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Autore: Hiccup Loss    17/04/2015    1 recensioni
Quando il mare continua il suo perenne moto ondoso, la vita riserba sorprese e speranze a un uomo coraggioso. Navigando in un mondo meraviglioso, incontrerà il suo peggior nemico, deciso a sconfiggerlo e proclamarsi vincitore. Chi non crede nei fantasmi, scoprirà attraverso la storia che essi esistono e vivono in ciascuno di noi.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Àngel Marin ha aperto gli occhi. La sua infallibile sveglia biologica è stata abituata dal tempo a squillare regolarmente alle 5 di mattina, poco più poco meno. Resta ancora un attimo sulla sua branda, a fissare il soffitto di travi, per abituare la vista al buio soffuso, e poi si alza con un lungo respiro, il primo vero della giornata. È molto importante, perché respirare con animo significa salutare il giorno, e salutarlo vuol dire ringraziarlo per altre 24 ore di meravigliosa vita. Abita in una baracca sulla spiaggia, non molto grande, ma sufficiente per permettergli di godere del mondo e di se stesso, e fuori il capanno, spinta lontano dall'acqua salata, è arenata la sua barca a vela. Àngel è un pescatore, vecchio ma con la forza di un guerriero e l'animo di un condottiero, soldato dimesso per infortunio, un'amputazione dell'avambraccio sinistro. Alle 5.00 l'aria è fresca, l'atmosfera è già un po' rischiarata e si sfuma tendendo ai toni più caldi dell'alba. È il piccolo miracolo della nascita di un nuovo giorno: Àngel è solito contemplarlo, il battesimo del mondo. Il sole si solleva lento e inesorabile e il mare, che poco prima era un universo scuro senza speranza, ora riflette l'arancio e il rosato della luce dell'alba come bollente acciaio fuso, e il calore dei raggi celesti emanano un che di domestico, fanno sentire a casa. Àngel è sempre attivo in questo magico rito naturale, forse perché si sente chiamato in causa e non vuole sentirsi escluso da un tutto che ha bisogno di tutti per poter vivere. E allora remi in barca e via a scivolare agile su una tavolozza disordinata di acquerelli: i colori sono così belli che è impossibile non pensare che se l'amore potesse essere disegnato con un pennello, verrebbe dipinto in questo modo. Il pescatore diventa il figlio del silenzio e non tedia la natura, si fa spettatore attento e rispettoso e getta piano le reti, dando inizio al suo lavoro. Le lancette dell'orologio per un pescatore girano veloci, paradossale per un mestiere che richiede tempo e pazienza, ma comprensibile se l'attività la svolge Àngel. Effettivamente a Marin piace molto pescare. Gli ricorda l'infanzia, la pipa fragrante di tabacco del padre e la sua mano grande e ruvida, irrigidita da anni di lavoro al largo a tirare reti e funi, sotto l'attacco pungente del sale e della polvere. E si sa che quando qualcosa piace, il tempo si fa dispettoso e sembra che passi più in fretta di quanto non si creda. Ma forse non è questo l'unico motivo che impedisce al marinaio di avere qualche ora in più di luce: la causa principale è la paura della notte, e anche la paura accelera il tempo. Non si tratta di avere paura del buio, ma degli incubi. Col sonno del fisico e della ragione, la mente produce mostri e rivela il proprio demone. Ognuno ha un proprio demone che appare quando si è nella condizione più debole e misera, e meschino esce allo scoperto come un serpente e sibila infliggendo morsi venerei su tutto il corpo. Vuole solo spingere alla disperazione e non ha mai conosciuto il calore di un affetto, motivo per cui si ritrova egli stesso sotto forma di un'anima malvagia. Quando brutte esperienze ci colpiscono con forza crepano una parte precisa della nostra anima. Col tempo il rimorso o il dolore dei ricordi alimentano questa spaccatura che finisce con lo spezzare l'anima, e da essa si distacca un germinoso figlio del male che si nutre voracemente della sua vittima, tramutandosi lento e latente in un demone, parassita che si insidia nell'intimo del proprio corpo. È una storia macabra che Àngel conosce molto bene: di notte il suo demone fuoriesce e si manifesta in tutta la sua orribile potenza, enorme e mostruoso si erge fino alla sommità del soffitto e stride ingoiando quei pochi fili di luce lunare che trapassano dalla finestrella del capanno. Del resto il demone della guerra è uno dei più spietati e quel suo avambraccio mancante ne è un ricordo tangibile ogni attimo. Mai ha trovato il coraggio di combattere contro una simile creatura, così ogni notte per il nostro vecchio marinaio è solamente l’inizio di un incubo, di un terribile e tremendo incubo, dove le sue ferite di battaglia non trovano consolazione. Ma c’è un momento nella vita di ogni uomo in cui si deve uccidere il proprio demone. Quel giorno Marin aveva deciso che avrebbe provato a porre un termine a tutto, per audacia o forse perché stanco di essere asservito ad un essere immondo. Aveva fatto una scelta, consapevole dei rischi che avrebbe potuto correre, ma anche del fatto che la libertà li valeva tutti e anche di più. Passò gli ultimi istanti di luce seduto a fianco della vela ormai raccolta, ad accarezzarsi la barba crespa e a pensare che, in fondo, assomigliava molto a suo padre. Si guardò la mano all’ombra della luce aranciata del tramonto e gli sembrò una di quelle del genitore, saggio che tante cose gli insegnò sul buono e sugli errori. Quando del sole non rimase che un sottile spicchio di arancia e si avvicinava minacciosa una tempesta, prese in mano il remo e lo buttò in mare, voleva essere sicuro che nulla avrebbe ostacolato la sua decisione: avrebbe affrontato la creatura sull’acqua, nel posto che amava di più al mondo, in compagnia della memoria di suo padre, che da un angolo nascosto del suo cuore gli faceva forza e lo sosteneva. Aspettò ore, che parvero anni, senza mai chiudere gli occhi estenuati, sempre vigili e desiderosi nella loro stanchezza di rivedere la luce bianca della propria dignità. Quando cominciò a piovere e il cielo sbraitava fulmini e lampi da ogni dove il mare rispose con clima apocalittico, ma il marinaio non si mosse e resistette alla furia delle onde e ai pugni portentosi dell’acqua arrabbiata da soldato esemplare. Trascorse quasi tutta la notte. Evidentemente l’animo determinato del pescatore incuteva timore anche nel demone, che ringhiava di rabbia per ritrovarsi in un ambiente sconosciuto, all’aperto sotto un inferno di percosse e spari elettrici, e se ne stava al sicuro nel fondo più abissale, come un predatore nella sua lurida tana. Poi ecco che un acido odore di benzina iniziò a riversarsi nell’aria attorno alla barca insieme a un meccanico e strillante rumore di metallo sgretolato, e una scura sostanza informe si andava a dilatare davanti allo sguardo speranzoso e infiacchito di Àngel. Comprese che era giunto il momento di affrontare il proprio demone, l’impresa più memorabile della sua esistenza e più degna di gloria. Sentì un sussurro, suo padre di certo, che gli mormorava di essere fiero di lui. Si girò verso l’orizzonte e il primo raggio di luce dell’alba, il primo che vinceva le forze dense delle nuvole gonfie di brutalità,  fu l’ultima cosa che vide.
 
Le persone che quella mattina osarono andare a lavorare in mare dopo la violenza della tempesta raccontano che una simile volta celeste non si era mai vista fin dal principio della creazione. I colori che la contraddistinsero vennero descritti sempre in maniera diversa: c’era chi diceva tendessero al  tenero rosa delle guance, chi al rosso fuoco della passione, qualcuno al giallo fresco dei girasoli. Io giurerei ancora di essere stato testimone di una fusione di tonalità innaturali e stupefacenti, non forgiate da fenomeni fisici ma da manifestazioni soprannaturali. Venne rinvenuta una barca al largo, aveva la vela strappata e l’albero spezzato. Il bordo sinistro era stato gravemente danneggiato, come se fosse stato deturpato dal morso di un animale perverso. Non fu trovato nulla nell’imbarcazione, solamente una pipa che profumava di tiepido tabacco. Le foto di Àngel iniziarono a girovagare in paese dopo qualche giorno, non appena i suoi vecchi amici si erano preoccupati della sua assenza e lo avevano dichiarato disperso. Io ricordo benissimo quel giorno, nacque mio figlio proprio quando il sole stava per intraprendere il suo usuale ciclo luminoso. L’ho chiamato Angelo, perché effettivamente un angelo è, ma anche perché conservo perfettamente il ricordo che quando sospirai di gioia dopo la sua nascita, che quando seppi che mia moglie e il bambino stavano bene e tutto era andato per il verso giusto, mi avviai alla finestra a osservare il mare, e quello che vidi fu un uomo seduto su una barca, controluce, rivolto a osservare il battesimo del mondo, e subito mi dissi: quello è uomo libero, quello, lo so per certo, è un angelo.
   
 
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