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Autore: Vale11    18/04/2015    1 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Di nuovo, da un prompt di Kikigurr. Giuro, non intendevo fare un capitolo di mille mila parole. E' solo che mi è venuto così.

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Il telefono. Girolamo odia il telefono. E’ così difficile capire bene cosa intendono le persone senza vederle in faccia mentre ti parlano, si finisce per fraintendere, e poi succede sempre un macello. Lui ha sempre avuto una faccia da poker magistrale, ed è sempre stato abituato a dissimulare qualunque inflessione la sua voce possa subire, ma non si sa mai. Certo, non che ogni telefonata si concluda in un disastro. Ce ne sono anche di tranquille.
Ma in ogni caso, Girolamo odia il telefono. Molto.
Moltissimo.
Però sa che Leonardo è impossibile da scollare dal blocco da disegno mentre lavora, quindi molla il portatile sul tavolino davanti al divano, si alza e va a rispondere.
Non l’avesse mai fatto.
“Pronto?”
Dall’altra parte c’è un minimo di esitazione, poi sente una voce femminile.
“Leonardo?”
No, pensa Girolamo. Non proprio.
“No, se mi dite chi lo cerca ve lo posso passare”
C’è una nuova esitazione, poi la voce si schiarisce la gola e ringrazia. Girolamo ha il tempo di pensare che quella voce ha l’impressione di averla già sentita.
“Ditegli che sono Lucrezia, per favore”
Prima che la cornetta gli scivoli di mano Girolamo l’ appoggia sulla mensola, fissa il muro per qualche secondo, si caccia le mani in tasca e va a cercare Leonardo. Quando Leo risponde al telefono, è già tornato sul divano col portatile aperto davanti.
Dal viso non traspare nulla, ma non si sentiva le spalle così tese da un secolo. La pianta grassa che Lucrezia ha regalato a Leonardo, ora, gli pare quasi minacciosa.
Il che è ridicolo, a pensarci bene.
Leo parla al telefono per qualche minuto, lo sente ridere, fare le congratulazioni per qualcosa, fissare un appuntamento, data e ora, quella sera stessa, e riattaccare.
Non gli piace.


Leo entra in salotto sorridendo, scompiglia i capelli di Girolamo mentre passa e si blocca quando lo sente tendersi sotto le sue dita.
“Tutto bene? - chiede, appoggiandosi coi gomiti alla spalliera del divano - non volevo infastidirti”
Girolamo si stampa un sorriso in faccia, si stringe nelle spalle e indica il computer con un cenno della testa.
“Non sei tu, è una relazione che non vuole uscirmi dalla tastiera”.
“Oh. Posso aiutarti?”
Leonardo lo vede scuotere la testa, chiudere lo schermo e stirarsi il collo. Produce un crack piuttosto soddisfacente.
“Non importa, ma ti ringrazio”
“Come vuoi”


Salta la spalliera del divano e atterra a sedere accanto a Girolamo, recuperando il blocco da disegno e buttando sul retro il foglio pieno di appunti; cerca una fotografia sul telefono e inizia a schizzare sulla carta una figura femminile. Girolamo finge di essere interessato al documentario sull’Alaska che ha trovato in tv, ma ogni tanto butta l’occhio sul lavoro di Leonardo. E’ ipnotico, guardarlo creare un’immagine così perfetta buttando giù qualche linea, e lo fa con una naturalezza che a volte gli pare trascenda il mero essere umano.
“Si è sposata una mia amica, la settimana scorsa - gli dice, biascicando le parole col lapis di riserva che tiene fra le labbra. Lo toglie e lo appoggia sul tavolino - non sapevo si sposasse e non le ho comprato niente, quindi spero che un ritratto le basti come regalo”.
Girolamo sta per rispondere che un ritratto di Leonardo basterebbe anche al papa in persona, ma gli muoiono le parole in gola quando vede il viso di Lucrezia prendere forma. Sta sorridendo. E’ da una vita che non la vede sorridere. In realtà è da una vita che non la vede. E l’ultima volta che si sono visti non gli ha certo rivolto la sua espressione più radiosa. Deglutisce.
Sua cugina si è sposata, e lui nemmeno lo sapeva. Si chiede se suo padre ne fosse a conoscenza.
Non si accorge che Leonardo ha appoggiato il lapis e lo sta fissando, perplesso.
“Girolamo, sei sicuro di star bene?”
“A-ha”
Si alza, va in cucina a prendere un’arancia e inizia a sbucciarla. Non è facile, con le mani che tremano in quel modo. Quando riesce a liberare uno spicchio se lo caccia in bocca e mastica quasi senza sentirne il sapore guardando il giardino condominiale fuori dalla finestra, oltre gli adesivi che Leo si ostina a voler attaccare sul vetro. Quando torna in salotto, un paio di spicchi dopo, Leo lo aspetta incuriosito, col blocco sulle gambe incrociate e i capelli legati in una coda. Sa che non sta nascondendo il fatto che c’è qualcosa che lo turba. E sa che Leo lo tempesterà di domande, da li a cinque secondi.


Leonardo appoggia il blocco sul tavolo, si volta completamente verso Girolamo e lo studia con un sopracciglio alzato mentre continua a buttare giù spicchi d’arancia come un automa.
“Splendore, che c’è?”
Lo vede deglutire, spolverarsi i pantaloni, ammucchiare ordinatamente le bucce d’arancia su un foglio di carta da cucina e biascicare: “Appunto, cinque secondi netti”.


Si umetta le labbra, fissando un alce che pascola neve, considerando che in Alaska l’erba pare essere sepolta sotto metri di ghiaccio e roba bianca. Glielo dice prima di poter cambiare idea.
“Lucrezia Donati è mia cugina”
“Cosa?”
Leonardo schizza a sedere sul divano, con una faccia stravolta e le mani che volano mentre parla.
“E non me l’hai mai detto? Perché non me l’hai mai detto? Non mi hai detto niente nemmeno quando mi ha regalato quella pianta, eppure ti avevo raccontato da chi veniva! Potevi avvertirmi che si sarebbe sposata, non credevo che il fatto che avessimo avuto una storia ti desse tanto fastidio!”
E, a quel punto, Girolamo scoppia davvero a ridere.
“No, Leo. Non potevo avvertirti di qualcosa che non sapevo - si gira verso Leonardo, che adesso lo guarda decisamente confuso - non siamo in buoni rapporti. Non la vedo da anni.”
“Ah”
Leonardo si trascina a sedere più vicino, passandogli una gamba dietro la schiena e, a quel punto, obbligandolo a sedersi contro il suo petto. Inizia a lavorare con le mani sulle spalle contratte di Girolamo che, deve ammetterlo, potrebbe anche decidere di farsi massaggiare via la tensione dalle spalle senza più pensare ad altro.
“Tu e la tua famiglia - gli dice Leonardo sospirando, mentre cerca di eliminare la tensione dai tendini del collo - credevo di essere quello con l’albero genealogico disastrato, ma tu mi batti dieci a uno.”
Girolamo articola qualche suono non meglio identificato e si lascia andare contro Leonardo. Si addormenterebbe volentieri.


Leo lo vede così rilassato che gli dispiace doverglielo dire, ma prima si leva il dente meglio è. Massaggia per un altro po’ il collo di Girolamo, poi ci avvolge le braccia intorno e gli appoggia il mento su una spalla.
“Vengono qui a cena, stasera. Lucrezia e suo marito Niccolò”
Fa una smorfia quando sente la tensione tornare a tutta forza sotto le sue mani, sente anche il cuore di Girolamo accelerare di colpo. Rafforza la presa quando il suo ragazzo cerca di sganciarsi e lo costringe a rimanere seduto dov’è.
“Ehi, ehi - gli dice passandogli il pollice appena sotto la gola - va tutto bene. Posso chiamarla e rimandare, oppure posso dirle che ci vediamo da qualche parte. Non sei obbligato a venire, e non sei obbligato a rivederla”
“Lei - Girolamo deglutisce a vuoto, gli sembra di aver finito la saliva, poi riprende - lei sa che vivo con te?”
Leonardo scuote la testa, Girolamo sente i capelli lunghi del suo compagno sfiorargli il collo.
“Non credo, se non gliel’hai detto tu”
“No, non l’ho fatto”
Non gli piace, il modo in cui parla. E’ come se avesse inserito la marcia indietro e fosse tornato ai primi anni della loro relazione, quando si sforzava di essere distaccato in tutti i modi. Gli fa paura, Girolamo, in questi casi.
“Va bene, va bene - gli dice, baciandogli i capelli appena sopra la nuca - la chiamo e mi organizzo in qualche altro modo”
Le mani di Girolamo lo bloccano prima che possa alzarsi per raggiungere il telefono.
“Non importa”
Si sporge di lato per vedergli il viso, mentre Girolamo si gira verso di lui.
“Sei sicuro?”
“Sono sicuro - Girolamo annuisce con un mezzo sorriso, pare tornato sul pianeta Terra - prima o poi avrei dovuto rivederla; preferisco farlo con te vicino e in un ambiente…”
Non finisce la frase, indica casa loro con una mano storcendo le labbra. Leonardo finisce per lui.
“Familiare?”
“Familiare”
Annuisce di nuovo.
“Ne vuoi parlare?”
Scuote la testa. Girolamo però gli sembra abbastanza tranquillo da poter azzardare una battuta.
“Cucini tu, per stasera?”
E’ stupito quando lo vede annuire.
“Certo, non ti permetterei mai di avvelenare mia cugina.”


Leonardo ha apparecchiato la tavola e Girolamo è ai fornelli da un po’ quando il citofono si illumina, Leo risponde, dice il piano e va ad aprire la porta. Girolamo resta in cucina, passando e ripassando le mani sull’asciughino che si è legato in vita per non macchiarsi i pantaloni. Non si volta quando sente un paio di scarpe col tacco entrare nel corridoio, non esce dalla cucina quando sente le voci di sua cugina e di suo marito, non si fa nemmeno vedere quando Leo chiede di passargli i cappotti per portarli in camera. C’è un secondo di silenzio nel quale i due novelli sposi restano soli davanti al tavolo, poi Girolamo si asciuga le mani per un’ultima volta, appoggia l’asciughino sul piano di lavoro e si affaccia alla sala da pranzo, lascia che Lucrezia lo veda e se ne sta li, con le mani dietro la schiena, ad aspettare che qualsiasi cosa che deve succedere, succeda.
Lucrezia resta imbambolata per un attimo, poi si schiarisce la voce.
“Lo sapevo che eri tu, al telefono”.
“Già, si. Scusatemi, ho un impegno urgente”


Leo lo vede scappare verso l’attaccapanni, prendere il giaccone di pelle, infilarselo e correre verso la porta: ha tutta l’aria di una fuga precipitosa. Prima di riuscire a fermarlo, però, vede Lucrezia correre incontro a Girolamo.
“No! No. Resta - gli chiede appoggiando una mano sulla porta. Non lo tocca, però. Non lo sfiora nemmeno. E’ come se sapesse come trattarlo - resta, per favore”


La cena si svolge in un silenzio non esattamente confortevole: Lucrezia presenta Leonardo come un suo amico e Girolamo come suo cugino, poi presenta Niccolò ad entrambi; si scambiamo un paio di battute sul matrimonio e sul viaggio di nozze che intraprenderanno a breve, poi Leonardo le da il ritratto.
E’ meraviglioso, come sempre. Come tutto quello che Leonardo crea. A volte Girolamo vorrebbe essere una sua creazione, smettere di essere chi è e diventare qualcos’altro. Non sa bene cosa, solo qualcos’altro.


Non si aspettava che Lucrezia gli chiedesse di poter uscire in terrazza con lui perché ha bisogno di parlargli. Leo e Niccolò stanno parlando del più e del meno davanti a una bottiglia di vino, ma vede Leonardo seguirlo con lo sguardo mentre annuisce e segue sua cugina all’aperto. Gli fa cenno di stare calmo, prende il suo bicchiere dal tavolo ed esce.
Lucrezia è bella, lo è sempre stata, di una bellezza classica tipica delle donne rinascimentali. La guarda mentre si accende una sigaretta con uno zippo argentato, metterlo di nuovo nella pochette coordinata col vestito e voltarsi verso il giardino. La luce di casa le illumina i capelli, a vederli così sembrano quasi rossi. Girolamo si appoggia al muretto del terrazzo, appoggia un gomito sul bordo. Non sa bene cosa fare con se stesso, qui fuori. Poi, Lucrezia butta la cenere nel posacenere portatile che ha attaccato alle chiavi, si gira a guardarlo e il momento finisce. Resta incastrato in quegli occhi come ci era rimasto anni prima. Parecchi anni prima. Si tormenta le mani. Se Leo fosse li, gli direbbe che sembra una lepre davanti a un tir.
“Ti devo delle scuse, Girolamo”
Ecco, quella non se l’aspettava.


Leonardo sbircia quello che sta succedendo in terrazza. Per ora, gli sembra tutto tranquillo. Si toglie i capelli dagli occhi e torna ad ascoltare Niccolò.


“Tu…mi devi delle scuse - Girolamo stringe più forte il bicchiere - a me. Devi delle scuse a me?”
Lucrezia gli sorride. Non l’aveva mai visto spaesato, solo insicuro o spaventato. Leonardo gli sta rendendo l’umanità che Sisto gli aveva portato via, pare. Anche la sua postura è meno rigida, e il fatto che abbia cucinato tutto lui è splendido: suo padre non gli avrebbe mai permesso di fare una cosa del genere, voleva solo vederlo sui libri. Non gli avrebbe mai permesso neanche di stare con Leonardo. Lo voleva docile. Avrebbe una gran voglia di abbracciarlo, o anche solo toccarlo, ma sa come reagisce. Non vuole fargli del male inavvertitamente.
“L’ultima volta che ci siamo visti ti ho detto delle cose orribili - Lucrezia si avvicina di un passo - non te le meritavi. Ti ho usato come capro espiatorio, ho buttato addosso a te tutta la colpa perché non potevo arrivare a tuo padre e ho sfogato su di te tutto quanto. Ma soprattutto - Girolamo beve un sorso di birra, si sente la gola secca - ti ho lasciato da solo con Sisto. Sapevo quello che ti ha fatto e non sono riuscita a perdonarmelo. Ma a quel punto, non sapevo più come riavvicinarmi. Non è stata colpa tua, Girolamo. E’ stato Sisto a ridurti in quello stato, se proprio voglio dare la colpa a qualcuno dovrei darla a lui. Ma so che è stato un incidente senza responsabilità, da parte tua.”
Abbassa la testa, stringe le labbra e beve un sorso di vino.
“Ti chiedo scusa, Girolamo”
Non è così, che doveva andare. Dopo tutto quel tempo, Girolamo si è convinto che la colpa sia stata sua. Che Amelia sia morta davvero per colpa sua. Lo sa.


Da dentro, Leo vede Lucrezia avvicinarsi a Girolamo, e Girolamo restare imbambolato. Continua a tenerli d’occhio.


“Non ti scusare, non è colpa tua”
E’ colpa tua, Girolamo! Dovevi per forza farti venire a prendere, stasera, ed ora mia sorella è morta!
“D’accordo, facciamo così - Lucrezia gli appoggia una mano su un braccio. Lui guarda la mano ma la lascia fare - tu smetti di darti la colpa, e io smetto di chiederti scusa”
Vorrebbe dirgli che è stata lei a urlargli addosso che Amelia è morta per colpa sua, ma non lo fa. Annuisce.
Non sa bene cosa dire.
E’ sollevato, però. Parecchio. Finalmente un ramo del suo albero genealogico sta iniziando a mettere qualche gemma nuova.


“Vuoi dirmi che è successo?”
Leonardo si siede sul letto accanto a lui, già in pigiama, e incrocia le gambe. Gli fa cenno di avvicinarsi. Girolamo ubbidisce senza opporre resistenza.
“Mi ha chiesto scusa”
“Per cosa?”
“E ha detto che non è stata colpa mia”
“Di che stai parlando?”
“Io ho perdonato lei, e lei ha perdonato me”
“Girolamo, giuro che ho smesso di seguirti”
Girolamo si volta a guardarlo, gli regala un mezzo sorriso e decide che forse può sbarazzarsi anche di questo peso. Si accomoda contro il cuscino, schiena al muro, e si stringe nelle spalle.
“Lucrezia aveva una sorella minore”
“Non lo sapevo”
“Lo so”
“Scusami - Leonardo gli si avvicina - vai avanti”
“Considera che ti sto parlando di qualcosa successo prima di conoscerti, ti parlo di un sacco di anni fa - Girolamo si interrompe per un attimo, poi riprende - ci vedevamo spesso, quando avevo diciotto, diciannove anni. Mio padre è gemello del suo, suo padre fa l’avvocato. Siamo una famiglia con le mani in pasta”
Sorride, sarcastico.
“Il rapporto con mio padre, già allora, era piuttosto violento - Leo lo ammira. Sa che parlare di queste cose è difficile, ma Girolamo sta mantenendo una calma invidiabile. Lo vede avvicinare le gambe al corpo e appoggiarci sopra i gomiti, prendersi le dita della mano destra con la sinistra - ogni volta che potevo chiamavo Lucrezia e cercavo una scusa per uscire di casa. Lei non sapeva cosa stesse succedendo. Non gliel’ho mai detto. Certo - sorride - a un certo punto ha fatto due più due e l’ha capito da sola. Non è per niente stupida, lo sai”
Si, Leonardo lo sa. Annuisce a bocca cucita.
“Un pomeriggio, dopo aver litigato con mio padre, la chiamai quasi disperato. La pregai di venirmi a prendere, le chiesi di poter restare a dormire da loro. Non era raro, succedeva spesso. Lucrezia mi disse che stava guidando proprio in quel momento, ma che prima doveva prima portare Amelia a casa. Ho insistito. Stavo…male, Leo. Avrei dovuto lasciar perdere.”
Girolamo si volta verso Leonardo e gli sorride con un sorriso più falso di una banconota da tre euro. Non sa come fare ad andare avanti.
“Lucrezia ha capitolato, ed è venuta a prendermi. Mi ha chiesto se volevo sedermi davanti, ma gli ho detto che non era importante, poteva restarci tranquillamente Amelia. E mentre tornavamo verso casa loro un automobilista ha perso il controllo e si è schiantato contro la nostra macchina”
Gli si spezza la voce.
“Ha centrato il posto del passeggero in pieno, lo sai che lo chiamano il posto del morto, quello? Dovevo esserci io, li. Avrei dovuto esserci io. Vorrei esserci stato io. - si passa le mani sul viso, poi si ricompone - Lucrezia stava bene, io avevo solo picchiato la testa, ma per Amelia non c’è stato niente da fare. Le si è spezzato il collo. E’ morta sul colpo. Appena ho potuto, quando mi hanno lasciato uscire dall’ospedale, sono andato subito da Lucrezia. Non voleva vedermi”
Girolamo fa una smorfia strana, a metà fra l’incredulità e l’incomprensione.
“Aveva ragione, non avevo nessun diritto di farmi vedere dopo una cosa del genere. Ma sono stupido, lo sai, quindi ho insistito”
Leonardo vorrebbe dirgli che no, non è stupido per niente, è solo umano. Ma sta zitto.
“Appena mi ha visto mi si è buttata contro, mi ha schiaffeggiato e ha urlato che era colpa mia, che se l’avessi lasciata portare Amelia a casa sua sorella sarebbe stata ancora viva. Dio, ho preso così tanti schiaffi quella sera - butta fuori una risata strana - poi mio zio l’ha portata via, sono rimasto sul vialetto d’ingresso come un cretino per un bel po’, finché mia zia non mi ha detto che era meglio tornassi a casa. Amen.”
Leo non sa bene cosa dirgli. Dire mi dispiace non si avvicina nemmeno a quello che prova. Gli passa un braccio dietro le spalle e se lo tira addosso, passandogli le dita fra i capelli.
“Ho sempre pensato che fosse colpa mia. Lo so, che è colpa mia - le dita di Leonardo si bloccano, poi riprendono - ma dopo stasera non so più bene a cosa credere”.
Leo gli avvicina la bocca ai capelli, Girolamo profuma di sciampo e fumo di sigaretta.
“Non è stata colpa tua - gli dice accarezzandogli un polso - non può essere stata colpa tua. E’ stato un incidente”
Girolamo si guarda le mani, poi alza gli occhi verso Leonardo.
“E’ quello che ha detto anche Lucrezia”
“Dovresti crederle”
Girolamo fa di si con la testa, poi si accomoda meglio contro Leonardo.
“Mi ha lasciato il suo numero, mi ha chiesto di vederci. Ci sono un sacco di cose che mi vuole raccontare”
Leo sa che sorride, lo sente nella voce.
“Dovresti farlo”
“Lo farò”
“Bravo il mio spilungone”
Girolamo gli pianta un gomito nello stomaco.
“Imbecille”.
  
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