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Autore: Aleena    14/04/2015    1 recensioni
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[Urban & contemporary fantasy][Potrebbe subire modifiche di rating/avvertimenti][Linguaggio forte]
Genere: Angst, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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I'm still recovering
Still getting over all the suffering
More known for my anger
Than for any other thing1



Capitolo III
Il demone
 
 
 


Aveva parcheggiato l’auto di traverso, occupando per buona misura almeno tre posti.
I poliziotti gli passavano vicino, guardandolo con la ferina impotenza di chi sia abituato a farsi portare rispetto. Non questa volta, amico! pensava il ragazzo, guardando gli agenti attraverso lo sportello mezzo aperto e sentendosi stranamente simile a un cowboy da film. Sapevano chi era, per chi lavorava: era intoccabile, e questo disturbava tanto loro quanto lui.
Non c’è divertimento. Mai.
Dire che li odiava era un eufemismo, ma che poteva farci? Aveva bisogno di soldi e loro pagavano bene.
Certi vizi non si possono semplicemente ignorare, gli aveva detto una volta il Capo. Una delle sacrosante verità che avrebbe dovuto ascoltare.
Sacrosante… per l’inferno, che ironia. Quali delle sue parole non lo erano? Non gli andava a genio il sarcasmo – o meglio, lo odiava almeno quanto detestava trovarsi lì, ora, ad aspettare quel testa di cazzo di Andreevič. Che ritardava, come al solito, costringendolo a mettersi in mostra.
Non che gli dispiacesse farlo.
L’unica cosa buona che i suoi vizi gli avevano portato era quell’auto, e gli piaceva sfoggiarla: modello straniero, bassa in maniera così meravigliosamente inadatta alle strade gelate e nera come il peccato, spiccava fra i camioncini bianchi della polizia come un neo sulla pelle di una bella donna. O di una brutta - per lui non c’era differenza, fintantoché avevano quello che gli interessava.
Teneva il motore accesso da più di un’ora, il riscaldamento al massimo per combattere il gelo che saliva dai cumuli di neve e ghiaccio, che brillavano allegri della luce della mattina insolitamente limpida.
Nonostante i -12 gradi segnati dal computer di bordo, però, il ragazzo indossava solo jeans neri e una canotta color vinaccia, che lasciava intravvedere la rete di tatuaggi che gli copriva spalle, braccia, collo e volto. Simboli e intrecci che qualunque guardia carceraria – o ex prigioniero – avrebbe riconosciuto.
Mafija. Almeno tre diverse Organizacija.
Scommetto che si chiedono che c’entro io con loro. Non avrebbero di certo fatto rapporto, ma questo non significava che la cosa non li incuriosisse. Continuavano a lanciargli occhiate parlando a mezza bocca, come imitando scarsi ventriloqui. Sorridendo, sollevò una mano e salutò il più vicino degli agenti, un ragazzo talmente brutto che perfino la morte l’avrebbe rifiutato. Quello arrossì, stringendo le labbra fino ad una linea sottile, ma non abbassò lo sguardo. Che stronzo pensò, piegando le labbra in un bacio lento e volgare, mentre la mano sinistra scendeva indolente verso il pacco.
Forse il ragazzo lo avrebbe attaccato – o chissà, avrebbe magari gradito l’invito, costringendolo a un’esperienza che non intendeva ripetere. Non a breve, almeno.
O forse sarebbe stato costretto a tirare fuori il coltello, e che si fottesse l’universo! Non sarebbe stato certo il suo sangue a far compagnia alla neve grigiastra.
Dal sedile del passeggero la donna si sporse velocemente in avanti, allungando un braccio esile e nudo verso la maniglia interna della portiera, tirandola a sé con uno scatto.
Il metallo gelido lo colpì a un ginocchio, trasmettendogli una scarica di dolore che gli fece stringere le dita in un riflesso incontrollato. Lei non mollò, continuando a tirare la portiera e colpirlo; tremava, forse non solo per il clima, e lui poteva sentirlo chiaramente.
Trattenendo il respiro per il dolore bruciante che si irradiava dal ginocchio e dalle palle, scacciò la ragazza e tirò dentro le gambe. La portiera le seguì, docile come un gattino, isolandoli dal mondo là fuori.
Sarà per la prossima volta, tesoro pensò con quella teatrale ironia che era il marchio distintivo del suo viso.
Si assestò al posto di guida, guardando la ragazza al suo fianco fare altrettanto. Era rossa in viso, le labbra quasi cianotiche.
C’è qualcosa di dannatamente affascinate in lei pensò. Forse erano le spalle nude, o il petto fasciato nel corpetto nero da darkettona… o magari quegli occhi carichi in ugual modo di sfida e pianto, che sembravano giudicarlo peggio ogni secondo di più.
No, non affascinante. Eccitante.
«È un po’ presto per cominciare ad essere gelosa, non trovi? Ci conosciamo appena.» disse, smorzando l’ilarità della voce con la mano, che scovolò sulle gambe fasciate di morbido tessuto a rete larga. Lei si irrigidì ma non si mosse – non poteva. «O forse nell’attesa vuoi farmi un pompino qui, davanti a tutti? Che bimba cattiva sei!» la provocò, allungando la carezza fin quasi all’incavo della coscia. Lei si mosse, cercando di imporre una distanza fra loro, gli occhi che saettavano rapidi da una parte all’altra del veicolo, come in cerca di aiuto.
Tac.
Rumore di metallo e vetro. Qualcuno bussò un colpo al finestrino, poi un altro. Pervaso da un moto d’ira, si voltò solo per trovarsi davanti il mezzo sorriso dello stronzetto albino.
Che attentava all’integrità della sua auto picchiando quel suo dito esangue e inanellato contro il vetro oscurato.
«Cazzo.» disse mentre la mano si abbassava, al ritmo del finestrino, fino alla vita e al coltello. Accanto a lui, la ragazza tirò un sospiro di sollievo. «Andreevič, togli quel dito del cazzo dalla mia macchina o giuro che te lo taglio.» disse, puntando l’arma contro l’altro a mo’ di saluto. «E tu tieni giù il fucile. Posso aprirti dalla bocca alle palle prima che tu abbia solo pensato di sparare.»
«È sempre un piacere vederti, Rybakov.» Ivan fece un cenno con l’arma.
«Si vede che non ne sai un cazzo di cose piacevoli, tu.» gli rispose col tono più sprezzante che riuscì a tirare fuori.
«Il tuo buonumore è un balsamo per tutti noi.» commentò il cecchino. Andreevič sorrideva in quel modo calmo e condiscendente che era in grado di farlo incazzare come poche altre cose – tutte quelle che faceva l’albino, in effetti.
Senza tirare indietro la mano sbloccò con l’altra la portiera e, fulmineo, la spalancò, sperando di sfasciare almeno la metà dei denti di quel coglione pallido.
Non lo prese che di striscio, ovviamente. Ma sognare la sua faccia coperta di sangue era comunque piacevole. Chissà se il suo cagnolino vestito da soldato avrebbe strillato come una bambina isterica, vedendolo cadere…
«Dì, abbiamo interrotto qualcosa o sei solo particolarmente felice di vedermi?» domandò Andreevič appoggiandosi con fare lascivo all’auto, e una vena prese a pulsargli sul collo mentre l’albino accarezzava il cofano distrattamente. «Chi è la tua amica?»
«So che sei così abituato alle prostitute che pensi che ogni donna lo sia, ma questa fa eccezione. O almeno così dicono ai piani alti.» rispose, lanciando un’occhiata alla darkettona – che stava cercando di far scivolare via la mano esangue dalle manette. «Non ci pensare.» le disse, morendo in realtà dalla voglia di vederla correre via. Quanto c’avrebbe goduto! «Tu invece ti sei fatto un nuovo amico, Andreevič?» Domandò, cercando di deviare i pensieri dalla via umida e scivolosa che stavano prendendo e indicando con un cenno della testa il ragazzino biondo col collare.
«Non uno di quelli che pensi tu. O almeno, non ancora.» disse, con il tono più laido e sensuale che gli avesse mai sentito usare… e dire l’aveva interrotto in parecchie situazioni molto più delicate di questa.
«È giovane. Cazzo, mi fai sempre più schifo.»
«La cosa è reciproca, lo sai.» Andreevič lo guardava come era solito osservare le sue prede: occhi leggermente socchiusi, labbra lievemente aperte appena piegate all’infuori… e quella voce del cazzo!
Sembra che abbia un orgasmo, ogni volta che parla così!
«Togli quel tono viscido quando ti rivolgi a me. Mi fa vomitare.» disse, cercando di mettere in quelle parole tutto l’odio che gli era possibile. Non che gli fosse difficile, in realtà. «Come ti chiami, bimbo?» chiese, allungando il braccio sinistro – quello con la mano ancora libera da coltelli – oltre lo sportello dell’auto, su cui s’era appoggiato.
«Uriel.» si presentò il ragazzetto allungando il braccio a sua volta, con quella tipica, violenta indifferenza che tutti i bambini cresciuti per strada si portavano dietro come un marchio di fabbrica.
«Non gli somigli affatto.» disse scuotendo il capo. «Kas’yan Rybakov. E il tuo come finisce?»
«Lepont.» sbottò il nano, irritato.
«Siete andati lontani a pescarlo.» disse, ed era sinceramente sorpreso. Lasciò andare la mano e fece un cenno del capo verso l’auto, lasciando che gli altri capissero pure quello che volevano. Sarebbe stato più che felice di lasciarne qualcuno lì, a gelarsi il culo.
«Ci è capitato.» rispose Andreevič, scivolando lentamente nel posto alle sue spalle e allungando il volto verso di lui. Una zaffata del suo odore lo raggiunse – misto di sesso e fumo, non c’era altro modo per definirlo, e che Dio lo stramaledisse! Quella puzza lo nauseava. «Dunque, chi è la ragazza?» Vicino, troppo… come avrebbe resistito alla tentazione di ammazzarlo?
«Una utile. Dobbiamo portarcela dietro.» rispose a mezza bocca, inserendo le chiavi nel cruscotto. Ivan si sedette e chiuse la portiera, violentemente. «Sbatti tua madre la prossima volta!» Urlò, cercando di non pigiare il piede sull’acceleratore e lanciarsi verso il bel muro della stazione di polizia, portandosi dietro per buona misura anche un paio di quei corrotti figli di puttana in divisa.
Forse sarebbe valsa la pena sacrificare la vita sua e di quei due poveri imbecilli che avevano avuto la sfortuna di salire in quell’auto assieme all’albino e al suo gorilla… ma la macchina! Gli piangeva il cuore al solo pensiero di vederla ridotta a un ammasso di lamiera fumante.
Andreevič era scivolato in mezzo, fra il bimbo e il suo cagnolino, che sembrava non riuscire a staccarsi dal fucile. Ci scopi anche, con quello? Stava per chiedere, ma non era sicuro di voler sapere la risposta. «Lo usi per impressionare le donne, il fucile, o per convincerle? Compensa la scarsità là sotto?» domandò invece, alzando la temperatura fin quasi ai trentotto e abbassando il finestrino. Vicino a lui, la ragazza cominciò a sbiancare.
«Utile a cosa?» domandò Andreevič. Lanciando un’occhiata allo specchietto, vide l’albino alzare una mano davanti alla faccia di Ivan. Gli dice di stare calmo come lo direbbe a un cane. Diavolo, che razza di uomo è uno che si fa mettere i piedi in testa così? E ci rideva anche, l’idiota. Ovvio che si nascondesse sempre dietro gli occhiali: l’imbarazzo era il minimo accettabile.
«Chiediglielo.» rispose semplicemente, svoltando e immettendosi nel traffico, al tramonto più intenso.
Era a suo agio, ora: guidare era una delle poche cose che riuscissero a calmarlo veramente.
Senza aprire bocca l’albino si sporse, premurandosi di strusciare una di quelle sue mani bollenti sul suo viso, in una carezza che lui sopportò, stoico: sapeva che quel contatto non era piacevole per nessuno dei due e che, se si fosse girato a morderlo, avrebbe avuto il sapore del suo sangue in bocca per giorni… e questo lo allettava molto meno di uno sfiorarsi passeggero.
Andreevič si allungò con il busto quanto gli serviva per arrivare al viso della ragazza, mezza rannicchiata contro la portiera del passeggero e bianca come un cadavere. Le prese la mascella fra le dita e strinse, talmente forte che quella prese ad agitarsi, improvvisamente rianimata. Cercò di liberarsi, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce rosso, in una muta commedia talmente squallida da deprimerlo. Stava quasi per tirare fuori il coltello e piantarlo nel gomito dell’albino maledetto quando questo la lasciò andare, ritirandosi lentamente indietro con quel sorriso del cazzo stampato in faccia.
«È muta?» domandò con calma, cercando il suo sguardo nello specchietto retrovisore. Lui lo evitò.
«No, vuole scherzare. Ha sentito che a te piacciono quelle silenziose e i collari, e vuole far colpo. Certo che a te proprio non sfugge niente. Sei una volpe.» rispose col suo migliore tono neutro, frenando bruscamente appena dopo un autovelox. Sentì il tonfo di tre corpi che si schiantavano contro le cinte di sicurezza bloccate, e le imprecazioni del nano biondo. Questa sarà bella salata pensò, con soddisfazione. Il conto non è mai abbastanza caro, per Anton Andreevič? Vedremo se è vero.
«Che ne dobbiamo fare?» gli domandò l’albino. Non si era spostato nemmeno di un centimetro. Previdente. Deve davvero fare il bullo anche con la fisica?
«Io eseguo gli ordini e non faccio domande. Lo dovresti sapere, ormai.»
«E i tuoi capi non ti hanno detto proprio niente?»
«Lei non viene dai miei, ma dai vostri.» disse, alzando le spalle e il riscaldamento, per contrastare l’aria gelida che arrivava dal finestrino della ragazza, ora spalancato.
«Interessante.» commentò l’albino, osservandola ora con un accenno di genuina curiosità. «Che mi dici di lei?»
«Primo, quel tono da “qui comando io” te lo levi, o te lo tiro fuori io assieme alle corde vocali. Secondo, come cazzo pensi che dovrei fare a…»
«Se chiudete quei cazzo di finestrini ve lo dico io. Russi del cazzo! Volete farci morire assiderati?» il nano si era messo a urlare. Si stringeva nella giacca cercando di scaldarsi, ma a quella velocità era impossibile. L’aria doveva avergli gelato anche le palle, ormai. Quella giacca!... leggera, di uno che non sta qui abbastanza da notare il freddo. E quegli occhi… droga. Eroina? Merda, perché ho accettato?
Lo sapeva troppo bene. Non poteva rifiutare, non questa volta.
«Mamma e papà parlavano, ragazzino.» si limitò a dire mentre allungava le dita ai comandi nascosti dietro il volante. Click. Senza preavviso, l’auto si riempì del suono elettrico di una tastiera. «C’è una coperta dietro, Lepont. Allungati. E, se dovete dire altre stronzate, state zitti. Queste sono le sole voci che voglio sentire per le prossime nove ore.»
La voce di Dave Gahan, assordante, riempì l’abitacolo. Davanti a lui la strada era libera, ora: viaggiava a duecentosettatta sull’ultima corsia, superando vecchie macchine del periodo sovietico e utilitarie straniere con un piacere che poco altro gli dava.
Nessuno fiatò e, per un momento, tutto fu perfetto.
Poi, lì dietro, il nano si strinse all’albino, le mani che scavavano frenetiche nella giacca nera del suo completo da riccone del cazzo. Prestando un’ultima volta attenzione a loro, lo sentì implorare.
«Dammene un po’. Questo viaggio è già troppo lungo.»
Rise, e cominciò a cantare sguaiatamente, accelerando.
Oh, c’era qualcosa di più meraviglioso al mondo che inacidire Anton Andreevič?




 
1 Sto ancora recuperando
Ancora superando tutte le sofferenze
Più noto per la mia rabbia
Che per qualsiasi altra cosa
(The sinner in me, Depeche Mode)

 
Piccolo Spazio-me:
Perdonatemi! Ci sto mettendo una vita ad aggiornare questa storia, nonostante abbia i capitoli già in parte scritti =_=' purtroppo ho avuto problemi col pc (è ufficiale: odio gli Asus!!) e dall'Ipad pubblicare è improponibile =_=' presto risponderò anche ai commenti (sono rimasta indietro anche lì e me ne vergogno da morire). Vorrei provare a promettervi un capitolo ogni due settimane, per il momento, e spero davvero di poter accorciare il tempo di attesa, università permettendo :(
Comunque, ecco a voi tutti i personaggi principali, finalmente :D Devo dire che scrivere di Kas'yan mi ha divertita parecchio: quando l'ho immaginato lo vedevo come una sorta di personaggio secondario, la "spalla" del gruppo - e mi sono davvero stupita di come abbia cercato di emergere, nonostante la mia pianificazione! Credo che sia uno dei personaggi che più di tutti, in questa storia, si è dimostato vero, e questo me l'ha fatto amare particolarmente... e voi che ne pensate? Come lo trovate?
E la ragazza? (che ha un nome, giuro, ma in questo capitolo non sono riuscita a farlo stare, nonostante tutti i miei tentativi... maledetto teppista rosso, ha monopolizzato la scena >_<)
Ok, torno nel mio angolino a premere tasti, sperando di tirarvi fuori qualcosa di buono :D 
Vi amo, sappiatelo, per la pazienza - e spero che ci siate ancora, dopo questa mia dichiarazione :D e grazie, grazie, grazie per i commenti *-* 
Come al solito:
 
È assolutamente vietato riportare questo scritto, sue parti o, in ogni caso, utilizzare personaggi, situazioni o qualunque altra cosa di questa storia che mi appartenga. 

Il banner è preso dalla galleria di SirWendigo. Fate un salto a quel link, mi raccomando!
  
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