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Autore: tixit    14/04/2015    6 recensioni
Oscar vuole chiede qualcosa ad André e lui le chiede se ci ha pensato bene, davvero bene.
Ha valutato tutte le possibilità?
Ambientato la sera in cui Oscar deve decidere se entrare nelle Guardie Reali o meno.
In parte OOC.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: e così, con questo capitolo, si chiude la sbirciatina nei pensieri di André. Speriamo che a furia di pensare non gli sia venuto un gran mal di testa.
Volevo chiudere in fretta questa lunga parentesi di viaggio nel tempo tra le pare del giovanotto.
Per una settimana non penso aggiornerò più.
Buon divertimento (io, di sicuro, mi sono divertita).

Note2: Rifatta, dopo averne parlato con Lucy (che ringrazio moltissimo, anche se ha dato del porcellino ad André... giustamente) - spero che alcune cose siano più chiare e pure più carine :)
E grazie anche a pamina.

Non se c'è qualcosa di particolare da dire prima di un capitolo - André qui è una specie di talentuoso poliedrico ragazzotto, ma, all'epoca sua, non c'era la televisione e la gente o dormiva, o lavorava o si esercitava con qualche cosa... e poi suonava alle feste in cascina, mica alla Scala ;P (più roba da complesso del Primo Maggio - che in genere si esibisce sotto il sole di pomeriggio - con la chitarra acustica scordata, calante - che la gente che balla a torso nudo neanche la sente).
Altro però non sa fare - non è che nel prossimo capitolo si mette a dipingere, per dire, o a ricamare a punto croce...

C'è altro?
Vabbè, è un capitolo di una fanfic... divertitetivi :)

 

 

Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

 

Capitolo IX
Non è per una domanda a cui non ho risposto

 

Poi, una sera, senza averlo pianificato, aveva cercato di ripagare, in qualche modo...

 

 

Non avrebbe mai saputo dire perché accadde quella sera e non quella dopo. O magari perché non la sera prima.
O quella prima ancora.
O il mese prima, che forse sarebbe stato ancora meglio.

Fu quella sera e basta.

 

André, lasciò coi pensieri quella cucina troppo affollata, e tornò, come uno spettatore imparziale, a quella sera.

 

Era sgusciato in camera di Oscar, passando per il corridoio di servizio.
All'inizio voleva solo parlarle, magari non raccontarle proprio tutto tutto - c'erano dettagli che erano solo suoi - ma almeno parlare.
Gli era mancata - allora non lo sapeva, pensò l'André che stava nella cucina: l'altro André, quello ragazzino, era un po' scemo e non si capiva bene da solo, o non lo ammetteva, ma lui, quello più grande, adesso, lui lo sapeva con certezza: la peste gli era mancata.

L'aveva trovata inginocchiata davanti al caminetto di marmo, che fissava le fiamme, scontrosa, le sopracciglia aggrottate e, gli era venuta una gran rabbia fredda nel notarlo, stanca, terribilmente stanca.
E triste, terribilmente triste.

“Non hai cenato.” Il vassoio era intatto. Lei aveva scosso la testa, ma non aveva aggiunto nessuna spiegazione. 

Era più o meno da quel giorno in Normandia, che la vedeva spesso così, a volte addirittura avvilita, come se si vergognasse di qualche cosa che aveva fatto e che tutti sapevano.

Era da quel giorno che lui si sentiva in imbarazzo con lei - brutta cosa aver fatto un errore, eh! - e, quando la sua compagnia non era necessaria, la evitava.

Si trovava con Jaquot e Michelon e passavano a trovare la Dama In Grigio, sempre pronta ad avvilupparli nell'intreccio dei suoi ricordi, o a farli discutere tra loro, intervenendo con le sue idee, come fossero in una bottega di caffè - Le Café de la Pleiade come diceva Michelot, tirandosi su gli occhiali con l'indice e ingozzandosi di dolci, con Jaquot che, a volte, lo prendeva in giro. 

Oppure si infilavano in qualche osteria di poco costo - una bettola pulciosa, pensò divertito -  per le loro prime uscite da veri uomini, dove, sicuro, l'oste li imbrogliava spacciandogli qualche mistura di avanzi per vino appena discreto. E loro, i cuccioli scemi, che pure erano abituati a ben altre cantine, nemmeno se ne accorgevano, affascinati come erano dalla convivialità rumorosa, di cui, finalmente adulti, erano parte.
Adulti secondo loro, non certo secondo l'oste. 

O se ne andava alle feste di paese - senza Jaquot, per carità, che non era figlio di contadini e di certi divertimenti di campagna non capiva proprio niente.
Aveva cominciato in Normandia, riscoprendo le bourrée: per lui, ad un certo punto, erano diventate solo pezzi delle Suites Inglesi, da studiare con Oscar, al clavicembalo, complicate, ma una volta lì s'era ricordato dell'odore delle frittelle e delle mele, del sidro, delle feste per qualche Santo, vendemmia o raccolto, quando ballava con sua madre e le sue amiche, in un ondeggiare di gonne tutte più alte di lui, i suoi fratelli che gli sgusciavano intorno, sicuramente facendo qualche danno e rimpinzandolo di mandorle caramellate.

All'inizio andava lì con il suo violino, per suonare insieme agli altri - aveva fatto un po' di fatica a cambiare il genere, ma un violino in più fa sempre comodo, molto più che un ballerino - gli piaceva quando c'erano i marinai inglesi, o i contrabbandieri che portavano lana e prendevano vino: parlavano un inglese che c'entrava proprio poco con quello delle poesie di Marlowe, quelle che all'inizio piacevano solo a Oscar. Venivano dalle Scilly, dalla Cornovaglia, a volte dall'Irlanda - va a sapere. E volevano le loro canzoni, che a lui piaceva suonare da quando aveva scoperto il reel.

All'inizio suonava e basta - c'era voluta un'infinità di tempo e qualche bicchiere di sidro perché trovasse il coraggio di invitare una ragazza a ballare in cerchio. Che fesso!


Oppure, semplicemente, leggeva in camera sua.

 

"Ti senti bene?" le aveva chiesto, preoccupato.

Lei aveva annuito, senza guardarlo.

"Vuoi andare a dormire? Sembri molto stanca..."

Aveva annuito di nuovo.

Allora si era allontanato, sospirando; non era il momento giusto, magari domani, "Ti lascio sola?" le aveva chiesto titubante, sulla porta.

"Per piacere" una vocina così sottile.

"Io, da sola... " aveva continuato a fatica la peste, poi aveva alzato lo sguardo, occhi blu, seri seri, dentro occhi verdi "non mandarmi Margot." 

Aveva capito da solo cosa le serviva. Non poteva che essere d'accordo.

“Dai, vieni qui, facciamola finita!” l'aveva fatta alzare brusco, quasi sgarbato, afferrandola per un braccio e allontanandola dalla luce.
Lei lo aveva guardato sorpresa - due occhi enormi, che lo scrutavano, così diffidenti, nella penombra - ma lo aveva lasciato fare.

 

Lui le aveva slacciato la giacca da casa, lunga fino alle ginocchia, prima con gesti bruschi – irritato con se stesso, con il Generale, con la Nonna, con Margot-Pur-Beurre, con tutti gli abitanti di quella casa, tranne uno – poi, vedendola sobbalzare, incerta, forse un po' spaventata, si era fermato.
Le aveva sistemato le ciocche bionde dietro le orecchie scoprendole il viso e l'aveva guardata interrogativo, senza dire nulla. Aspettando.
Lei a un certo punto aveva annuito.
Così lui aveva finito di slacciarle i bottoni, cercando di essere delicato, inginocchiandosi davanti a lei.

Dopo la giacca, fu la volta del panciotto.

Come il panciotto scivolò a terra, Oscar gli scoccò l’ombra di un sorriso. Ma non disse nulla.

Delicatamente, aveva cominciato a slacciarle la camicia, ma al terzo bottone lei lo fermò, arrossendo, la sue mani su quelle di lui.

“Preferisci fare da sola?”

Lei annuì, si voltò, e, dandogli le spalle, fini da sola, un bottone alla volta, in una eternità. Sfilò una manica, poi l’altra, un po’ timida.

La sentì sospirare e poi si voltò, “Srotolami!” con la stessa aria impertinente di quando giocavano a nascondino con altri ragazzini e si mettevano d’accordo tra di loro per tentare un tana-libera-tutti.

Sollevò le braccia e lui, tolti alcuni spilli (spilli?!? Cosa ci facevano?!?)  la fece girare su se stessa, come un pacchetto pazzo, una trottola bionda, ridendo, tutti e due divertiti. Di nuovo complici.
Arrivati all’ultimo lembo lei si fermò incerta, le mani incrociate sul petto, stringendo quell'ultimo pezzettino di stoffa, indecisa, si capiva, tra un pudore che non le era ancora familiare e la voglia di tornare a sentirsi libera; lui l’afferrò e la fece voltare su se stessa, mezzo giro - non voleva metterla in imbarazzo, non era lì per quello, non era lì per prenderle qualcosa, “Dai, non ti guardo” la prese in giro, “e poi so benissimo come sei fatta: non c’è molto da vedere”. La sentì ridere, rilassata. Si appoggiò contro di lui e poi, sobbalzando, si ritrasse: “Ahi!”

La attirò vero il fuoco e le esaminò la schiena; scosse la testa disgustato: chiunque le mettesse quelle fasce era solo un criminale. Le fasce di per sé non gli sembravano una grande idea, magari si sbagliava eh! ma quel lavoro... era un lavoro fatto con tanta cattiveria, apposta per far male.

“Vado a prenderti qualcosa per quella schiena,” le disse asciutto, "torno subito".

Quando rientrò nella stanza, carico di boccettine, pezze e acqua calda, il balsamo in quella casa non mancava mai; la trovò sul letto a pancia in giù sulla sua camicia, tranquilla, abbracciata al cuscino. Una bambina.
Le legò i capelli, una treccia veloce – lei glielo lasciò fare, silenziosa, senza protestare - e poi cominciò a disinfettarle la schiena oramai libera – non poteva andare avanti così, lei faceva una vita molto attiva, non era adatta a questo.. questo... scempio... “chi te le mette?”

“Margot” la sentì mormorare nel cuscino.

Margot... ma certo, la bella Margot, Margot burrosa e appetitosa come una torta alle mele della Normandia, la bella Margot-Pur-Beurre, dalla pelle di latte, che detestava stare rintanata qui, con una ragazzina che studiava tutto il giorno e servitori bacucchi, e precettori incartapecoriti, invece di stare a Versailles a fare la decima sottocameriera impersonale o le settima sottoresponsabile dei tacchi delle scarpe o sa il Cielo che altro facesse a Versailles, a seguito della Contessa Jarjayes... con tutto un manipolo di servitori giovani e belli, vestiti con livree colorate che giravano per il palazzo pronti a farle la Corte, a dirle quanto era bella, a rubarle un bacio...

Non che non la capisse: con Oscar e la sua vita spartana, Margot, quasi donna, non c’entrava proprio niente. Quelle due non avrebbero mai legato, era chiaro, nessuna delle due aveva qualcosa da offrire che potesse interessare all'altra, inutile pensare che sarebbe sbocciato magicamente dell’affetto, ma questo... questo non giustificava... questo era davvero troppo.

Da tempo si era messo ad osservare le persone di quella Casa in funzione del loro rapporto con Oscar.
Non perché quella peste fosse il centro del mondo - ci mancava solo quello - ma perché era facile da ferire: Oscar non si metteva a piangere, non correva a lamentarsi da nessuno, Oscar incassava senza far trasparire mai se il colpo era andato a segno o meno.
Tanto era brava ad attaccare, tanto, a volte, era carente nella difesa: certe volte era come una paperetta senza grasso sulle piume. Da certe pioggerelle su cui un altro avrebbe non dico riso, ma almeno sospirato rassegnato, uno dei tanti dolori del mondo – la vita non mica facile per nessuno, che si credeva mai, lei? -  la ragazzina usciva fradicia.
Apparentemente gelida, una umiliazione la consumava peggio di un fuoco.

Proprio per quel motivo con lei era facile essere cattivi e farla franca - e così quella peste era la cartina di tornasole del vero carattere degli abitanti della Casa, perché sembrava non rompersi mai.

Sbagliavano eh!

Non solo umanamente, ma anche perché dentro, a lui era molto chiaro, nella peste, c’era una vena di spietatezza da Vecchio Testamento, spietata per prima verso se stessa, molto spietata, e poi con gli altri - occhio per occhio, dente per dente – prima o poi, se le riusciva, pagava sempre i suoi debiti.

 

“Quando te le toglie, Margot, non ti mette nulla?” chiese cercando di usare un tono molto gentile.
“No...”
“Ma te le toglie ogni sera? Vero?“ insistette.
“No, non tutte le sere..." mormorò lei.
"Ma tu chiamala e faglielo fare!" - era proprio dure essere gentile, a volte, anche se lei non c'entrava niente.

"Io preferirei spogliarmi da sola... come prima" mormorò, "ma... io, da sola...” la frase morì soffocata nel cuscino, ma non era difficile capire come era finita. Dura dire "non ci riesco" eh?

“Ma accidenti Oscar!” sbottò esasperato, “Questo non va assolutamente bene! non è un gara di... di resistenza! Bastava che chiedessi! Dovevi solo chiedere... saresti solo dovuta venire... o piuttosto, andare da... “ tacque imbarazzato, eh si, andare da chi? Di chi si fidava davvero la peste?

Lei non disse nulla. Mortificata.

Le spennellò con tanta cura tutte le escoriazioni – quelle erano di Margot, ma non erano solo di Margot, pure lui aveva fatto la sua parte - e pure i lividi - quelli erano tutti suoi - sentendosi morire.
Strizzata in quell’armatura era troppo lenta e goffa.
Si sentiva arrabbiato. 
Era arrabbiato. 
 

“Sai... sono contenta che stasera... che sei tornato” sospirò la ragazzina, “con il balsamo, intendo!” chiarì in tono scortese.

André le accarezzò piano i capelli - avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva essersene stato per i fatti suoi in questi mesi, che, onestamente, gli piaceva molto quel tempo per sé, ma che gli era mancato non raccontarle dove era stato o cosa aveva fatto, dopo, condividerlo con lei, che una sera gli sarebbe piaciuto portarla con sé a una festa di paese, perché si sarebbe divertita, e poi era un suo pezzo di vita prima di lei e glielo voleva far vedere,  che gli bruciava da morire per essere stato scemo, che scappare non serve proprio a niente, l’aveva imparato, che è una cosa che con gli amici non si fa, e che poteva chiedergli di ripagare quel debito quando voleva, fissasse lei il prezzo.
Ma non glielo disse perché tanto la peste avrebbe fatto finta di non capirlo.

"Il ritorno è sempre la parte più gradevole di un viaggio" scherzò senza scherzare, “Voltati! Così finiamo.”

Lei scosse la testa, decisa.

Avrebbe potuto rovesciarla, quella schiena non gli era piaciuta per niente, chissà il resto, ma capì che per lei quello era proprio un no.

“Va bene, ti lascio qui un po’ di cose, ma, se ti serve qualcosa, qualunque cosa, fammi un piacere, non fare la scema e chiama la Nonna” le disse volutamente asciutto.”Per un po’ non devi assolutamente mettere questa roba: dobbiamo andare alla scuola di scherma per allenarci... perderesti solo tempo, conciata così, con quella roba ridicola...”

La salutò, con il vassoio della cena in bilico su una mano; sulla porta la sentì sussurrare una frase, una domanda, ma, imbarazzato, fece rumore con il vassoio della cena facendo finta di non aver sentito.

 

Scendendo le scale pensò alle sue possibilità... avrebbe potuto arrabbiarsi con Margot, gli sarebbe anche venuto molto naturale, ma lei si sarebbe stretta nelle spalle e avrebbe detto che quelli erano gli ordini e che sapeva ben lei come si faceva il suo mestiere. Arrabbiarsi e recriminare non serviva.
E lui sarebbe apparso troppo interessato e quindi poco credibile, se non addirittura morboso: la biancheria del figlio del Generale non erano esattamente fatti suoi.
Farle notare che sbagliava nemmeno: quello che aveva fatto lo aveva fatto per dispetto, magari pure convinta che quella ragazzina troppo orgogliosa e dalla lingua troppo lunga, al piano di sopra, se lo meritasse.
Un modo per farle abbassare la cresta e farla diventare... cosa? una ragazzina da convento? Storse il naso - impossibile.
Quanto al buon cuore... come no? crediamoci! Se non s'era fermata da sola, non si sarebbe fermata di certo per lui.
Anzi... sarebbe stato come metterle in mano un'arma, dicendole che era perfetta per cacciare quel tipo di preda. Per carità.

Dirlo alla Nonna sarebbe stato giusto, ma era troppo buona e non l’avrebbero ascoltata – sarebbero sembrate le solite esagerazioni di una chioccia.

Così scherzò con Margot-Pur-Beurre, la corteggiò, quella sera, e le raccontò che la piccola Oscar con quelle fasce era davvero troppo goffa, troppo lenta... non imparava bene e rischiava di farsi pure male! e per nascondere cosa, poi? Non era certo una burrosa delizia come la bella Margot... e poi, che cosa ridicola... d'ora in poi avrebbe dovuto avere una balia che la vestisse e la svestisse tutte le sere?

Gli pesò, gli pesò da morire - per natura era leale - ma, decise, la lealtà va conservata per chi se la merita.

Non seppe per che via il messaggio arrivò al Generale, ma arrivò – era certo che sarebbe arrivato: primo perché quella era la Casa dell’Inganno, e, come il messaggio del cagnolino scemo era arrivato la prima volta, sarebbe arrivato anche la seconda.
E poi perché al Generale interessava risolvere un problema, non crearne uno nuovo - la cagnolina doveva essere messa nelle condizioni di essere addestrata al meglio, non mortificata per il gusto della mortificazione. Di certo non andava danneggiata.

Non sarà stato un mostro di sensibilità, ma il Generale era giusto con i suoi uomini.

E la peste che abitava a casa sua era un suo uomo.

 

Le fasce rimasero per gli ospiti e le uscite ufficiali.

 

André si riscosse dai suoi ricordi e osservò questa Oscar, la versione attuale di quella ragazzina, avvilita anche lei; quella domanda a cui non aveva risposto, quella che gli aveva fatto allora, senza avere il coraggio di guardarlo e senza quello di ripeterla, gli era rimasta qui.
Ma allora era troppo giovane, non avrebbe mai potuto dirle quello che allora gli sarebbe venuto naturale dire: sarebbe stata la risposta onesta di un ragazzino – un po’ troppo onesta.
Non molto elegante.


E non da poeta elisabettiano.

Decisamente.

   
 
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