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Autore: CrisBo    15/04/2015    2 recensioni
Niente odora di caciotta e umidità come il bancone del Green Man.
È oblungo, scuro e coperto da crepe e cicatrici informe di sigarette e sigari abbrustoliti. Colpa dei passanti che ci hanno riversato sopra lacrime e risate, grida e lamenti, chi per una partita del Manchester finita male e chi per una donna fatale senz'anima. Quanti bicchieri di whiskey e amaretto consumati, rotti e martoriati, quante storie hanno avvolto il legno composto e un po' rustico di quel locale casalingo. Se ogni uomo ha una sua storia allora il Green Man – che di uomo ha almeno il nome – ne ha contate più di diecimila. [Dal prologo]
************
In una città dell'Inghilterra farete la conoscenza di Grace, di Alex, di Penny, Locke e una miriade di altri personaggi che il Green Man ha adottato tra le sue mura. Sarà proprio lì che l'incontro con un gruppo di attori cambierà la loro quotidianità. Perché c'è chi resta e chi va: ma ciò che succede al Green Man rimane al Green Man.
[ STORIA IN SOSPESO. Riprenderò al più presto. ]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aidan Turner, Dean O'Gorman, James Nesbitt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7.
Preparazioni

Il giorno dopo andai in perlustrazione nella mia zona di riciclo con Walter e mi portai al Green Man due nuovi CD nuovi di zecca, uno era ancora ricoperto dalla pellicola trasparente. Probabilmente qualche dono di compleanno che non era stato apprezzato abbastanza; non conoscevo l'artista, era una sorta di tizio munito di baffi e ukulele, dalla camicia hawaiana e col nome in codice di “Bali”, che è anche una nota meta turistica per chi ama molto i gamberetti.

Approfittai dell'assenza di Locke per immergermi nelle note pizzicate molto caraibiche del suonatore baffuto – assomigliava molto a mio padre, era inquietante – e mi immersi in una pulizia solitaria del mio bancone.

Avevo ancora i rimasugli del mal di testa della sera precedente e non aiutava il fatto che avessi il cellulare che trillava ogni tre secondi.

Era Pollonia, ovviamente, che mi mandava foto sui suoi completi vestiari per la cena con Richard.
Aveva anche provato a riempirmi di note vocali con svariate prove per dire determinate frasi, così che mentre ascoltavo “Bali” parlare delle Balene fosforescenti, sentivo anche svariati “Sì, vorrei altro vino Richard”, o “Molto divertente, parlamene ancora” o “No, quel vestito non ti fa assolutamente sembrare grasso.”

Mi chiedevo in che razza di conversazione s'aspettasse di incappare Penny con Richard ma non m'azzardai a pormi domande e la lasciai continuare a mandarmi queste perle di saggezza. Alla fine le dissi che il suo vestito porpora era perfetto e la frase “Grazie per la cena, è stata bellissima” sarebbe stata la più gettonata, quindi alla fine si convinse e mi lasciò definitivamente da sola, smettendo di trillarmi con messaggi ansiosi.
Anche se qualche volta m'arrivavano punti esclamativi pieni di angoscia.

Solo allora mi resi conto, effettivamente, di quello che era successo la sera precedente. Penny non l'avevo mai vista così agitata e aiutarla mi risultava difficile visto che era una novità, Locke mi sembrava molto più solare e permissivo del solito, Alex era uscito con Aidan e Dean come se fossero amici da sempre e io m'ero fatta accompagnare a casa da James.

Mi bloccai come una pera davanti ad una fila di tavolini con le poltroncine e cominciai a rimuginare sull'accaduto.

Mi ricordavo di lui che tentava di non farmi scontrare contro gli alberi – per inserirmi nella mia porta d'ingresso devo superare degli alberi in fiore, fa molto Minas Tirith nei suoi tempi d'oro – e mi ricordo d'aver interloquito di ghiande e castagne con una volpe dagli occhi un po' fantasmagorici.
Mi ricordo di James che rideva, che mi teneva per le spalle e mi raccontava cose che riguardavano “Eh ai miei tempi” ma poi avevo il buio. Forse mi ha dato una pacca sulla testa ma chi può mai dirlo.

Ripresi a pulire mentre ballavo un po' a ritmo della nuova canzone del tizio baffuto; questa parlava di barche a vela che vengono travolte da una tormenta di neve.
Forse non aveva ben chiaro il clima, il povero Bali, ma alla fine a me non importava.
Avevo la mente deviata verso il mio subconscio quando sentì lo scampanellìo della porta d'ingresso.

C'è da dire che il locale non si riempie mai prima di cena, nonostante riserviamo spesso aperitivi mastodontici e lo chef ci grazia con odori di cibo non indifferenti.
Di solito veniamo invasi dalle masse solo dopo le nove e durante la settimana è cosa rara che occupiamo tutti i tavoli.

Io me la prendevo sempre comoda con le pulizie anche per questo e permettevo a Walter di gironzolare per il locale facendolo sentire un po' il padrone del posto; quel giorno s'era adagiato su una delle poltroncine vicino alla libreria e, colta da un momento di demenza, gli ficcai cappello tra le orecchie e pipa in bocca – dimenticati da Shan nei suoi deliri sulle scarpe troppo costose – e cominciai a interloquire con lui fingendo di essere Watson.
Lui ovviamente era Sherlock Holmes.

Era ancora conciato così quando mi ritrovai davanti un nuovo cliente. Non l'avevo mai visto e aveva l'aria di un tipo conosciuto, ma non riuscivo a cogliere. Anche lui senza capelli – era proprio un vizio – ma aveva una folta barba grigia che gli prendeva anche la basette.
Era piuttosto alto e ben piazzato, sembrava avesse appena finito di pomparsi il fisico.
Rimasi un attimo in silenzio, ma sorridente.

«Salve. Per caso cucinate?»
«Oh sì, certo. Abbiamo lo speciale del giorno, oppure posso chiedere se-»
«Speciale del giorno, va bene.»
Secco e conciso si levò la giacca di pelle e si ficcò subito al bancone, guardando il mio cane con sguardo che non lasciava sfuggire neanche mezzo sorriso.
Aveva prepotentemente l'aria di uno che avevo già visto da qualche parte ma non riuscivo a ricordarmi.

Magari era un amico di Locke o uno di quei clienti che arrivano un po' come fantasmi e quando se ne vanno lo fanno in silenzio, lasciando solo cospicue mance.
Gli chiesi se voleva da bere e lui mi indicò una tranquilla Foster's e mandai allo chef la comanda.

La cucina era invasa dalla nebbia dei fumi e così riuscì a comunicare con lui tramite gesti e segnali di fumo prima di ritornare verso il bancone.
La distanza non è troppa ma abbastanza da isolare entrambe le zone.
Non appena ritornai alla postazione assistetti alla scena più bella della mia vita.

«Dovresti smetterla di riempirti di oppio e cercare di disintossicare la mente, Sherlock, questo compito non ha nulla di irrazionale.»
Il mio cane guardò verso l'uomo con la sua solita aria annoiata e lo sbuffo facile. Gli colava un po' il naso mentre sbavava sulla pipa di Shan.
«No. No, non andremo a saccheggiare tombe, questo se lo scorda.» Disse l'uomo agitando un dito.
Aveva l'accento scozzese e il volto gli era diventato un po' rosso.
Il mio cane fece un rantolo.
«Io sapevo che mi sarei cacciato in una brutta storia, perché non imparo mai a non darti retta?»
Il mio cane sbuffò e voltò la testa dall'altra parte.
«Ah adesso sarebbe colpa mia?»
Il mio cane diede una zampata al bracciolo della poltrona.
«No, questo è troppo. Io me ne vado.»
E dopo quest'ultimo atto mi ritrovai l'uomo a fissarmi, afferrando il suo boccale e sorridendo con aria molto addolcita.
Io stavo ridendo da un quarto d'ora per quella scena e scossi il capo, piantando le mani sulla faccia.
«Non ci credo: io parlo con lui tutti i giorni e non c'è mica verso di farlo ragionare. Adesso vedrà che si metterà a suonare il suo violino.»
«Che ce ne scampi, beviamoci su.» Mi disse lui e alzò il boccale prima di bere con gusto.
Io ripresi a ridere. Era uno di quei casi in cui l'apparenza ingannava, non era per niente scorbutico. Il mio telefono trillò di nuovo e quando lo presi vidi un selfie dall'alto dove c'era Penny con una strana bocca a papera e un cappello oscenamente grosso.

Le scrissi subito di togliersi quel gazebo dalla testa e lei mi vocalizzò un “guastafeste” un po' isterico.
«Problemi?» Mi chiese l'uomo mentre uno degli aiuti chef spuntò dal nulla, piazzò il piatto davanti al naso dell'uomo e tornò e verso il fumo nero scomparendo dalle nostre viste.
«Una mia amica ha un appuntamento con un attore, non so neanche io come sia possibile. E ora è agitata come non l'ho mai vista.»
Lui sorrise e cominciò a mangiarsi le bistecca come se non mangiasse da due secoli.
Era vorace, fin troppo, mi ricordò ancora di più qualcuno ma non riuscivo a cogliere il punto. Odiavo quella sensazione, come quando non ti ricordi il titolo di un film o di una canzone e passi tutto il giorno a rimuginarci senza più riuscire a pensare ad altro.
«Posso sapere che attore sarebbe o è un segreto?»
«Non so se lo conosce, è un certo Richard Armitage. Ha fatto Thorin nello Hobbit e... » sospirai, un po' sconfortata «Anche Guy in Robin Hood. Ma quello è un brutto trascorso che tendo a dimenticare nei meandri della mia mente.»

Lui stava sghignazzando come pochi mentre tranciava via la carne con i denti.
«Fa sempre il mandrillo, è proprio un caso disperato.»
Corrugai la fronte, un po' sconvolta. «Lo conosce?»
«Eh sì.»
Rimasi a fissarlo come un gufo, sperando di cogliere in lui un dettaglio che mi avrebbe fatto scattare la lampadina sulla testa ma niente, avevo un vuoto totale.
Diedi tutta la colpa alla sbronza del giorno prima e non m'azzardai a fare altre domande.
Odiavo dover risultare indiscreta, anche se morivo dalla curiosità.

Intanto il mio nuovo amico Bali prese a suonare anche il bongo, nel suo CD, e decisi che era il caso di cambiare musica così Locke non mi avrebbe punito negandomi la cheescake dopo il turno.
Era una tradizione, ed era solito vendicarsi con me distruggendomi il languorino da fine lavoro.
«Mi ha detto lui di venire qui, lui e quegli altri pazzi che – purtroppo – sono venuti a trovarli. James mi ha detto di chiedere di una certa Grace, una bella ragazza dall'imbarazzo facile e la propensione a fare cose strane, come vestire il cane da Sherlock Holmes.» Poi sorrise un po' spavaldo. «Scommetto che sei tu, eh?»

Ero diventata paonazza e mi bloccai come un Troll a guardarlo.
James aveva detto a questo qui di chiedere di me?
Una bella ragazza? Cosa?
«Ho capito chi sei!» Esclamai io senza più controllare i pensieri. «Sei tu!»

«E meno male che lo sono!» Rise lui.
Io boccheggiai per qualche istante e poi la porta scampanellò. Entrò Alex con degli striscioni e delle scatole abnormi, salutò il cliente e andò a conficcarsi dentro il magazzino.
Dietro di lui comparve Paul con le cuffie alle orecchie e la maglietta di X-files – una delle tante cose che avrei voluto rubargli – e Aidan e Dean. Tutti erano provvisti di scatole, trombette, palloncini, sacchetti della spesa, cappelli imbarazzanti e un paralume.

La serata non era neanche cominciata che già non capivo più niente.
La festa per Martin Freeman era stata programmata per il venerdì successivo, mancavano due giorni e tutti s'erano prodigati ad aiutare Locke con la preparazione.
Mi chiesi se fossero tutti in vacanza o, semplicemente, non avevano niente da fare durante le loro giornate.

Il mio Sherlock-cane piombò giù dalla poltrona con un salto olimpionico e si tuffò su Dean, cosa che lo fece cadere di sedere sul pavimento.
Volevo ridere di quella scena ma la mia gelosia da padrona mi aveva ripreso e mi ritrovai a fissarli mentre giocavano a terra, con Dean che rideva come un pazzo e Aidan che gli piantava calcetti sul braccio.

«Ma smettila di fare robe coi cani e vieni a darci una mano.»
«Non è colpa mia se mi amano tutti.»
«Sta tentando di mangiarti, non ti ama.»
Mi trovai d'accordo con Aidan senza volerlo e, questa volta, risi.
Lui mi guardò e mi fece un occhiolino e scomparve nel magazzino con Alex. Dean era ancora a terra col mio cane che gli leccava la faccia.

«Sempre il solito imbecille.» Gracchiò il mio nuovo amico pelato e Dean alzò la faccia su di lui con un sorriso a mille denti.
«Ma guarda un po' chi è uscito dal suo antro oscuro!»
«Sssh, che quell'altro non mi ha ancora notato.»
«SIGNOR DWALIN!» Urlò Aidan, sbucando di nuovo come un canarino e saltellando verso di lui. Aveva i ricci che sbandavano in ogni dove, sembravano avessero vita propria, come i capelli di Medusa.
Il potere di impietrire la gente li avevano davvero però.
«No, levati!» Già tirò su una mano Graham McTavish, ossia Dwalin, cercando di bloccarlo.
Aidan se ne fregò altamente e gli piombò addosso abbracciandolo con una stretta da vero uomo.
Decise anche Dean di fare parte di quell'abbraccio e saltò su di loro con un urlo da guerra, facendo cadere il povero disgraziato giù dallo sgabello.
Un tonfo sordo e il rumore assordante del piatto di carne che calò su di loro.
Io m'affacciai un po' sconvolta e li vidi lagnarsi mentre rotolavano a terra.

«Siete due deficienti totali, io non ho parole, davvero.» Disse Graham.
«Ammetti che ci vuoi bene.» Aidan s'era già rialzato, risistemandosi la chioma scura, leccandosela all'indietro.
«No!» Sbottò Graham.
Dean lo seguì a ruota. Aveva il capello biondo un po' sbarazzino e la barba poco curata; era veramente bello.

Mi accorsi che lo stavo fissando e distolsi subito lo sguardo, tossicchiando con nochalance.
Intanto il CD aveva una track speciale e ora c'era Bali che stava cantando una nenia veramente terribile sui fuochi fatui che s'accendono con gli accendini del nostro cuore.
«Grace, adesso arriva James coi cartonati, vai ad aiutarlo? Dov'è Penny?»
Questo era Alex, che sbucò con la testa e io subito avvertì una scossa di quelle che fanno bzzzz a tutti gli organi.
Il mio cane andò a salutare il mio socio con allegria prima di elemosinare altro amore da Dean, e io ero in panico.
«Penny viene dopo. Io...aspetta, cos'è che devo fare?»
Da fuori giunse una voce biascicante e conosciuta, che sovrastò Bali mentre pizzicava gli ultimi suoni dell'obbrobrio musicale.
«Siete dei dementi cronici ragazzi!»

I dementi cronici presero a ridere, Graham si stava ancora ripulendo e Alex mi incitò ad uscire, così che mi ritrovai fuori dalla porta, immersa nello spazio verde del Green Man a guardare James sommerso da cartonati di Bilbo Baggins intento a sfoggiare il dito medio in ogni posizione esistente in natura.

La visione era talmente eclatante che presi a ridere come un'ossessa, non riuscendo più a smettere. Sentivo i crampi alla pancia e le lacrime agli occhi; quell'altro mi seguì a ruota e continuammo a ridere per almeno venti minuti.
«Chiunque abbia avuto l'idea è stato un genio.»

Da dietro spuntò Aidan tutto sorridente che mi piantò le mani sulle spalle. Adesso quelle spalle le avrei potute vendere su Ebay dicendo che me le aveva toccate Aidan Turner, sarei diventata ricca come Paperone.
«Tutte le idee geniali le ho sempre io.»
Arrivò pure Dean che gli diede una sgomitata folle.
«Veramente sono stato io.»
S'intromise pure James, scacciando via Aidan e le sue mani da me, facendo un broncio strano.
«No, sono stato io.»
«Ma se tu neanche lo sapevi!»
Presero a litigare con insulti sottili e meno sottili su chi fosse l'artefice delle idee più belle avute, stillando una lista di genialate pensate. E così scoprì che, una volta, avevano fatto lo scherzone a Richard incollandogli un cappello da clown sulla parrucca di Thorin (ed era stato costretto a girare un'intera scena così, facendo ammattire le costumiste!) e avevano fatto credere ad Adam Brown che il suo personaggio sarebbe diventato un Elfo durante il terzo film. Una volta avevano anche disegnato un monociglio a Graham dopo un'ubriacatura folle di San Patrizio e, il giorno dopo, li aveva inseguiti per tutti i camerini minacciando di raderli a zero.

E fra tutte quelle storie la sera giunse e io mi ritrovai ad assaporare la mia serata con un buon umore incalzante.

Aidan e Dean avevano deciso di tornare più tardi, scappando dai gridolini delle ragazze, mentre venne a trovarci di nuovo Adam Brown, che mi raccontò di come – una volta – aveva ripreso col cellulare uno spogliarello di Bombur.
Proprio Bombur, truccato da Bombur.
Dopo averlo pregato in mille lingue diverse di mostrarmi tale opera – giurando che non lo avrei mai detto a nessuno – mi ritrovai ad assistere ad un corteggiamento da parte di una donna, bella ma non bella come Mya, verso James.

Lui doveva essere abituato a tali effusioni perché sembrava a suo agio, sapevo cosa dire, come dirlo e come farla ridere nei momenti giusti. Anche se lei non stesse già pensando di alzare la gonna, probabilmente l'avrebbe pensato in quel momento.

Decisi di evitare di guardarli concentrandomi sulla creazione di un nuovo cocktail dal colore dei fiori lilla, così che Jacq sarebbe stata contenta, mentre Shan mi diceva quanto era super-trendy il nuovo paio di Nike dalla punta arrotondata; era sorprendente come riuscisse a parlarmi di questo mentre inviava mail di lavoro col suo i-pad.
Altro che “gli uomini non riescono a fare due cose contemporaneamente”.

Ero io quella che non riusciva a farlo.
«Ciao.»
Una voce sconosciuta mi fece alzare la testa di scatto e mi ritrovai un paio di occhi verdi, un bel sorriso e dei capelli ricci. Era il famoso ragazzo con cui m'ero scontrata il giorno prima. Aveva un livido sulla fronte; anche lui si portava ferite di guerra come un vero guerriero.
«Ciao.»
«Credo di essermi perso.»
«I viaggiatori non si perdono mai.» Dissi io, sorridendo.
Lui mi sorrise di rimando e mi sentii a mio agio.
«Mi ispira il colore di quel cocktail, posso assaggiarlo?»
«È in fase di lavorazione, non l'ho ancora testato. Di solito provo tutto su di me e ne osservo gli effetti. Una volta ho provato a mischiare strani liquidi e ho creato un cervello di crema irlandese di caffè. Era buonissimo ma un solo bicchiere e parlavi con i morti, proprio.»
Lui rise e piantò una mano sul bancone. «Ora voglio un cervello.»
«Sicuro?»
«Ti chiederei un appletini, ma se tu non cogliessi la citazione poi mi ritroverei in un silenzio imbarazzato.»
Io colsi e provai un moto di orgoglio.
«Te lo farei ma andrei molto piano col “tini”.»
Lui allargò gli occhi e rimase a guardarmi con aria un po' stralunata.
Forse ci stavamo guardando nello stesso modo e fece per dire qualcos'altro, quando mi si parò davanti Locke con aria sorridente al massimo.
«Vieni, ti devo presentare una persona.»
«Locke, sto creando.»
«Alex pensaci tu.» Diede il comando al mio socio e non feci in tempo neanche a salutare il ragazzo riccio che mi ritrovai tirata per un braccio.
Volevo approfittarne per osservare la zona di flirtaggio con James e la sconosciuta ma non feci in tempo.

Locke mi bloccò proprio davanti ad una donna molto bionda e sorridente.
La riconobbi immediatamente, era la moglie di Martin Freeman. Riuscì a sorridere e a salutarla balbettando un ciao in una lingua sconosciuta.
Lei mi salutò con entusiasmo e mi perlustrò.
«Eccola qua, sei tu la fan numero uno del mio amico Simon Pegg, quindi.»

Qualche stella, lassù, stava guardando quaggiù e mi stava facendo il miglior regalo di primavera del mondo.







NA.
Non so bene cosa io stia facendo con questa storia ma va bene lo stesso xD sì tratta di capitoli in cui succedono cose soft, lo ammetto.
Visto che non farò durare la mia storia due secoli e mezzo sicuramente concentrerò i momenti YO più avanti, anche perché mi sono immersa in una festa (?) da cui non posso fuggire.
Perché faccio ste cose? Maledetta improvvisazione. Comunque sia grazie a voi che mi state seguendo in silenzio <3 spero di non starvi annoiando, so che è una storia piuttosto idiota.
E grazie a te Dil, che tu sai <3 Buona giornata a tutti.

  
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