Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: Non ti scordar di me    18/04/2015    7 recensioni
[Sequel Amore Proibito]
E dopo anni di lontananza, Elena e Damon Salvatore si rincontrano in un altro contesto e con altri sentimenti.
Elena è in bilico tra due mondi diversi: un mondo di sorrisi finti o un mondo di apatia. Lei non fa parte né di uno né dell’altro.
Damon ha trasformato il ‘proibito’ che provava per Elena in altro: in odio e sarcasmo mal celato.
Elena non ha rinunciato alla vita. Lei vuole salvarsi. Non vuole sentirsi un reietto della società.
Damon non ha più fiducia in nessuno. Lui non vuole salvarsi. Vuole trovare un metodo per chiudere tutto.
I due una volta che si rincontreranno cosa faranno? E soprattutto, i due lasceranno alle spalle il loro legame di sangue?
---
Dalla storia:
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso io forte, bimba.» Commentò stanco.
-
«Un fiammifero.»
«Un fiammifero?» Chiesi.
«Un fiammifero che prova a battere le tenebre. Ecco cosa sei.» Disse Damon.
-
«Lei era un’oppressa. Lui era un sopravissuto.»
-
E i due come si comporteranno? Lasceranno che il loro ‘proibito’ vinca su quello che pensa la gente?
Non ti scordar di me.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
Capitolo tredici.
I’ll love you, as a girl loves her boyfriend.
 
«Non sta rimandando un po’ troppo signorina Salvatore?» Alzai il viso dalle carte che stavo studiacchiando in quell’ufficio da più di un’ora e inclinai la testa assimilando le sue parole.
«Non mi dia del lei, mi fate sentire vecchia.» Gli ricordai ammonendolo ridacchiando. L’agente Young mi sorrise apertamente e si accomodò meglio su quella scomoda sediolina rossa.
Stavamo scartavetrando i vecchi mandati di perquisizione riguardanti Joseph King da troppo tempo, andavo avanti da settimane e mi sorprendevo di come quel bastardo organizzasse tutto nei minimi particolari. Non c’era stata una sola volta in cui avesse fatto un passo falso, non aveva mai lasciato tracce se non quella particolare eleganza nel commettere un omicidio che lo contraddistingueva.
«Rimandando cosa, esattamente?» Chiesi continuando a leggere uno dei tanti rapporti che avevo sotto le mani.
«L’incontro con vostro fratello. Lui era il diretto interessato nella questione, dovrebbe essere lui il nostro tramite per questa situazione, non voi.» Feci una smorfia, notando con disappunto che non aveva ancora abbandonato le formalità.
La amo.
Quelle parole mi ritornarono in mente e sorrisi istintivamente. Pochi istanti durò quel sorriso, ricordando ciò che era successo subito dopo. Una crisi? Non ero molto brava in questo campo, non avevo idea di come definire tutto quello che stava affrontando.
Quello era il motivo principale per il quale non gli avevo accennato minimamente questa storia. Comunicargli che la ragazza che aveva amato con tutto il cuore aveva rischiato di morire per mano della stessa persona a cui ora stava facendo affidamento non era il massimo.
E pensare che lo vedevo felice in quei giorni, pensare che stavo programmando di parlargli con calma di Katherine…Avevo capito che non era affare fare una cosa del genere quando l’avevo visto sgretolarsi di fronte a me dallo psicologo, avevo visto i suoi nervi cedere a tutta quella pressione.
Cosa potevo fare? Di sicuro non sarei rimasta in silenzio a guardarlo distruggersi con le proprie mani. E non potevo neanche a spettare che tutto si sistemasse da solo, altrimenti non avremo mai cambiato quella situazione – avevo intuito che se fosse stato per Damon quella situazione sarebbe finita tempo prima in modo troppo drastico –.
«Diciamo che ora dovete accontentarvi di me.» Dissi con un mezzo sorriso ironico.
Osservai i tratti dell’agente crucciarsi: le sopraciglia leggermente arcuate, le labbra contratte in una smorfia e gli occhi indagatori indicavano tutto il suo scetticismo.
«Non possiamo accontentarci.» Replicò battendo fermamente un pugno sulla scrivania. «Non stiamo giocando, signorina. C’è in ballo la vita di una persona, non sappiamo più dove si trovi questo giovane, la famiglia è disperata e..» Continuò il suo noioso discorso – noioso almeno per me – e io stetti lì in silenzio annuendo a volte con fare finto interessato, mentre già elaboravo una buona risposta.
«Senza contare che questa è l’opportunità per fare luce sul caso della signorina Pierce.» Concluse stizzito.
Fremevo dalla rabbia: pensava che tutto fosse un gioco? Come poteva pensare che mi piacesse invischiarmi in situazione così complicate?
L’agente era convinto che fosse un gioco per me, ma non lo era affatto. Non avevo idea di quanto avrei dato pur di vivere normalmente, anche ora preferivo stare a casa mia alle prese con Damon e i suoi costanti sbalzi d’umore che trovarmi qui alle sue spalle.
«Dovrete accontentarvi. Se potessi porterei qui mio fratello, ma non posso.» Dissi piccata, contenendo il mio linguaggio colorato.
«Quanto tempo ci vorrà ancora, esattamente? Non abbiamo tutto questo tempo.» Il tono pieno di fastidio non fece altro che rendermi ancora più indisposta nei suoi confronti.
Feci finta di fare mente locale: quanto tempo ci voleva?    
«Tutto il tempo necessario, Agente Young.» Commentai con ironia. Aveva la bocca spalancata e mi fissava con gli occhi strabuzzati.
«Potrebbero volerci anche mesi.» Ripresi il discorso non appena mi resi conto che stava per replicare. «Però avete qualcosa, avete una possibilità di fare luce su questi due casi. Se volete qualche informazione, chiedete a me.» Continuai.
Non volevo assolutamente altre interruzioni di agenti in casa mia, tanto meno con mamma e i miei fratelli in casa – anche perché mamma non capirebbe il motivo per il quale mi ero invischiata in tutta questa storia e spiegarglielo era improponibile.
«Le informazioni che potreste fornirci non sono quelle che ci servono.» Insistette il poliziotto che sembrò rilassare momentaneamente i lineamenti. «Abbiamo bisogno di altri particolari, dovremo chiedere ancora a vostro fratello le modalità con cui tutto è avvenuto.»
A cosa serviva chiedergli nuovamente come sia avvenuto il tutto, lo trovavo patetico. Quando Katherine aveva perso la vita, l’avranno già tartassato di domande giusto? Non poteva di certo dare nuovi informazioni utili a quel caso.
«Credo che l’abbiate interrogato tempo addietro o sbaglio?» Decisi di dare vita ai miei pensieri, prendendo in contropiede l’agente che s’inumidì le labbra leggermente a disagio.
Aggrottai la fronte quando vidi quel gesto, mi concentrai su altri particolari a cui prima non avevo fatto caso il ticchettio insistente della sua scarpa a terra, il suo mordersi il labbro in modo quasi ossessivo e i suoi muscoli completamente rigidi.
Il mio occhio cadde istantaneamente sulla scrivania e mi resi conto che il suo registratore era quasi nascosto dietro il computer.
Notai il suo riflesso e non mi sorpresi molto quando vidi il bottoncino - che indicava che stava registrando -  era acceso e lampeggiava.
Sanno qualcosa in più che non mi stanno dicendo. Stronzi. Pensai deglutendo e accavallando le gambe. Voleva giocare sporco, probabilmente non si fidavano di me e non capivano perché stessi temporeggiando in quel modo la comparsa di Damon in tutta quella storia.
«Dovrei chiedergli anche se ha ancora rapporti con King…» Si fermò istantaneamente per riprendere pochi istanti dopo. «Se ha mai avuto rapporti con King.» Si corresse scuotendo la testa con un mezzo sorriso pacato.
Passo falso, idiota. Voleva parlare con Damon e voleva sapere se c’entrasse qualcosa in tutta questa storia, non l’avrei permesso, non in un momento delicato come quello che stava vivendo: tutto avrebbe potuto sgretolarsi troppo velocemente.
«Fatelo non tanto per farci catturare quel criminale, fatelo per quelle famiglie. Non sapete come siano ridotte.» Puntò sulla compassione. Peccato che non funzionasse più, almeno non più. Non riusciva a far leva sul mio senso di colpa perché c’era altro per cui dovevo preoccuparmi.
Pensare a come si stavano sentendo le famiglie Wood e Pierce non era quello che mi interessava: io mi interessavo solo della mia famiglia, la famiglia Salvatore.
«E voi sapete qualcosa della mia di famiglia?» Sputai acida sedendo meglio e spostando la sedia in avanti. Scrutai lo sguardo penetrante dell’agente e lo vidi sorpreso da quella presa di posizione così dura.
Se voleva incastrarmi, doveva impegnarsi di più.
«Perché volete per forza vostro fratello fuori da questa storia?» Replicò con una domanda diretta. Assottigliai gli occhi. Potevo continuare quel gioco a lungo, ero troppa brava a depistare le persone…E per quanto l’Agente Young fosse bravo e competente nel suo lavoro, io ero più scaltra di lui.
«Forse potrebbe essere la soluzione a tutto.» Continuò, rivolgendomi un sorriso. Con quelle parole inquadrai tutto quello che stava succedendo in modo chiaro e cristallino: loro non sospettavano di me, sospettavano di mio fratello e di King.
Per qualche motivo assurdo, pensavano che fosse qualcosa organizzata in due. Non sapevo invece che ero proprio io la complice, che proprio io avevo causato tutto questo.
Deglutii e spostai i capelli dietro l’orecchio.
«Potrei denunciarvi sapete? E’ un accusa pesante la vostra.» Aveva il volto sconvolto,alzai gli occhi al cielo e mi spiegai meglio. «State indirettamente accusando mio fratello di essere il colpevole di questa scomparsa?»
Scelsi accuratamente le parole da pronunciare, anche solo un verbo diverso e mi avrebbero ingannato. Non volevo fargli capire che sapevo di quel registratore, doveva pensare di essere un passo più avanti di me – anche se non lo erano.
«Non mi permetterai mai di dire una cosa del genere.» La tentazione di rispondergli sgarbatamente era forte, ma mi morsi la lingua ed evitai di dire qualcosa di cui mi sarei pentita.
«Allora cosa state insinuando con il potrebbe essere la soluzione a tutto?» Scimmiottai imitando il suo tono e rise sentendo la mia patetica imitazione – da ridere c’era ben poco.
«Sto dicendo che forse non sapete tutto di vostro fratello. Nei precedenti incontri mi avete detto che avete vissuto la vostra vita in una cittadina giusto?» Annuii scrollando le spalle, sempre più infastidita di tutte quelle insinuazioni.
«Vostro fratello non ha una grande condotta, più volte è venuto qui da noi ed è stato trattenuto.» Mi spiegò. Mancava solamente che mi facesse vedere la sua fedina penale e potevo dire che quell’uomo lo stava accusando di qualcosa che non aveva fatto assolutamente.
«Non so se è peggio il fatto che state insinuando che mio fratello abbia contribuito alla morte della sua ragazza o il fatto che voi non riusciate a guardare oltre le vostre convinzioni da persona chiusa.» Dissi secca. Non avevo detto neanche una parola offensiva: solamente pura verità.
Damon non aveva una grande reputazione, magari più volte si era trovato in una caserma per chissà quale stronzata ma erano pur sempre passati quattro anni!
Perché dare per scontato che fosse rimasto sempre lo stesso coglione di sempre? Perché non supporre per pochi istanti che abbia messo la testa apposto?
«Nessuno sta sospettando questo.» Chiarì immediatamente.
«Dovreste esprimervi meglio allora.» Sfoggiai un sorriso enorme e mi beai della sua espressione sconvolta. Farsi beffa di una persona chiaramente più stupida di te e con convinzioni assurde mi divertiva.
«Voi mi state dicendo che vostro fratello amava follemente questa ragazza, no? Se l’avesse amata in modo così smisurate, non si sarebbe fatto due domande su questo suicidio improvviso della giovane?»
Cosa sta farneticando? Aveva seriamente detto che il suicidio di Katherine era stato un ‘suicidio improvviso’?
«Com’era Katherine Pierce?» Gli chiesi allora.
«Che domanda è?»
Era una domanda strana, perfino io mi stavo dando della stupida per aver chiesto seriamente una cosa del genere. Sospirai profondamente e cercai di capirci meglio in tutto quel casino.
«Vorrei solamente sapere che tipo di persona era. Non l’ho mai conosciuta…Suppongo abbiate parlato con i familiari, almeno per capire i motivi di questo suicidio dovreste sapere com’era no?» Dissimulai perfettamente il tutto facendo finta di non sapere niente su di lei.
«I genitori l’hanno descritta come una ragazza d’oro influenzata negativamente dalle compagnie che frequentava, cocciuta, testarda e sicura di sé. Diciamo che è piuttosto contraddittoria come descrizione…» Sospirò massaggiandosi la testa.
Rimasi in silenzio pochi istanti riflettendo su come dire. La descrizione che mi era stata riferita da Damon – allora nei panni di Ian – era tutt’altra: ragazza timida, solitaria, debole per vivere e con una patologia di tafofobia.
Erano solo cazzate?
«E Damon? Damon come ve l’aveva descritta?» Chiesi con finto fare angelico. Questa volta non riuscii a mettere nel sacco l’agente che mi rivolse uno sguardo penetrante.
«Me l’ha descritta in modo opposto, praticamente!» Non è ugualmente una buona scusa per accusarlo. Quello era l’unico pensiero che elaborai su momento.
«E solo perché l’ha descritta in modo diverso sospettate di lui? Avete parlato con qualcun altro? Con qualche amico della ragazza? O con il fratello o la sorella, se ne ha.» Sapevo dell’esistenza di Gabriel, però era meglio far finta di non sapere niente di lui.
Se avessi accennato a lui, sarebbe partite troppe domande. Domande le quali non c’entravano minimamente con questa storia, anzi ne aprivamo un altro off limits.
«Ho parlato con i suoi amici, se così possiamo chiamarli.» Sospirò. «E’ stata descritta come una ragazza debole e remissiva solamente da vostro fratello.» Perché avrebbe dovuto mentirmi su una cosa del genere?  Non ne aveva motivo allora, non ne avrebbe tratto vantaggio.
Com’era in realtà Katherine Pierce? Era la ragazza sicura di sé con cattive compagnie – come diceva la famiglia e gli amici – o era la ragazza debole e bisognosa di aiuto – come invece sosteneva Damon?
«Questo è strano…» Commentai quasi soprapensiero. L’Agente annuì e mi avvicinò un foglio. Lo presi in mano e vidi che quella foto rappresentava proprio Katherine.
La riconobbi subito, non mi sarei mai dimenticata la sua foto sulla lapide. Osservai attentamente la foto, ma questa foto non rappresentava lo standard di ragazza timida e posata che fin’ora Damon mi aveva presentato…Se per questo non mi ricordava neanche lo standard della foto presente al cimitero.
Lo scatto era stato preso in un momento in cui lei non si era accorta della macchina fotografia: stava ballando selvaggiamente con una bottiglia in mano di chissà quale liquore.
Non era tanto quello che mi aveva stupito, più che altro mi aveva lasciato basita il resto: il vestito rosso fuoco arrivava sotto la coscia, i capelli biondi lisci le ricadevano sulle spalle e gli occhi erano truccati in modo particolarmente scuro.
«Cosa dovrei farci con questa foto?» Chiesi acida. Odiavo quella ragazza fin da quando Damon me ne aveva parlato, non soltanto perché era la sua ragazza – e io allora ero ossessionata da lui – ma non mi era mai andata giù…Quale persona si toglierebbe la vita sapendo di avere tutto l’amore a disposizione per continuare a vivere?
«Questa era Katherine Pierce. Una ragazza esuberante, questa foto risale a un paio di anni fa. Siamo stati chiamati da dei passanti, probabilmente la festa nascondeva altro.» Lasciò il discorso in sospeso.
«Droga?» La buttai lì incerta.                          
«Esattamente.» Ora avevo le idea molto più che confuse. Come poteva una ragazza – sempre facendo riferimento alla descrizione fornitami da Damon – trovarsi in un giro del genere? Nessuna ragazza, vittima di tafofobia, avrebbe partecipato ad una feste del genere.
La tafofobia non era solo la fobia della morta, spesso veniva associata a problemi di claustrofobia…In una festa del genere dovevano trovarsi in un caos enorme – cosa improponibile per una persona tafofobica.
Qualcuno mi ha mentito. Mi dissi. Qualcuno ci ha mentito. Mi corressi mentalmente. Non ero l’unica ad essere stata presa in giro, c’era chi era stato completamente raggirato.
Damon. Come gli avrei detto che quella ragazza non era chi credeva fosse?
«Alla fine il caso è stato offuscato, a quella festa c’erano tanti ragazzi con un cognome...piuttosto famoso.» Persone raccomandate con famiglie troppo facoltose alle spalle per reggere scandali del genere. Li odiavo.
«Sta di fatto che questa foto non rappresenta una persona remissiva. Non credete anche voi?» Mi disse ironico.
«Non ho cambiato idea su ciò che penso.» Dissi infastidita. «Non sospetto ugualmente su mio fratello.»
L’agente Young borbottò qualcosa di incomprensibile in risposta.
«Mi basterebbe solo una chiacchierata con lui, solo per chiarire la situazione. Credo che anche lui voglia sapere com’era in realtà la sua fidanzata.» Insistette ancora.
E non ci vidi più. Non riuscii più a collegare, la mia mente era solo offuscata dalla rabbia, non potevo sopportare che quell’uomo volesse far aprire gli occhi a mio fratello.
Non potevo permetterglielo, non potevo permettere che sconvolgesse mio fratello in questo modo facendo solo male.
«Ascoltatemi bene, signor Young , perché non lo ripeterò più.» Mi alzai da sedere facendo striare la sedia a terra. «Io e la mia famiglia stiamo attraversando un periodo particolare. Già è tanto che io sia qui ad aiutarvi con qualcosa che voi dovreste aver già chiuso da anni.» Lo stupore sul suo viso era immenso, non riuscii a non sentirmi più che soddisfatta del mio discorso improvvisato.
«Se volete altre informazioni sapete dove trovarmi, mio fratello non si tocca. Non metterete a repentaglio la sua salute per una cazzata del genere.»
Ero stata vaga, ma credevo fermamente in ogni parola che avevo detto.
Se c’è qualcuno che può distruggere Damon, quella sono io. Nessun altro.
 
*
Bussai ripetutamente alla porta della camera di Damon, aspettando una sua risposta. Rimasi lì impalata fino a quando non mi stufai di aspettare come una stupida una risposta che non sarebbe arrivata in tempi veloci. Aprii leggermente la porta e notai con disappunto che era immersa nel buio, ad eccezione di un piccolo spiraglio di luce che filtrava da dietro la tenda.
«Sono Elena.» Dissi immediatamente entrando nella stanza. Chiusi alle spalle la porta e mi guardai attorno: la stanza era messo peggio di quanto ricordassi. L’ultima volta che ci ero entrata era un paio di giorni fa, potevo giurare che tutti quegli indumenti non erano sparsi in quel modo e che quei fogli sparsi ovunque fossero aumentati notevolmente nel giro di pochi giorni.
«Damon?» Il ragazzo era steso sul letto con le coperte tirate fin sopra le braccia, era quasi rannicchiato in posizione fetale sul letto e il suo respiro era regolare. Da quanto tempo non si alzava da quel letto?
Era mezzogiorno inoltrato e lui era ancora nelle sue coperte a dormire beatamente, perchè dormiva così tante ore? Io non riuscivo a dormire più di sei ore a volte e l’insonnia era sempre più forte la notte, a volte non sapevo neanche come impiegare il tempo.
Mi avvicinai alla sua scrivania e vidi un grande diario marroncino da cui spuntavano diversi fogli e post it di vario colore, la copertina era rovinata e le pagine sembravano piene di scarabocchi. Mi avvicinai e lo presi in mano, era una specie di diario ed era completo – non c’erano altre pagine bianche.
Deglutii e lo aprii, dopotutto non c’era alcun lucchetto e anche se sapevo che era strettamente qualcosa di privato ignorai la vocina ragionevole che mi diceva di mettere via quel diario.
Spalancai gli occhi quando vidi una delle date che aveva segnato agli angoli spiegazzati delle pagine.
Era così bella in quel vestito rosa, sembrava una ninfa con quei fiori decorativi tra i capelli. I suoi capelli profumavano sempre, ma quella volta avevano un odore più forte del solito: mi piaceva ugualmente.
Le gambe lunghe e affusolate chiuse all’interno di quel tacco troppo alto per lei, era quasi buffa mentre si destreggiava su quei trampoli.
La data segnava 14 Febbraio 2012. La prima cosa che ricordai fu la morte di Matt, quel giorno era uno dei tanti giorni da cancellare. Così mi chiesi, perché scriveva proprio quel giorno delle cose del genere? Solo dopo, realizzai l’anno in cui era stato scritto: erano passati quasi tre anni.
Il giorno dell’incidente. Prima dell’incidente. Mi dissi mentalmente, saltando un paio di righi e continuando quella lettura in silenzio.
L’ho vista tremante in quella macchina con i vetri che le tagliavano la pelle candida. Dalla testa le usciva del sangue scarlatto a piccole gocce e il suo colorito era innaturale (anche se non quanto quel ragazzo biondo alla guida).
L’ho tirata via da lì senza pensarci due volte, l’ho stretta a me e ho sospirato quando ha ricambiato debolmente l’abbraccio. E mi sono reso conto che l’avevo salvata: in qualche modo era arrivato in tempo, solo per lei. Per la mia Elena, la mia piccola Elena.
M’inumidii le labbra e mi chiesi com’era possibile che non mi fossi mai resa conto che scrivesse i suoi pensieri su un diario, non avevo mai pensato che lui – proprio lui – scegliesse un metodo del genere per scaricarsi.
Sento la mia pelle bruciare contro la sua e mentre lei si sente sbagliata, io mi sento tremendamente giusto. Quella frase saltò all’occhio perché era stata calcata più volte con un penna nera, quasi a volerlo evidenziare. Chiusi il diario quando capii che non volevo leggere oltre, non volevo scoprire quello che Damon scriveva su di me o sulla sua vita. Era qualcosa di troppo privato e anche se ero una persona tremendamente egoista e curiosa, non avrei mai fatto una cosa del genere – o almeno non fino in fondo, visto che alla fine avevo spulciato all’interno del diario.
Chissà se ne scrive ancora uno. Mi ritrovai a pensare chiudendo quell’enorme diario e mettendolo nello stesso punto in cui l’avevo trovato. Mi avvicinai a lui e gli scostai le coperte completamente dal volto: Damon era tremendamente adorabile quando dormiva.
I capelli erano scompigliati e alcune ciocche  gli coprivano il volto – non avevo idea di come siano arrivate davanti il suo viso -, le labbra erano strette in una linea ferrea e il suo petto si alzava e abbassava ogni volta che respirava.
Mi sedetti lì accanto e iniziai a chiedermi come mai non si fosse ancora svegliato: in fondo non ero mai stata famosa per i miei modi delicati.
Girando lo sguardo, vidi un barattolino di pillole sul comodino. Sentii l’ansia crescere lentamente, con la mano tremante afferrai il contenitore – era meglio non farlo e non avrei rischiato di perdere diversi anni di vita –, costatai che quelle erano pillole tranquillanti servivano per far dormire.
Lessi velocemente le avvertenze.
INGERIRNE UNA ALLA VOLTA,  A DISTANZA DI ALMENO TRE ORE. Quella scritta catturò la mia attenzione, feci un rapido calcolo: Damon aveva iniziato a prendere i tranquillanti da diverse settimane…Li prendeva sempre con uno della famiglia accanto, tranne che…
Oh merda. Mi ricordai che ieri non c’ero, troppo occupata a trovare un metodo per rimandare un esame di medicina a cui sarei stata sicuramente bocciata.
Aprii il barattolo e notai che non ce n’erano più, neanche una pillola.
«Oddio…ODDIO!» Mi alzai repentinamente dal letto e repentinamente iniziai a muovermi avanti e indietro, fin quando non riacquistai le mie facoltà mentali: con il cuore in gola portai le mani alla sua gola e tastavo inutilmente sul collo alla ricerca del suo battito – anche se debole, avremo potuto fare qualcosa.
«Damon!» La voce non era uscita come immaginavo, lo scossi leggermente e iniziai a respirare velocemente. Sarei andata in iperventilazione. «Damon!» Questa volta fui forte e chiara.
Mi allontanai dal letto e a grandi passi mi avviai verso la porta, corsi più veloce che potevo e afferrai il mio cellulare, chiamando immediatamente un’ambulanza non sapendo cosa fare.
Rispondete, maledizione. Aspettando che rispondessero alla chiamata, corsi nuovamente verso la stanza del corvino.
E pensare che avevo fatto tanto per evitare questo momento, avevo provato a rallentare il tempo sperando di riuscire nell’arco di tempo rimasto a salvarlo da quel buco che si era costruito da solo.
Ora, mentre lo guardavo steso sul letto con gli occhi chiusi, capivo quanto tempo aveva sprecato: avevo sprecato tempo ad andare da quel poliziotto, avevo sprecato tempo con lui, avevo sprecato tempo e non ero riuscita a farlo vivere veramente. Non ero riuscita a fargli sentire l’ebbrezza della vita, del pericolo, della voglia di continuare a muoversi e a infastidirmi con la sua voce e con i suoi modi di fare.
Pensare che gli avevo affidato la mia vita, lo avevo quasi obbligato a tenere la mia vita nelle sue mani. Mi sentii stupida: veramente pensavo di fermarlo con un pretesto così debole?
La mia vita non bastava a farlo rimanere qui. Niente sarebbe bastato: ormai Damon era entrato in collisione, era entrato in uno di quei momenti bui della vita che prima o poi affrontavano tutti…Io mi chiedevo solamente perché dovesse capitargli tutto ora.
Perché chiunque ci fosse lassù, non mi dava un aiuto o qualche segno di vita? Eravamo così maledetti da non poter essere salvati neanche da qualcuno superiore a noi?
Ero una miserabile? Ero una persona da cancellare solo perché stavo ricoltivando il mio sentimento per mio fratello in modo più giusto?
Solo il pensiero di non poter più far nulla per lui, mi faceva accapponare la pelle. Non mi ero resa conto di non riuscire a digitare i numeri esatti, non mi ero resa conto che ero seduta a terra con la schiena poggiata allo stipite della porta…Non avevo neanche notato le lacrime che erano già partite.
Poteva veramente bastare poco, poteva bastarmi un solo momento e l’avrei salvato.
«Mamma…devo chiamarla…» Dissi ad alta voce, cercando di darmi un contegno. Non rispose né al primo squillo né al quinto, continuai ad insistere fin quando non si inserì la segreteria telefonica.
Avevo sprecato già troppo tempo: cinque minuti erano andati.
Potevano essere essenziali.
Non rispondeva, così come non rispondevano al centralino o chiunque era l’addetto alle chiamate di emergenza all’ospedale di Londra.
«Elena?» Tirai su col naso e vidi che avevo fatto partire una chiamata. Vidi il nome sullo schermo e mi portai immediatamente il cellulare all’orecchio.
«Stefan, ritorna. Ritorna a casa.» Mi ritrovai ad urlare con aria isterica mentre mi alzavo da terra per avvicinarmi a quel letto.
«Cosa sta succedendo? Elena, rispondi!» Deglutii e provavo a spiegargli la situazione ma era così difficile, così difficile riuscire a pronunciare quelle parole, non potevo neanche pensare che quel coglione avesse ingerito quelle pillole…Non aveva avuto neanche rimpianti, non c’era una lettere, non c’era una scritta. Solo il vuoto.
Ora c’ero solo io, io e il vuoto, il silenzio. Un silenzio che mi faceva sentire solamente più sola, più triste, senza speranze. L’unica persona che avrebbe potuto fare qualcosa mi aveva lasciato o mi stava lasciando.
«Mi sono allontanato di casa due minuti, dannazione! Cosa è successo?» Il tono di voce di mio fratello era terrorizzato, almeno riusciva a parlare.
«Elena sto correndo a casa, ma parlami. Damon, parla con Damon…Oh, no…Com’è? Dov’è?» Continuò ad urlare al telefono: la sua voce metallica martellava la mia mente e non faceva altro che farmi sentire peggio.
Stefan era come la coscienza, sempre nei momenti più opportuni o meno ritornava e ti faceva la solita ramanzina, provava a farti ragionare. E falliva miseramente.
Con me non attaccava, non avevo bisogno di una coscienza e non avevo bisogno di un fratello che mi urlava al telefono di parlargli quando in realtà la situazione stava precipitando.
Forse non aveva neanche, o meglio, sicuramente non stava lontanamente pensando che Damon avesse fatto una cosa del genere…E allora mi maledii ancora, perché mentivamo? Perché non dire a Stefan e a mamma che Damon era ad una situazione critica, così tanto da poterlo spingere ad un gesto estremo?
Non l’ho fatto perché non pensavo ne fosse capace. Sottovalutavo tutto, sminuivo tutto: a partire da me, dai miei sentimenti fino ad arrivare alla vita di Damon, alla sua situazione.
Non potevo essere la sua croce rossina a vita, non potevo essere in grado di salvarlo in un baratro così profondo senza salvare prima me stessa.
«Ste-Stefan?» Singhiozzai al cellulare. Chiamai più volte il suo nome, ma la chiamava l’aveva chiusa già da una manciata di minuti.
«Fanculo, qualcuno mi risponda!» Iniziai a digitare nuovamente il numero d’emergenza per chiamare l’ambulanza, sperando di non sbagliare i tasti.
Smisi di comporre il numero d’emergenza solo quando sentii un flebile sospiro, avevo il cuore che batteva a mille, persi il respiro vedendo il corvino con gli occhi socchiusi.
«Elena?» Suonò quasi come una domanda. L’ansia si era eclissata e la paura di perderlo era già lontana: ora la mia attenzione si concentrava solamente sul suo volto rilassato, gli occhi più azzurri che mai che splendevano sotto quel piccolo raggio di sole che filtrava dalla tenda e le labbra piegate in una smorfia che gli creavano ai lati degli occhi delle piccole rughette.
«Perché piangi? Elena!» Si agitò mettendosi a sedere sul letto. Una morsa alla gola impediva all’aria di fluire nei polmoni e le mie gambe erano troppo pesanti per muoversi. Gli occhi erano gonfi e le lacrime insieme al mascara sciolto si erano raggrumate sotto gli occhi, le labbra martoriate erano rosse e probabilmente spiccavano sul colorito biancastro che avevo.
«Elena, dimmi qualcosa…» Si allarmò ancora di più, poggiandosi al letto fece forza per alzarsi e venire da me. Camminava con le mani avanti e mi rivolgeva sguardi comprensivi cercando di avvicinarsi.
«Da-Damon…» Riuscii a pronunciare il suo nome, poi tossicchiai a corto d’aria. Le braccia mi tremavano e le gambe stavano cedendo.
Non può essere. Lui, il suo battito… Avevo troppi pensieri per la testa e si affollavano uno sull’altro cercando di scovare più risposte possibili.
«Tu sei morto…Hai…Le pillole erano poche…» Iniziai a straparlare e il corvino aggrottò le sopraciglia avvicinandosi sempre più. Mi toccò il polso e mi ritrassi istantaneamente dal suo contatto.
«Sei morto! Io ho visto…Ho sentito il battito…Sono pazza…pazza…» Non mi ero sbagliata, non potevo aver fatto un passo falso del genere, non mi sarei mai esposta a quel modo se non ero certo della sua situazione critica…Perché mi stavo facendo prendere dal panico?
«Elena, sono vivo. Sto con te e ti sto toccando, vieni qui.» Scossi la testa e mi sedetti a terra, portando le ginocchia vicino alla testa. Non potevo, non potevo farmi prendere così da lui, non di nuovo.
Non nel momento sbagliato. Mi dissi. Rimuginai sul mio ultimo pensiero e mi diedi della stupida: per me non ci sarebbe mai stato un momento adatto, sarebbe stato sempre il momento sbagliato perché dovevamo essere sbagliati.
Dovevamo perché così mi dovevo sentire, dovevo sentirmi in ansia per mio fratello, dovevo aver paura di veder morto mio fratello…Io invece mi preoccupavo di altro. Mi preoccupavo di perdere quel ragazzo dagli occhi azzurri che mi faceva perdere il respiro ogni volta che apriva bocca per parlarmi, mi metteva ansia sapere di perdere la mia ancora, mi sentivo persa senza lui – mi ero sentita persa quegli istanti in cui credevo di averlo perso – e la domanda era perché?Perchè mi preoccupavo per lui nel modo sbagliato?
Non sarò mai sua sorella. Non mi sento sua sorella. Realizzai. Se mi fossi sentita sua sorella, non avrei questa attrazione, non avrei questi pensieri contorti…Lo amo nel modo giusto, qualunque esso sia.
«Damon…» Singhiozzai, non appena sentii due braccia stringermi a sé delicatamente. Ero così egoista, non doveva preoccuparsi per me e io non dovevo crollare così, era lui a dover essere aiutato non io. Perché non riesco a fare qualcosa per lui?
«Amore, calma…Non piangere. Cos’hai?» Sussurrò sfregando il naso sulla mia spalla, sembrava un gattino che faceva le fusa. Con la mano destra giocherellava con alcune ciocche di capelli e l’altra cingeva la mia spalla.
«Io ho aperto la porta e mi sono avvicinata…ed eri pa-pallido e le pil-pillole erano finite e ho pensato…» Mi morirono le parole in gola e lo guardai sperando che smentisse tutto, che in realtà lui aveva il sonno pesante e che non aveva fatto niente del genere.
«Ne ho prese quattro.» Rivelò, asciugando una lacrima con il pollice. «Ma non volevo fare quello che stai pensando.» Mise in chiaro.
Mi inumidii le labbra e deglutii.                    
«Posso fidarmi?» Chiesi in un leggero sussurro. Volevo veramente fidarmi di lui, ogni più piccola particella del mio corpo mi diceva di fidarmi di lui e tutto di lui mi faceva supporre di potermi fidare. C’era solo la parte razionale, era troppo forte e mi diceva di rimanere sempre in guardia, di non farmi abbindolare da lui perché c’era qualcosa che non mi aveva ancora detto, che provava a tenermi nascosto.
«Ti lascerò solamente quando riavrai nelle tue mani la tua vita.» Il pensiero di riprendere in mano la mia vita e lasciare Damon senza uno scopo, senza qualcosa che lo teneva qui mi faceva accapponare la pelle. Non avrei mai fatto una cosa del genere, nessun passo falso, niente di troppo azzardato.
Scegliere le parole adatte diventava più difficile, perché ogni verbo, ogni parola, ogni locuzione che potevo utilizzare poteva ritorcersi contro di noi.
«Non accadrà mai.» Sospirai.
«Accadrà invece, non te ne accorgerai neanche ma arriverà il momento in cui avere un fratello depresso sarà un impiccio.» Le sue labbra si incresparono in una smorfia amara e il suo sguardo era fisso davanti a sé, più precisamente sul diario posato sulla scrivania.
«Non credo arriverà quel momento, o almeno non così velocemente.» Diedi voce ai miei pensieri non prima di aver pensato bene a quello da dire. «Non hai paura di morire?» Chiesi subito dopo, più che altro volevo capire com’era possibile che non avesse un briciolo di paura.
Solo il pensiero di non poter vivere un giorno in più, mi faceva venire la nausea. Come poteva lui sperare che quel giorno arrivasse prima del previsto?
«Non molto…Vedo la morte come l’unica possibilità di salvezza che ho. Forse starò meglio, no?» Quanto stava sbagliando: l’unica possibilità di salvezza che aveva era l’amore, l’amore che tutti noi – la famiglia Salvatore – provavamo per lui. Quello che avrebbe potuto salvarlo, ma era troppo cieco per capirlo.
«Non hai paura di soffrire? Non ti spaventa il dolore che proverai?» Continuai con le domande. Distolse finalmente lo sguardo dalla scrivania e mi lasciò un bacio sulla fronte per poi appoggiarsi meglio a me.
«Mi spaventa di più il dolore che proverai tu, quando saprai che non ci sono più.» Pronunciò ogni parola con lentezza assurda, quasi a volersi rimangiare tutto da un momento all’altro.
Mi spaventa di più il dolore che proverai tu. A lui non spaventava il dolore che avrebbe provato, spaventava di più quello che avrei provato io. Ma il dolore che avrei provato, non sarebbe valso un minimo di quello che lui avrebbe provato direttamente sulla propria pelle.
«Non dovresti preoccuparti di questo, lo sai?» La mia voce era incredibilmente bassa, ero a secco: parlare con lui diventava sempre più complicato, ogni parola era una lama nella mia pelle che lui – inconsapevolmente – rigirava più volte facendomi perdere il respiro.
«Non temo il dolore fisico, temo di più il dolore psicologico.» Non avevo mai pensato a quale dei due fosse peggio: forse qualcuno avrebbe detto che il dolore psicologico, quello che può farti una persona era cento volte peggio del dolore fisico…Però io non ne ero certa, non avendo mai provato un grande dolore fisico non potevo giudicare.
Sapevo solo che il dolore non passava, non passava neanche col tempo, rimaneva lì, sotterrato per bene in un piccolo angolino del tuo cuore per ritornare all’attacco non appena si fosse presentato il momento.
«Le persone possono giocare con noi, Elena. La società può giocare con noi. Può cambiarci, può manipolarci, può renderci uguali agli altri, ma alla fine siamo noi quelli che la mattina si devono specchiare e si devono accettare.» Scosse la testa portando la mano – che prima giocava con i miei capelli – sulle tempie per massaggiarle lentamente. «Riesci a specchiarti la mattina, Elena?»
Sì. Potevo specchiarmi perché nello specchio non vedevo altro che una ragazza sicura della via che stava prendendo, che non si guardava alle spalle assalita da troppi ‘se’ e da troppi ‘forse’. Non erano quelli che mi avrebbero assicurato più tempo nel mondo, solamente l’essere spietati mi avrebbe assicurato un posto in questa vita.
Forse non era la persona più incline a questa vita, però ero incline alla vita, qualunque essa sia; basta che abbia aria da respirare e delle persone che mi amino.
«Non è così difficile specchiarsi. Basta essere chi vuoi con chi vuoi.» Abbassò leggermente la testa e si appoggiò alla porta mentre mi sistemavo meglio sul suo petto.
«Quando mi guardo allo specchio, non riesco a vedere niente se non il nero. E’ ovunque, Elena, dietro a me, accanto a me, dentro me. C’è solo nero.» Disse intrecciando la sua mano con la mia. «Sono solo una chiazza di nero su un foglio bianco.»
Mi era sempre piaciuto il nero, era un colore così scuro e mistico. Non era il solito bianco candido, quel bianco che illuminava e che risaltava, quello non era per me. Il bianco era un colore così sopravalutato ora.
«E con questo? Cosa vorresti fare per cambiare questa chiazza nera?»
«Bisogna eliminarla.» Mi venne la pelle d’oca, sentendo con quanta determinazione aveva detto quella frase. Perché eliminare il nero sul bianco? Perché non lasciarlo estendere? Perché non osservarlo muoversi su quel foglio per vedere cosa succederà?
Perché Damon non si concedeva più tempo per vivere?
«Perché eliminare qualcosa di diverso?»
«Sto eliminando un errore, Elena.» Prima ero io a pensarla così – non in modo così risoluto -, e prima era lui ad avermi fatto capire come sia bello continuare a lottare, come sia bello ed eccitante l’ebbrezza del pericolo,come sia bello sentire la vita nelle tue vene scorrere velocemente.
«E una volta eliminato il nero, Damon? Ci sono ancora io, ci sarò io ad inquinare questo mondo finto e costrutto.» Gli dissi ironicamente. Questa volta replicò con una risata quasi isterica.
«Tu non inquini questo mondo, tu provi a cambiarlo. E per cambiarlo devi eliminare gli errori…E io…» Deglutii e mi schiarii la voce.
«Non ti ucciderò, Damon. Se è questo quello che stavi per chiedermi, sappi che la mia risposta è no.» Misi in chiaro, stringendo ancora di più la sua mano.
«Vuoi aiutarmi?» Mi chiese a voce bassa. Le occhiaie spiccava sul volto pallido e cristallino, sembrava così debole per essere così massiccio rispetto a me. Sentivo il cuore battere a mille ogni volta che parlava, mi sembrava così stupido preoccuparsi in questo modo…Perché non riuscivo a stare calma?
«Voglio aiutarti.» Concordai.
«Sono un egoista, sono una persona cattiva e calcolatore  e quello che ti sto chiedendo è la cosa più idiota che probabilmente ti abbia mai detto.» Disse allontanandosi da me per sedersi meglio e prendermi entrambe le mani nelle sue.
«Parla chiaro.» Lo incitai, cercando di prevedere le sue mosse. Damon era da sempre una persona istintiva, seguiva il momento, seguiva quello che si sentiva al momento e non ero mai riuscita a prevere le sue mosse magari prendendolo in contropiede.
«Amami.» La sua capacità di lasciarmi senza parole non era svanita, un’altra volta mi aveva lasciato a bocca asciutta. «Ma non di quell’amore malsano e malato, amami con quell’amore che può aiutarmi. Amami come una sorella ama un fratello, ti chiedo solo questo.» Il suo respiro affannato lo percepivo ad una distanza minima, il suo naso sfiorava il mio e le nostre labbra erano praticamente distanziate di qualche centimetro.
Ed era troppo, persino per me quel discorso era troppo. Gli lasciai le mani e gli accarezzai i capelli avvicinando le sue labbra alle mie, sentendo nuovamente il suo sapore.
Ci baciammo con calma, senza nessuno che ci mettesse fretta. Poteva entrare Stefan, mamma, Caroline o qualsiasi altra persona conoscessimo; se Damon voleva essere aiutato si faceva a modo mio.
Ci baciammo con dolcezza, senza rabbia e frustrazione come eravamo soliti fare. Non avevamo niente da rinfacciarci a vicenda, l’unica cosa che potevamo ricordare era la nostra stupidità in tutto il tempo che avevamo perso.
Succhiò lentamente il labbro inferiore, mordicchiandolo e poi leccandolo quasi a voler assicurarsi di non avermi ferito. Le sue mani mi circondavano la vita e in pochi istanti mi ero ritrovata su di lui, con le labbra sulle sue e la voglia di amarlo alle stelle.
«Farò di più. Ti amerò come una ragazza ama il suo fidanzato.»
Lo amerò normalmente, lo amerò fino alla fine delle forze, perché potevo fare solo quello.
 
 
 








Due settimane sono accettabili? O forse è troppo? Scusate se non ho aggiornato la settimana scorsa ma questo capitolo è stato un parto ed è anche un po’ lunghetto (11 pagine di word, una faticaccia).
In tutti i casi, dopo averlo aspettato tanto almeno spero che siate soddisfatti. Abbiamo il ritorno in grande stile della magica Katherine Pierce – avevate pensato che fosse un angioletto giusto? Eh no, un po’ mi dovevo attenere allo show.
Chissà cosa nasconde la ragazza di Damon, chissà cosa le è successo. Cosa ne pensate?
Comunque non mi dilungo su di lei, passo ai dolci Delena: ditelo che vi siete scandalizzati e voleva uccidermi quando avete letto che Damon aveva inghiottito quelle pillole. Scusatemi per il ““““““piccolo”””””” spavento, ma dovevo scriverlo. Almeno, però, vediamo un’Elena preoccupata a tutti gli effetti e finalmente capisce – più o meno – come si sente! Avete anche visto qualche straccio del diario di Damon, allora? Sospettavate che avesse un diario? E poi…lo so che stavate anche voi ballando la macarena quando Damon le ha chiesto di amarlo e so perfettamente che avete stappato lo spumante leggendo le ultime righe del capitolo. L’ho fatto solo per voi ^^
Ringrazio le magnifiche persone che mi sostengono sempre, credo di aver risposto a tutti (è passato un po’ da quando risposi se non sbaglio, credo di aver risposto a tutti. In caso contrario mi scuso enormemente). Non ho altro da aggiungere, se non scusarmi per il ritardo e gli argomenti delicati che tratto (spero di non infastidire nessuno).
Le canzoni che hanno ispirato il capitolo:
  • Uncover, Zara Larsson.
  • Elastic Heart, Sia.
  • Take me to the Church, Hozier.
  • Love me harder, Ariana Grande.
Consiglio a tutti di ascoltarle perché sono una migliore dell’altra. **
Un abbraccio, ci sentiamo alle recensioni.
Non ti scordar di me.
 
Già che ci sono, vi dico che ho postato una OS drammatica originale, in caso voleste farmi sapere cosa ne pensiate la trovate nel mio profilo con il nome ‘Non ti scordar di me’.

 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: Non ti scordar di me