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Autore: TeenAngelita_92    18/04/2015    3 recensioni
"Fu l’ultima cosa che le disse, le ultime parole che la sua bocca tremante riuscì a pronunciare prima che il respiro diventasse tremendamente corto e che le sue labbra chiedessero disperatamente di lei.
E le accontentò, accontento le sue labbra e quel suo disperato bisogno di tornare a sentire che sapore aveva la sua bocca che da troppo tempo ormai non aveva più sfiorato, quasi temendo di averne dimenticato la sensazione."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francisca Montenegro, Nuovo personaggio, Raimundo Ulloa
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Urgencia de ti.
 
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“Sarebbe stato un sollievo per me saperti fuori da quelle quattro mura che ormai da mesi hai reso il tuo rifugio, la tua barriera difensiva.”

“E’ per caso preoccupazione ciò che credo di aver sentito nelle tue parole, Ulloa?”
“Raimundo Ulloa preoccupato per me. Devo ricredermi sai, tu sai sempre come farmi ridere.”


“Scappi Francisca?”
“Io? Scappare? Ti ricordo che il mio nome non è Raimundo Ulloa.”
“E’ questo che vuoi? Hai intenzione di continuare ad insultarmi? Come hai sempre fatto?”
“Le mie intenzioni oggi erano ben altre, e non comprendevano te.”
“Posso solo immaginare quali avrebbero potuto essere: chiuderti in quella buia stanza, seduta dietro la tua scrivania a dettare ordini, firmare fogli e riflettere su ogni tua più piccola ed insignificante azione o imminente mossa. Sono felice di sapere che non comprendevano me.”


“Cosa ne sai tu di ciò che faccio o non faccio? Cosa ne sai degli ordini che detto, dei fogli che firmo o…”
“O di ciò che penso, ogni maledetto secondo, minuto, ora.”
“Parlamene tu allora! Raccontami di ciò che pensi, di ciò che dici, di ciò che guardi con questo stesso sguardo con il quale guardi me. Raccontami delle lacrime che hanno rigato più volte il tuo viso, perché so che lo hanno fatto, perché so che non hai potuto controllarle ed il loro segno è ancora qui, profondo e scavato nel tuo volto.”


“Solo un mucchio di belle parole. E’ cosi che fai, no? Mi accarezzi il viso pronunciando parole estremamente convincenti, per poi allontanarti, facendomi invadere dal freddo dell’assenza del tuo corpo e chiedendomi come se davvero fosse una cosa facile e veloce, di dimenticarti. Non mi sorprende sapere che è ciò che farai anche ora.”
“Credimi, io non… Non c’è stata una sola bugia nelle mie parole, ne quel giorno, ne ora. E non c’è stato un solo giorno nel quale io non ti abbia pensato, desiderato, nel quale io non abbia disperatamente desiderato di incontrarti. “


“E’ solo… Solo questa mia confusione e questa mia paura che…”
“Ed io… Io ho bisogno di te. Ne ho bisogno. Il codardo locandiere di Puente Viejo ha bisogno di te.” “Non…Non credo ad una sola parola di tutto ciò che stai dicendo.”
“Vorrei poterti credere.”


“Stai tremando come una foglia tra le mie mani.”

“Francisca!”

Confuse. Quelle parole, quelle sue, quelle loro parole, solo poco tempo prima cosi forti e decise, le arrivavano ora confuse e sconnesse. Immagini cosi chiare e lucide le scorrevano davanti agli occhi leggermente appannati e bagnati, ma stavolta le sue famose e care amiche lacrime non ne avevano la minima colpa: era la pioggia.
Si, la pioggia.
E si, aveva promesso a Bosco di non muoversi per nessun motivo dalla sua camera, gli aveva promesso di riposare e magari di mangiare qualcosa, anche la più piccola che ci potesse essere. Gli aveva promesso di aspettare tranquilla l’indomani per vederlo, per vedere l’uomo che ormai da tempo occupava le sue giornate, i suoi pensieri e tutto ciò che di suo potesse esserci, ma non ci era riuscita.
Più e più volte si era rigirata su quel letto che improvvisamente troppo grande e scomodo le era sembrato, più e più volte, chiudendo gli occhi, si era illusa di poter sentire il suo profumo, le sue mani delicate piegate in dolci carezze, ma puntualmente tutto questo spariva ad ogni forte ed assordante tuono che riusciva ad attraversare la finestra della sua  stanza, ed un inaspettato freddo le gelava il corpo, quasi come se quest’ultimo fosse improvvisamente diventato incapace di riscaldarsi, di emanare anche la più piccola ed indispensabile quantità di calore.
Quella sera, numerose volte si era detta di non poter continuare a tormentarsi come aveva sempre fatto e saputo fare, si era detta di non potersi permettere pazzie come quella che tanto insisteva a voler compiere e si era imposta di tornare la vera, orgogliosa, impassibile e forte “Francisca Montenegro”.
Quel nome… Il solo suono di quel nome, ora, le dava quasi i brividi. A cosa le era servito essere la “Francisca Montenegro” che ora tutti conoscevano? A cosa le era servito tutto quell’odio, quel rancore, quella rabbia che per anni avevano tenuto segreti i suoi veri sentimenti, ciò che in realtà era sempre stata?
A cosa le era servito tutto questo? A cosa le era servito se, cosi facendo, aveva reso capro espiatorio di tutti i suoi mali, la sola ed unica persona della quale aveva sempre avuto bisogno?
E questo aveva continuato a chiederselo mentre le sue gambe l’avevano inspiegabilmente trascinata verso la porta della sua stanza, mentre le sue mani decise avevano afferrato la maniglia e l’avevano spinta verso il basso, mentre in quella sua cosi piena e confusa mente, una guerra in piena regola era appena iniziata ed una Francisca sofferente, arrabbiata ed orgogliosa più che mai, ne combatteva un’altra completamente diversa, un’altra stanca ma ancora forte, una Francisca ancora illusa di poter credere nell’amore.
Inutile cercare di capire chi alla fine avesse potuto vincere, inutile in quanto il suo corpo aveva ormai già deciso per lei e le sue gambe l’avevano ormai guidata fuori da quella casa.

“Ne io ne Emilia potremmo mai colmare quel vuoto che dentro vi lacera, se non voi stessi.”

Chiuse gli occhi quando l’ennesima goccia di quella tanto forte ed insistente pioggia le colpì il volto, seguita a sua volta da tante altre che, invece, si impegnarono a colpire il resto del suo corpo, e fu allora, in quel preciso istante, che le parole di Bosco le risuonarono lentamente nella testa, come un eco intenzionato a non finire.
Vivere di ricordi: era oramai solo e soltanto questo che riusciva a fare, veder passare, scivolare davanti agli occhi suoi, infiniti ricordi, momenti più o meno lontani dei quali sentiva il disperato bisogno di rivivere, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. No, non erano altro che scene, cosi semplici e piccole scene della sua vita, eppure cosi chiare e lucide da far male, da rubarle il respiro, da premerle sul petto come chissà quale macigno vi ci fosse appoggiato e da quanto tempo. E quelle voci… Dio, quelle voci: si fondevano ogni volta in un solo eco, confuso, sconnesso e maledettamente assordante, ma lei sapeva quale dover ascoltare, lei sapeva quale sola ed unica voce aveva sempre voluto ascoltare e sapeva distinguerla, lei avrebbe saputo distinguerla anche in un mare infinito di voci.

“Raimundo.”

Il suo nome.
Non poté non pronunciarlo quando, arrivata alla piazza, dopo il lungo e faticoso tragitto che le sue gambe avevano percorso, sostenendo il suo corpo alla completa mercé di un brutale vento ed un’insistente pioggia, i suoi occhi riuscirono a vedere sempre più chiaramente l’insegna della sua locanda.
Non si sorprese di vederla aperta e completamente illuminata dalle luci ancora accese a quell’ora della notte, non si sorprese perché sapeva bene di poterlo sicuramente trovare li: tempo addietro Mauricio le aveva raccontato di questa nuova abitudine dell’Ulloa, che pareva restare solo nella sua locanda, seduto ad uno dei suoi tanti tavoli a guardare fuori ed aspettare l’intensa luce dell’alba.
Avrebbe tanto voluto chiedersi il perché, ma in quel momento l’unica cosa che davvero importava era la sua presenza, li, a pochi metri da lei, e ringraziava infinitamente qualunque cosa o persona l’avesse spinto ad essere li, a quell’ora della notte, senza che nessuno potesse ne vedere ne sentire.
Riprese il suo cammino, dopo essersi fermata per alcuni interminabili secondi con la vana intenzione di riprendere a respirare in un modo più tranquillo e normale di quello che ora aveva, e di poter constatare con gli occhi suoi che quello non era uno dei tanti sogni che la notte erano soliti accompagnarla.
Le gambe, solo poco prima cosi forti e veloci, ora sembravano voler cedere, ormai stanche e arrivate a destinazione.
Sapeva di non essere in condizioni ottimali, sapeva di essere completamente zuppa di acqua, salvo poche parti del suo corpo che era riuscita a coprire rifugiandosi sotto qualche tetto di case che, fortunatamente, aveva incontrato lungo il cammino, e sapeva che, forse, quella era stata una pazzia e chiunque avesse potuto vederla, l’indomani l’avrebbe sicuramente resa l’argomento del giorno sulla bocca di tutti, ma non le importava minimamente.
Si avvicinò ancora, compiendo i più faticosi ma ultimi passi che le permisero di appoggiarsi sfinita alla porta della struttura, restando li solo per qualche attimo ancora, il tempo necessario a riprendere completamente tutte le forze che quel lungo e faticoso cammino le aveva rubato, cosa del tutto vana in quanto sapeva di non poterlo fare, di non poterci riuscire mentre il cuore aveva preso a batterle in modo troppo veloce ed anormale ed i suoi occhi, persi nel più assoluto ed intenso vuoto del locale, cercavano disperatamente la figura dell’uomo di cui tanto aveva bisogno.
Decise allora di entrare, di spingersi contro la porta che ora la separava dalla cosa più bella che la vita avesse potuto darle, dissipando cosi, dentro se stessa, ogni più piccolo dubbio o paura.
Entrata, si chiuse lentamente la porta alle spalle e per quanto i suoi occhi potettero controllare e ricontrollare ogni angolo di quella amplia stanza, nessuno sembrò presentarsi al suo campo visivo, e ciò la indusse quasi a credere che tutto fosse stato inutile, e che forse, almeno quella sera, lui non fosse li.
Tutto questo le sembrava però troppo strano: la locanda era aperta, le luci ancora accese, e chi, se non lui, avrebbe potuto essere li?
Nel tentativo di trovare una spiegazione plausibile, si appoggiò ad uno dei tavoli, quello più vicino, in modo da procurare un po’sollievo alle sue gambe troppo stanche.
Pensò e ripensò a cosa fare, a come comportarsi ora che tutto le sembrava aver perso ogni senso. Il cosiddetto “Piano B” non lo aveva, ma in realtà non c’era neanche mai stato un “Piano A”, nulla di ciò che aveva fatto era stato pianificato ne organizzato, e forse era proprio questo ad averla colta di sorpresa: era la prima volta che qualcosa non andava come si aspettava o come aveva immaginato, e lei nemmeno poteva farci niente, perché cosi tanto aveva avuto bisogno di vederlo, che la sua mente non aveva neanche minimamente pensato a possibili imprevisti.
“Francisca.”
Una voce terribilmente flebile e tremante la fece sobbalzare, interrompendo e cancellando completamente ogni più piccolo pensiero che fino ad allora aveva continuato a tormentarla. Nulla rimase, nella sua testa, di spiegazioni da trovare, piani da seguire o quant’altro, solo un piccolo ma terribilmente lento brivido che iniziò a percorrerle l’intero corpo.
Sorrise tra se e se e sospirò pesantemente non appena seppe riconoscere quella voce, la sua voce.
Chiuse, infine, gli occhi, per pochi interminabili secondi, cercando di regolarizzare il suo respiro, e decise di restare di spalle all’uomo.
“Fran… Francisca…”
Ancora la sua voce, ancora più insicura di quanto potesse esserlo stata pochi attimi prima.
“Perché… Perché sei qui?” continuò lui, scrutando ogni più piccolo dettaglio del suo corpo, e accorgendosi  delle sue spalle lievemente scoperte da una manta ormai completamente bagnata per poterla coprire ancora.
Sembrava essere estremamente sorpreso, ma allo stesso tempo, agitato e felice di poterla rivedere li, a cosi pochi metri dal suo corpo. Era riuscito a vederla solo di spalle ma la tipica pettinatura che raccoglieva i suoi capelli e l’inconfondibile profumo di cui ogni stanza si riempiva quando c’era lei, gli erano bastati a riconoscerla e a chiedersi, inevitabilmente, il perché di quella sua visita, a quell’ora della notte e in quelle poco favorevoli condizioni.
“Perché la mia pelle ed il mio sangue…” iniziò a dire lei, voltandosi lentamente per poter abbracciare con gli occhi suoi, gli occhi dell’uomo.
“La mia testa ed i miei sogni…” sorrise abbassando lo sguardo, e strinse cosi tanto le mani al legno del piccolo tavolino a cui era appoggiata, da rendere le sue nocche di un colore bianco pallido.
 “Non fanno altro che desiderarti.” terminò, sollevando di nuovo gli occhi e fissandolo profondamente, aspettando che quelle parole, quelle stesse parole che lui, in una tranquilla e tanto silenziosa sera di quella stessa stagione le aveva dedicato, gli arrivassero forti e decise, esattamente come erano arrivate a lei prima che lui decidesse di accarezzarle le labbra con le sue in un disperato e bisognoso bacio.
E lui restò immobile, inerme, confuso, spaventato da quell’improvviso turbine di emozioni che quella donna, con la sua sola voce e quei suoi soli occhi, era riuscita a scatenare in lui.
Francisca tentò di avvicinarsi, piano, completamente ignara di ciò che il suo corpo aveva invece deciso: le gambe, prima tanto forti, ora erano ancora intorpidite e prive di ogni forza, decise più che mai a non supportare il suo corpo.
Lui se ne accorse, subito, tanto da correrle in contro e afferrarle delicatamente i fianchi per sostenerla ed impedirle di accasciarsi violentemente al suolo.
La strinse al suo corpo come sempre faceva in ogni suo singolo, disperato e maledetto sogno. Si accorse dei suoi abiti umidi, dei suoi capelli bagnati e del suo viso che…  Dio, il suo viso… Cosi delicato e dolce viso, cosi stanco e segnato dai duri colpi del tempo e dalla sofferenza, eppure cosi bello come quando era giovane.
Migliaia e migliaia di ricordi iniziarono a scorrere davanti agli occhi di Raimundo che non aveva smesso di fissarla neanche per un solo attimo e che, involontariamente, aveva sollevato una delle sue mani e l’aveva protesa verso la pelle del suo viso, bagnata ed ancora preda delle ultime e gelide gocce di pioggia che lente continuavano a scendere.
“Sei… Sei completamente bagnata Francisca…” le disse in un insicuro sussurro, mentre le sue dita continuavano a strofinarle una guancia “Stai tremando…” continuò avvicinandosi, poggiando la fronte sulla sua ed esercitandovi una tanto delicata e tenera pressione  “Dio, tremi cosi tanto…” la strinse forte, ancora più forte.
Era vero, e solo ora se ne rendeva conto: stava tremando, tremando terribilmente e neanche sapeva se per il freddo che continuava a torturare la sua pelle o per il piacevole brivido che il calore del corpo, delle forti braccia di Raimundo, le provocavano.
“Dio solo sa perché sto tremando e sono incapace di riconoscerne il motivo.” gli confessò, sorridendo, come ormai da tempo aveva smesso di fare “O forse semplicemente è la sensazione che si prova a tornare tra le tue braccia, locandiere.” continuò.
“Perché piccola mia?” le chiese stringendo le palpebre, contraendo il viso in una espressione di puro dolore, di sofferenza, mentre le sue dita, lente, si diressero verso le sue labbra. “Perché sei venuta qui? Perché ora?” le chiese ancora.
“Per lo stesso motivo che, solo qualche mese fa, spinse te a venire da me, a dirmi ciò che mi hai detto, a baciarmi come mi hai baciata.”
“Non avresti dovuto a quest’ora della notte, sola e con questo temporale.”
Quelle sue parole suonarono come un rimprovero, o almeno, era questo il suo intento: rimproverarla per la “pazzia” che aveva appena commesso e mostrarsi del tutto duro e distaccato con lei, come del tutto indifferente delle sue carezze, del corpo stretto contro il suo e di quanto tutto quello che ora stava accadendo, somigliasse nei più piccoli dettagli al sogno che ogni notte faceva.
“Non mi importa…” iniziò a dire lei, mentre  in modo del tutto inspiegabile l’aria faticava ad uscire dalla sue labbra. “Non mi importa della pioggia, non mi importa del freddo, non mi importa di chi vedermi ha potuto, non mi importa se ho promesso di aspettare, se ho promesso di starti lontano, se ho promesso di dimenticarti, non mi importa...” ripetè disperatamente, rifugiandosi tra le sue braccia, stretta al suo petto che, agitato, continuava a sollevarsi ed abbassarsi.
“Francisca noi non…”
“Solo un attimo fa mi hai chiamato “piccola mia” ed ora che ti accorgi di quanto ti stai lasciando andare, ti tiri di nuovo indietro?”
“E’ un errore tutto questo… Dio, io non…”
“No, no…” lo interruppe, allontanandosi lievemente in modo da coprire delicatamente, ma al contempo stesso con decisione e forza, la sua bocca con le dita. “No Raimundo, nulla di tutto questo è un errore.” gli disse, accarezzando, in modo timoroso e tremante, la sua folta barba che ora tanto le mancava “Errore è il nostro orgoglio, errore è tutto ciò che fino ora ci siamo urlati ogni volta che ne abbiamo avuto l’occasione, errore è il dolore che vicendevolmente ci siamo impegnati a causarci, errore è stato credere di dimenticarti, di poterlo fare velocemente e senza alcuna conseguenza, errore è continuare a starti lontano, a starci lontano quando entrambi sappiamo che l’uno senza l’altro non è niente.” gli ripetè sorridendo, mentre insopportabili lacrime minacciavano di invadere il suo volto “Non sono niente senza di te, non sono niente se stringermi a te non posso se non solo e solamente in questa mia testa che di altro non vive che di ricordi, della tua voce…”
E gli confessò tutto, gli confessò di quanto l’amava, gli confessò di quanto bisogno di lui aveva, gli confessò dei suoi tormenti, dei numerosi sogni dove sempre si stringeva a lui.
Gli confessò di lei, di Francisca, la vera Francisca.
“Raimundo, errore è la paura e la confusione che continuo a vedere nei tuoi occhi.” gli disse, notando come, nel giro di pochi secondi, il suo sguardo si era posato su tutt’altro che lei e di come, piano, aveva cercato di allontanarsi.
“Guardami Raimundo.” quasi gli ordinò, afferrandogli delicatamente il viso tra le mani ed obbligandolo a guardarla negli occhi. “Di cosa hai paura? Eh? Di che cosa, amore mio?”
Si strinse ulteriormente a lui, tornando a premere il viso contro il suo mentre gli occhi di lui si chiudevano, forti e stretti, come per raccogliere tutte le forze necessarie a resisterle, a resistere al desiderio che ormai da troppo tempo provava e che non poteva più controllare.
“Di cosa hai paura, amore mio?” gli chiese ancora, stavolta in un delicato sussurro.
“Di amarti…” le rispose piano, con voce insicura e tremante, quasi come un bambino spaventato e bisognoso di sicurezza “Ho paura di ciò che riesci a farmi provare, Francisca… Maledizione…” le sue ultime parole vennero sostituite da un gemito, un piccolo gemito che uscì involontariamente dalla sua bocca non appena le labbra di lei premettero contro il suo collo, lente, delicate.
“Ti prego…” tentò di opporsi.
Lui, vedendosi completamente incapace di afferrare semplicemente le sue mani e spingerle via, tentò di fermarla con la sola forza della sua voce ma tutto fu vano, completamente vano.
“Ho… paura, Francisca.” le ripetè, ma ciò, per quante volte lui avesse potuto ripeterlo, non sarebbe mai bastato a fermarla, a impedirle di tornare a sentire il magnifico tocco della sua pelle sulla sua, di tornare a sentire i loro respiri, le loro carezze, sensazioni che da cosi tanto tempo aveva ormai smesso di sentire, quasi avendo paura di essersene dimenticata.
“Shh…” gli sussurrò, prima di tracciare, con le sue labbra, un delicato percorso verso la sua guancia. “Questo? Questo ti fa paura?” gli chiese infine, pochi secondi prima di dedicargli lenti e umidi baci.
E probabilmente fu grazie a lei, o a quei suoi tanto disperati baci, o a quelle sue mani che, anch’esse disperate, avevano continuato ad accarezzarlo, quasi come a volerlo tranquillizzare, o forse… Fu grazie solo e semplicemente al troppo grande e contenuto bisogno e desiderio che aveva di lei ormai da tempo, troppo per continuare a nasconderlo: le afferrò delicatamente il viso portandoselo il più vicino possibile alle sue labbra, regalando cosi a queste ultime, la tanto attesa occasione di abbracciare quelle di lei, di confondersi con quelle di lei.
Inutile dire che di altre parole, non ce ne fu più bisogno. 

Spazio Autrice:
Per favore, ditemi che non sono l'unica che ha iniziato a perdere voglia e fantasia dopo aver visto le ultime puntate trasmesse in Spagna. 
No sul serio, perchè io appresso a quei due sto inevitabilmente diventando un caso grave. Ceh no, enne - o, non si può agonizzare tanto per un tira e molla come quello che i simpaticissimi e da me TANTO amati (sottolineo l'ambiguità di quel "tanto") sceneggiatori di Puente Viejo impongo a questi due spappolatori di feels. No proprio, io mi rifiuto.
Un altro po' e Francisca avrà la colpa anche della morte della formica che qualche giorno fa vidi sulla ringhiera del mio balcone. Seriamente, perchè tutto lei? Perchè deve avere la colpa di tutto? Mah, io almeno non lo capirò mai.
Ma passando ad altro, io (a differenza dei sempre TANTO amati sceneggiatori di Puente Viejo) in questa mia piccola fan fiction ho intenzione di regalare a questa coppia dei santi e benedetti momenti di peace and love! Dunque la prima delle tante è accennata in questo capitolo che, tranquilli, continuerà nel prossimo perchè io non lasciò le cose a metà u.u (ogni riferimento è puramente casuale.) 
Ottimo, dopo avervi dato la quotidiana e giuta dose di scocciatura ed avervi annoiato, nulla, vi ringrazio come sempre infinitamente per la pazienza e la costanza e vi mando un BESAZO enorme (che si spera possa rivedersi tra quei due.)
TeenAngelita_92

 
  
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