Louis Tomlinson era stato il migliore amico di mio fratello, il mio vicino di casa e il mio peggior incubo per 14 anni. Aveva solo due anni più di me, come mio fratello Julian, ed eravamo cresciuti insieme. Apparentemente il mio rapporto con entrambi era un disastro, ma, in realtà, eravamo legatissimi. Louis passava molto tempo a casa mia, come, del resto, io e Julian a casa sua. Giocavamo sempre insieme da piccoli e non c’è da stupirsi se il mio carattere ora è poco femminile: ho sempre preferito il calcio e la lotta alle bambole, ma ho sempre conservato anche un lato di bambina, che sfruttavo quando mi facevano arrabbiare, per farli impietosire e obbligarli a chiedermi scusa. Con me, infatti, erano molto dispettosi, e, essendo più grandi, i loro scherzi riuscivano bene troppo spesso. A volte erano cose di poco conto, che facevano divertire anche me, come quando mi mettevano il sale nel tè al posto dello zucchero, ma, il più delle volte, erano scherzi un po’ cattivelli, come quando intinsero il mio peluche preferito nella pittura blu, o quando liberarono un vasetto di ragni nella mia camera, pur sapendo che ne ero terrorizzata. Nonostante questo, il nostro rapporto era veramente speciale: Julian e Louis erano molto protettivi verso di me e sapevano essermi di aiuto e di conforto in molte situazioni. Louis, in particolare, cambiò atteggiamento nei miei confronti nel periodo in cui mia mamma si ammalò. Sapevamo tutti che era molto grave, che non ce l’avrebbe fatta, e Louis ebbe un particolare riguardo per me, la piccola della famiglia: mi coccolava, mi viziava, era dolcissimo e affettuoso.
Mia madre morì quando avevo 17 anni e mio padre, troppo stanco e triste per andare al lavoro, venne licenziato. Non avevamo soldi, non vedevamo futuro e papà decise di trasferirsi a Londra: “nuova città, nuove speranze, nuova vita” diceva. Così in una piovosa mattina di Luglio lasciammo Doncaster. Louis era distrutto, più di tutti noi. Ricordo che piangeva, piangeva senza avere la forza di parlare, non diceva nulla mentre ci aiutava a caricare i bagagli nella nostra vecchia berlina, e non disse nulla nemmeno quando abbracciò Julian. Prima che io salissi in macchina, però, mi prese per un braccio e mi tirò a se, testa contro testa, come facevamo sempre per fare pace da piccoli, e lasciando che le lacrime continuassero a bagnargli le guance sputò senza respirare una parola dietro l’altra, tenendo i suoi occhi fissi sui miei.
Louis: guardami Victoria, ascoltami bene. Io ci sarò sempre per te, nulla potrà mai allontanarci, nemmeno le centinaia di chilometri che ci divideranno! Tengo a te più che a chiunque altro, ricordalo sempre. Per favore…..per favore. Abbi cura di te, continua a crescere così, restando la persona incredibilmente fantastica che sei. Non esitare a chiamarmi per qualunque problema, in qualunque momento: io ci sarò e sarò pronto a correre da te. Non voglio che ti succeda niente……
Poi le parole gli si soffocarono in gola, tra i singhiozzi e allora io lo strinsi a me, lasciandomi andare al pianto sulla sua spalla. Poi salii in macchina, lasciandolo sotto la piogga, diretta verso una nuova vita.