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Autore: theoreogal    18/04/2015    2 recensioni
Leah è rumorosa, colorata, ma da quando scopre che le cose non sono davvero come lei crede vuole solo un attimo di silenzio e un mondo bianco, per ricominciare, per cambiare.
Luke non parla spesso, o meglio, non riesce a dire le cose, preferisce scherzarci su oppure cantarle, e le nasconde insieme a vecchi errori e ricordi da dimenticare sotto pennellate di nero.
Nessuno dei due vuole conoscere l'altro, tanto meno essergli amico, ma c'è qualcosa che non permette loro di allontanarsi, che li unisce: la musica.
Perchè in qualche modo le parole che Luke non riesce a dire sono proprio quelle che Leah scrive e il silenzio che cerca Leah sta negli accordi che suona Luke.
Ma anche la musica ad un certo punto finisce, o forse no?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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The notebook.









La sveglia suonò puntuale, una buona mezz'ora prima del solito. Stavo per mandare tutto al diavolo, il lunedì mattina, la sveglia in anticipo, il weekend appena passato, quando mi ricordai che proprio per quello stavo facendo quell'enorme sacrificio. Mi diressi in cucina, stando attenta a non sbarrare contro nessuna porta e nessuno spigolo, e facendo nota locale di tutte le cose che bisognava mettere a posto una volta tornate da scuola, ma non avevo cuore di rimproverare Zoe, non finché era ancora arrabbiata con me: mi aveva letteralmente aggredita quando sabato ero rientrata all'ora di pranzo, e i segni che il mestolo e il telecomando avevano lasciato sulla mia testa erano ancora abbastanza visibili. 
- Ti avevo detto di dirmi da chi cazzo andavi, non di sparire nel nulla mentre eri totalmente ubriaca! - aveva urlato, il viso paonazzo. 
- Zoe, come facevo a ricordarmi di dirtelo se ero ubriaca? - mi ero opposta dicendo una cosa, in mio parere, davvero intelligente. Ero stata assai sorpresa nel constatare che i miei neuroni non si erano danneggiati con il troppo alcool.
- E poi non mi sono fatta nessuno. - avevo concluso, e non l'avessi mai detto.
- E allora dove diavolo eri finita, razza di cogliona! Potevi venire stuprata, messa incinta, peggio, finire da Eric e io non sarei potuta venire a salvarti! Sgualdrina senza cervello! - e con queste parole si era premurata di chiudersi nella sua camera e di uscirne solo quando io non ero in giro. O almeno credo. E allora, visto che avevo il cuore d'oro e in parte, in una piccolissima parte, sapevo che la mia migliore amica aveva ragione e che odiava il lunedì mattina, mi ero svegliata prima e mi ritrovavo lì, in cucina, cercando di sbattere le uova dentro la padella senza farci finire dentro troppi pezzetti di guscio, che poi tolsi con le mani. Non ero Gordon Ramsay ma il delizioso piatto con un uovo al tegamino, un cartone di latte e i suoi cereali al cioccolato mi avrebbe di sicuro garantito l'accesso ad una cucina stellata. 
- Zoeeee, - la chiamai, da fuori la porta chiusa.
- Piccola stronzetta, sono venuta a fare la paceeee, - cantilenai.
- Vattene via, - mugugnò, probabilmente da sotto le coperte. 
- Stronza. - sbuffai, per poi ricominciare a chiamarla. 
- Amichetta del cuore, ti ho portato la colazione, aprimi, dai! - 
Ancora silenzio.
- So che vuoi sapere cosa ho fatto poi sabato sera! Lasciami entrare e ti racconterò tutto! - 
- La porta è aperta,- disse soltanto, e mi ci fiondai dentro, buttandomi sul suo letto.
- Ohi, ohi, sto cercando di abbracciarti ma qualcosa mi blocca...ti sono cresciute le tette, Zoe Richards! - 
- Non provarci, ragazzina. Sono ancora arrabbiata. - si scostò, nervosa.
- Non chiamarmi così, ti prego, - mi lamentai, facendo una smorfia a quel soprannome.
- Perché? - domandò, malcelando la propria curiosità.
- Perché a quanto pare Luke Hemmings non mi chiama in altro modo, - arrossì, non potevo evitarlo: a ogni complimento o allusione, o comunque commenti che mi facevano, le mie guance sembravano godere nell'andare a fuoco.
- Ommiodio. O Santa creatura. O benedetta figliola. O... - 
- Zoe, - la interruppi, a denti stretti.
- Scusa. Ma tu...tu ti sei fatta Luke Hemmings! - mi puntò contro un dito, improvvisamente sveglia. 
- No, affatto. Da quanto ho ricostruito, dopo aver, ehm, dato uno schiaffo a lui... - 
- Hai schiaffeggiato Hemmings?! - 
- Già. Dicevo, dopo aver dato a lui e successivamente anche a Monique... -
- Hai dato uno schiaffo a Monique! - 
- La smetti di interrompermi? Comunque sì, era troppo vicina e io...troppo accalorata. - mi giustificai, davanti alla sua bocca a forma di "o".
- Ti credo, a stare accanto a quel gran manzo tutta la sera... - 
- Richards, mi sto per riprendere la colazione che ho lasciato fuori dalla tua porta. - la avvertì. Non che non avessi notato la bellezza del ragazzo in questione, avrei dovuto essere cieca, ma era una bellezza che mi metteva solo a disagio. Poi non serviva molto perché una ragazza recuperasse la saliva che aveva perso mentre lo guardava, bastava che aprisse quella dannata bocca e facesse intravedere un pezzettino di quell'ego smisurato. Odioso, semplicemente odioso. Nonostante mi avesse preparato la colazione e aiutato mentre rimettevo, cosa di sicuro non piacevole. Odioso e fastidiosamente e falsamente gentile.
- L'ho salvata. Ora va' avanti, - mi incitò, e sbattendo le palpebre mi riscossi, accorgendomi che ora Zoe aveva in grembo il vassoio e guardava stranita le uova. 
- Volevo dimostrarti che sono pronta anche a cucinare quelle...cose, per te. - le dissi sbrigativa, e prima che potesse chiedermi qualunque altra cosa sulle uova, che detestavo, oppure su Luke Hemmings, ripresi il mio racconto.
- Allora, dopo aver, ehm, avvicinato il palmo della mia mano alle guance di quei due individui, ho sentito tutti i miei bicchierini di alcool che tornavano su e sono andata in bagno. Hemmings mi ha aiutata poi mi sono addormentata sul pavimento e non sono più andata in camera. Quando mi sono alzata, ho trovato lui in cucina e abbiamo parlato un poco, mi era sembrato gentile, non il coglione della sera prima...voglio dire, mi aveva praticamente preparato la colazione! Invece quando Ashton Irwin, il proprietario della casa, è venuto a chiedermi chi ero, lui ha fatto intentendere che fossi una di quelle sgualdrinelle che passano per il suo letto! Robe da pazzi, l'avrei ucciso seduta stante, giuro. Poi però è arrivato anche Calum, ti ricordi il ragazzo che ci ha aperto la porta?, e ho dato una mano a mettere a posto mentre parlavo con lui, che è davvero un ragazzo d'oro: un po' stupido, ma d'oro, in fondo. Diciamo che è uno di quei cioccolatini che hanno la carta stagnola pitturata d'oro ma sono buoni comunque... -
- Leah. Che diamine stai dicendo. - domandò perplessa la mia amica che se ne stava tranquillamente seduta a gambe incrociate sul letto a riempirsi di cereali.
- Insomma, siamo amici, credo. E comunque, sono rientrata e ho trovato una psicopatica che si è messa a lanciarmi mestoli in testa. - le sorrisi, accondiscendente, facendole capire che ero pronta a perdonarla, ma la sua espressione era immobile. 
- Credo di essermi persa la parte in cui ti fai qualcuno. - sibilò.
- Non c'è mai stata, non ho fatto niente, - ribattei, confusa. 
- Giuro che ti ammazzo. Hai davanti a te tre fantastici culi e quello che pensi è aiutare a pulire insieme all'amico cioccolatino? Devo andare a ripescare il mestolo, - borbottò, alzandosi, ma la presi per il braccio.
- Come puoi pensare di andare avanti, Leah Porter? Tirando schiaffi a destra e a manca e facendoti amico qualche ragazzo? Regalandogli un po' del tuo vomito? - iniziò, e la interruppi presto.
- Non è passato neanche un mese da quando la persona a cui avevo affidato gran parte di me da ormai due anni mi ha tradita con la mia specie di sorella: non ho pensato nemmeno una volta a portare a termine quel fantastico piano, perché mi sentirei solo...uno schifo. Ogni risata che sento, penso che Eric rideva in modo più falso, e mi chiedo se è stata altrettanto finta anche la nostra relazione. Quando vedo una foto di noi due lo trovo sempre più distante da me, come se non mi abbia  davvero voluto toccare, oppure con un sorriso sforzato, o gli occhi spenti, cose che non avevo mai notato prima, che non sono sicura ci siano. Sto mettendo in discussione ogni cosa che c'è stata, anche la più vera e bella, e penso ogni istante se tutto questo tempo passato insieme è stato una bugia o invece c'è stato qualcosa di vero. Io...io non riesco ad abbracciare qualcuno senza fare finta di sentire il suo profumo, di sentire le sue braccia che mi stringono. E mi disgusta, quanto mi manchi. - ammisi, frustata. 
Mi alzai, aprendo lentamente la porta: se le parole erano sempre state la mia via fuga, ora volevo soltanto il silenzio. 
- Leah... - sospirò, indecisa. 
- Vado a vestirmi, - mormorai, e lasciai la stanza, lasciandoci dentro una Zoe amareggiata.
 

 

 
#Luke
 
 
 
 
 
Quella mattina era stata decisamente piena, le lezioni che sembravano essere il doppio del solito, gli insegnanti parlavano il triplo e non dicevano niente davvero, e poi quell'assurdo pensiero: dovevo leggerle. 
Da quando avevo capito che Leah scriveva, probabilmente non solo canzoni, avevano iniziato a prudermi le mani dalla voglia di avere tra le mani quei pezzi di carta, quelle lettere storte sullo schermo, che avrebbe potuto usare per...no, non voleva usarle, non ancora: la band aveva parecchi pezzi che andavano bene per il tipo di serate per cui venivano ingaggiati, e poi volevano che suonassero principalmente covers. Volevo soltanto leggere quello che aveva scritto: avevo questa sensazione, che doveva essere brava, doveva comunicare qualcosa. In più avevo appena composto una melodia e, per la prima volta, non ero riuscito a scrivere niente: non l'avevo fatta sentire agli altri, perché completamente fuori dal genere che ci piaceva. Non mi piaceva scrivere pop, soprattutto il genere di ballata lenta, e non lo scrivevo mai se non avevo un testo da cantarci sopra. E poi si presentava quella ragazza, quella ragazzina, dall'aria più per bene che altro, che sembrava tirare il freno quando gli faceva comodo e mollarlo appena voleva, e diceva in quel modo, con le guance arrossate e le dita intrecciate, che scriveva solo sciocchezze. In questo momento l'unico vero coglione ero io, fermamente convinto che i suoi testi mi sarebbero piaciuti, e che stavo aspettando il suono della campanella per fiondarmi in quella scuola da ricconi per chiederglieli, sfoderando i miei sorrisi migliori e portando, per l'occorrenza, il suo nuovo amico Calum: strano, ma quei due si erano subito trovati, pur avendo poco e niente in comune, e no, lui non era interessato alla sua vagina, cosa ancora più strana. 
Mezz'ora dopo, grazie all'intervento di Ashton e della macchina di suo padre, mi trovavo davanti ad un'edificio antico recentemente ristrutturato con i soldi di qualche miliardario donatore, attendendo che gli studenti della Sidney International High School uscissero dai pesanti portoni di legno: l'unica gioia in quel momento era che appunto i figli di papà uscivano quaranta minuti dopo di noi comuni mortali. 
- Luke non incenerirai quella scuola solo guardandola male o insultando tutte le persone là dentro, - ridacchiò Calum, conoscendo bene l'odio nei confronti di chi era molto, ma molto più ricco di me. Forse odio non è la parola giusta, o forse sì, cazzo: c'era qualcosa di non odioso nel modo in cui ostentavano il loro essere benestanti vestendo ogni tipo di capo firmato, dai maledetti calzini agli orologi? No, niente. Solo Ashton si salvava da quella categoria di buffoni, ma il suo era un caso...particolare. Quel bastardo di suo padre si faceva vedere sì e no tre volte l'anno, ma l'assegno a più zeri non saltava un mese: era il suo modo da ipocrita per non farsi odiare troppo dai suoi figli.
- Sul serio, Luke, smettila. In più Leah non ti darà mai le sue canzoni, - continuò imperterrito il moro. 
- E perché non dovrebbe, di grazia? - domandai retorico.
- Perché dovrebbe, piuttosto. Poi questa tua voglia di leggere ciò che una ragazzina scrive... - iniziò, prima di venire interrotto da un pugno sul braccio.
- Ti ho detto che lei non mi interessa, Calum, affatto, e ti ho anche detto che... - 
- Sì, è per un progetto al quale stai lavorando, okay, ho capito. Non le avrai comunque, le sue canzoni. - ribattè, e sbuffai irritato.
- Posso provarci io, se vuoi. - esordì Ashton, spuntando fuori dall'auto in quel momento: neppure a lui piaceva quella scuola, quell'ambiente. 
- É carina, e visto che non te la sei fatta davvero... - sorrisi, pensando a quanto era sicuramente arrabbiata Leah per ciò che avevo detto e poi ritirato una volta solo con Ash. 
- Ce la faccio anche da solo, ma grazie per la fiducia, eh, - alzai un sopracciglio quando le mie parole furono sovrastate da un elegante trillo, e Calum soffocò una risata. Dopo una manciata di secondi iniziarono a uscire diversi gruppi di ragazzi e ragazze con l'uniforme color grigio scuro, e un autobus dalla facciata argento fermarsi davanti all'uscita, coprendomi la visuale. 
- Leah! - gridò dopo poco Calum, portandosi le mani a coppa sulla bocca, e riuscì a vederla solo quando era ormai a pochi metri da noi, affiancata da una ragazza che mi sembrava essere con lei alla festa ma di cui non sapevo il nome. Portava un golf al posto della giacca formale e aveva un sorriso gentile ma sincero sul volto, evidentemente contenta di trovarci qui. O forse di trovare me. Più probabilmente, di trovare Calum e basta.
- Cal, ciao! Cosa ci fai qui? - chiese, non degnandomi nemmeno di uno sguardo. 
- Te l'avevo detto ieri che sarei passato così avresti potuto presentarmi la tua amica, - ammiccò e la ragazza accanto a Leah si presentò da sola.
- Sono Zoe, Zoe Richards. Tu devi essere Calum, giusto? - 
Sentì un gemito dietro di me e mi volsi verso un inorridito Ashton.
- Questo teatrino è patetico. Da quando fa la parte del bravo ragazzo, migliore amico per la vita, eccetera? - si lamentò, per poi schiarirai la voce, attirando così l'attenzione del trio.
- Io sono Ashton. - 
- Quindi? - domandò la rossa, con tono antipatico. 
- Quindi non tirartela troppo, Richardson. - sussurrò, e alzai gli occhi al cielo. Se uno dei due stava giocando a fare il bravo samaritano, l'altro aveva deciso di giocare la carta dello stronzo egocentrico, che gli veniva particolarmente bene. 
- È Richards, - disse finalmente Leah, rivolgendoci finalmente la parola. 
- Alleluia, parli! - esclamò infatti il riccio, e lei arrossì in un secondo, ma prima che potesse difendersi il mio amico mi spinse in avanti. 
- Ti deve chiedere una cosa, - annunciò, e mi godetti la vista di Leah dapprima confusa, poi arrabbiata e imbarazzata, quando la invitai a seguirmi qualche metri più avanti, in modo che non ci sentissero.
- Ciao, ragazzina, - le sorrisi. 
È una cazzata, è una cazzata, è una cazzata. 
- Che vuoi, - si alterò, incrociando le braccia. 
- Mi parevi più gentile l'altra mattina, - commentai soltanto, cercando di pensare a qualcosa da dire che facesse sembrare più sensata la mia richiesta.
- Questo prima che insinuassi che... -
- Oh, andiamo, davvero ce l'hai con me per quello? Ho subito detto ad Ashton che non era vero, se vuoi saperlo, e io non mi sto lamentando per il doloroso schiaffo che mi hai tirato, che vale di certo più di una semplice insinuazione. - feci una smorfia, sulla via dell'esasperazione.
- Scusami, davvero, non so perché l'ho fatto, - mormorò. 
- Sì che lo sai, ti ho dato della ragazza facile e tu hai reagito. - puntualizzai.
- Non era la cosa giusta da fare. Scusa, - ripeté. 
La guardai per un po', la treccia castana quasi sfatta e nessuna traccia di rossetto o lucidalabbra, che invece mi ritrovavo dappertutto quando passavo del tempo con le ragazze della mia scuola, la gonna di poco sopra le ginocchia, non appena sotto il sedere, come... 
- Allora, - si schiarì la voce, e riportai lo sguardo sul suo viso, con un sorrisetto, - Come mai sei qui? - 
- Per le tue canzoni, - ammisi, e lei strabuzzò gli occhi.
- Che cazzo stai dicendo?! - imprecò, e sorrisi ancora, perché avevo capito che si abbassava a dire parolacce solo quando era particolarmente irritata. 
- Voglio leggere le tue canzoni. Vorrei, anzi. - mi corressi mentre boccheggiava. 
- Tu...non se ne parla. Non hai idea di cosa stai dicendo. Perché dovresti leggere le mie canzoni? - chiese, alzando la voce.
Quando non risposi, scosse nuovamente la testa. 
- Non so che razza di scherzo sia ma no, scordatelo. Non ti conosco nemmeno! - 
Era ufficialmente partita per Ansiolandia.
- Ragazzina, stai calma, non ti sto chiedendo di sposarmi, ti sto solo chiedendo... - 
- No. - rispose, e senza ulteriori indugi si voltò dall'altra parte. 
- Ti aspetto in autobus appena finisci di farti per bene il cinegro, Zoe, - urlò, e potei vedere l'amica che la guardava stranita e Calum che non sapeva se sentirsi offeso o meno. 
La seguii con lo sguardo fino a quando non le si avvicinò un ragazzo che doveva senz'altro essere il capitano della squadra di football o una di quelle cose che trovi sempre in quei libretti che piacciono tanto alle ragazze: ne sapevo abbastanza da poter già dire che era un gran coglione, pur avendolo solo visto da lontano. 
Tornai dai miei amici bofonchiando e presi Zoe per un braccio, incurante della smorfia di protesta di Calum. 
- Ho bisogno delle sue canzoni. - ordinai, e lei si corrucciò. 
- Perché le vuoi? - chiese, incerta. 
- Per favore. - dissi tra i denti, cercando di non pensare a quanto sembrassi stupido e a quanto era stupido insistere su questa cosa: probabilmente erano solo versi in rima dedicati a qualche attore o modello che parlavano soltanto di sole, cuore ed amore. Ma li volevo. Di più, ne avevo bisogno.
- Te li faccio trovare questo pomeriggio, allora. - acconsentì, e le sorrisi grato.
- Davvero? Non mi stai prendendo per il culo? - 
- Solo perché non voglio ostacolarti nel tuo piano per conquistarla, - sorrise, e io risi piano.
- Non la voglio conquistare, Zoe, - spiegai, allungando di proposito il suo nome.
- Come no. Mi puoi accompagnare tu a casa sua, questo pomeriggio? - si rivolse a Calum, sbattendo le palpebre e causando un immediato allontanamento mio da lei.
- Allora, Mr. "Ce la faccio da solo non ho bisogno di voi"? - domandò Ashton, imitandomi.
- Taci. - 


 
Da: Calum
Ore: 17:41
Testo: Controlla la cassetta delle lettere ;)
 
Gliel'avrei fatto mangiare, quell'occhiolino del diavolo. Ma prima, prima speravo solo che quella cosa che ora c'era nella vecchia cassetta fosse quello che stavo aspettando.
Corsi giù dalle scale e spalancai la porta, per poi dirigermi con un'assurda lentezza al piccolo oggetto rosso scrostato: lo aprii, e dentro c'era un quadernetto nero, senza nessuna scritta sopra. Fin troppo banale.
Appena lo presi in mano scivolò fuori un biglietto. 
" Questo è quello che ha appena cominciato, non sono riuscita a trovare quello vecchio. "
Decisi che Zoe Richards, pur avendo idee assurde in mente, mi stava parecchio simpatica.
Ritornai in casa, chiudendo piano la porta e cercando di non farmi prendere dall'entusiasmo come una ragazzina: era solo un nero, banale quaderno con dentro altrettante banali frasi. Niente che mi avrebbe cambiato la vita, niente che mi sarebbe piaciuto particolarmente.
Ma quando, finalmente in camera mia, buttai un occhio a quelle pagine, capii che non era affatto così.
 
 
 
 

 
#Leah
 
 

 
 
 
Erano passati tre giorni. Tre schifosi giorni. Tre lentissimi giorni che quel miserabile aveva in mano le mie canzoni. E ancora non si era fatto sentire.
Non che mi aspettassi qualcosa, davvero, sapevo benissimo che le parole che c'erano lì dentro non erano niente di spettacolare, ma almeno uno stupido messaggio dove si scusava di aver abbindolato Zoe per farle avere un pezzo di carta, no? Calum aveva il mio numero e sapeva pure dove abitavo, lui sapeva dove andavo a scuola: poteva tranquillamente passare a restituirmi ciò che aveva preso con l'inganno. 
- Lo odio, - sibilai per la millesima volta. 
- Io sto iniziando ad odiare te, Porter, - mi comunicò infastidita la mia compagna di banco, un'insulsa gallinella bionda.
- Stai davvero ascoltando la lezione? Gesù sia lodato! Questa ragazza sa usare le orecchie! - finsi di gioire, guadagnandomi una gomitata sottobanco.
- Stai ripetendo quelle due parole da tre giorni interi, - spiegò, e io negai.
- Non è vero, - 
- No, hai ragione. Il primo giorno era "Lo odio, quel bastardo", il secondo "Odio quel cretino" e ora solamente "Lo odio". Fatti una bella scopata e finiscila. - puntualizzò, e battei più piano che potei le mani. 
- Vedrò di tatuarmi i tuoi consigli, Chastity. - la ringraziai, e sbuffando tornai alla lezione di storia dell'arte. 
 
- Perché non vai a riprendertelo?! - si esasperò Zoe, lasciando ricadere il maccherone che aveva appena preso sul piatto. 
- Non so dove abita! - esclamai, sbattendo la bottiglietta d'acqua sul tavolo.
- Beh, io so dove va a scuola e oggi lo andiamo a riprendere. - disse, guardandomi negli occhi. 
- Tu mi hai messo in questo casino. - sussurrai, aggrottando la fronte. 
- Ma quale casino, Leah, gli ho solo dato un quaderno! - alzò gli occhi al cielo.
- Appunto! - quasi gridai, e qualche paia di occhi si girò verso il nostro tavolo.
- E verrò con te da lui, questa sarà la mia punizione, d'accordo? - 
- Sai che punizione, farti il tuo quasi-ragazzo una volta in più rispetto al solito, - borbottai, acida, mentre lei mi faceva una linguaccia.
 
- La pagherà. Oh sì, la pagherà. - sorrisi.
- Porter, puoi stare zitta un secondo?! - esclamò Chastity, richiamando l'attenzione del vecchio insegnante di matematica. 
- Problemi, Porter e Tate? - 
- No, nessuno, - biascicammo.
- Allora silenzio, e seguite. Non mi pare che nessuna di voi due sia abbastanza brillante da permettersi di perdersi questa spiegazione. - concluse.
- Lo odio, - si lamentò Chastity, e io ridacchiai. 
- E odio anche te. Mi hai contagiato. - 
Risi piano un'altra volta e aspettai che la lancetta si spostasse verso il numero 12, segnando la fine di una giornata di scuola e anche di un incubo.
 
- Quando bacerai Calum le sue labbra si appiccicheranno alle tue per via di quella roba. - spiegai, indicando disgustata il gloss che stava applicando sulle labbra in quantità industriali. 
- Non essere stupida. - mi sgridò.
- Disse colei che si sta versando chissà quale schifezza chimica al gusto di chissà quale frutto su un paio di labbra rifatte. - commentai, e Zoe mi guardò in cagnesco.
- Non mi sono rifatta le labbra, - 
- Certo che no. Con quei soldi ti saresti almeno gonfiata un pochettino le tue non-tette, - 
La sberla mi colpì proprio sulla nuca. 
- Sei troppo acida oggi. - sorrise angelica, ritornando al suo trucco.
- E poi quella scuola sarà piena di concorrenza. - mormorò.
- Intendi dire ragazze portatrici di malattie veneree e praticamente nude anche d'inverno che vogliono portarsi a letto il tuo scopamico Cal? - domandai, e la seconda sberla fu decisamente più forte. 
- Okay, sto zitta. - feci finta di chiudermi le labbra con un lucchetto e mi curai che la chiave immaginaria finisse dritta in faccia alla mia amica, dopodiché mi appoggiai alla ringhiera, osservando i suoi assurdi preparativi.
- Sbalorditivo come una ragazza al giorno d'oggi riesce a far sparire diversi centimetri di una gonna, no? - 
- Ti sto risparmiando il terzo schiaffo, - mi avvisò, passando a togliersi la giacca della divisa.
- Gandhi sarebbe fiero di te, sorella. Vuoi togliere direttamente le mut... - 
- Non. Dirlo. - digrignò i denti e mi rivolse un'occhiata di puro odio. 
- Scusa, è che sono un po' nervosa, - dissi.
- Non dirmelo. E dire che hai pure saltato l'ultima ora visto che non c'era il professore. - commentò, dopodiché un suono metallico segnò la fine delle lezioni della scuola di Luke.
- Cosí presto? - mi sorpresi ad invidiarli tutti. 
- Già...oh, accidenti, le vedi quelle? Sono le cheerleader, non trovi siano un po' troppo belle? E le altre, di là? Che tette enormi, scommetto che sono rifatte! - 
Pregai in silenzio per la povera ragazza che tentava di nascondere le sue forme abbondanti dentro una maglietta per niente scollata, ma la quinta faceva di tutto per uscire e per mettere a disagio la proprietaria. Manie di protagonismo tettarie. 
- Eccoli! - Zoe fece un gridolino e riportai immediatamente l'attenzione sull'uscita principale, da dove erano appena sbucati Calum e Ashton.
- Fantastico, - gemetti, mentre Zoe si sbracciava e il moro si illuminava. Il riccio invece sembrava avere la mia stessa voglia di incontrarli, cioè praticamente nulla. Se non fosse per quello stupido biondo che veniva subito dopo di lui, accanto ad un ragazzo dai capelli rossi che gesticolava, probabilmente imitando qualcuno, facendo ridere l'essere immondo, che ancora non ci aveva notate.
Fu il rosso, di certo non naturale, a puntare lo sguardo confuso prima su Calum e poi sulla ragazza che gli stava praticamente correndo intorno, e a richiamare l'attenzione di Luke. In un attimo, mi vide e si prese distrattamente il piercing tra i denti: nota mentale, non dovrebbe farlo, no, non con delle ragazze in giro. Ma capii dopo che non era stata una mossa intenzionale, poiché quando mi decisi a muovermi verso di loro lui pareva diventare sempre più nervoso. Non si aspettava di vedermi come io non mi aspettavo di vedermi rubato il mio quaderno di scrittura. 
- Ciao, Leah, - salutò atono Ashton, e un paio di ragazze si girarono verso di noi. Ricambiai il saluto e puntai gli occhi in quelli di Luke, imponendomi di pensare solo al perché ero lì. 
- Hey, io sono... - 
- Non ora, Michael, - tagliò corto Hemmings.
- Mi hai preso il quaderno. - ringhiai.
- Già, - ammise. 
- Nonostante ti avessi detto di no. - 
- Esatto, - continuò.
- E dopo averlo preso non mi hai detto niente per tre giorni. - 
No, cosí suonava male. Sembrava che mi importasse ciò che pensava.
- Non me l'hai restituito, dopo tre giorni. Non hai pensato che mi servisse? - lo accusai, avvicinandomi ancora di più.
- Ci ho lavorato sopra, ci sto mettendo più tempo di quanto pensassi. Ho trovato degli accordi ma devo ancora... - cominciò, e sembrò calare il silenzio su tutto. 
- Cosa? - chiesi piano.
- Ho degli accordi di base, ma devo ovviamente lavorarci sopra, aggiungere una melodia, un ritmo più preciso...gli accordi sono solo per dare un'idea. - spiegò, ma ancora non capivo. 
- Hai scritto una base per una mia canzone? - 
- Ci sto lavorando, - disse, e ancora silenzio. 
Tutto era zitto, per un secondo, la mia testa, tutto intorno, e sentii che qualcosa, una piccola cosa, era cambiata nel mio minuscolo universo. 
- Hai scritto una base per un mio testo. Verrà fuori una canzone vera. - mormorai, incredula. 
- Stai scrivendo una canzone vera. - 
- Sì. - sorrise, mostrando una fossetta.
E in quel momento il silenzio si interruppe e la mia testa ricominciò ad affollarsi di parole, di sintagmi, che si rincorrevano fra loro e si moltiplicavano; ma oltre a quelli c'era, per la prima volta, anche la musica, e il mondo cominciò a riempirsi pian piano.
































































Hooooola😊

Come state voi? Spero bene, perché io sto avendo settimane massacranti a scuola ugh
Comunque, ciaociaociaone people from Ibiza, vi devo chiedere scusa per questo capitolo perché sì okay, basta leggerlo per capire il perché. Le cose tra Calum e Zoe comunque non sono serie, giù le borsette, in verità finora non è successo niente, ma si vedrà bene tutto nel prossimo capitolo. E' arrivato Michael, yayy *agita le maracas*
Però....beh, è da qui che inizia il bello (?) !!!
Spero, almeno.
Btw, nel tentativo di farmi perdonare vi posto come mi ero immaginata la divisa di Leah: lo so, polyvore è una cosa da white girl af e probabilmente anche da 2013 af e a voi non ve ne potrebbe fregare niente maaaaaa ecco qua: http://www.polyvore.com/school_uniform/set?id=155828759
Grazie infinite se state leggendo, davvero,vi adoro con tutto il mio pingue cuore, e grazie ancora di più se sarete cosìmisericordiosida lasciarmi una recensione: i love you quanto un piccolo turista ama le magliette con scritto i love NY.

Bacioni, bottoni, biscotti e altre schifezze super caloriche per voi, a prestooo

 
   
 
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