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Autore: 0rangecl0ckw0rk    16/04/2015    1 recensioni
Una giovane ragazza che si trova a riflettere sulla decisione importante se fare un test per una malattia degenerativa. "...Magari mi preoccupavo per niente, magari ero una ragazza come tante. Rossa, rigorosamente tinta, occhi di ghiaccio e tanti, troppi piercing."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA DANZA VERSO LA MORTE
Ormai era passato un annetto da quando nonno Franco era morto. Questo è stato molto triste e doloroso ma mai quanto tutto ciò che ne ha conseguito.
Infatti a nonno Frac (come lo chiamavo fin da piccola) fu diagnosticata anni fa, piu precisamente nel 2003, la Corea di Huntington, una malattia genetica neurodegenerativa che colpisce la coordinazione muscolare e porta ad un declino cognitivo e a problemi psichiatrici. Cosi era stato detto. Questa malattia veniva anche definita danza verso la morte per gli spasmi muscolari, simili a una danza, che avevano i pazienti nel corso della malattia.
Per mia mamma fu un duro colpo, come per i suoi fratelli e immagino pure per mio nonno. Nonostante la sua solarità penso che nessuno rimarrebbe imperturbato nel sapere che quelli che sembravano semplici scatti della mano destra dovuti dai nervi, in realtà erano il preludio di un demone che lo avrebbe mangiato pezzo per pezzo fino a trasformarlo in un vegetale. Prima di morire era diventato questo. Niente di più, niente di meno. Relegato in un letto di ospedale negli ultimi mesi, semi incosciente e sempre meno capace di intendere e volere.
Quando si venne a sapere del malanno DEL nonno, come se fosse l’unico ad esserne affetto, i miei zii e mia mamma decisero di non sottoporsi al test per sapere se geneticamente ne fossero affetti anche loro. Immagino che fosse troppo da sopportare per loro in un solo momento.
In quegli anni io ero molto piccola, come mio nonno mi definiva “un candido fiorellino di otto anni”, e capivo molto poco. Non mi spiegavo quei movimenti improvvisi del nonno ma, crescendo e vedendo lui peggiorare, capii e mi documentai. A 16 anni ero diventata una esperta di questo morbo incurabile che aveva deciso di affliggere la mia famiglia. Quella fu la prima volta in cui ne parlai con mia madre, non per sapere di più sul “demone” ma per saperne del piu del test che si poteva effettuare per saperlo in anticipo. Mi ricordo che mia madre mi diede una carezza sul viso e poi sentenziosa mi disse “sei giovane, goditi la vita. È inutile sapere prima ciò che ci serba il futuro”. Ma io volevo sapere e avevo tante domande. Se fossi stata geneticamente malata come avrei reagito? Che avrei fatto? Avrei dovuto preparare un piano di vita, per risparmiare, magari non impegnarmi in un uomo a cui avrei causato solo problemi e non avere figli per evitare loro tutto questo. Curiosa e cocciuta. Ero ferita nell’orgoglio se non più in profondità e l’unica cosa che mi sembrava giusto era correre dal mio migliore amico per rintanarmi tra le sue braccia, senza proferire verbo. E cosi fu.
L’ultima volta che ne parlai con mia mamma, come in precedenza chiuse il discorso dicendo con un fondo di ironia: “se mai inizieranno a danzare i miei arti di sicuro non resto qua. Meglio danzare il tango della morte che un balletto qualsiasi”. Si sarebbe rifugiata in Spagna, terra da lei tanto amata per il cibo, il tango e di sicuro anche per gli spagnoli.
Gli anni passavano, il nonno peggiorava sempre di più, e la mia curiosità aumentava. Io volevo e dovevo sapere se avrei ballato con la morte o se ne ero stata esentata qualche divinità nell’universo. Magari mi preoccupavo per niente, magari ero una ragazza come tante. Rossa, rigorosamente tinta, occhi di ghiaccio e tanti, troppi piercing.
Però il silenzio e il non sapere mi mangiavano il cuore. Perché i medici questo non te lo dicono. Quando il nonno e gli altri vennero a sapere di questa malattia, dal nome tanto spaventoso, calò il silenzio. E fu cosi per i successivi 12 anni. Non era solo un “demone” che smembrava ogni cellula del cervello di mio nonno ma un qualcosa di innominabile, tanto era incurabile.
Non ho mai avuto nessuno con cui parlarne. Mia mamma mi ha sempre liquidato con frasi tra il filosofico, il canzonatorio e il tono di qualcuno che viene punto nel vivo della ferita. Con mio padre è sempre stato inutile anche solo accennare al problema; era sempre stato preso dal lavoro, a maggior ragione da quando mia madre era diventata una badante a tempo pieno insieme agli zii. Giustamente non volevano abbandonare nonno Frac al suo triste destino.
Con gli amici è fuori discussione che ne parli e con il mio ragazzo all’incirca idem. Quel santo di un ragazzo che per anni mi ha stretto a sé nei miei pianti convulsi e mi ha mandata a cagare senza troppi problemi quando diventavo paranoica e infantile. Ha mille pregi e di sicuro lo amo e sono felice di averlo “fatto mio” a 20 anni, ma penso che non capirebbe questa mia ansia e curiosità, anche perche lui non ha visto degenerare il nonno Frac. Non ha passato anni dentro e fuori dagli ospedali. Né ha vissuto il triste episodio della nipotina che ,cercando di abbracciare il nonno, ha ricevuto un ceffone sulla guancia a causa degli spasmi della malattia dal suo eroe e il SUO Frac.  é troppo per lui o forse voglio portarmi il fardello da sola come un martire.
Insomma che fare? Ricapitolando ho 20 anni, felice, fidanzata e legalmente posso decidere di effettuare il test senza che nessuno me lo impedisca. La pulce nell’orecchio di sapere che ne sarà di me saltella ancora urlandomi, assordandomi.
Ho preparato due fogli sistemati in due buste di colori diversi con i piani da eseguire dopo aver avuto i risultati. Nella gialla, come ho rappresentato fin da piccola la solarità di mio nonno, i propositi che avrei dovuto seguire nel caso fossi stata sana (tra cui la prima è una sana scopata con il mio ragazzo per scaricare la tensione e con un TI AMO detto con i lacrimoni da parte della sua “glaciale” ragazza). Nella busta verde, verde come la speranza e gli occhi del mio amato nonno Frac, il ferreo piano da seguire in caso fossi risultata malata. Dall’affrontare il discorso con i miei e con il mio ragazzo, ai risparmi fondamentali alle cure, al DIVIETO di fare figli. Non mi perdonerei mai di mettere al mondo qualcuno che potrebbe soffrire come ha sofferto mio nonno e che potrebbe diventare orfano da piccolo/giovane.
Non trovo motivi per cui aspettare o dilungare ancora la mia agonia che si protrae fin da troppo. Voglio sapere. Domani vado a prenotare la visita e l’esame.
 
 
 
 
 
DOPO ALCUNE SETTIMANE SONO ARRIVATI RISULTATI E I SUOI TIMORI ERANO FONDATI, AVEVA LA COREA DI HUNTINGTON.

  
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