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Autore: Larryistruelovex    16/04/2015    1 recensioni
“Sai, molte persone pensano che il mondo sia solo di un colore, bianco, nero, rosso o blu. Io penso di vederli tutti, Harry, o almeno così mi sembrava: blu come l’oceano, rosso come il sangue, nero come le tenebre. Poi ti ho conosciuto e ho scoperto che in tutta la mia vita non mi ero mai soffermato su uno dei più importanti: il bianco. Il bianco, colore della purezza e della bellezza ma soprattutto il bianco è il colore delle ali che nascondi, piccolo angelo, ali che presto spalancherai quando prenderai il volo e io non voglio assolutamente perdermi quel momento. Okay?”
(Larry Stylinson one shot, 3.7k parole)
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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White
 
Questa storia non è come quelle che ho scritto in precedenza, è un genere diverso che però mi ha appassionato molto e al quale in un certo senso mi sono affezionata.
Come tutte le mie storie le dedico a qualcuno che mi supportato mentre veniva scritta oppure che mi ha ispirato per realizzarla.
Quindi questa non ve la toglie nessuno Alice e Siria, le LarryShipper migliori al mondo (dopo di me) che mi sono sempre vicino (in senso metaforico) e che mi hanno sempre aiutata quando ero in difficoltà.
Vi amo quasi quanto Louis ama Harry xx
 
Bianco. Era tutto ciò che Harry riusciva a vedere intorno a se, un immenso ed infinito muro bianco, ormai aveva rinunciato a parlare, anche solo a tentare di far funzionare le sue corde vocali quando il minimo sforzo gli faceva male.
Quella era una giornata come le altre, si alzava alle sette (o meglio, veniva svegliato da una delle donne bianche) faceva colazione (sempre il solito panino stantio con una marmellata da quattro soldi) ed arriva il dottore di turno che faceva di tutto ber fargli aprire bocca (sempre con risultati scarsissimi).
Harry si trovava in quell’ospedale da qualche mese e mai si sarebbe immaginato di poterne uscire, se non come cadavere, per questo fu molto sorpreso quando quella mattina, al posto del solito fighetto di turno laureato a Yale (non che avesse qualcosa contro di loro, in ogni caso) vide fare il suo ingresso nella stanza un uomo che avrà avuto massimo trent’anni, indossava dei pantaloni illegalmente stretti che mettevano in evidenza le sue gambe muscolose e una maglietta bianca sulla quale in corsivo era scritto It is what is it, non sembrava un dottore o almeno non quel tipo di dottore che ti aspetti da uno dei più famosi ospedali d’Inghilterra. Si guardò un attimo intorno, spaesato, prima di focalizzare il suo sguardo sul fagotto di coperto sopra quell’omonimo letto ed istintivamente sorrise a quella vista avvicinandosi e sorridendogli istintivamente. Sentì i respiri leggermente pesanti dell’altro, segno che stava dormendo e sorrise di nuovo, sedendosi al suo capezzale e aspettando pazientemente il suo risveglio, cosa che avvenne poco dopo quando tra uno sbadiglio assonnato e uno stiracchiamento il riccio aprì gli occhi, scontrandoli con quelli blu e allegri dell’altro ragazzo.
“Ciao Harry, sono Louis, il tuo nuovo dottore, so che non parli ma per il tipo di terapia che ho in mente non c’è bisogno che tu lo faccia.” Il ragazzo dagli occhi verdi lo osservò con sguardo curioso, chiedendosi che strana creatura doveva essere Louis per essere felice nonostante si trovasse in quell’ospedale con persone pazze. Con lui.
Harry fin da piccolo era stato cresciuto in maniera abbastanza particolare, i suoi genitori erano idealisti e pensavano che il loro bambino sarebbe stato più intelligente se non avesse rivolto la parola a nessuno così gli avevano inculcato, fin da quando era solo un neonato, il fatto di essere diverso e di non appartenere a questo mondo, gli avevano fatto credere di essere un alieno. Può sembrare stupido o surreale ma quando un ragazzo si rifiuta di parlare con qualcuno per ben 16 anni, convinto di poter un giorno conoscere qualcuno della sua specie, è abbastanza traumatico scoprire di colpo di essere un essere umano comune.
Ed era esattamente questo ciò che gli era accaduto, i suoi avevano sperato che col tempo si sarebbe accorto da solo di essere uguale alla massa, ma così non era stato, e si erano ritrovati costretti a, letteralmente, distruggere il mondo del loro bambino. Lo avevano portato da uno psicologo con la speranza che un giorno si sarebbe ripreso e lo avevano abbandonato lì quando tutta quella storia aveva iniziato a gravare sulla reputazione perfetta della sua famiglia, continuando però a mandare soldi per le cure del loro figlio, ma questo Louis non lo sapeva, Louis vedeva solo un ragazzo bellissimo, distrutto dai fantasmi del suo passato e bisognoso di cure, non quel tipo di medicamenti che ti stordiscono quasi fossi un drogato, Harry aveva bisogno delle cure di tutti i giorni che vedono una persona esporsi per proteggerne un’altra, Harry aveva bisogno di amore.
“Allora, facciamo che parlo io e tu ti limiti ad ascoltarmi.” Proseguì il dottore, sedendosi più comodamente sul letto del minore ed incrociando le gambe davanti a sé. “Allora mi chiamo Louis Tomlinson, ho ventitré anni e sogno di diventare dottore da quando ne avevo cinque, ho due sorelle e un cane, adoro la mia famiglia e non la cambierei per nulla al mondo.” Gli occhi di Harry si riempirono di lacrime a quelle parole, la famiglia del suo dottore era perfetta mentre la sua lo aveva fatto vivere tra mille bugie per un sacco di tempo. Perché non poteva essere normale, perché non poteva essere come Louis? Il medico notò subito la reazione del suo paziente e si avvicinò un po’ con l’intenzione di consolarlo anche se dentro stava esultando, ora sapeva che il problema di Harry riguardava la sua famiglia.
“Ehi piccolo, non tutti possono avere una vita perfetta e non importa ciò che i tuoi parenti ti hanno fatto, resteranno sempre le uniche persone sulle quali potrai mai contare.” L’altro fece per rispondere ma appena aprì la bocca un dolore insopportabile invase la sua gola e si affrettò a richiudere la bocca, Louis lo guardò e nel suo sguardo si leggeva un’assoluta comprensione nei confronti del minore.
“Ehi, non sforzarti di parlare, so esattamente ha cosa è dovuto il tuo mutismo, non affrettare le cose, continuerò a venire qui e a parlarti tutti i giorni fino a quando non ti fiderai abbastanza di me per riuscire ad esprimermi ciò che provi a parole, okay?” l’altro annuì prima di rimettere la testa sul cuscino e chiudere gli occhi, riflettendo su ciò che il suo nuovo terapista gli aveva detto e diventò paonazzo quando prima d’allontanarsi l’altro gli si avvicinò fino a posargli un bacetto umido sulla guancia, facendo spalancare gli occhi al più piccolo.
E forse sì, pensò Harry, forse quella sarebbe stata la volta buona.
 
Il giorno dopo era lunedì, Harry odiava il lunedì un po’ come tutte le persone presenti sul pianeta, significava che era cominciata un’altra settimana, si riprendeva il lavoro, la scuola e, nel caso del riccio, i controlli medici, aveva infatti insistito più volte (utilizzando ovviamente carta e penna) per avere il weekend libero perché infondo era un adolescente e non gli andava di passare sette giorni su sette in compagnia di quei camici bianchi che non erano in grado di fare niente se non osservarlo e stabilire così su due piedi che non aveva alcuna speranza di guarire. A volte si ritrovava ad essere d’accordo e a domandarsi come mai non si fosse ancora ucciso. Poi era arrivato il nuovo dottore: il dottore che disprezzava i camici e le maglie a maniche lunghe, il dottore che passava ore a raccontargli le sue giornate e a far di tutto pur di vederlo sorridere e affondare le dita nelle sue fantastiche fossette, spesso sembrava persino dimenticarsi d’essere in compagnia e si perdeva tra i suoi pensieri che a volte riguardavano quanto tenero fosse Harry con la maglietta rossa. Inutile dire che quest’ultimo ne assumeva immediatamente il colore.
Quel lunedì mattina Louis si presentò alla sua porta con un sorriso ebete sulle labbra, gli occhi gonfi e una scatola di biscotti alle arachidi in mano.
“Ehi Harry! Prima che tu me lo chieda, gli occhi sono così perché sono allergico al polline e fuori è appena sbocciata la primavera, sono inoltre leggermente intollerante alle arachidi quindi ora mangerai con me questi biscotti perché voglio vedere cosa succede se mescolo le mie allergie.” Spiegò sorridendo, il più piccolo fece lo stesso invitando con uno sguardo l’altro ad accomodarsi sul letto. Lui lo fece ed iniziò subito a parlare.
“Sai, molte persone pensano che il mondo sia solo di un colore, bianco, nero, rosso o blu. Io penso di vederli tutti, Harry, o almeno così mi sembrava: blu come l’oceano, rosso come il sangue, nero come le tenebre. Poi ti ho conosciuto e ho scoperto che in tutta la mia vita non mi ero mai soffermato su uno dei più importanti: il bianco. Il bianco, colore della purezza e della bellezza ma soprattutto il bianco è il colore delle ali che nascondi, piccolo angelo, ali che presto spalancherai quando prenderai il volo e io non voglio assolutamente perdermi quel momento. Okay?” Entrambi avevano gli occhi lucidi e il fiatone, uno per l’emozione, l’altro per essersi dimenticato di prendere fiato tra una frase e l’altra. Il più piccolo si limitò ad annuire facendo ridere il medico.
“Cioè io mi sforzo per farti un discorso del genere, lo provo addirittura allo specchio e tu semplicemente annuisci. Voglio un ringraziamento speciale.” Il riccio sorrise e si avvicinò all’altro lasciandogli un bacio appiccicoso sulla guancia, arrossendo fino alla punta dei capelli.
“Si, così va decisamente meglio.”
 
Louis continuò a venire tutti i giorni per i due mesi seguenti, parlavano di tutto, dal cibo fino alla canzone che stava ascoltando il liscio ultimamente. O meglio, Louis parlava, Harry si limitava ad ascoltare o quando proprio non resisteva a porre qualche quesito a Louis scarabocchiato su un foglio di carta che gli veniva offerto dall’ospedale.
Quel giorno in particolare Louis sembrava allegro e sorrideva al ragazzo più piccolo di continuo, spesso si allungava per accarezzargli i capelli o le fossette fino a quando il riccio non si fece un po’ da parte sul letto, invitando con lo sguardo il dottore a sedersi di fianco a lui. Quest’ultimo non se lo fece ripetere due volte e una volta essersi accomodato e aver circondato le spalle del suo paziente con un braccio lo guardò scrivere sul foglio e passarlo a Louis, arrossendo fino alla punta dei capelli, quest’ultimo lo lesse nella sua testa prima di sorridere come un idiota.
Com’è essere baciati? Aveva scritto, in una calligrafia infantile.
“Oh Harry, non hai mai dato il tuo primo bacio?” gli chiese, l’altro scosse la testa arrossendo di nuovo.
“Uhm come posso spiegarlo… Se lo ricevi dalla persona giusta ti fa mancare la terra sotto i piedi e ti sembra di poter toccare il cielo con un dito solo tenendo le vostre bocche a contatto è… Magico.”
Tu hai già trovato la tua persona speciale? Chiese ancora, affascinato dalla descrizione precedente.
“No Harry, non l’ho ancora trovata, ma spero di riuscirci presto, una volta mi sentivo così sereno, convinto di averla trovata, ma poi si è rivelato diverso da ciò che era in realtà.” Rispose sorridendo e cambiando argomento.
“Ma che ne dici di giocare un po’ a biglie adesso?”
Il liscio sorrise.
 
Faceva freddo e lui era stato chiuso in cantina per aver tentato di parlare con un umano, i suoi genitori lo avevano punito duramente, lui non poteva parlare con una specie meno evoluta.
La porta si aprì con un tonfo, mostrando sua madre, era vestita di nero, come al solito, ma teneva in mano un accendino.
“Harry te l’ho detto mille volte, non parlare con gli umani, devi limitarti a studiare e cercare di tornare sul tuo pianeta.”
“Ma madre, io mi sento così solo.”
“Magari un’altra bruciatura sotto i piedi può farti sentire meno solo.” Rispose ridendo ed avvicinandosi di più a suo figlio che, a sua volta, si mise ad indietreggiare, fino a quando la sua schiena non fu a contatto con il freddo delle piastrelle del muro.
“Harry, parlerai ancora con gli umani?” gli chiese la donna, afferrandogli il braccio in una morsa stretta mentre con l’altra attivava l’accendino.
“N-no madre, non lo farò più.” Promise tra le lacrime, tentando in tutti i modi di sottrarsi alla presa della donna che lentamente faceva avanzare la fiamma al braccio di suo figlio.
“Devo punirti lo stesso piccolo, è per il tuo bene.” Gli disse lei con un tono di falsa dolcezza presente nella voce mentre iniziava ad ustionare la pelle del più piccolo. Quando fu completamente arrossata si rialzò dal pavimento e, dopo aver tirato un ultimo, sonoro schiaffo al piccolo uscì dalla cantina. Ridendo.
 
Si alzò urlando, completamente bagnato di sudore, e piangendo. Continuò a piangere per un po’ fino a quando non si rese conto di ciò che aveva appena fatto. Lui aveva urlato, gli sarebbe piaciuto pensare che fosse almeno un po’ merito suo ma sapeva che era stato il suo dottore ha fare tutto, lo aveva fatto sentire a suo agio per la prima volta e non un extraterrestre. Forse avrebbe potuto finalmente ringraziarlo a parole. Sorrise al pensiero mentre realizzava che dopo anni passati senza il coraggio di aprir bocca era stata proprio la paura a farlo parlare di nuovo, provò a farlo di nuovo schiudendo appena le labbra e sussurrando l’unica parola che da mesi sognava di poter dire:
“Louis.” Lo disse piano ed iniziò a ripeterlo più volte, come una cantilena, mentre ricominciava a piangere e si circondava le gambe con le braccia, seppellendo la testa tra le ginocchia e continuando a ripetere Louis all’infinito.
 
Fu così che il dottore lo trovò il giorno dopo e quasi si prese un infarto quando, sedutosi al capezzale del minore, si rese conto che non era frutto della sua immaginazione e che quest’ultimo stava veramente parlando, o meglio delirando. Iniziò ad accarezzargli dolcemente la schiena e si sedette sul letto, portando il suo paziente sopra le sue ginocchia, aveva letto molti libri a proposito di cosa fare in questi casi e la prima cosa era sempre e comunque calmare l’interessato. Quest’ultimo ci mise circa un quarto d’ora per rendersi conto di non essere più solo e quando, sempre piangendo, si voltò leggermente, quel tanto che bastava per vedere Louis, sorrise e continuò a fissarlo negli occhi, parlando in modo più sicuro.
“Louis, sto parlando.” Disse ridendo, mentre si girava e buttava le braccia al collo dell’altro che a sua volta sorrise circondando i fianchi del minore.
“Harry, ora che parli non sei più un mio paziente, vero?” chiese, facendo scostare il più piccolino per qualche istante dal suo abbraccio.
“Beh, in teoria no.”
“Quindi se lo volessi, potrei baciarti?” Harry arrossì di colpo e spalancò gli occhi, sembrando leggermente un ranocchio.
“Beh, in teoria si.”
“E in pratica?”
“Baciami e basta, Louis.” E il più grande lo fece, portando le mani alle guance di Harry e attirandolo verso il suo viso fino a far scontrare le loro labbra in un bacio disperato che trasudava dolcezza e attenzione da tutti i pori, Louis voleva che il primo bacio di Harry fosse magico e fece di tutto per renderlo tale, si staccarono qualche attimo dopo, era stato solo uno sfioramento di labbra ma Harry aveva come la sensazione che la terra gli fosse stata levata da sotto i piedi e quando le labbra del suo ex-dottore entrarono in contatto con le sue gli sembrò di toccare il cielo con un dito, era stato magico.
“Louis?”
“Si?” disse, mentre le sue labbra si spostavano sul collo dell’altro.
“Ti racconto come sono arrivato in questo ospedale ma per favore non interrompermi e… tienimi stretto, ho così tanta paura.” Strinse di più la presa su di lui e continuò a baciargli il collo con dolcezza.
“Okay piccolo.” Disse semplicemente sulla mia pelle.
“Non ho mai avuto vita facile, fin da quando ero in fasce i miei genitori hanno usato la psicologia per farmi credere di non essere umano, volevano un figlio modello e che metodo migliore del non farlo interagire coi compagni? Mi hanno detto che ero alieno e che dovevo passare la mia vita a studiare per tornare sul mio pianeta, se non rispettavo le loro regole loro mi punivano, quando poi all’età di 16 mi dissero che era tutto finto finì come in stato di shock e non riuscì più a parlare, mi mandarono qui e da quel giorno pagano tutte le mie cure ma loro sono spariti e mi hanno lasciato solo.” Disse iniziando a piangere, e Louis lo strinse di più.
“Non sarai più solo, Harry, non ho la minima intenzione di lasciarti solo, okay?”
“Prometti?”
“Prometto.” Il riccio era commosso e non era sicuro di essere capace a dire qualcosa di sensato, si limitò quindi a poggiare le sue labbra su quelle dell’altro per attirarlo nel suo secondo e seducente bacio. Restarono cosi per molto tempo fino a quando il sole non iniziò a tramontare, Louis si staccò quel tanto che bastava per poter vedere il suo piccolo paziente negli occhi
“Devo dire ai miei colleghi che hai ripreso a parlare e se tutto va bene domani potrai tornare a casa.” Il più piccolo iniziò a tremare e a scuotere la testa aggrappandosi al braccio di Louis che nel frattempo aveva tentato di alzarsi.
“No no, Louis ti prego non voglio tornare a casa!!” Disse con le lacrime agli occhi
“Ma non ti lascerei mai tornare a casa tua… tu verrai a casa mia dopo tutto quello che è successo. Verrai da me e staremo insieme.” Sorrise.
“Me lo prometti?”
“Te lo prometto.”
“Fino a quando?”
“Fino a quando avrò vita.”
 
I giorni passavano ed ormai Harry si era stabilito a casa di Louis. I suoi genitori non ne sapevano nulla, pensavano che fosse ancora all’ospedale e anche se avessero saputo probabilmente non gliene sarebbe importato molto. E andava bene così.
La malattia di Harry ormai era migliorata fino a trasformarsi in un lieve disturbo, andava tutto bene.
O meglio: sarebbe andato tutto bene se fosse stato reale.
 
Harry si svegliò urlando nel suo letto, sua madre fece il suo ingresso in camera con ancora l’accendino in mano.
“Che succede Harry?”
“Questo non è reale, nulla di tutto questo è reale, è stato un sogno, solo un sogno.” Si mise a piangere mentre abbracciava il suo cuscino.
“Solo un sogno. È stato solo un sogno.”
“Harry ti ho detto altre volte che quelli della tua specie hanno sogni molto più realistici rispetto ai comuni mortali.” Spiegò sua madre, un sorriso falso stampato sul volto.
“TU MENTI! IO NON SONO ALIENO, GLI ALIENI NON ESISTONO E CON QUESTA BRAVATA MI HAI ROVINATO L’INFANZIA!!” Le urlò
“Ma piccolo l’ho fatto per il tuo bene.”
“Se questo è reale e se tu mi vuoi bene, almeno un po’ ora lasciami andare.” Le disse piangendo, mentre ancora tremante si alzava dal letto e guardava la donna davanti a sé con astio.
“Vuoi andartene? Benissimo, ma il mondo è crudele e presto vorrai tornare a vivere qui, perché in fondo questo è il tuo paradiso.”
“No mamma, non è il paradiso, questo è un castello di carte creato dalla tua mente malata che prima o poi sarebbe dovuto crollare. Louis ha solo velocizzato il tutto.”
“Chi è Louis?”
“Louis Tomlinson è il dottore che mi ha curato negli ultimi mesi, io me ne sono innamorato mamma e lui mi ha salvato.”
“Harry, negli ultimi mesi non hai messo piede fuori casa.”
“Non sempre bisogna uscire per viaggiare.” Queste furono le sue ultime parole prima di sbattersi la porta alle spalle ed addentrarsi nel gelido dicembre londinese. Corse per qualche isolato prima di entrare in un bar, si avvicinò al bancone dove venne accolto da una lunga occhiata d’apprezzamento da parte della barista.
“Ehi cosa ti porto?”
“Cosa puoi darmi di molto forte se ti do otto sterline?”
“Uhm… di molto forte niente ma una bottiglia di birra non te la toglie nessuno.”
“Posso portarla via? Non mi va di fermarmi qui.”
“Ma certo tesoro, non è un po’ tardi per stare in giro tutto solo.”
“Fidati non è una novità per me.” Lei si limitò a scrollare le spalle con fare non curante e a portarmi la mia birra. La stappò davanti a me e me la passo. Io le consegnai le banconote.
“Okay allora ciao.”
“Arrivederci.” Sussurrai sulla soglia del bar prima di dirigermi verso il cimitero, tanto in fondo ero un po’ morto pure io.
 
La prima cosa che sentii una volta entrato fu un singhiozzo soffocato, probabilmente appartenente ad una ragazza. Mi addentrai un po’ di più sentendo i lamenti farsi più costanti fino a quando non vidi una ragazza bionda inginocchiata davanti ad una lapide, come per riflesso mi sedetti vicino a lei che si limitò a gettarmi un’occhiata incuriosita prima di riprendere a piangere con sguardo basso.
“Come mai piangi?” Le chiesi dolcemente.
“È morto.”
“Chi?”
“Mio fratello.”
“Vuoi parlarmi di lui?”
“Lui era fantastico, faceva il dottore ma non si era mai laureato, era solo bravo a leggere le persone, amava il suo lavoro e mai avrebbe sospettato che proprio quello sarebbe stata la sua fine. È stato esattamente un anno fa, 18 dicembre 2012, nevicava e lui era in ritardo al lavoro, le strade erano scivolose ma lui correva come un pazzo. Avrebbe iniziato a curare un nuovo paziente quel giorno. I testimoni dissero che fu una cosa veloce, una scivolata e un capottamento e boom, era in coma. Non volevamo staccare le macchine quindi restò in quelle condizioni per qualche mese prima di svegliarsi.” Sorrise tristemente.
“Pronunciò solo tre parole prima di addormentarsi del tutto, questa volta definitivamente, come un naufrago che sta annegando, solleva la testa un’ultima volta prima di essere sommerso di nuovo dalle onde e morire per la mancanza di ossigeno.”
“E cosa ti disse?” Chiede con curiosità. La ragazza si alzò in piedi e si allontanò dalla lapide permettendo al riccio di leggere il nome anche se ancora non aveva distolto lo sguardo dalla donna.
“Disse ‘Harry, ti amo’.” Sussurrò per poi correre via, investita dalle scure ombre della notte.
La lapide diceva:
Louis William Tomlinson (1987- 2012)
Harry scoppiò a piangere perché in fondo non era stato solo un sogno, un sogno che però era diventato il suo incubo. Louis, il ragazzo che lo aveva reso felice, che lo aveva fatto sorridere aveva vissuto solo nei loro pensieri, in fondo però erano anime gemelle perché non avevano avuto bisogno di utilizzare cose superficiali come i loro corpi per incontrarsi, e forse non era tutto perduto. Pianse mentre pensava che la sua vita non aveva senso senza il suo sole e lanciò la sua birra per terra. La bottiglia gli cadde di mano e si sfracellò in mille cocci di vetro che brillavano sotto la luce della luna.
Ne raccolse uno e lentamente lo posò sul suo braccio vedendo il sangue uscire e mischiarsi con le lacrime.
Continuò a tagliare fino a perdere i sensi.
“Louis” sussurrò Harry “Penso di aver spiccato il volo.”
L’ultima cosa che vide fu il bianco. Bianco, e un paio d’occhi azzurro cielo.
Fine
 
[circa 3.7k parole]
 
   
 
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