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Autore: KH4    14/04/2015    4 recensioni
Nuova raccolta di One-shot con protagoniste la Sharkbaitshipping e la Negativeshipping.
Romanticismo, dramma e situazioni al limite della decenza umana si mescoleranno a ironia e umorismo, con giusto un pizzico di perversione e sadismo che non guastano mai. Ogni capitolo conterrà due One-shot, una Sharkbait e una Negative, per un totale di otto One-shot in quattro capitoli (se decidessi di non aggiungerne altre). Come per Bonds, il quinto capitolo sarà dedicato alla coppia che più avrà riscosso voti, quindi, nuovamente, a voi l’ultima parola!
 
1) Neko (Sharkbaitshipping)/ Ombrello (Negativeshipping).
2) Hand (Sharkbaitshipping) / White Day (Negativeshipping).
3) Foto (Sharkbaitshipping) / Demons (Negativeshipping).
4) Bite (Sharkbaitshipping / Responsabilità (Negativeshipping).
5) Gift (Sharkbaitshippig).
Note: OOC, Triangolo, Gender Bender.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bekuta/Vector, Rio, Ryoga/Shark, Yuma/Yuma
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender, Triangolo
Capitoli:
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Foto.
 
“Reginald Kastle! Dimmi subito dove l’hai messa!”
Il bollitore del tè aveva appena smesso di fischiare quando i cardini della porta minacciarono di rompere il vetro della finestra e Rio Kastle fece irruzione nella stanza del fratello, troneggiandogli di fronte in piena modalità da combattimento, agguerrita di tutta l’audacia che metteva da parte la pazienza per un fine superiore a qualsiasi altra priorità, le braccia conserte e la bocca al sapore di fragola pronta a declamare colpevolezza su tutti i fronti.
“Dove ho messo cosa?” Il ragazzo non la degnò d’attenzione, concentrato su un lavoro al computer.
“La foto! Cos’altro, sennò?!?” La gemella gli puntò contro il dito, certa che lui sapesse di cosa stessero discutendo “Quella che era insieme alle altre e che hai distrutto senza spiegarmi il perché!”
“Non è così difficile capirlo”, mormorò Shark, concedendole un’occhiata alquanto infastidita mentre si massaggiava le spalle “Erano ridicole e comunque non ho la minima idea a quale tu ti riferisca.”
Non si era mai preso la briga di curare un’immagine di dignitoso rispetto o di interessarsi alle frivolezze che invece Rio condiva con ingredienti piccanti e zuccherini. Il suo concetto di privacy prediligeva silenzi e una distanza minima di due metri da qualunque persona provasse a interagire con lui, una bolla che la gemella – privilegiata - puntualmente invadeva e faceva scoppiare con un concetto tutto suo di quiete interiore: scoprire che lui, suo fratello, l’incarnazione dell’asocialità per eccellenza, nutrisse dell’affetto riguardoso per un essere umano che non fosse lei, l’aveva quasi indotta a credere che quello non fosse il mondo reale, ma una qualche dimensione onirica dentro cui era finita incastrata senza volerlo, convinzione smentita dal tastare personalmente quella verità con occhi di languido piacere. Non sarebbe stata una buona sorella se non avesse ricorso alla più sottile e affine delle manipolazioni psicologiche per smuoverlo dal suo ridicolo stoicismo, Reginald possedeva un cuore come chiunque altro. Soltanto chiuso in più casseforti a tripla mandata che ne storpiavano la capacità di contraccambiare la gentilezza in manifestazioni filamentose e criptiche.
“Davvero? E’ piuttosto strano.” Fintamente stupita, ritornò alla carica con l’indice impegnato a rigirarsi una ciocca azzurrina “Perché sai, le ho ricontate cinque volte e non c’è dubbio che ne manchi una. Casualmente poi, è una foto che ritrae Yuna-chan.”
“Tu lavori troppo di fantasia”, declamò il ragazzo “Che differenza dovrebbe fare poi?”
“Oh, non molta a dire la verità” Rio roteò gli occhi all’insù e ondeggiò sulle punte avanti e indietro come fosse stata una bambina in attesa “Però Yuna-chan era venuta così bene in quella foto, durante il pigiama party, che ci tenevo tanto a pubblicarla. Per i suoi ammiratori, sai”, specificò maligna “Sta diventando sempre più carina.”
“E sentiamo: perché sei così sicura che manchi proprio quella foto?” Anni e anni di dispute avevano insegnato al maggiore a modulare la voce anche quando l’argomento valicava i confini della diplomazia e si gettava a capofitto nell’esasperazione.
“Te l’ho detto: le ho contate”, gli ripeté la ragazza, tirandogli per dispetto una ciocca violacea “Ho passato tutta la notte a rimontarle ed è l’unica che manca.”
“E’ preoccupante che tu perda ore di sonno per ricomporre delle stupide foto, dovresti trovarti hobby più costruttivi”, le suggerì il fratello.
“Quello che faccio non deve interessarti ed è inutile che tu faccia finta di niente: sappi che la farò saltare fuori, quella foto!” E giurato ciò, Riò girò sui suoi tacchi e uscì dalla stanza marciando con passo calcato.
“Che seccatura…” Lo Squalo dovette aspettare un quarto d’ora abbondante prima di essere sicuro che la sorella si fosse chiusa in camera a mugugnare indispettita per lo smacco ricevuto, ma non era nella natura dei Kastle darla vinta a qualcuno, tanto meno ai parenti stretti. Concessosi una manciata di secondi per stropicciarsi le palpebre, si accoccolò meglio alla sedia, sfilando dalla tasca interna della giacca un piccolo riquadro di carta colorata. Eccola lì, la foto tanto cercata. Un perfetto primo piano di Yuna, adagiata fra una cascata di lenzuola candide mentre dormiva raggomitolata con le labbra puntellate da granelli di zucchero, le guance imporporate e i capelli sbarazzini sparpagliati avanti e indietro alle spalle, con le lunghe ciglia nere a coronarne la serenità e i pugni molli accostati vicino al viso; una leggera vestaglia dalle sottili spalline sottolineava l’esilità del suo fisico e quelle sempre più accentuate rotondità al seno che lo stesso rosa confetto del completo - un’evidente imposizione da parte della gemella -  mettevano in risalto assieme le gambe scoperte che l’orlo del completo arrivava spudoratamente a coprire poco al dì sotto dell’inguine. Poteva succedere l’indicibile se quelle foto fossero state pubblicate – se quella foto, in particolare, fosse finita nelle mani di un pazzo psicopatico di dubbia redenzione - e anche senza immaginarsi quale morbo schizofrenico oliasse gli enigmatici ingranaggi mentali di sua sorella, aveva agito col solo scopo di scongiurare scomode quanto funeste inconvenienze nel caso la vista di quel corpicino inerme che urlava “molestami, molestami!” fosse stato reso noto. Il caso l’aveva spinto in cucina qualche giorno addietro, il buon senso a distruggere le foto adocchiate sul tavolo, i negativi e qualsiasi altra copia messa sotto chiave, ma al momento di terminare l’opera si era lasciato manovrare dalla debolezza che camminava sempre di mezzo passo dietro all’orgoglio e il sangue gli era colato dal naso senza il dolore a fare d’allarme. L’unica maniera per non uscire smembrato dal continuo collidere di evidenza emotiva e pensieri contrapposti, era stato quello di ammettere gradualmente che l’amorevolezza di Yuna lo faceva stare bene, che il suo comprendere senza che vi fossero parole, solo gesti, gli permetteva di accettarsi senza rimorsi irrisolti e che tutte le occasioni avute per farle capire come si sentisse, le aveva sprecate in nome di sotterfugi volti a ridarle sicurezza o di timori interiori alla fine scarnificati dalla suddetta. Ma pur lasciando spazio all’ovvietà, la sua frustrazione non mancava di crogiolarsi per l’ancora incompiuta dichiarazione e la vista di quella pelle caramellata ampiamente scoperta sia sul collo che l’addome – per non parlare della totale vulnerabilità con cui era stata immortalata -, non lo aiutavano a controllare l’eccessiva sensibilità schizzata a livelli divini per colpa di Rio e dei romanzetti rosa da cui traeva puntualmente ispirazione, alimentanti pensieri che di casto avevano solo il pizzo del completo indossato da Yuna e che lo opprimevano con la tacita supplica di liberarsi da qualunque cruccio mentale che gli impediva perfino di abbracciarla.
“Accidenti a lei e alle sue congetture!” Potesse lasciar correre come se ciò non sortisse un preciso effetto, avrebbe ignorato il malefico complottare di sua sorella e sminuzzato la foto soltanto per evitare una figura imbarazzante a un’amica di disastrosa ingenuità, ma ignorando il bollore del flusso ematico salitogli alle guance, prossimo a uscirgli dal naso, Shark si limitò a rimettere l’oggetto rubato in tasca cercando di non farsi condizionare ulteriormente dall’adorabilità trasudante da quel singolo pezzo di carta auto-consacrato a reliquia proibita e dalla ineffabile consapevolezza che Rio non sputava mai sentenze senza una rilevante base veritiera.




Demons.
 
“Vi piacerà, vostra altezza! Vi piacerà sicuramente!”
Il mercante di schiavi sogghignò con le mani sudate a sfregarsi i palmi a vicenda e la gola a deglutire ansimi accelerati. Il Principe Demone non era affatto soddisfatto di quanto gli aveva mostrato, la sua merce era stata soltanto capace di suscitare una sempre più vacua noia nelle atone ametiste regali e, a protezione dell’enorme porta, le Guardie di Ferro esprimevano lo sgocciolare del tempo stringendo le mani meccaniche attorno alle lance, riproducendo un angosciante scricchiolio osseo. Amore e misericordia non muovevano il guanto dorato che premeva contro la guancia lattea: solo timore reverenziale, una striscia di effimera condiscendenza che imponeva obbedienza, prosperità a regole ferree e atroci conseguenze per il minimo cenno di tradimento.
“E’ uno dei miei pezzi più preziosi! Molto particolare! Molto raro!” Insistette l’uomo, avvicinandosi al portone e gesticolando con le maniche della tunica davanti al piccolo pertugio. La presenza di quei bestioni ne faceva sudare la pelle scura, costringendolo a deglutire groppi di saliva su groppi “Un mezzo demone!” Esclamò affannato.
Era la sua ultima opportunità di compiacere i gusti del nobile, di qualunque natura essi fossero, ma il leggero piegarsi dell’ovale niveo del ragazzo ne rallegrò i battiti cardiaci impazziti: il Principe Demone era stato colto da un barlume di interesse e non vi poteva essere bene più grande per una feccia come lui. La sua possibile frequenza a palazzo – e l’integrità del suo collo - dipendevano da quel pezzo di valore pari al comune quarzo, sebbene il sangue misto fosse un’eresia che aveva sempre suscitato grande interesse nei collezionisti originali: commerciare schiavi nelle cui vene scorreva liquido anomalo era oggetto di superstizioni e di condanne severe nelle Terre Unite, fortunatamente separate da quel dominio riluttante ogni forma d’alleanza diplomatica. Nessuno che conoscesse i pericolosi poteri di un Purosangue avrebbe mai osato ingabbiarne uno per piacere personale e anche gli ibridi misti erano da denigrare. Eppure, da qualche remoto anfratto non ancora contaminato dalla paura di finire col ventre aperto, il mercante di schiavi si convinse che al Dominatore delle Terre dell’Est sarebbe piaciuto proprio qualcosa del genere. Ci sperava ardentemente. Frenetiche, le dita tozze afferrarono una lunga catena rugginosa che strattonò in avanti dopo averla avvolta un paio di volte. Vector si raddrizzò, le ossa saldate alla sua spina dorsale reclamarono un cambio di posizione più comodo. Il fuoco del tramonto riempiva la sala reale delle ultime venature arancioni, con l’oro a colare dalle colonne in sottili ramicelli sempre più sbiaditi: un lungo filo luccicante era tutto ciò che rimaneva del soporifero intermezzo fra giorno e sera, frammentatosi all’incalzare del blu miscelatosi alle striature rosate e agli ultimi residui di purpurea vivacità per creare la tinta di tenebra che solo il suo trono di ceramica intarsiato, scuro come la notte ingioiellata di pietre dalle tonalità più ricercate, poteva replicare. Era tardi, la tonicità del suo corpo aveva sopportato il tediare della giornata pensando che l’omuncolo al suo cospetto avrebbe compensato il puntuale senso di vuoto con qualche sfizio esotico raccolto dagli angoli ancora selvaggi del suo dominio, un pensiero di cadente ricorrenza che esauriva l’effetto placebo nel momento in cui lo spirito realizzava l’ennesima incompatibilità. L’ossessione appassiva il bello di quanto reclamava suo non appena la curiosità se ne saziava, inaspriva lo spirito che godeva solo del sangue sulla propria pelle, del suo colore divenuto chiodo d’ogni gioco violento che lo divertiva e teneva al caldo come nessun’altro scorcio di riconoscenza aveva mai espresso.
Una figurina ammantata in una coperta impolverata zampettò nella sala, il tintinnare delle catene strette alle caviglie, ai polsi scoperti e al collo nascosto echeggiò debolmente fra le colonne di marmo. Le dita del mercante si avvinghiarono subito al cappuccio, sfilandolo senza mai smettere di sorridergli. Una zazzera arruffata di ciuffi d’ossidiana che si teneva dritta ai lati, con una lunga coda libera di ricadere sulla schiena e punte rossissime in prossimità della frangia, fu quel che ne corrucciò il viso dallo sguardo immobilizzato sulla totale mancanza di riflessi in mezzo a quella cascata di filamentosità disordinata e soffice inspiegabilmente notagli, di intensità inesistente nei suoi confini. Anche la pelle baciata dal sole gli diede la medesima sensazione di evanescente familiarità, un pulsare intrecciato a ricordi di parziale consistenza che trovarono l’aggancio nelle iridi dalle pupille ad ago.
“Cosa vi avevo detto, vostra altezza? Un pezzo molto particolare!” Colta la sorpresa del giovane sovrano, il mercante afferrò per gli avambracci la ragazza, sospingendola in avanti “E’ una dei pochissimi esemplari rimasti delle antiche Lande Rosse. Creature rare, il loro sangue ribelle è difficile da domare, mi ci è voluto parecchio per…”
“Taci.”
Il clima mite della stanza soccombette a un gelo rancoroso che fece lasciare all’uomo le catene strette fra i palmi, indietreggiando con le flaccide pieghe del corpo a sudare frenetiche. La ragazza si accasciò seduta a terra per il peso del ferro indossato. C’era una furia, negli occhi del Principe Demone, che ne tempestava il ciclamino acceso di sfreccianti saette arcobaleno, una foga simile a quando ci si doveva alzare di notte per le viscere in preda a un incendio inestinguibile. Un’unione nata in un giorno d’infanzia, ecco cosa la ciclica ossessione lo aveva spinto a consacrare una parte di sé alla ricerca di quel vermiglio che neppure un calice ricolmo d’uova rubine poteva replicare, incapace, perché mero oggetto, di scintillare della medesima vitalità che l’aveva fatto tanto ridere quel dì addietro, dolce e palpabile come il pelo di un pulcino e che constatò orribilmente vitrea per l’essere stata svuotata d’ogni minima speranza, deturpata per la sua natura mista e dai lividi che ne segnavano a macchia d’olio gli arti magri.
“Toglietemelo di torno”, sibilò una volta sceso dal rialzato del trono.
“Ma, vostra a-altezza…”
“FUORI!”
Il balbettare del mercante si trasformò in un grido supplicante almeno una spiegazione, ma la mano guantata di una sola delle Guardie di Ferro lo trascinò via con l’altra bestia a chiudere le porte della sala, cosicché il Principe Demone fosse finalmente libero di chinarsi di fronte alla ragazza nel pieno favore del silenzio. La coscienza di lei galleggiava attonita in un mare di confusione che la sontuosità dei drappeggi ornamentali visibili articolava con una luminosità a cui non era più abituata e gli abiti profumavano ancora degli incensi usati per ammansire qualsiasi suo tentativo di ribellione, come se il digiunare non ne avesse lasciato il corpo in preda a uno bollore spento frettolosamente con mezzo bicchiere d’acqua torpida, l’udito sensibile a riempirle la testa di suoni amplificati che ne volevano cullare la pazzia.
“Qual è il tuo nome?” Le sembrava di aver già udito una simile gentilezza in passato, la stessa voce vibrante di una cristallinità frizzante ed energica ora modulata dalla maturità che andava via via completandosi. C’era qualcuno, un’ombra colorata, ma poteva forse avere importanza? Non sarebbe stato diverso: il dolore, un altro pezzo d’anima pronto a perdersi fra pieghe obliose…Era già stato tutto preso, con lei spinta all’opacità e chiusa in un bozzolo che voleva solo lasciarsi cadere definitivamente. Quella persona che la osservava, chiunque fosse, non poteva essere il solo umano incontrato quando ancora piangeva di nascosto poiché non comprendeva la paura che tutti gli altri provavano nel guardarla, l’unico spicchio di tenera infanzia prima della gabbia e delle catene. Non rispose, lasciando che il respiro esulato dalle labbra screpolate e le occhiaie parlassero per lei. Vector, al contrario, piegò le sue in un sorriso di compassionevole morbidezza, inconcepibile per i suoi sudditi, abituati a tutt’altre manifestazioni. Nell’euforia di quell’angolo di floreale paradiso rammentato da anch’egli, i loro nomi erano sfuggiti alle necessità sino alla triste separazione, ma quella bambola inerme e così bella ai suoi occhi, seppur rotta e maneggiata da maniere irrispettose, rimaneva il giocattolo anelato dai capricci infantili e la sola anima – non accettata e incompresa come la sua – che poteva riempirlo con l’amore ricercato da continue approvazioni.
“Ritengo che, di queste, non ci sia più bisogno.” Il Principe Demone ammiccò alle catene strette alle caviglie, ai polsi e al collare che venne sfilato per primo, scoprendo una pelle graffiata che le dita del ragazzo accarezzarono dall’alto al basso. Lo schiocco delle sue iridi furtive riuscì a catturare un debole cenno di vita della sua ospite, un minuscolo guizzo che la fece rabbrividire più delle labbra che sfiorarono il dorso della mano in un delicato bacio.
“Siamo stati divisi troppo a lungo, tu e io, ma la solitudine ha intrecciato le nostre vite per fonderne i destini in un’unica direzione. Sii la benvenuta nella tua nuova casa: da questo momento in poi, sarà mio compito e onore prendermi cura di te.”




Note di fine capitolo!
E anche il terzo aggiornamento è riuscito. Devo ammettere che comprimere delle idee che mi richiederebbero pagine e pagine si sta rivelando un lavoro edificante per la mia capacità di sintesi, posso ritenermi abbastanza soddisfatta. Passiamo alla scelta dei temi: io ho quest’idea di Shark che in fondo è un ragazzo maturo e intelligente quel quanto basta da avere la testa sulle spalle per non capitolare in ridicole gag che invece vedono protagonisti i personaggi più sfortunati, e sarà mia premura (sempre che astri, saggi, destini e ispirazioni permetteranno), tentare di scrivere un sharkbait in questa raccolta dove lo si dia a vedere, ma intanto lo lascio difendersi da Rio e dalle sue accuse più che fondate su un certa foto proibita che la malefica sorella ha scattato per fini superiori (e che è meglio che Vector  non veda, o metterà l’universo a ferro e fuoco per farla saltare fuori). Sulla negative, desideravo da tempo di scriverne una impostandola in uno scenario antico, fra umani, principi e demoni, quando ancora i grandi regni venivano affidati a degli adolescenti (a cui io alzo sempre l’età per motivi tematici). Una noticina prima di lasciarvi: mi sono accorta che, erroneamente, devo aver schiacciato il tasto di “storia completa”. Non so come, perché ero certa di non averlo fatto, ma ho subito rimediato. Alla prossima e votate!
  
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