su qualche volto in particolare.

-Sapete che numero è la stanza del signor Hyuga?-

-La 515.-

-Di qua allora.-

La sedia a rotelle fece una curva, e la gente cominciò a ridursi, ma adesso che sapevo il numero di stanza i miei occhi si fissarono sui cartellini, guardandoli scorrere troppo lentamente, avrei voluto dare io una spinta alla sedia, ma mio padre o mi avrebbe trattenuto, facendomi slittare e cadere in avanti, o lui stesso sarebbe inciampato e rovinato a terra.

Vidi il numero 515 in grande, gigantesco, e la porta che mi sembrava più alta e chiara delle altre.

Oltre di essa c’era mio marito, come l’avrei trovato? Sperai, sperai con tutte le mie forze che non mi avessero mentito, e che davvero stava bene, nella mia testa c’era l’immagine di lui con il volto completamente irriconoscibile, o con il corpo ricoperto di bende e macchinari.

Mia madre bussò alla porta.

-Hyuga-san, sono Natsuko.-

Mia madre non aprì lei la porta, e la cosa mi fece leggermente morire dentro, oramai impazzivo per tutta quella attesa. Sull’uscio aperto, riconobbi subito il volto della signora Hyuga, sembrava impallidita e questo m’innervosì, facendomi rizzare la schiena sulla sedia, provocandomi una fitta.

-Natsuko … Maki!!-

-Non siamo riusciti a farla stare ferma.-

-Hyuga-san, la prego! Devo vedere Kojiro!-

Mi guardò sbalordita, poi un sorriso sollevato si aprì sul suo volto; forse desiderava abbracciarmi, ma s’intuiva troppo chiaramente che non le avrei dato la giusta importanza, e si fece subito da parte.

A quel punto, non riuscendo più a trattenermi, mossi la sedia da sola, facendola sfuggire dalle mani di mio padre, ma sbattei contro uno dei due lati con la ruota e m’incastrai. Ringhiai contro il mio mezzo di trasporto; ignorando i richiami dei presenti e i tentativi di aiutarmi ad entrare, afferrai i lati dell’uscio per poter entrare dentro.

Allungai il collo, mi guardai intorno, la stanza era così bianca. Poi vidi il letto, i fratelli seduti lì accanto … e Kojiro.

Allora era vero, era davvero vivo. Mi stava guardando dal suo giaciglio, sbatteva gli occhi; provò ad alzare il busto, ma era evidente che, come me, aveva male. Ma era il dolore di un fisico di una persona viva. Era vivo!

Sentii il sollievo afferrare l’angoscioso peso nel mio cuore e portarselo via, permettendo alle lacrime di uscire come un geyser dal petto e farsi strada sul mio viso, il viso di mio marito mi sembrava ancora più bello del solito, quasi mi faceva male guardarlo e mi coprii il volto con le mani, anche per frenare i singhiozzi che non mi facevano respirare.

Era vivo, vivo! Non riuscivo a pensare altro nella mia testa.

Lasciai che mio padre, con calma, liberasse la mia sedia dall’ingresso e la spingesse gentilmente verso il letto, anche perché io ero troppo presa dell’emozione: sentivo il mio corpo vibrare, contorcersi, farmi male per i singhiozzi ma esplodere anche di gioia mentre mi nascondevo il volto tra le mani.

-Maki … Maki …-

La sua voce mi fece tremare d’emozione, nemmeno la prima volta che mi disse “ti amo” mi sentivo così, il mio corpo tremava vistosamente, non riuscivo a frenarlo.

Sentii una sua mano toccarmi il polso, prendendolo e scostando così la mano dalla guancia destra; alzai lo sguardo, cercando di sorridere, il fiato mozzato per le troppe lacrime. Vidi i suoi neri occhi, in lacrime come i miei, e a quel punto non ero certa se fossi davvero sveglia o se stessi ancora sognando.

-Credevo … pensavo di averti perso … Maki …-

-Anch’io credevo di aver perso te. Sei vivo, sei vivo!-

Mi allungai verso di lui, cercando di abbracciarlo, ma a malapena riuscii ad appoggiare la testa sul suo fianco destro, e il dolore del mio corpo paralizzò ancora una volta le mie gambe; lui, a sua volta, cercò di tirarmi verso di sé, ma al primo tentativo fallì dato che, come me, non aveva forza nel corpo. Mi strinse con tutta la forza che aveva nelle mani, e io feci altrettanto, inspirando l’odore del suo corpo, riuscendo a riconoscerlo oltre la puzza dei macchinari e della stanza.

Qualcuno ci venne in soccorso, probabilmente mio padre, e fui sollevata verso mio marito, facendomi appoggiare sul bordo del letto; immediatamente affondai la testa sul petto e la sua spalla, così come il suo capo si appoggiò sulla mia, percepii chiaramente le sue lacrime sulla mia pelle. Aveva la voce spezzata, e la cosa mi addolorò

-Mi dispiace, mi dispiace da morire amore. Perdonami, perdonami.-

-Kojiro, Kojiro tu sei qui, sei qui. Sei con me, sei vivo. Guardami, guardami amore.-

Gli feci alzare la testa, per guadarlo di nuovo negl’occhi, e gli vidi le guance bagnate; gli sorrisi, ne accarezzai il volto, gli asciugai gli occhi con i pollici, poggiai la mia fronte sulla sua e gli parlai a bassa voce, la più bassa che potevo fare e che lui potesse udire.

-Siamo ancora qui, siamo vivi. Ce la faremo, ne sono sicura. Un passo alla volta ce la faremo, giusto?-

Era una frase che eravamo soliti dirci per farci forza, quando le cose non andavano: “un passo alla volta”, com’era sempre stato nella nostra relazione.

-Io starò accanto a te. Ti prego, resta con me. Resta con me.-

Lo sentii stringermi di nuovo, e mi accoccolai a lui il più possibile, sapendo che rpima o poi sarei dovuta tornare in camera. Mi godetti come mai prima il vibrare della sua pelle mentre parlava, il calore e tono basso della sua voce.

-Ma certo, certo che lo farò. Non ho nessuna intenzione di lasciarti. Sarò sempre con te.-

Kojiro non era mai stato capace di mentirmi, le sue bugie le scoprivo subito. E per questo ero sempre sicura che quello che diceva corrispondeva alla verità, nel bene e nel male. Lo baciai piano, poi lui richiese un secondo e terzo bacio, e infine mi strinse di nuovo.

Restammo abbracciati ancora a lungo, godendoci quel pochissimo tempo, prima che l’infermiera mi obbligasse a tornare in camera per riposarmi.

 

**

 

Signore e signori, eccoci qui! Dopo tanto tempo ritorno su questa serie, dato che avevo rotto un po’ di cuoricini per “il gesto estremo” che avevo compiuto per creare la mia coppia non-canon. Ammetto che non è stato facile trovare un modo per proseguire questo racconto: l’inizio, infatti, è stato molto facile, ma pian piano la trama, per quanto lineare, ha rivelato ombre e luci molto intensi, in cui mi sono dovuta fermare dallo scrivere.

Il racconto non sarà dal punto di vista dei due protagonisti: solo i primi due capitoli, infatti, avranno i loro pensieri a farci compagnia. I successivi … beh, lo scoprirete voi leggendo! ;)

Ci tengo a ringraziare delle persone in particolare: Berlinene e Melanto, che mi hanno ispirato per la serie di “Furisode”; Ai_1978, che mi ha dato l’ispirazione per scrivere questa storia, e Sakura Ozora, perché mi ha dato ulteriore entusiasmo per scriverla.

Grazie mille!

Ci vediamo al prossimo aggiornamento!

 

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