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Autore: Zomi    15/04/2015    5 recensioni
I fischi delle granate, lanciate nell’aria pesta di polvere e umidità, si arrendevano contro il tartaglio delle mitragliatrici, dalla cui bocca di fuoco migliaia di pallottole venivano sparate conto la trincea nemica.
La terra tuonava quando le bombe atterravano su di essa, spezzandosi a metà e urlando nell’aria manciate di fango misto sangue, ricadendo oltre i confini di filo spinato teso e pungente sopra il bordo riparato delle trincee.
Nei boati parlanti della guerra, nessun soldato di entrambe le forze opposte osava parlare, ma restava in silenzio, ben attento a non farsi distrarre da chiacchiere o commenti, evitando di farsi cogliere impreparato da un colpo di fucile o da qualche scheggia voltante di una granata appena esplosa.
*Panda Day
Genere: Guerra, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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LA GAVETTA
*gavetta*
 
 

I fischi delle granate, lanciate nell’aria pesta di polvere e umidità, si arrendevano contro il tartaglio delle mitragliatrici, dalla cui bocca di fuoco migliaia di pallottole venivano sparate conto la trincea nemica.
La terra tuonava quando le bombe atterravano su di essa, spezzandosi a metà e urlando nell’aria manciate di fango misto sangue, ricadendo oltre i confini di filo spinato teso e pungente sopra il bordo riparato delle trincee.
Nei boati parlanti della guerra, nessun soldato di entrambe le forze opposte osava parlare, ma restava in silenzio, ben attento a non farsi distrarre da chiacchiere o commenti, evitando di farsi cogliere impreparato da un colpo di fucile o da qualche scheggia voltante di una granata appena esplosa.
Nel marasma di spari, granate, esplosioni e scoppi di gas, una truppa pranzava con i pochi resti che riempivano le loro gavette, concentrandosi sui tozzi di pane ammuffito e sul brodo di lardo grumoso che li accompagnava, cercando di alienarsi dai sussulti di vita che si alzavano dalla trincea.
Rufy, il capo del plotone, masticava rumorosamente con le mascelle spalancate, impavido contro gli occhi dardeggianti di Sanji, il secondo in comando, incapace di apprezzare la vista del pranzo del moro ridursi in bolo e chilo tra le sue fauci, costringendo il biondo a deglutire pesantemente il suo pranzo, prima di abbandonarlo e sostituirlo con il tabacco di una storta sigaretta.
Era un modo come un altro per distarsi dai bombardamenti che li attorniavano, dagli spari che steccavano contro i cumuli di terra, facendo tramare le pareti del piccolo ponticello sotto cui avevano trovato un lieve e utopico ristoro.
Mangiavano sottovoce, scambiandosi lievi colpi di gomito sulle costole, indicando il capitano con un cenno del capo, ridacchiando di come leccava la gavetta, o fissando il cielo fumando una sigaretta, sperando di rivederlo un giorno azzurro e non grigio come il fumo che respiravano.
Solo uno di loro non mangiava il pane raffermo, ignorando il brodo di lardo e i suoi grumi insapori.
Reggendo la gavetta vuota sulle ginocchia, Zoro leggeva la pagina fitta di parole che la staffetta Bartolomeo gli aveva consegnato prima di scomparire, da uno sparo e l’altro, in altre trincea, a consegnare lettere come la sua o a soddisfare gli ultimi peccati di gola di qualche morente.
Stretto in una risacca sotto il ponticello, ignorando la stonante goliardia dei commilitoni, Zoro fissava le parole piccole e sottili che impregnavano d’inchiostro la lettera, assimilandole una ad una.
 
Coconat, 20 Marzo
Lettera numero… ho perso il conto.
 
Una parte di me mi deride chiamandomi “illusa”.
Illusa nel continuare a scrivere lettere su lettere che mai avranno risposta, e che non so se o quante te ne siano arrivate.
L’altra la uccide a suon di pugni, urlando che, se le mie lettere non tornando indietro, vuol dire che ti raggiungono.
E se ti raggiungono vuol dire che sei vivo.
E se sei vivo, tornerai da me.
E io, credo di più a questa mia illusa parte di anima, che non all’altra, crudelmente realista.
A volte mi chiedo se le mie lettere non vengano conservate da Sanji, con un moto compassionevole di affetto nei miei confronti, celandomi al dura verita' sulla tua morte. Ma Viola mi assicura che Sanji, il suo Sanji, non lo farebbe mai, e che mi avvertirebbe se fossi morto.
Ma non le direi le stesse medesime parole, se lei fosse nei miei panni?
Se Sanji fosse morto, e tu stessi raccogliendo, una dopo l‘altra, le lettere che Viola spedisce alla sua memoria, io non la consolerei dicendo che tu, il mio Zoro, non faresti mai una cosa del genere, e che ci avvertiresti della morte del nostro biondo e pervertito amico?
È difficile dirlo, dato che nemmeno lui le scrive più.
È difficile credere che siate vivi, tutti, non avendo mai risposta a nessuna lettera.
Oh ma io ci credo!!!
Ci credo!!!
Credo che il mio Zoro sia vivo, che stia ancora respirando, che stia leggendo queste parole strette in un unico foglio di lettera affinché nessuna venga persa.
Credo, io credo, che tu tornerai da me, dalla tua Mocciosa, dalla strega dai capelli rossi, dalla donna che hai promesso di sposare.
Io credo, spero, prego per la prima volta in vita mia, che tu sia vivo e che tornerai da me.
Anche senza un braccio,il naso, memoria… senza un occhio mi va benissimo, ma ti rivoglio vivo qui, da me.
Mi manchi Zoro, mi manchi amore mio.
Mi manca il tuo ghigno, la tua mano che mi sposta le ciocche di capelli dal viso, le carezze che mi davi dopo aver fatto l’amore, le nostre litigate, il tuo sguardo nero, i capelli a spazzola verdi… Mi manca il tuo respiro.
Spero che questa lettera ti arrivi, spero che tu la legga, spero con tutta la mia anima che tu sia vivo Roronoa Zoro, e se così non fosse, prego chiunque regga tra le mani questa lettera di farmelo sapere. Ti amo Zoro, ti amo.
Nami
 
Strinse tra le mani la lettera, fissandola a occhi sgranati.
Senza vergogna, se la portò alle labbra, baciando il nome di Nami e tutte le chiazze di lacrime della rossa che increspavano alcune parole, sbiadite dal tempo e dalle intemperie.
Baciò ogni singola parola, rispondendo con le labbra alle preghiere della sua Nami.
Perché nemmeno lui credeva in un Dio, e sapeva che se fosse tornato da lei, sarebbe stato solamente dalla forza che la sua mocciosa aveva impiegato nel scrivere quelle lettere, che aveva ricevuto dalla prima all’ultima, ma alle quali non poteva rispondere a causa della trincea nemica.
Sarebbe tornato, glielo aveva promesso, e lui manteneva sempre le promesse.
Saperla combattiva e speranzosa al loro villaggio gli dava forza e coraggio per continuare quella folle guerra, di cui non sapeva ancora quando sarebbe arrivata la fine.
Prese ad accarezzare le macchie di lacrime che Nami doveva aver versato nel scrivere la lettera, sperando che la consolazione che rassicurava lui, nel saperla ancora innamorata del suo Zoro, la raggiungesse, donandole un po’ di sollievo.
-La pausa è finita- si alzò in piedi Rufy, dandosi una spinta con le mani sulle ginocchia, e distraendo Zoro dai suoi pensieri.
Il moro si sistemò l’elmetto in testa, imbiaccando il fucile e incrociando lo sguardo scuro e teso del soldato, suo compaesano.
-Torniamo in riga…- gli sorrise, cercando di incoraggiare il suo plotone.
Zoro accarezzò nuovamente la lettera di Nami, stringendosi ancora nel suo anfratto mentre i compagni lo superavano, seguendo Rufy lungo la trincea.
-Ti amo Nami- sussurrò, ripiegando con cura la lettera e posandola, insieme alle altre, nella gavetta, che ripose con mani ferite e nere di fango, sotto la giacca rattoppata, all’altezza del cuore.
Si caricò in spalla il fucile, incamminandosi dietro a Sanji, pestando i piedi nell’acquitrino che era diventata la trincea dopo l’ultima pioggia, marciando fino alla postazione di attacco, dando il cambio a un altro plotone.
Sentiva la gavetta tintinnare contro i bottoni di ottone della giacca, traballando contro il suo pettorale a ritmo con i battiti del suo cuore.
Quanto?
Quanto ancora sarebbe stato lontano da casa?
Dalla sua Nami?
Immerse l’anfibio in una pozza di fanghiglia, lasciando il passo al commilitone in uscita dalla zona di tiro, specchiandosi per un breve istante nella pozza, vedendosi sporco e con la pelle tagliuzzata sul viso.
Si portò una mano al cuore, premendo la gavetta sulla maglia che indossava, attutendola contro la giacca.
Nami, con tutte quelle cicatrici, lo stava aspettando con pazienza e amore, pregando, per lui, per loro.
Riprese a marciare, perso nei suoi pensieri, ignorando totalmente il fischio di una bomba in discesa libera che mirava al centro della trincea, sganciata da un aereo grigio come le nuvole, passato silenzioso sulle loro teste grazie al continuo tartagliare delle mitragliatrici nemiche.
L’ultima cosa che sentì prima dello scoppio, fu Rufy che urlava di gettarsi a terra.
 
 
 
Aprì con scatto furioso la cassetta della posta.
Vuota.
Sbuffò e la richiuse, tornando indietro a passi svelti fin sulla porta di casa, pestando il ghiaino del piccolo viale che divideva a metà la piantagione di mandarini.
Spalancò la porta di casa sua, facendo ondeggiare la gonna a balze lunga fino alle caviglie.
Niente.
Nessuna lettera, nessun pacco, nessuna raccomandata urgente.
Niente di niente.
Sospirando, Nami si posò con i palmi sul tavolo della cucina, chiudendo gli occhi e ignorando il gatto strusciarsi sulle sue gambe in cerca di coccole, miagolando lamentoso quando la rossa lo calciò debolmente per allontanarlo.
Passandosi una mano sul viso, si sedette su una sedia, scuotendo il capo.
La guerra era stata proclamata finita già da tre settimane ma di Zoro non erano arrivate notizie.
Sanji aveva già chiomato ben cinque volte Viola, per comunicarle dove, come, quando sarebbe tornato alla loro città.
Lo stesso Rufy, Usopp, per fino Law aveva sorpreso tutti chiamando Margaret e dicendole che stava tornando.
E lei?
Niente, Zoro non l’aveva chiamata da nessuna zona di ristoro, non le aveva scritto, non aveva dato sue notizie.
Rufy l’aveva rassicurata dicendole che era vivo, ne era certo.
La granata esplosa in trincea mesi prima lo aveva ferito gravemente, ma si era ristabilito e ora stava facendo ritorno.
Ahimè però… si era perso.
Si era allontanato dal loro gruppo all’altezza di Green Bit, a poche centinaia di chilometri da Coconat, e da allora non erano più riusciti a ricongiungersi a lui.
Di una cosa era certo però il moro: le aveva inviato qualcosa prima di staccarsi dal gruppo.
Qualcosa che lo avrebbe di sicuro anticipato nell’arrivo, data la scarsissima capacità d’orientamento di Roronoa.
-Quel dannato… Marimo!!!- inveì, usando apposta l’appellativo che Sanji usava per insultarlo.
Perché si era allontanato?
Per bere, ovvio… ma Rufy e compagni non potevano legargli una corda a un piede, per ritrovarlo più facilmente?
E lui: non poteva starsene buono a cuccia, invece che gironzolare come un randagio?!?
-Oh dai Nami!!!- aveva gracchiato la voce di Rufy fin nel suo orecchio dal telefono dell’unico bar della città –Zoro troverà sempre la strada per tornare da te, e quando lo farà organizzeremo una maxi festa con tanta carne!!!-
Si passò le mani tra i lunghi capelli rossi, sospirando ancora prima di riabbassare la mani al tavolo, con un lieve sorriso che le si affacciava sulle labbra: stava tornando.
Aveva mantenuto la sua promessa.
Con ritrovata forza, si alzò dalla sedia, dirigendosi verso l’uscita secondaria della cucina, diretta al suo agrumeto.
Si fermò con il piede a mezz’aria, quando sentì tintinnare il campanello della bici del postino, fiondandosi fuori dalla porta nell’esatto momento in cui se ne stava già andando.
Fissò ad occhi sgranati la bandiera della cassetta della posta alzata, correndo sul piccolo viale ad aprirla sorridendo come una bambina.
Con mani tremanti, estrasse dalla cassettina di latta un piccolo pacchetto mal ricoperto, ammaccato e chiazzato qua e là.
Se lo portò all’orecchio, scuotendolo, osservandolo poi con attenzione.
Non riportava il mittente, ma la dicitura del destinatario (Alla mia Mocciosa) la fece fremere di felicità, obbligandola a scartare in fretta il pacchetto con mani tremanti e la gola pulsante di singhiozzi.
Quando gettò a terra la carta, si ritrovò in mano un’ammaccata, scheggiata, bucherellata gavetta, contenente tutte le sue lettere, in ordine crescente, ben ripiegate, macchiate appena dall’umidità e impregnate del profumo di Zoro.
-… Z-zoro…- tentò di trattenere le lacrime, che iniziarono a scenderle copiose dagli occhi non appena iniziò ad accarezzare ogni lettera, arrivando al fondo della gavetta, dove era inciso, molto probabilmente con la lama della baionetta, il suo nome.
Nami.
Era lì, il suo nome, alla base di tutte le sue lettere, di tutti i suoi “Ti amo” scritti tra singhiozzi e speranza pesanti come il respiro.
Era lì.
Lei era sempre stata con lui.
Si passò il dorso di una mano sugli occhi, singhiozzando con il sorriso, cercando di alleviare la vista dalle lacrime, che non appena fu leggermente spannata, si posò sulla figura in avvicinamento di un soldato, alto e ben piazzato, dalla zazzera verde e con metà del volto fasciato in una benda spessa e bianca, che gli copriva l’occhio sinistro.
Fece appena in tempo a ghignare Zoro, prima di ritrovarsi Nami tra le braccia, con la gavetta premuta tra i loro petti, all’altezza del cuore, là dove era sempre stata conservata.
Là dove gli aveva salvato la vita dalle schegge della bomba, che era caduta sulla sua trincea.
 


 
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Prossimo prompt: marionetta
Zomi
   
 
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