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Autore: Har Le Queen    15/04/2015    2 recensioni
E se Ruki fosse la Superstar più acclamata del momento? E se la sua voce fosse come un faro nel buio, accogliente come un ritorno a casa dopo un viaggio durato secoli? E se Akira fosse l'unico a non poterla sentire?
[Reituki/Aoiha]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non vorrei fare la guastafeste, ma ricordate sempre che i capitoli sono 19, quindi stiamo per giungere alla fine T^T

P.s. preparate i cuori e gli arcobaleni ♥

 

Sing for me

 

«Buongiorno Ruki-san.»

«Buongiorno Yamato.» Takanori salutò l’unica persona che aveva avuto il coraggio di seguirlo in quella pazzia, aveva persino lasciato il suo posto fisso alla casa discografica perché, come diceva lui, era prima di tutto un suo fan. In realtà, però, quella non sarebbe stata affatto una buona giornata: non aveva chiuso occhio sopraffatto da mille preoccupazioni, da un pensiero costante che era rimasto lì a languire. Non aveva tempo di pensare a lui, ora aveva troppe responsabilità e tutto dipendeva da lui, dal minimo particolare all’effetto finale, non c’era più una potente casa discografica a coprirgli le spalle e doveva avvalersi di collaboratori capaci e volenterosi.

Le luci, gli strumenti, la gestione delle fans, la vendita dei goods, il suo outfit e tutto ciò che gravitava intorno a quel tour era sotto la sua diretta supervisione, come un’ape regina doveva assicurarsi che ogni singolo operaio svolgesse il suo lavoro alla perfezione. Aveva scelto persone altamente selezionate, alcuni con molta esperienza e qualche ragazzo volenteroso e impaziente, perché il gruppo doveva bilanciarsi. «Buongiorno a tutti.» entrò nella sala riunioni senza togliersi neanche il cappotto. «Oggi è un giorno importante per tutti noi.» era il momento di verificare se quella squadra fosse perfetta come aveva sperato. «C’è ancora molto da fare, ma lavorando tutti insieme sono sicuro che sarà un enorme successo. Confido in voi e so che non mi deluderete, date il meglio di voi e migliaia di persone ve ne saranno grate.» lui prima di tutte, avrebbero notevolmente alleggerito il peso che gravava sulle sue deboli spalle.  «Ora riguarderemo la setlist, alle 10:00 ci sarà la prova luci, alle 12:00 il soundcheck, alle 14:00 la pausa pranzo. Poi continueremo con il make up e la sartoria, alle 17 apriranno i cancelli, avremo due ore per far defluire la folla e ci aspettiamo un affluenza di 12.000 persone. Alle 19:00 inizierà il live e durerà fino alle 21:00. Questa tabella di marcia è indicativa, se dovessero esserci problemi chiedete pure a me o a Yamato-kun. Grazie a tutti per il vostro impegno, gambarimasho!» doveva mostrarsi concentrato e motivato, quegli uomini venivano pagati, ma voleva che pero loro quello fosse un piacere più che un lavoro da svolgere senza passione.

C’erano tutti lì con lui, tranne l’unica persona che avrebbe voluto davvero al suo fianco in quel momento, sapeva che era chiedergli molto, ma non poteva arrendersi al modo in cui era andata: si era illuso che potesse vederlo senza filtri, che finalmente avesse trovato qualcuno che lo amasse per ciò che era veramente, invece lo aveva usato esattamente come tutti quelli che andavano a letto con Ruki e si risvegliavano con Takanori*.

Doveva tenere la mente occupata ad ogni costo, o di quel passo sarebbe impazzito e vi si impegnò così tanto che non si accorse di essere già pronto per andare in scena, solo allora si era concesso un momento per fermarsi a guardare il suo riflesso nello specchio. Gli restituiva un’immagine che non riconosceva: eccessiva e provocatoria ed era esattamente ciò che doveva essere per dimostrare, a tutti coloro che non avevano creduto in lui, che era capace di farcela con le proprie forze. Che si trattasse di riempire uno stadio, o raggiungere le vette delle classifiche, non gli importava, per lui ciò che davvero contava era essere un faro di speranza nella vita di ognuna delle persone che lo aspettavano lì fuori; le aveva fatte piangere, sorridere, le aveva consolate, gli aveva infuso speranza. Grazie a lui per un po’ non avrebbero pensato ai loro problemi, alle loro paure, avrebbero dimenticato persino di esistere. Era così che si sentivano? Cosa provavano davvero quando le luci si spegnevano e il sipario calava? Tutto finiva e diventava sfumato come in un sogno, o restava impresso a fuoco nell’anima?

Pian piano una nuova melodia si andava formando nella sua mente, ma non poté raggiungerla. «Ruki-san, sono arrivati i bouquet.» Yamato era efficiente come sempre, anche quando si trattava di salvarlo inconsapevolmente dai suoi pensieri.

«Andiamo.» purtroppo le formalità erano d’obbligo, era naturale in Giappone augurare buona fortuna con una ricca composizione di fiori freschi, ma non ne aveva mai capito il motivo. Per lui i fiori erano davvero troppo effimeri per comunicare un sentimento, o un’idea destinata a sfidare il tempo.

«Questi sono da parte dei Diru, i Nokubura e i Lynch.» ce n’erano almeno una ventina, in realtà, tutti contraddistinti da uno stile particolare.

«Prendi nota, dovrò mandargli i miei ringraziamenti. Ma quelli? Da parte di chi sono?» il suo cuore aveva avuto un sussulto, aveva sperato con tutto se stesso di aver avuto la giusta sensazione.

«Kiyoharu-sama

«Oh.» era solo uno stupido. Quello era il suo idolo e, invece di toccare il cielo con un dito, ne era rimasto deluso; il suo entusiasmo si era spento come un incendio domato dalla forza irrispettosa dell’acqua, aggrinzito come un fiore sotto il sole di agosto.

«E questi?» c’era un bouquet più discreto degli altri, tanto delicato da rischiare di passare inosservato; un manto di rose rosse così vellutate da sembrare finte e tra di loro spiccava, proprio al centro, una camelia bianca. «Saranno di un mitomane, c’è uno strano biglietto.»

Ma Ruki ne sapeva abbastanza sull’Hanakotoba da poter intuire il significato di quei fiori: amore e attesa. «Fammi vedere.» la speranza aveva bisogno di un attimo per appassire, ma ancor meno per ricominciare a vibrare. “Mi dispiace, perdonami se puoi. Il ragazzo dei caffè.

«Me ne libero subito, non preoccuparti.»

«No, portali in camerino.»

«Non saranno mica da parte di quel ragazzo della Psc? Quello che è venuto a cercarti.» il ragazzo collegò gli avvenimenti come in quegli stupidi giochi di enigmistica. Erano mesi che vedeva quel ragazzo gravitare intorno a Ruki come una luna.

«Mi ha cercato?! Quando?»

«Sarà stato una decina di giorni fa...»

«Perché non me l’hai detto?»

«Non pensavo fosse importante.» era visibilmente dispiaciuto, ma non era certo colpa di Yamato. Se non erano riusciti ad andare oltre le loro incomprensioni, la colpa era solo del loro stupido orgoglio. Forse non era troppo tardi, forse non tutto era perduto, ma non aveva tempo per pensarci.

«Va bene, ora vai in camerino e raggiungimi in sala per l’ultima riunione.» doveva solo arrivare alla fine di quella giornata, soltanto allora avrebbe potuto decidere il da farsi, ora non aveva spazio per i suoi sentimenti, ora era soltanto Ruki.


*


«La smetti di ridere?!» Yuu era infastidito e divertito allo stesso tempo, non avrebbe mai potuto essere davvero in collera con l’amico di una vita.

«Scusami, ma non ce la faccio!» Yutaka continuava a ridere come se non potesse fare altro. Era stato lui a cominciare quella pantomima, lui a spiegare ad Akira cosa fosse successo in quella casa piena di specchi e pericoli.

«D’ora in poi ti chiamerò Venticello!» ovviamente Akira non avrebbe mai potuto astenersi dopo aver capito perché avesse visto quella strana espressione sul volto di Yuu.

«È che non me lo aspettavo!» Yuu protestò con un broncio adorabile. Per festeggiare adeguatamente il suo compleanno, aveva deciso di passare una splendida serata al parco divertimenti adiacente al Tokyo Dome; quando aveva proposto di entrare nel labirinto di specchi, non si aspettava certo di morire di paura per uno strano soffio d’aria, l’aveva colto completamente di sorpresa e la sua espressione di panico era stata epica. «Kou, aiutami! Almeno tu!» da allora quei due avevano cominciato a ridere senza voler smettere e neanche lui sembrava essere dalla sua parte.

«Mi dispiace, ma sei stato troppo divertente!» la sua risata si stagliava contro le mille luci che splendevano in quella piazza enorme, ma nessuna era luminosa quanto lui.

«Non puoi tradirmi anche tu, sono il festeggiato e non potete trattarmi così! Ve lo tolgo io il sorriso dalla faccia adesso: prossimo giro sulle montagne russe.» il suo sguardo di sfida si trasformò in soddisfazione quando vide le loro facce devastate dalla sorpresa.

«No, non puoi farci questo, Venticello!» la serietà di Akira era durata solo il tempo di un respiro, era grato a Yuu per avergli regalato quei minuti di distrazione, per tutta la sera non aveva fatto altro che pensare a Takanori. Magari non aveva ricevuto i suoi fiori, o forse ora giacevano spezzati in un cestino dei rifiuti. Ciò che lo innervosiva maggiormente era non poterlo chiamare, doveva rincorrerlo come se fossero ancora negli anni passati; ora si trovava a solo venti minuti da lì e lui non poteva raggiungerlo. Anche se si fosse presentato in quell’enorme stadio, non gli avrebbero mai permesso di entrare, tantomeno di vedere Ruki.

«Ah ma allora le vuoi prendere! Muoviti, andiamo a fare la fila.»

«Non vorrai andarci davvero? No, dico, le hai viste?» Yutaka ora era serio, aveva sempre avuto timore dell’altezza e quella diavoleria si arrampicava come edera sui palazzi intorno a loro, saliva fino al cielo per lanciare i passeggeri contro le proprie paure alla velocità della luce.

«Si, mio caro. Anzi, ti voglio proprio accanto a me, cosi sentirò meglio le tue urla.» per tutto il tempo dell’attesa Yuu non fece altro che stuzzicare la sua ansia crescente, gli descrisse le acrobazie che avrebbero compiuto in volo, ma gli diede il permesso di tenergli la mano. «Queste montagne russe non sono affatto terrificanti, anzi, roba da niente.»

«Peccato che non sentirò le tue di urla, quanto avrei goduto!» Akira prese il suo posto accanto a Kouyou, suo fratello e il povero Yutaka erano proprio davanti a loro.

«Non urlerò.»

«Invece si, me lo dirà Kouyou. Vero?»

«Puoi contarci.»

E Yuu urlò, urlò eccome. Così come fece ogni passeggero di quell’attrazione apparentemente innocua. Davanti a loro una salita ripidissima da far mancare il fiato, un susseguirsi di curve, salite, giri vorticosi e discese vertiginose fin quando non si ritrovarono al punto di partenza.

«È stato fantastico, vi prego rifacciamolo!» Yutaka non si era mai sentito tanto libero dalla gravità, dalla vita e dai pensieri di ogni giorno.

«Così non c’è gusto, però!» Yuu aveva sperato nella sua occasione di rivincita, ma aveva dovuto abbandonare i suoi propositi bellicosi davanti ad uno Yutaka sorridente come un bambino.

«Voi piuttosto, non avete fame?» Kouyou aveva urlato così forte da aver mal di gola, si stava divertendo insieme a quei matti e a Yuu. Pian piano stava scoprendo nuovi lati del suo carattere che amava da matti, come quando faceva il gradasso per nascondere le sue paure e, in realtà, era così sensibile da commuoversi per un film. Ma tutta quell’adrenalina aveva stuzzicato il suo appetito, così optarono per il chiosco di yakitori e promisero al miglior pasticcere di tutta Tokyo di fare un ultimo giro della morte prima di tornare a casa.

Hei. Yuu richiamò l’attenzione di Akira con una lieve gomitata, erano fermi tra la folla aspettando di ordinare la loro cena.

«Mh

Vai.

«Dove?»

«Al Budokan. Sono le nove, credo che tu faccia ancora in tempo.» non era uno stupido e non voleva che suo fratello perdesse la sua occasione.

«Ma Yuu...» per quanto desiderasse raggiungere Takanori, non aveva minimamente pensato di lasciare tutti lì e, per una volta, fregarsene di tutto.

«Il mio compleanno capita tutti gli anni e abbiamo passato insieme la vita intera, Takanori non sarà lì ad aspettarti per sempre.» il moro strinse a sé quel ragazzo dalla vita stretta e le spalle possenti, lo abbracciò con tutto l’amore che era in grado di provare per lui ed era così tanto che, se lasciato libero, era sicuro avrebbe inondato l’intera città. Quando si staccò da lui, gli strinse le braccia in una presa rassicurante. «Corri.»

«Grazie Yuu.» Akira era quasi commosso, gli voleva un bene dell’anima e non perché fosse suo fratello, Yuu era davvero una persona fantastica.

Cominciò a correre come se fosse inseguito da un mostro, ma in realtà a spingerlo ad aumentare l’andatura era la paura di non arrivare in tempo, di non riuscire a vederlo, tanto meno parlargli. Non aveva tempo di raggiungere la fermata della metro più vicina, aspettare e rischiare di sbagliare direzione; correndo per le strade poté seguire le indicazioni che lo portarono proprio davanti al caratteristico edificio a forma di pagoda. Centinaia di ragazze si erano riversate nella piazza antistante, era un buon segno: il concerto doveva essere finito da poco, ma quando si avvicinò all’ingresso scoprì che le porte erano già state chiuse. E adesso? Cosa poteva fare? Prima o poi Takanori sarebbe dovuto uscire, quindi poteva aspettarlo sperando di scorgere la sua macchina o il van su cui si era nascosto quella volta alla Psc. Doveva aspettare, a costo di congelare sarebbe rimasto immobile al suo posto, non poteva perdere quell’occasione nonostante la pioggia sottile che cominciò a cadere.

Passarono i primi venti minuti e, pian piano, intorno a lui restarono solo poche decine di ragazze; alcune piangevano ancora, altre mostravano fiere i loro acquisti. Possibile che per loro Ruki fosse così importante? Se solo avessero saputo che lui era lì per il loro idolo, che ci era andato a letto e che lo aveva conosciuto in un’intimità che loro sognavano con ardore. Se solo avessero saputo che, per lui, non era Ruki, ma solo Takanori. Eppure aveva osato ferire il suo animo gentile, dove aveva trovato il coraggio per farlo?

Rimase da solo dopo più di un’ora, ma di lui ancora nessuna traccia; stava cominciando a tremare per il freddo che ormai era penetrato fin dentro le ossa, così decise di fare un giro di perlustrazione, magari sarebbe uscito dal retro o avrebbe potuto chiedere aiuto a qualcuno. Doveva pur esserci un assistente, un manager o un addetto alla sicurezza da qualche parte e lui lo avrebbe trovato.


*


«Buonanotte Ruki-san, ci vediamo venerdì. Non lavorare troppo in questi giorni.»

«Buonanotte.» Ruki sorrise lasciandosi cadere sul divano in pelle nera, era appena rientrato in camerino e si sentiva così stanco da non avere la forza di pensare. «Lo stesso vale per te.» Yamato era davvero un bravo ragazzo, aveva deciso di restare oltre l’orario prestabilito ed aiutarlo ad organizzare gli ultimi dettagli per la prossima data al Saitama. Era solo l’inizio e pensare che ne avrebbero avuto ancora per mesi.

Yamato lo salutò ancora lasciandolo solo, percorse i corridoi già vuoti assicurandosi che non ci fosse più nessuno, passò nella sala principale per controllare che gli operai stessero svolgendo al meglio il proprio lavoro. Gli strumenti erano già al sicuro, così come tutto il resto, mancavano soltanto gli ultimi cavi. Tornò indietro e si diresse all’uscita posteriore, ad attenderlo trovò la sua fedele monovolume, l’aveva parcheggiata non troppo lontano dal parco che costeggiava l’edificio. Stava per immettersi sulla strada principale, quando notò una figura familiare: il ragazzo che aveva cercato Ruki alla casa discografica, era fermo davanti al cancello del parcheggio. Yamato si fermò, scese dalla macchina e lo raggiunse, aveva paura che stavolta il suo capo non gli avrebbe perdonato quell’errore; vide l’altro illuminarsi quando lo riconobbe. «Ciao, tu sei Akira giusto?» era stato proprio Ruki a dirglielo: «Se dovessi vederlo, portalo qui. Si chiama Akira, ha i capelli castani-»

«So bene com’è, ti gira intorno da mesi.» Ed ora eccolo di nuovo lì.

«Sì. Senti, devo assolutamente parlare con Takanori. Ti prego.» Yamato trasalì, se lo aveva chiamato per nome, dovevano essere molto intimi. «Non so come fare, l’ingresso è sbarrato, la sicurezza non ne ha voluto sapere-»

«Seguimi.»

«Davvero?!» era difficile riuscire a leggere le labbra con quel buio, ma dalla postura aveva dedotto il resto.

«Vieni.»

«Non so come ringraziarti.»

«Non preoccuparti.» ormai ne era convinto, era stato quel ragazzo a mandare quel mazzo di rose per Ruki. Se le aveva fatte portare in camerino, era sicuramente una questione importante. «È la stanza 56H, in fondo a sinistra.» lo aveva guidato per i corridoi labirintici e deserti, ora la sua presenza sarebbe stata del tutto superflua perciò lo lasciò proseguire da solo.

«Grazie.» Akira lo vide allontanarsi. Era giunto il momento di affrontare le sue paure, non aveva più scuse per giustificare la sua mancanza di coraggio. Il primo passo fu quello più difficile, ma subito lo seguì il secondo, se avesse potuto era sicuro che avrebbe sentito i suoi passi riecheggiare in tutto quel silenzio accompagnato dal suo respiro spezzato. Si fermò davanti al camerino solo per prendere fiato e bussare. Sembrava tutto uno stupido dejà vu.

Ingoiando l’ansia aprì la porta trovandosi davanti Ruki, era sorpreso e indossava ancora i vestiti di scena: un completo estremamente vivace con una stampa che riproduceva le fantastiche sfumature del manto di un pavone, due enormi occhi da gufo lo fissavano minacciosi dal gilet dallo scollo profondo; quasi a volerlo spogliare di tutti i suoi segreti e incolparlo dei peccati più oscuri. I suoi capelli erano acconciati con cura, il trucco pesante gli dava un’aria di arrogante bellezza. Era semplicemente splendido: il nero intorno agli occhi sfumava fino al fucsia sulle tempie e il rossetto era rosso sangue e vellutato come le rose che riposavano sul tavolo al centro della stanza.

«Akira...» Ruki era incredulo, aveva sperato fino all’ultimo istante che si trattasse di lui, ma vista l’ora tarda si era convinto che fosse Yamato, aveva l’abitudine di dimenticare sempre qualcosa di suo in giro.

«Ciao.» non lo vedeva da settimane, lo aveva cercato fino in capo al mondo e ora, che finalmente lo aveva trovato, era stata l’unica cosa che era riuscito a dire. I pensieri gli si erano ammassati diventando confusi e irriconoscibili, Takanori aveva un certo effetto su di lui, questo era stato chiaro sin dall’inizio.

«Vieni.» averlo nell’intimità del suo camerino gli fece uno strano effetto, era felice che lo avesse finalmente raggiunto. La sua presenza voleva significare soltanto una cosa, ma non volle essere troppo affrettato anche solo nel pensarla; c’era sempre il rischio di restare deluso. «Togli il cappotto o morirai di caldo.»

«In realtà sto benissimo adesso, fuori si gela.» Akira si sentiva quasi a disagio davanti a lui: non era il ragazzo timido e vivace che aveva imparato a conoscere, ma quel Ruki era austero e sfrontato, padrone dei propri sentimenti e Takanori sembrava indossarlo come un’armatura.

«Almeno siediti.» gli creava tensione vederlo in piedi in preda ad emozioni contrastanti. Doveva aver aspettato al freddo per ore, a giudicare dai capelli umidi e dal cappotto striato dalla pioggia, il tempo non doveva essere stato dei migliori; nonostante tutto, però, non sarebbe di certo bastato a fargli abbassare la guardia, continuava a tenerla ben alta incrociando con forza le braccia al petto.

«No.»

«E allora cosa sei venuto a fare fin qui? Non ho molto tempo, sono stanco e vorrei tornare a casa.» voleva prenderlo ancora in giro? Stavolta si sarebbe scontrato col muro della sua ostinatezza, non avrebbe ceduto davanti ad un faccino tenero.

«Mi dispiace, io...ho così tanto da dire, che non so da dove cominciare.» Akira sembrò prendere una decisione in quello stesso istante. «In realtà due cose vorrei dirle subito: scusami, sono un coglione, avevi ragione tu.»

«Beh, queste sono tre cose e una mi piace particolarmente.»

«Sono un coglione?» in fondo se lo meritava.

«Anche. Ma è meglio sapere che almeno un po’ ti dispiace per ciò che hai fatto.» aveva mancato di rispetto principalmente a se stesso.

«È la verità. Dall’ultima volta che ci siamo visti, ho avuto modo di pensare molto e sono giunto ad alcune conclusioni che non sono state facili da accettare. Avevi ragione a dire che la colpa è soltanto mia, avevo così paura di quello che sono da allontanare tutti indistintamente, senza realizzare che c’erano persone che volevano soltanto aiutarmi.» era diventato come un cane randagio che, ormai, ha perso fiducia nell’uomo e morde anche la mano che gli porge del cibo. «Ti ho cercato ovunque, casa tua era deserta e il tuo studio completamente abbandonato. Tu non c’eri e ho avuto paura che ti fosse capitato qualcosa, o che te ne fossi andato per sempre senza lasciare traccia. Non mi è piaciuta la sensazione che ho provato: mi sono sentito svuotato di ogni speranza, credevo fosse troppo tardi per rimediare al mio sbaglio.» e poteva esserlo ancora, Takanori non era tenuto a perdonarlo e a ricominciare. Gli si avvicinò con timore e prese la sua mano calda e adornata da anelli maestosi, nella sua fredda e vuota. «Quindi, ti prego, dimmi che vuoi ancora salvarmi.» non era mai stato tanto sincero in vita sua, in un’esistenza costruita su una menzogna, instabile come un castello di carte.

Takanori non poté continuare a fingere indifferenza davanti a quello sguardo, a quella supplica disperata. La tensione accumulata si sciolse lasciando libere le sue spalle e strinse la mano di Akira trovandola sorprendentemente grande e accogliente. «Sei solo uno stupido.» sospirò pesantemente, quasi di sollievo. «Ti aspettavo.» e ci aveva messo tutto quel tempo per trovarlo.

«Anche io.» Akira gli si avvicinò ancora sentendosi avvolto con violenza dal suo profumo: un misto tra Ruki, Takanori, il live appena concluso, la sua stanchezza e una buona dose di arrendevolezza. «Da tutta una vita.» quando le loro labbra si scontrarono, fu come se migliaia di farfalle avessero preso il volo nello stesso istante, scappando da un giardino in cui erano prigioniere. Gli era mancato quel sapore dolce mischiato al tabacco, quella sera sapeva anche di tutte le canzoni che aveva cantato e di tutte le emozioni che gli erano state restituite dal pubblico.

«Ora sarà impossibile farti uscire dal mio mondo.»

«E se io non ne volessi uscire affatto?» Takanori aveva capito sin dall’inizio quanto potesse essere abbagliante quel piccolo mondo silenzioso. Un mondo di cui, d’ora in poi, avrebbe fatto parte.

«È quello che speravo.»

«Non aver paura, Akira.» non era più il tempo dei pensieri, dei rimpianti o delle speranze, ora doveva solo stringerlo a sé e cominciare ad essere felice.

 

 

* magari l’avessi inventata io questa frase xD la disse Rita Hayworth… io ammetto la mia ignoranza, personalmente non so chi sia, ma devo citare u.u

♥v♥ ve l’avevo detto di preparare i cuori e gli arcobaleni no?! *v* non potevo resistere ancora per molto, anche la reituki doveva capitolare ai piedi dell’amore ohohoh~ grazie mille Yuu ♥ lui è sempre il solito amore, la spinta che serve ad Akira per affrontare ciò di cui ha paura *ama* ma facciamo un applauso anche a Yamato: una figura molto utile, creata solo per usarla in questo modo in questo capitolo LoooL °0° bene, non so che altro dire..sono invasa dai cuori anche io ♥

Al prossimo capitolo, ne~

 

   
 
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