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Autore: CrisBo    16/04/2015    1 recensioni
Niente odora di caciotta e umidità come il bancone del Green Man.
È oblungo, scuro e coperto da crepe e cicatrici informe di sigarette e sigari abbrustoliti. Colpa dei passanti che ci hanno riversato sopra lacrime e risate, grida e lamenti, chi per una partita del Manchester finita male e chi per una donna fatale senz'anima. Quanti bicchieri di whiskey e amaretto consumati, rotti e martoriati, quante storie hanno avvolto il legno composto e un po' rustico di quel locale casalingo. Se ogni uomo ha una sua storia allora il Green Man – che di uomo ha almeno il nome – ne ha contate più di diecimila. [Dal prologo]
************
In una città dell'Inghilterra farete la conoscenza di Grace, di Alex, di Penny, Locke e una miriade di altri personaggi che il Green Man ha adottato tra le sue mura. Sarà proprio lì che l'incontro con un gruppo di attori cambierà la loro quotidianità. Perché c'è chi resta e chi va: ma ciò che succede al Green Man rimane al Green Man.
[ STORIA IN SOSPESO. Riprenderò al più presto. ]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aidan Turner, Dean O'Gorman, James Nesbitt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8.
Marina Ventina

Qualcuno, da qualche tavolo più avanti, fece partire dal suo ultimo cellulare trillante deluxe placcato, levigato, raffinato una voce roca e un po' da ghetto che disse “Bullshit fuckwad?" e un branco di ragazzi con le magliette del Manchester United presero a ridere sguaiatamente. Io mi sentivo un po' come se mi avessero appena detto la più grande castroneria della storia. Mi voltai verso Locke con occhi fuori dalle orbite e l'incapacità corporea di reagire ad una tale frase.

Volevo rispondere alla donna qualcosa tipo: “Sì, sono io. Fai di me ciò che vuoi.
Ma risultava troppo indiscreta e forse leggermente ambigua quindi mi limitai ad annuire con un sorriso un po' inquietante.

Lei mi prese a braccetto.
Ripeto: la moglie di Martin Freeman – Amanda – mi prese a braccetto e io mi ritrovai seduta al suo tavolo.

Locke ci aveva prontamente portato due cheescake.
Di sicuro quello non era il Locke che conoscevo e che mi rimpinzava di lattughe per depurarmi lo spirito e mi invogliava a farmi l'orto nel balcone.

Lo guardai come si è soliti guardare un alieno che ti entra dalla finestra e lui mi diede una pacca sulla testa come per dire “Non abituarti” e io mi ritrovai ad assistere ad un monologo pieni di gesti, sorrisi e frasi un po' ironiche di Amanda Abbington.
Mi parlò di quanto Simon Pegg ami la satira, i fumetti, farsi scampagnate alcoliche con Nick Frost e occupare casa loro durante il weekend per il branch.

Io a stento non ricordavo più neanche come mi chiamavo quindi seguire quella conversazione si rivelò un'impresa titanica.
Quella conversazione era il mio Everest e pregai il gran dio della Nutella di infondermi un po' di coraggio, di spigliatezza, prontezza, anche solo una briciola di vitalità così che io potessi anche solo pensare di poter rispondere a tutta quella manna che mi scendeva dal cielo.

Il dio Nutello non lo fece e io mi ritrovai solamente a sorridere per venti minuti, ad annuire, a finire le sue frasi con svariati “Aaaah” e “Ma davvero?” o “Ma dai!” e lei cinguettava con quella sua invidiabile propensione ala dialettica mentre Alex scampanellava l'ultimo giro di drink.
Un po' ringraziai quella sorte ma un po' anche no.

Oltre tutto questo, il colpo di grazia effettivo fu quando mi disse che avrebbe fatto di tutto pur di farlo venire alla festa per suo marito.
Tralasciando il colpo al cuore iniziale, in quell'occasione il mio cuore riprese a battere e io mi ritrovai con una temperatura corporea normale; mi concentrai principalmente sul modo in cui il suo sguardo cambiò quando mi nominò Martin Freeman.

Non sono una ragazza romantica, anche se un po' lo sono ma cerco di tenere questo mio vizio segreto, e una tale sensazione di sentimentalismo estremo mi capitava di rado.
Quindi non piangevo per i film d'amore ma mi struggevo per quei rapporti che si creavano tra personaggi un po' particolari.
Un po' come Astrid e Walter Bishop.
Un po' come Charlie - non è la nave di Penny – e Desmond.
Un po' come il cane di Fry che lo aspetta davanti alla pizzeria.
Un po' come il panettiere Figaro con il nonno macellaio nella sit-com “Dammi un prosciutto”.
Ma mi bastò vedere come le sue guance ancora arrossivano per lui, come il suo sguardo s'ammorbidì incantato, come la sua voce riusciva a focalizzare tutto il suo amore nel modo in cui pronunciava solamente il suo nome.

La cosa mi fece tenerezza e, tutto il nervosismo, mi scivolò via come la cheescake dal mio piatto, prontamente ingurgitata con una velocità illusionistica pari a David Copperfield.
Le dissi che avrei fatto del mio meglio per quella festa e la ringraziai infinitamente.

Lei addirittura mi abbracciò stretta e il mio rifiuto per il contatto umano evaporò in quell'istante, sentendomi in pace con me stessa.
Ritornai zompettante e felice verso il bancone e trovai Adam Brown in uno stato alticcio conversare allegramente di telefonini a forma di scarpa con Shan.
Paul mi chiese l'ultimo giro di coca – come un vero duro – e in quel momento mi ricordai di tutto ciò che avevo lasciato in stallo prima di quella fuga dalla realtà.

Alla fine Dean e Aidan erano veramente tornati ed erano stati accolti da Alex con grandi pacche sulle spalle e già un giro di birra offerto.
Locke era tornato a salutare quella bella donna bionda e poi era sgusciato verso Mya, parlando e gesticolando parole che non comprendevo.

Il ragazzo riccio degli appletini non colti era scomparso di nuovo e la cosa un po' mi intristì; ma sarà che nell'aria vibrava la voce di Robert Plant con “Thank you” e io mi sentivo estremamente portata verso il contatto umano in quel preciso momento.
«Hanno fatto un altro contest su Star Trek, chi partecipa vince le orecchie da Spock.» Mi disse Paul, portandomi alla realtà.
«Paul se non sai fare il saluto non varranno niente.»
«Lo so fare il saluto.» Mi disse lui già sbronzo di zuccheri e anidride carbonica, alzando la destra e provando a separare le dita a metà.
Era una pace e prosperità un po' monca ma poteva andare bene.
«Ma bravo, stai migliorando. Ma per il forum di Star Wars? Novità?»
«Hanno imbastito una conversazione su Jar Jar; Obi Wan salvaci tu.»
Unghie sulla lavagna, stoviglie che strillavano sui piatti e denti digrignati. Jar Jar era l'emblema di tutto il fastidio esistente al mondo ed entrambi non potevamo sopportarlo. Lui non andava pazzo per la saga di Lucas ma almeno si sforzava di fingere che qualcosa di buono ci trovasse; Jar Jar non meritava nemmeno la menzogna.

«Sì ma tu te le cerchi, Paul.»
«Ma almeno parlassero di Padme, qualcosa di buono avrei da dire. Poi guai se faccio paragoni; non sai che lotte ogni volta, ogni cosa è paragonata alla tua trilogia del cuore.»
«La Trilogia del Cornetto?» Esclamai già in fase di guerra.
«Non del tuo inglese, parlo dei tuoi hobbit.»
Avvampai fin sopra le orecchie perché, in quell'esatto momento, i Led Zeppelin si presero la pausa da traccia successiva, il silenzio calò e tutti i “nani” lì presenti si voltarono verso di noi con un sorriso a mille denti.
Solo in quel momento m'accorsi che l'unico nano che mi interessava non era più presente, e nemmeno quella donna dallo charme incalzante. M'accorsi di provare un velato e succinto fastidio e la cosa non mi piacque per niente.

«Cosa succede agli hobbit?»
«Stanno parlando di Star Wars, Aidino, cose che tu non comprendi.» Rispose Dean ad un po' brillo Aidan Turner. Quello gli fece un verso strano.
«A me piace Star Wars ma solo la prima trilogia. La seconda è una piaga da decubito.» S'intromise anche Shan.
«Noi abbiamo Gandalf, altro che Obi Wan.» Disse Aidan.
«Occhio a quello che dici.» Lo sgomitò Dean.
«Il problema è che Gandalf viene sempre paragonato a Silente per la barba, ma è molto più Obi se vogliamo proprio dirla. Però no la barba è più da Silente. Però Silente non ha un bastone. O ce l'ha? Ha un bastone?» Adam cercò la sua risposta nelle facce di tutti e solo io scossi la testa, appiattendo le labbra. 
Parlare di bastoni dai Gandalf o di Silente mi faceva alquanto ridere.
«Voi avete la fortuna di essere provvisti di entrate in scena con stile. Capello sporco, abiti logori, sangue e sudore; è una roba forte.» Disse Alex.
«Questa cosa avrei dovuta dirla io, maschione.» Presi in giro il mio socio e lui mi diede una gomitata.
«Oh, io vado pazza per Aragorn. Han Solo è un po' come Indiana Jones fantasy, ma Aragorn...di Aragorn ce n'è uno solo.» Era spuntata anche Mya e sorrideva.
«Sono meglio i nani.» S'impettì Aidan col riccio ribelle.
«Oh sì, i nani sono i migliori. Barbuti e bassi, chi non li vorrebbe?» Locke spuntò dietro di loro, piazzando due mani sulle spalle ad Adam.
«Io non sono basso. Quello basso è lui.» Disse Adam e indicò Dean senza troppi fronzoli.
«Io sarò pure basso ma sono bello.»
«Tu non sei bello, è che ti disegnano così.» Disse Aidan.
«Avete notato come i Nazgul siano simili ai Dissennatori?» Domandò Paul, finendo a goccia la sua coca.
«Non bestemmiare, per Mahal Supremo!» Esclamai io, prendendogli la testa tra le mani.
«Una volta ho incontrato un uomo vestito da Dissennatore mortuario che m'ha inseguito per tutta la street, cercando di rubare la mia felicità risucchiandola con una cannuccia a forma di spada laser. Alle volte mi chiedo se tutto ciò è successo davvero o se avevo bevuto troppi amaretti.»
Tutti ci voltammo a guardare verso Shan con aria un po' inebetita e lui si mise a ridere, finendo per far chiudere gli occhi ancor di più di quello che già erano.

«Shan tu vedi la morte, non i Dissennatori.»
«Ma ficcatela nel ficcatoio, la Morte da me fugge.» E mi fece le corna, scivolando giù dallo sgabello con un tonfo. Si levò un lamento dal basso. «Mi sono rotto il coccige.»
«Allora ragazzi, parlando di cose serie – no Paul non ti farò venire vestito da Barbalbero mi dispiace – domani dobbiamo sistemare tutto, preparare il locale e scrivere la chiusura per venerdì, a meno che non si ha l'invito prontamente creato da Paul. Chi non può passare, può passare: tutto chiaro?»
Dopo la chiarissima spiegazione di Locke decidemmo che non avevamo voglia di sentirlo imbastire ordini dopo la chiusura quindi decidemmo che era tutto chiaro e ognuno di noi si prodigò nei suoi compiti.

Dean e Aidan mi chiesero se potevano rapire Alex per portarlo a bere in un locale notturno, Adam provò ad unirsi a loro ma venne richiamato da un'altra conversazione con Shan e Mya e alla fine il locale si svuotò del tutto, lasciandoci soli me, Locke e una presunta giacca di James, abbandonata dal suo padrone.
Walter era ritornato da una dormita durata quattro ore e aveva deciso di farsi una passeggiata tra gli sgabelli e le poltrone.
La passeggiata durò la bellezza di cinque minuti e – ben presto – si ritrovò adagiato sulla sua poltrona del cuore, dove qualcuno aveva lasciato aperto un libro di Oscar Wilde.
Visto che non volevo che il mio cane diventasse dandy decisi di cambiargli lettura e gli misi davanti un manuale per imparare a usare la macchina dei pop-corn.

Locke stava già facendo le prove per gli ospiti, stava sbracciando e parlando da solo come se dirigesse un'orchestra immaginaria mentre pensava a dove mettere la torta, i piatti, il buffet, gli striscioni, i cartonati -ditomedio- di Bilbo.

Controllai il telefono e m'accorsi che Penny non mi aveva scritto neanche mezza emoticon, un classico tentativo di comunicazione veloce della nostra epoca, e provai un po' di apprensione.

In quel momento scampanellò una porta e alzai lo sguardo, sperando fosse lei.
Era James, col fiatone e una mano piantata nel petto.
Sembrava fosse appena sfuggito ad una maratona, o ad un inseguimento di replicanti.

«Ma buongiorno!» Lo salutai io con un sorriso.
«Meno male che siete ancora qui, ho lasciato tutto su...quella sedia.» E indicò quella sedia con un dito, vedendolo arrancare verso questa.
«Chi ti insegue?» Gli domandai un po' ironica e lui afferrò la giacca e venne verso il bancone.
S'abbandonò su questo, praticamente morendoci sopra, facendo calare la faccia sul legno.
Oggi quel legno odorava ancora più di caciotta, umidità e un miscuglio di lime.
«Una ventosa.»
«Le ventose sono delle persone un po' strane, in effetti. Hai mai sentito la leggenda della Marina Ventina?»
Lui alzò gli occhi verso di me e già sorrideva. Scosse il capo.
«Scampa dalle leggende di Grace, James, o non ne esci più.» Urlò Locke dall'altra parte della sala, mentre stava facendo finta di ballare con un lume da parete.
«Ma è una storia di Brook!» Rimbeccai io, affacciandomi, prima di decidere di ignorare il mio manager fingendo che fosse inesistente.
Tornai a guardare James e lui mi fissava in attesa.
M'accorsi di star facendo una cosa che non avevo mai fatto prima d'ora, non volutamente almeno.
Controllai dei segni addosso a lui; a parte il capello un po' briccone e lo sguardo perennemente lucido non aveva strani graffi, morsi o chissà quale altra voracità la ventosa avrebbe potuto imbastire.


«In pratica una volta esisteva questa donna, una tale Armonia, era un'arzilla signora di mezza età che fingeva di avere vent'anni e si infilava sempre nei gruppetti di ragazzi per andare a ballare nei locali chic, quelli dove ti sparano le luci in faccia e ti alcolizzano con il ghiaccio nei cocktail.» Incominciai io, gesticolando con un cucchiaio e una bottiglia di curaçao in mano. «Era proprio scaltra, perché le bastava incipriarsi la faccia, arrossire le labbra, far ballare le ciglia ed era fatta. Ammaliava i ragazzi, faceva invidiare le ragazze, quelli più grandi volevano averla, quelli più piccoli la sognavano di notte. E lei continuava questa sua vita notturna, quando di giorno era una apri-porte d'un negozio d'abbigliamento. Ma un giorno qualcosa andò storto, dopo l'ennesimo cocktail al ghiaccio e l'ennesima palpata da parte del ragazzo di turno si ritrovò davanti lei. Marina Ventina. Sessant'anni, trucco perfetto, capello tinto e minigonna così vertiginosa che le si vedevano le tonsille. Lei sapeva che Marina Ventina non era una giovane, perché fra loro si riconosco sempre, e allora decise di partire all'attacco. Lei sola aveva il primato di corteggiamento convulsivo e aveva deciso che ne sarebbe sopravvissuta una sola. Ma non aveva fatto i conti con Marina Ventina, trent'anni d'esperienza nel settore, tanti giovani mastini sotto le lenzuola e tante ragazze invidiose che la utilizzavano come Santino Guida nelle loro serate un po' porche. Ci fu una guerra come non se n'erano mai viste.»

Presi una pausa e m'accorsi che James mi guardava completamente assorto e attento, mi incitò a continuare col solo sguardo.

«Armonia provò così a portarsi nei bagni tre ragazzi insieme, riuscì a fidanzarsi per quattro volte consecutive quella sera, ne fece svenire uno con un'alzata di gamba improvvisa e ad uno scoppiò la cintura dai pantaloni all'ennesimo ancheggiare. Ma Marina era di un'altra pasta, lei non aveva bisogno di combattere. Lei sapeva di essere la migliore. Aveva deciso che il numero non contava, contava la qualità. E così prese la signora Armonia e gli indicò Lui.» E nel farlo indicai proprio James e lui si auto indicò come se si fosse sentito preso in causa.

Io sorrisi e continuai.

«Lui non era altro che l'uomo più vizioso, infastidito e cinico del mondo. Si divertiva a perlustrare quei posti di peccato per poter scrivere sul suo blog, il giorno dopo, quanto la razza umana stava decadendo in una stato di Sodoma e Gomorra del millennio. Era impossibile plagiarlo, nessuna era mai riuscita a farsi lasciare il numero, a farsi sorridere, accarezzare, offrire anche un solo cubetto di ghiaccio. Armonia deglutì ma Marina era tranquilla e soave, e come in un mezzogiorno di fuoco caricò il suo grilletto. Andò prima Armonia e le tentò tutte; alzata di coscia, sfioramento con le dita, l'infallibile risata da conquista, domande da interessata, l'ancheggiare, far fluire la chioma. Niente, Lui non si fermò neanche a guardarla. Scivolava col suo pennino tricolore su un foglietto per stillare il suo fastidio interiore in un posto del genere e Armonia se ne andrò via sconfitta.»

Mi resi conto che Locke ci aveva preparato due creme di rum irlandese e un piatto di patatine fritte. Anche Walter attirato da quegli odori invitanti s'era avvicinato e aveva spalmato le sue zampe ciccione sulle gambe di James; quello lo accarezzava tutto contento, non staccando gli occhi da me.
Mi sentivo leggermente a disagio ma continuai, imperterrita.

«E così tentò Marina e Armonia già sapeva che sarebbe finita in pareggio, Lui non era corruttibile. Sospirò, attendendo il suo verdetto, ma alla fine tutto si ruppe. Vide Lui alzarsi dalla sedia, lo vide toccare una spalla di Marina e quella specie di crepa sul suo viso rugoso era un sorriso. Un vero sorriso, la rarità del secolo, il miracolo dell' “Osannami” - il famoso locale di perdizione – e così Marina vinse e quella sera divenne una leggenda. Armonia aveva perso altri vent'anni di vita in un colpo solo e decise che era ora di mettere la minigonna al chiodo. Adesso insegna decoupage insieme a Mya.»

James tirò dentro l'aria nelle labbra e sgranò gli occhi.
«Ma come ha fatto a conquistarlo questa Marina?»
«Alle volte il non fare niente è la migliore arma che si possa avere. Tu stasera hai trovato un'Armonia e non una Marina. Le ventose sono così, hanno il potere di portare gli ormoni in fibrillazione ma quando si tratta di conquistare, allora non ci sono cosce e sederi che tengono. Si tratta di talento, capisci? Un po' come il saper recitare. O saper parlare in pubblico. O saper infilzare i pomodorini con la forchetta senza spararli come proiettili fuori dal piatto.»

Lui mi sorrise con una dolcezza diversa e si mangiò un paio di patatine prima di annuire.
«Quindi tu sei una Marina.»

Io rimasi un attimo bloccata a guardarlo senza sapere bene cosa dire e lui rimase con questa patatina in mano a fissarmi.
Pregai tutti gli dei conosciuti che Walter vomitasse sulle sue gambe così che lui spostasse lo sguardo perché io non riuscivo a farlo.
M'accorsi di avere il cuore leggermente stant-puf-pant e mi bevvi quel liquore al rum a goccia, dopo aver fatto una risata che non sapeva di niente.

«No. Io sono quella che racconta le storie, non le vive.»
«Sei una specie di tartaruga?»
«Esatto. Una specie di: ”Vivere? Sarebbe già qualcosa”.» Gracchiai con una voce presa da chissà cosa mentre lui mi guardava sempre con quel sorriso sulle labbra.
Qualcuno doveva avergliele cucite in quel modo, non era possibile che non smettesse mai di farlo.

«Domani ti porto in un posto al tuo break, e non voglio sentire un no.»
«Domani Locke non mi farà neanche andare in bagno, figuriamoci il break.»
«Locke? Domani posso rapire Grace? A fine turno!» Urlò James verso un Locke intento a strimpellare con la chitarra “All my love”. Era un po' romantico quella sera, probabilmente.
«NO!»
«Perfetto, domani andiamo!» Come se non l'avesse neanche sentito James continuò a mangiare le sue patatine fritte e il mio cellulare trillò in quel momento.

Una note vocale lunga sei secondi, direttamente da Pollonia.
Feci partire la voce e, nella sala, si spanse un urlo da velociraptor senza precedenti.
Tutti ci prendemmo un colpo al cuore e io non feci in tempo a chiamare un'ambulanza, la polizia, i pompieri e i ghostbusters che entrò Penny, di corsa, correndo verso di me con un aspetto così raggiante che non le avevo mai visto.
Mi si avvinghiò al collo in un abbraccio fortissimo, fregandosene del fatto che aveva travolto James con la sua vitalità.

«Grace! Devo raccontarti tutto! Non hai idea di quello che è successo! Sto tremando!»
Io la strinsi mentre ridevo e guardai verso James che era stato dirottato su un altro sgabello, e mi guardava con lo stesso sorriso.
«Locke portaci un altro rum, sarà una serata lunga.» Urlò l'irlandese.










 

NA.
Non sono brava a “inventarmi” le leggende da pub, me ne rendo conto. Non chiedetemi da dove mi sia uscita questa cosa perché non lo so neanche io. Questo capitolo non mi piace tanto, ma d'altronde a me non piace mai niente di quello che scrivo quindi bom, a posto così xD
Grazie come al solito per leggermi <3 chiunque voi siate, mi rendete felice.
Vi auguro buona giornata.

 

  
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