Non
vorrei fare la guastafeste, ma ricordate sempre che i capitoli sono 19, quindi stiamo per giungere alla fine T^T
P.s. preparate i cuori e
gli arcobaleni ♥
Sing for me
«Buongiorno Ruki-san.»
«Buongiorno Yamato.» Takanori salutò l’unica persona che aveva avuto il
coraggio di seguirlo in quella pazzia, aveva persino lasciato il suo posto
fisso alla casa discografica perché, come diceva lui, era prima di tutto un suo
fan. In realtà, però, quella non sarebbe stata affatto
una buona giornata: non aveva chiuso occhio sopraffatto da mille
preoccupazioni, da un pensiero costante che era rimasto lì a languire. Non
aveva tempo di pensare a lui, ora aveva troppe responsabilità e tutto dipendeva
da lui, dal minimo particolare all’effetto finale, non c’era più una potente
casa discografica a coprirgli le spalle e doveva avvalersi di collaboratori
capaci e volenterosi.
Le luci, gli strumenti, la
gestione delle fans, la vendita dei goods, il suo outfit e tutto ciò che gravitava intorno a quel tour era
sotto la sua diretta supervisione, come un’ape regina doveva assicurarsi che
ogni singolo operaio svolgesse il suo lavoro alla perfezione. Aveva scelto
persone altamente selezionate, alcuni con molta
esperienza e qualche ragazzo volenteroso e impaziente, perché il gruppo doveva
bilanciarsi. «Buongiorno a tutti.» entrò nella sala riunioni senza togliersi
neanche il cappotto. «Oggi è un giorno importante per tutti noi.» era il momento
di verificare se quella squadra fosse perfetta come aveva sperato. «C’è ancora
molto da fare, ma lavorando tutti insieme sono sicuro
che sarà un enorme successo. Confido in voi e so che non mi deluderete, date il
meglio di voi e migliaia di persone ve ne saranno grate.»
lui prima di tutte, avrebbero notevolmente alleggerito il peso che gravava
sulle sue deboli spalle. «Ora riguarderemo la setlist, alle 10:00 ci sarà la prova luci, alle 12:00 il soundcheck, alle 14:00 la pausa pranzo. Poi continueremo con
il make up
e la sartoria, alle 17 apriranno i cancelli, avremo due ore per far defluire la
folla e ci aspettiamo un affluenza di 12.000 persone. Alle 19:00 inizierà il
live e durerà fino alle 21:00. Questa tabella di marcia è indicativa, se
dovessero esserci problemi chiedete pure a me o a Yamato-kun. Grazie a tutti per il vostro impegno, gambarimasho!» doveva
mostrarsi concentrato e motivato, quegli uomini venivano
pagati, ma voleva che pero loro quello fosse un piacere più che un lavoro da
svolgere senza passione.
C’erano tutti lì con lui,
tranne l’unica persona che avrebbe voluto davvero al suo fianco in quel
momento, sapeva che era chiedergli molto, ma non poteva arrendersi al modo in
cui era andata: si era illuso che potesse vederlo senza filtri, che finalmente
avesse trovato qualcuno che lo amasse per ciò che era veramente, invece lo
aveva usato esattamente come tutti quelli che andavano a letto con Ruki e si
risvegliavano con Takanori*.
Doveva tenere la mente
occupata ad ogni costo, o di quel passo sarebbe impazzito e vi si impegnò così tanto che non si accorse di essere già
pronto per andare in scena, solo allora si era concesso un momento per fermarsi
a guardare il suo riflesso nello specchio. Gli restituiva un’immagine che non
riconosceva: eccessiva e provocatoria ed era esattamente ciò che doveva essere
per dimostrare, a tutti coloro che non avevano creduto
in lui, che era capace di farcela con le proprie forze. Che si trattasse di riempire
uno stadio, o raggiungere le vette delle classifiche, non gli importava, per
lui ciò che davvero contava era essere un faro di speranza nella vita di ognuna
delle persone che lo aspettavano lì fuori; le aveva
fatte piangere, sorridere, le aveva consolate, gli aveva infuso speranza.
Grazie a lui per un po’ non avrebbero pensato ai loro problemi, alle loro
paure, avrebbero dimenticato persino di esistere. Era così che si sentivano? Cosa provavano davvero quando le luci si spegnevano e il
sipario calava? Tutto finiva e diventava sfumato come in un sogno, o restava
impresso a fuoco nell’anima?
Pian piano una nuova
melodia si andava formando nella sua mente, ma non poté raggiungerla. «Ruki-san,
sono arrivati i bouquet.» Yamato era efficiente come
sempre, anche quando si trattava di salvarlo inconsapevolmente dai suoi
pensieri.
«Andiamo.» purtroppo le
formalità erano d’obbligo, era naturale in Giappone augurare buona fortuna con
una ricca composizione di fiori freschi, ma non ne aveva mai capito il motivo. Per
lui i fiori erano davvero troppo effimeri per comunicare un sentimento, o un’idea
destinata a sfidare il tempo.
«Questi sono da parte dei Diru, i Nokubura e i Lynch.» ce n’erano
almeno una ventina, in realtà, tutti contraddistinti da uno stile particolare.
«Prendi nota, dovrò mandargli
i miei ringraziamenti. Ma quelli? Da parte di chi sono?» il suo cuore aveva avuto un sussulto, aveva sperato
con tutto se stesso di aver avuto la giusta sensazione.
«Kiyoharu-sama.»
«Oh.» era solo uno stupido.
Quello era il suo idolo e, invece di toccare il cielo con un dito, ne era
rimasto deluso; il suo entusiasmo si era spento come un incendio domato dalla
forza irrispettosa dell’acqua, aggrinzito come un fiore sotto il sole di
agosto.
«E questi?» c’era un
bouquet più discreto degli altri, tanto delicato da rischiare di passare
inosservato; un manto di rose rosse così vellutate da sembrare finte e tra di
loro spiccava, proprio al centro, una camelia bianca. «Saranno di un mitomane,
c’è uno strano biglietto.»
Ma Ruki ne sapeva abbastanza
sull’Hanakotoba
da poter intuire il significato di quei fiori: amore e attesa. «Fammi vedere.»
la speranza aveva bisogno di un attimo per appassire, ma ancor meno per ricominciare
a vibrare. “Mi dispiace, perdonami se
puoi. Il ragazzo dei caffè.”
«Me ne libero subito, non
preoccuparti.»
«No, portali in camerino.»
«Non saranno mica da parte
di quel ragazzo della Psc? Quello che è venuto a
cercarti.» il ragazzo collegò gli avvenimenti come in
quegli stupidi giochi di enigmistica. Erano mesi che vedeva quel ragazzo
gravitare intorno a Ruki come una luna.
«Mi ha cercato?! Quando?»
«Sarà stato una decina di
giorni fa...»
«Perché non me l’hai detto?»
«Non pensavo fosse
importante.» era visibilmente dispiaciuto, ma non era certo
colpa di Yamato. Se non erano riusciti ad andare oltre le loro incomprensioni, la colpa
era solo del loro stupido orgoglio. Forse non era
troppo tardi, forse non tutto era perduto, ma non aveva tempo per pensarci.
«Va bene, ora vai in camerino e raggiungimi in sala per l’ultima
riunione.» doveva solo arrivare alla fine di quella giornata, soltanto allora
avrebbe potuto decidere il da farsi, ora non aveva spazio per i suoi
sentimenti, ora era soltanto Ruki.
*
«La smetti di ridere?!» Yuu era infastidito e
divertito allo stesso tempo, non avrebbe mai potuto essere davvero in collera
con l’amico di una vita.
«Scusami, ma non ce la
faccio!» Yutaka continuava a ridere come se non potesse fare altro. Era stato
lui a cominciare quella pantomima, lui a spiegare ad Akira cosa fosse successo
in quella casa piena di specchi e pericoli.
«D’ora in poi ti chiamerò
Venticello!» ovviamente Akira non avrebbe mai potuto astenersi dopo aver capito
perché avesse visto quella strana espressione sul volto di Yuu.
«È che non me lo
aspettavo!» Yuu protestò con un broncio adorabile. Per festeggiare
adeguatamente il suo compleanno, aveva deciso di passare una splendida serata
al parco divertimenti adiacente al Tokyo Dome; quando
aveva proposto di entrare nel labirinto di specchi, non si aspettava certo di
morire di paura per uno strano soffio d’aria, l’aveva colto completamente di
sorpresa e la sua espressione di panico era stata epica. «Kou,
aiutami! Almeno tu!» da allora quei due avevano
cominciato a ridere senza voler smettere e neanche lui sembrava essere dalla
sua parte.
«Mi dispiace, ma sei stato
troppo divertente!» la sua risata si stagliava contro le mille luci che
splendevano in quella piazza enorme, ma nessuna era luminosa quanto lui.
«Non puoi tradirmi anche tu,
sono il festeggiato e non potete trattarmi così! Ve lo tolgo io il sorriso
dalla faccia adesso: prossimo giro sulle montagne russe.»
il suo sguardo di sfida si trasformò in soddisfazione quando vide le loro facce
devastate dalla sorpresa.
«No, non puoi farci questo,
Venticello!» la serietà di Akira era durata solo il tempo di un respiro, era
grato a Yuu per avergli regalato quei minuti di distrazione, per tutta la sera
non aveva fatto altro che pensare a Takanori. Magari non aveva ricevuto i suoi
fiori, o forse ora giacevano spezzati in un cestino dei rifiuti. Ciò che lo
innervosiva maggiormente era non poterlo chiamare, doveva rincorrerlo come se
fossero ancora negli anni passati; ora si trovava a solo
venti minuti da lì e lui non poteva raggiungerlo. Anche se si fosse
presentato in quell’enorme stadio, non gli avrebbero mai permesso di entrare,
tantomeno di vedere Ruki.
«Ah ma allora le vuoi
prendere! Muoviti, andiamo a fare la fila.»
«Non vorrai andarci davvero?
No, dico, le hai viste?» Yutaka ora era serio, aveva
sempre avuto timore dell’altezza e quella diavoleria si arrampicava come edera
sui palazzi intorno a loro, saliva fino al cielo per lanciare i passeggeri
contro le proprie paure alla velocità della luce.
«Si,
mio caro. Anzi, ti voglio proprio accanto a me, cosi sentirò meglio le tue
urla.» per tutto il tempo dell’attesa Yuu non fece altro che stuzzicare la sua
ansia crescente, gli descrisse le acrobazie che avrebbero compiuto in volo, ma
gli diede il permesso di tenergli la mano. «Queste
montagne russe non sono affatto terrificanti, anzi,
roba da niente.»
«Peccato che non sentirò le
tue di urla, quanto avrei goduto!» Akira prese il suo posto accanto a Kouyou,
suo fratello e il povero Yutaka erano proprio davanti a loro.
«Non urlerò.»
«Invece si,
me lo dirà Kouyou. Vero?»
«Puoi contarci.»
E Yuu urlò, urlò eccome. Così come fece ogni passeggero di quell’attrazione
apparentemente innocua. Davanti a loro una salita ripidissima da far mancare il
fiato, un susseguirsi di curve, salite, giri vorticosi e discese vertiginose
fin quando non si ritrovarono al punto di partenza.
«È stato fantastico, vi
prego rifacciamolo!» Yutaka non si era mai sentito tanto libero dalla gravità,
dalla vita e dai pensieri di ogni giorno.
«Così non c’è gusto, però!»
Yuu aveva sperato nella sua occasione di rivincita, ma aveva dovuto abbandonare
i suoi propositi bellicosi davanti ad uno Yutaka
sorridente come un bambino.
«Voi piuttosto, non avete
fame?» Kouyou aveva urlato così forte da aver mal di
gola, si stava divertendo insieme a quei matti e a Yuu. Pian piano stava
scoprendo nuovi lati del suo carattere che amava da matti, come quando faceva
il gradasso per nascondere le sue paure e, in realtà, era così sensibile da
commuoversi per un film. Ma tutta quell’adrenalina aveva stuzzicato il suo
appetito, così optarono per il chiosco di yakitori e
promisero al miglior pasticcere di tutta Tokyo di fare un ultimo giro della
morte prima di tornare a casa.
Hei. Yuu richiamò l’attenzione
di Akira con una lieve gomitata, erano fermi tra la folla aspettando di
ordinare la loro cena.
«Mh?»
Vai.
«Dove?»
«Al Budokan.
Sono le nove, credo che tu faccia ancora in tempo.» non
era uno stupido e non voleva che suo fratello perdesse la sua occasione.
«Ma Yuu...»
per quanto desiderasse raggiungere Takanori, non aveva minimamente pensato di
lasciare tutti lì e, per una volta, fregarsene di tutto.
«Il mio compleanno capita
tutti gli anni e abbiamo passato insieme la vita intera, Takanori non sarà lì
ad aspettarti per sempre.» il moro strinse a sé quel ragazzo dalla vita stretta
e le spalle possenti, lo abbracciò con tutto l’amore che era in grado di
provare per lui ed era così tanto che, se lasciato
libero, era sicuro avrebbe inondato l’intera città. Quando si staccò da lui,
gli strinse le braccia in una presa rassicurante. «Corri.»
«Grazie Yuu.» Akira era
quasi commosso, gli voleva un bene dell’anima e non perché fosse suo fratello,
Yuu era davvero una persona fantastica.
Cominciò a correre come se
fosse inseguito da un mostro, ma in realtà a spingerlo ad aumentare l’andatura
era la paura di non arrivare in tempo, di non riuscire a vederlo, tanto meno
parlargli. Non aveva tempo di raggiungere la fermata della metro più vicina,
aspettare e rischiare di sbagliare direzione; correndo per le strade poté
seguire le indicazioni che lo portarono proprio davanti al caratteristico
edificio a forma di pagoda. Centinaia di ragazze si erano riversate nella
piazza antistante, era un buon segno: il concerto doveva essere finito da poco,
ma quando si avvicinò all’ingresso scoprì che le porte
erano già state chiuse. E adesso? Cosa poteva fare? Prima o poi Takanori sarebbe dovuto uscire, quindi poteva
aspettarlo sperando di scorgere la sua macchina o il van su cui si era nascosto
quella volta alla Psc. Doveva aspettare, a costo di
congelare sarebbe rimasto immobile al suo posto, non poteva perdere quell’occasione
nonostante la pioggia sottile che cominciò a cadere.
Passarono i primi venti
minuti e, pian piano, intorno a lui restarono solo poche decine di ragazze;
alcune piangevano ancora, altre mostravano fiere i loro acquisti. Possibile che
per loro Ruki fosse così importante? Se solo avessero saputo che lui era lì per
il loro idolo, che ci era andato a letto e che lo aveva conosciuto in un’intimità
che loro sognavano con ardore. Se solo avessero saputo che, per lui, non era
Ruki, ma solo Takanori. Eppure aveva osato ferire il suo animo gentile, dove
aveva trovato il coraggio per farlo?
Rimase da solo dopo più di
un’ora, ma di lui ancora nessuna traccia; stava cominciando a tremare per il
freddo che ormai era penetrato fin dentro le ossa, così decise di fare un giro
di perlustrazione, magari sarebbe uscito dal retro o avrebbe potuto chiedere
aiuto a qualcuno. Doveva pur esserci un assistente, un manager o un addetto
alla sicurezza da qualche parte e lui lo avrebbe trovato.
*
«Buonanotte Ruki-san, ci vediamo venerdì. Non lavorare
troppo in questi giorni.»
«Buonanotte.» Ruki sorrise
lasciandosi cadere sul divano in pelle nera, era
appena rientrato in camerino e si sentiva così stanco da non avere la forza di
pensare. «Lo stesso vale per te.» Yamato era davvero
un bravo ragazzo, aveva deciso di restare oltre l’orario prestabilito ed aiutarlo ad organizzare gli ultimi dettagli per la
prossima data al Saitama. Era solo l’inizio e pensare
che ne avrebbero avuto ancora per mesi.
Yamato lo salutò ancora lasciandolo solo, percorse
i corridoi già vuoti assicurandosi che non ci fosse più nessuno, passò nella
sala principale per controllare che gli operai stessero svolgendo al meglio il
proprio lavoro. Gli strumenti erano già al sicuro, così come tutto il resto,
mancavano soltanto gli ultimi cavi. Tornò indietro e si diresse all’uscita
posteriore, ad attenderlo trovò la sua fedele monovolume, l’aveva parcheggiata
non troppo lontano dal parco che costeggiava l’edificio. Stava per immettersi
sulla strada principale, quando notò una figura familiare: il ragazzo che aveva
cercato Ruki alla casa discografica, era fermo davanti al cancello del
parcheggio. Yamato si fermò, scese dalla macchina e
lo raggiunse, aveva paura che stavolta il suo capo non gli
avrebbe perdonato quell’errore; vide l’altro illuminarsi quando lo
riconobbe. «Ciao, tu sei Akira giusto?» era stato proprio Ruki a dirglielo: «Se dovessi vederlo, portalo qui. Si chiama
Akira, ha i capelli castani-»
«So bene com’è, ti gira intorno da mesi.» Ed
ora eccolo di nuovo lì.
«Sì. Senti, devo assolutamente
parlare con Takanori. Ti prego.» Yamato
trasalì, se lo aveva chiamato per nome, dovevano essere molto intimi. «Non so
come fare, l’ingresso è sbarrato, la sicurezza non ne ha voluto sapere-»
«Seguimi.»
«Davvero?!»
era difficile riuscire a leggere le labbra con quel buio, ma dalla postura
aveva dedotto il resto.
«Vieni.»
«Non so come ringraziarti.»
«Non preoccuparti.» ormai
ne era convinto, era stato quel ragazzo a mandare quel mazzo di rose per Ruki.
Se le aveva fatte portare in camerino, era sicuramente una questione
importante. «È la stanza 56H, in fondo a sinistra.» lo aveva guidato per i
corridoi labirintici e deserti, ora la sua presenza sarebbe stata del tutto
superflua perciò lo lasciò proseguire da solo.
«Grazie.» Akira lo vide
allontanarsi. Era giunto il momento di affrontare le sue paure, non aveva più
scuse per giustificare la sua mancanza di coraggio. Il primo passo fu quello
più difficile, ma subito lo seguì il secondo, se avesse potuto
era sicuro che avrebbe sentito i suoi passi riecheggiare in tutto quel silenzio
accompagnato dal suo respiro spezzato. Si fermò davanti al camerino solo per
prendere fiato e bussare. Sembrava tutto uno stupido dejà vu.
Ingoiando l’ansia aprì la
porta trovandosi davanti Ruki, era sorpreso e indossava ancora i vestiti di
scena: un completo estremamente vivace con una stampa
che riproduceva le fantastiche sfumature del manto di un pavone, due enormi
occhi da gufo lo fissavano minacciosi dal gilet dallo scollo profondo; quasi a
volerlo spogliare di tutti i suoi segreti e incolparlo dei peccati più oscuri.
I suoi capelli erano acconciati con cura, il trucco pesante gli dava un’aria di
arrogante bellezza. Era semplicemente splendido: il nero intorno agli occhi
sfumava fino al fucsia sulle tempie e il rossetto era
rosso sangue e vellutato come le rose che riposavano sul tavolo al centro della
stanza.
«Akira...»
Ruki era incredulo, aveva sperato fino all’ultimo istante che si trattasse di lui, ma vista l’ora tarda si era
convinto che fosse Yamato, aveva l’abitudine di
dimenticare sempre qualcosa di suo in giro.
«Ciao.» non lo vedeva da
settimane, lo aveva cercato fino in capo al mondo e ora, che finalmente lo
aveva trovato, era stata l’unica cosa che era riuscito a dire. I pensieri gli
si erano ammassati diventando confusi e irriconoscibili, Takanori aveva un
certo effetto su di lui, questo era stato chiaro sin dall’inizio.
«Vieni.» averlo nell’intimità
del suo camerino gli fece uno strano effetto, era felice che lo avesse
finalmente raggiunto. La sua presenza voleva significare soltanto una cosa, ma
non volle essere troppo affrettato anche solo nel pensarla; c’era sempre il
rischio di restare deluso. «Togli il cappotto o morirai di caldo.»
«In realtà sto benissimo
adesso, fuori si gela.» Akira si sentiva quasi a
disagio davanti a lui: non era il ragazzo timido e vivace che aveva imparato a
conoscere, ma quel Ruki era austero e sfrontato, padrone dei propri sentimenti
e Takanori sembrava indossarlo come un’armatura.
«Almeno siediti.» gli
creava tensione vederlo in piedi in preda ad emozioni contrastanti. Doveva aver
aspettato al freddo per ore, a giudicare dai capelli umidi e dal cappotto
striato dalla pioggia, il tempo non doveva essere stato dei migliori;
nonostante tutto, però, non sarebbe di certo bastato a fargli abbassare la
guardia, continuava a tenerla ben alta incrociando con forza le braccia al
petto.
«No.»
«E allora cosa sei venuto a
fare fin qui? Non ho molto tempo, sono stanco e vorrei tornare a casa.» voleva prenderlo ancora in giro? Stavolta si sarebbe
scontrato col muro della sua ostinatezza, non avrebbe ceduto davanti ad un
faccino tenero.
«Mi dispiace, io...ho così tanto da dire, che non so da dove cominciare.»
Akira sembrò prendere una decisione in quello stesso istante. «In realtà due
cose vorrei dirle subito: scusami, sono un coglione, avevi ragione tu.»
«Beh, queste sono tre cose e
una mi piace particolarmente.»
«Sono un coglione?» in
fondo se lo meritava.
«Anche.
Ma è meglio sapere che almeno un po’ ti dispiace per
ciò che hai fatto.» aveva mancato di rispetto principalmente a se stesso.
«È la verità. Dall’ultima
volta che ci siamo visti, ho avuto modo di pensare molto e sono giunto ad
alcune conclusioni che non sono state facili da accettare. Avevi ragione a dire
che la colpa è soltanto mia, avevo così paura di quello che sono da allontanare
tutti indistintamente, senza realizzare che c’erano
persone che volevano soltanto aiutarmi.» era diventato come un cane randagio
che, ormai, ha perso fiducia nell’uomo e morde anche la mano che gli porge del
cibo. «Ti ho cercato ovunque, casa tua era deserta e
il tuo studio completamente abbandonato. Tu non c’eri e ho avuto paura che ti
fosse capitato qualcosa, o che te ne fossi andato per sempre senza lasciare
traccia. Non mi è piaciuta la sensazione che ho provato: mi sono sentito
svuotato di ogni speranza, credevo fosse troppo tardi
per rimediare al mio sbaglio.» e poteva esserlo ancora, Takanori non era tenuto
a perdonarlo e a ricominciare. Gli si avvicinò con timore e prese la sua mano
calda e adornata da anelli maestosi, nella sua fredda e vuota. «Quindi, ti prego, dimmi che vuoi ancora salvarmi.» non era
mai stato tanto sincero in vita sua, in un’esistenza costruita su una menzogna,
instabile come un castello di carte.
Takanori
non poté continuare a fingere indifferenza davanti a quello sguardo, a quella
supplica disperata. La tensione accumulata si sciolse lasciando libere le
sue spalle e strinse la mano di Akira trovandola sorprendentemente grande e
accogliente. «Sei solo uno stupido.» sospirò pesantemente, quasi di sollievo. «Ti
aspettavo.» e ci aveva messo tutto quel tempo per trovarlo.
«Anche io.»
Akira gli si avvicinò ancora sentendosi avvolto con violenza dal suo profumo:
un misto tra Ruki, Takanori, il live appena concluso, la sua stanchezza e una
buona dose di arrendevolezza. «Da tutta una vita.» quando le loro labbra si
scontrarono, fu come se migliaia di farfalle avessero preso il volo nello
stesso istante, scappando da un giardino in cui erano prigioniere. Gli era mancato quel sapore dolce mischiato al tabacco,
quella sera sapeva anche di tutte le canzoni che aveva cantato e di tutte le
emozioni che gli erano state restituite dal pubblico.
«Ora sarà impossibile farti
uscire dal mio mondo.»
«E se io non
ne volessi uscire affatto?» Takanori aveva capito sin dall’inizio quanto
potesse essere abbagliante quel piccolo mondo silenzioso. Un mondo di cui, d’ora
in poi, avrebbe fatto parte.
«È quello che speravo.»
«Non aver paura, Akira.» non
era più il tempo dei pensieri, dei rimpianti o delle speranze, ora doveva solo
stringerlo a sé e cominciare ad essere felice.
* magari l’avessi inventata io questa frase xD
la disse Rita Hayworth… io ammetto la mia ignoranza,
personalmente non so chi sia, ma devo citare u.u
♥v♥ ve l’avevo detto di preparare i cuori e gli arcobaleni
no?! *v* non potevo resistere ancora per molto, anche
la reituki doveva capitolare ai piedi dell’amore ohohoh~ grazie mille Yuu ♥ lui è sempre il solito amore,
la spinta che serve ad Akira per affrontare ciò di cui
ha paura *ama* ma facciamo un applauso anche a Yamato:
una figura molto utile, creata solo per usarla in questo modo in questo
capitolo LoooL °0° bene, non so che altro dire..sono invasa dai cuori anche io ♥
Al prossimo capitolo, ne~