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Autore: Jordan Hemingway    18/04/2015    1 recensioni
La Terra è stata conquistata: i nuovi padroni si fanno chiamare dèi e usano gli esseri umani come pedine nel loro eterno gioco di dominio. Solo due fratelli possono rovesciare la sorte, un uomo e una donna in grado di cambiare le carte in tavola… Se solo i loro eserciti non li considerassero empi traditori.
Si dice che siano gli dèi a governare il fato del mondo e, come dio, non ho mai avuto dubbi al riguardo: questo fino a quando il destino di Electra Bianca Lama non ha incrociato il mio.
Non che ne avessimo discusso: il vocabolario della ragazza, squisitamente vario per quel che concerneva armi e strumenti di distruzione di massa, era purtroppo limitato in ogni altro tipo di conversazione, soprattutto riguardo la filosofia.
Forse per questo quando introducevo l’argomento la sua spada si conficcava sempre a pochi millimetri dal mio orecchio destro.
Sto correndo troppo.
Prima che diventassimo così intimi, di Electra conoscevo solo quello che i suoi compagni dicevano di lei.
Traditrice della propria stirpe, assassina di regine.
La sorella dell’uomo che per un trono aveva ucciso la madre.

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Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando gli schiavi chiudono gli occhi


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4.
 
 
καὶ τῶνδ' ὅμοιον εἴ τι μὴ πείθω· τί γάρ; τὸ μέλλον ἥξει.
Che mi crediate o non mi crediate, che importa? Tutto si compirà.
Agamennone, Eschilo
 
 
Ilio, la città del sole splendente.
Nessuno di voi probabilmente ricorda com’era ai tempi del suo apice: templi candidi e rilucenti alla luce della luna, palazzi imponenti collocati sulle pendici del colle dove sorgeva la città, una reggia che superava in magnificenza qualsiasi altra costruzione umana e divina.
Non per niente era opera dei primi di noi arrivati sulla Terra.
Le mura erano il motivo per il quale nessuno avrebbe mai potuto espugnare Ilio: un cerchio perfetto di titanio e diamante, che all’occorrenza racchiudevano la città con una cupola di pura energia, mettendola al sicuro da uomini e dèi.
La fortezza perfetta.
E io l’avevo scelta come casa.
 
 
“L’esercito è pronto, signore.”
Oreste si levò in piedi e si avvicinò allo stratega: alle spalle di quest’ultimo poteva vedere file e file di opliti i cui scudi riflettevano le fiamme del sole a picco su di loro.
Si chiese per un momento se non soffrissero per il calore della giornata, prima di ricordare che l’acciaio di Argo non assorbiva il calore: un’antica tecnica di forgiatura che non era andata perduta come tutto il resto della scienza umana.
Guardandoli, si impose di assumere un sorriso soddisfatto. “Molto bene, Temistocles.”
Il capo degli strateghi si inchinò.
“Uomini! Soldati di Argo” Oreste aprì le braccia come per comprendere tutti nel suo discorso. “E’ ormai tempo di convertire tutta la Grecia al culto delle vere divinità. La dea sapiente ci ha sostenuto finora e ci sosterrà anche oggi: la Arthemis e la Ephestus sono state grandi vittorie.” Si fermò per lasciare che le sue parole penetrassero nella mente degli uomini. “Grandi vittorie che tuttavia saranno solo briciole agli occhi dell’impresa che stiamo per compiere. Atene ha rinnegato la dea sapiente per il dio marino, andando contro il nome stesso della città: sappiamo come la Poseidon si sia ancorata sull’Acropoli secoli fa, distruggendo l’effige millenaria della dea. Noi conquisteremo Atene e la restituiremo alla dea sapiente e al dio del cielo. Noi abbatteremo la Poseidon, e lo faremo con l’aiuto dei veri dèi!” Oreste non aveva ancora terminato. “Fratelli: noi entreremo nella leggenda!”
Un brusio si diffuse tra le schiere: Oreste si domandò ancora una volta se le dichiarazioni che aveva fatto al cospetto della dea sapiente corrispondessero al vero. Le promesse di gloria e le ricchezze distribuite nei mesi precedenti sarebbero state sufficienti a far sì che l’esercito obbedisse ai suoi ordini?
Il ruggito di approvazione degli opliti fu la risposta che aspettava.
Un intero esercito aveva venduto la propria anima per entrare nella Storia.
Fu solo la presenza di Pilade al suo fianco a impedirgli di crollare a terra: questo e il ricordo del compito ereditato dal padre.
Agamennone aveva fatto il possibile per realizzare il proprio sogno, compreso forgiare Oreste ed Electra per una responsabilità più grande di loro.
Suo figlio non avrebbe deluso né i vivi né i morti: solo gli dèi avrebbero avuto di che preoccuparsi.
 
 
Dopo due settimane ci fu bisogno di usare le pelli dei conigli per ripararsi dal vento che spazzava le pendici delle montagne. Almeno per Lykos, i cui piedi tendevano ad assumere una tonalità pericolosamente bluastra dopo una giornata di marcia: l’uomo sospettava che invece Electra, oltre a sembrare gelida come la neve, fosse davvero fatta di ghiaccio, dato che pareva insensibile anche alle raffiche più violente.
“Dovremmo fermarci anche durante il giorno.” Propose il mercenario quella notte, accostando le mani al fuoco da campo. “Se vogliamo salire fino in cima avremo bisogno di provviste di legna.”
“Non sarà necessario.” Electra bevve un altro sorso dalla sua fiasca.
“Con tutto il rispetto, Bianca Lama, alberi e arbusti non crescono a quelle altitudini.”
“Non sarà necessario.”
Il soldato diede le spalle al fuoco per guardarla in faccia. “Comandante, ti ho seguito fin qui e ti seguirò ancora: se però stiamo marciando verso il Tartaro vorrei saperlo con qualche anticipo.”
La donna alzò la testa: i riflessi delle fiamme rendevano le sue efelidi ancora più simili a stelle cadute in un mare di neve. “Ti sembra il Tartaro tutto questo?”
“Assomiglia più alle pianure di Hel che spaventano i mercenari nordici.”
“Credi in queste cose?”
Lykos si accoccolò di nuovo vicino al falò. “Io credo alle cose concrete, come dracme e puttane.” Scrollò le spalle. “Ma non per questo escludo l’esistenza di ciò che non si può vedere.”
“Se non si può vedere, come puoi verificare che esista?”
“Lo si può sentire.” Il soldato assunse un’espressione grave, portandosi la mano al petto. “Voglio dire, nel profondo tutti gli uomini sanno che c’è qualcosa che non si può toccare, eppure esiste.”
“Il Tartaro?” Electra inarcò un sopracciglio.
“Le pianure di Hel, l’iperuranio, il mondo del grande spirito… Chiamalo come vuoi.”
“E il tuo stomaco ti dà questa certezza?”
“E’ più un punto tra l’esofago e il diaframma: volendo descrivere la sensazione in termini filosofici, potrei dire che…”
“Tu farai il primo turno di guardia.”
“Buonanotte, Bianca Lama.”
 
 
Ora i loro passi iniziavano a incontrare tracce rade di neve e brina, mentre gli alberi si facevano sempre più scarsi, così come i conigli.
In compenso le stelle sembravano brillare con forza maggiore la notte.
“La luce delle stelle.” Argomentò Lykos. “Non si può toccare e, di per sé, non si può vedere: eppure esiste.”
“Anche la luce del fuoco.” Electra scosse la testa. “E il fuoco è concreto: le stelle sono fiamme, la loro luce non è astratta.”
“E che mi dici del vento?”
“Gli elementi naturali non contano.”
“Gli dèi: crederai almeno nel loro potere. Materializzazione, persuasione, morte con un semplice tocco.”
“Creature differenti con capacità diverse da quelle degli esseri umani.”
“Comandante, tu non credi a nulla.” Sospirò Lykos.
 
 
“Che cosa bevi?” Il soldato era curioso: magari era per merito di quella fiasca che la Bianca Lama riusciva a resistere al gelo notturno.
“Niente che ti riguardi.”
“Se è liquore, comandante, potresti condividerlo con il tuo fedele commilitone.”
“Ti prendi troppe libertà.”
“Va bene, comandante. Niente alcolici per i mercenari.”
Sospirando, Electra decise di risolvere la questione. “E’ una medicina: toccala e appenderò il tuo corpo squartato alla cima della montagna.”
“Ricevuto forte e chiaro.”
 
 
“Il pensiero.” Questa volta il soldato credette di aver vinto. “Esiste ma non si può né vedere né toccare.”
La marcia quel giorno era stata particolarmente faticosa: la neve aveva iniziato a cadere attorno a mezzogiorno senza più fermarsi.
“E le sensazioni!” Aggiunse Lykos. “Amore, odio… Non puoi negare che esistano sensazioni e pensieri.”
La Bianca Lama scrutava le fiamme che cercavano con poco successo di non cedere al gelo.
“Pensieri, sensazioni… Ognuno può provare i propri, ma non quelli degli altri. Chi mi assicura che gli altri non stiano mentendo, e che quello che affermano di provare non sia falso?”
“La tua esperienza non è sufficiente?” Il mercenario era sbalordito. “Quando pensi, soffri, ami… Non ti basta questo per confermare l’esistenza del mondo astratto?”
“La mia esperienza potrebbe essere limitata. Potrebbe essere unica. Non posso sapere cosa provano o pensano gli altri.”
“Se io vedo un bambino che piange posso immedesimarmi nella sua sofferenza. Si chiama empatia, comandante.”
“Non è sufficiente.”
Lykos si strinse di più nel mantello di pelli di coniglio. “E che cosa vorresti come prova?”
Electra stette in silenzio per un lungo istante.
“Se tutti avessero accesso ai pensieri di tutti.” Mormorò. “Se le informazioni di ogni mente fossero collegate e fruibili da tutti, allora forse potrei ammettere l’esistenza del pensiero. Ma per quanto riguarda le sensazioni…”
Non continuò.
“Comandante: secondo me il freddo e quella medicina annebbiano i tuoi ragionamenti. Filosoficamente parlando…”
La lama della spada di Electra si conficcò a pochi centimetri di distanza dalla testa di Lykos.
“Ho capito: il primo turno di guardia è mio.”
 
 
Dopotutto, chi era Agamennone se non un folle visionario?
Questo era il parere comune tra gli dèi: sono felice di constatare che, ancora una volta, il mio giudizio differiva sostanzialmente da quello dei miei simili. Il dio celeste riteneva addirittura che il re di Argo fosse un problema di minore importanza se paragonato alla questione di Ilio.
Questione che assumeva un ruolo cruciale nella politica di tradimenti e trattati di pace, guerre e tregue che ha sempre caratterizzato noi dei, eterni giocatori su scacchiere altrui.
Gli esseri umani sono particolarmente adatti come pedine del gioco: tuttavia a volte una particolare pedina può causare la rovina dell’intera partita, e questo fu chiaro solo a me dal principio.
Un re pazzo e ossessionato dai fantasmi della storia passata, dai millenni in cui la Terra era più che un semplice nome nei nostri giochi di potere.
Fu lui a capire l’importanza di Cassandra.
 
 
Poseidon: bastava il nome a ispirare terrore in chi incrociava la sua rotta.
Un mostro di titanio e metalli alieni, inattaccabile da qualunque forza umana o divina. Migliaia di funi d’acciaio collegavano l’Acropoli alla nave, ancorata sopra il cielo di Atene: la sagoma immensa dello scafo sfiorava le nubi, il rombo sommesso dei motori pervadeva l’aria e la vita degli abitanti della città sottostante. Si diceva che con i rostri laterali la Poseidon avesse abbattuto più di diecimila navi.
Vedendola dal vivo, illuminata solo dai lampi dei propulsori, Pilade non poteva che credere alle dicerie popolari.
L’attacco era previsto per il giorno seguente.
Riabbassò il lembo della tenda. “Nessuno di noi sopravvivrà.”
Oreste annuì, gettandosi in gola il contenuto di una piccola fiasca. “Alla dea sapiente non interessa.”
“Il nostro esercito non riuscirebbe nemmeno ad abbordare la Poseidon: chiederci di affondarla è inutile.”
“L’Athena vuole solo un’occasione per attaccare la Poseidon a sorpresa; le perdite umane non sono un problema per gli dèi.”
“Quindi le armi che ci ha fornito…”
“Sono armi potenti,” Oreste si sedette sulla propria branda, “ma contro i fuochi della Poseidon temo saranno inutili.”
Pilade chinò la testa, posando i pugni sulle casse approntate a mo’ di tavolo dove le mappe e le istruzioni per gli strateghi si confondevano tra loro. “Non possiamo fare nulla per salvarli?”
“Nulla.” Il volto dell’altro si contrasse in una smorfia. “Per salvarli tutti dovremmo prima sbarazzarci dell’Athena, della dea sapiente, degli dèi e di tutte le fedi che stanno distruggendo la specie umana. Niente che si possa fare in una notte.”
“Potremmo arrenderci.”
Il re di Argo alzò la testa: Pilade si scontrò con la determinazione che lesse in quello sguardo.
“Significherebbe gettare al vento ogni speranza: anni di preparativi, di morti insensate, di sotterfugi, di tradimenti e per cosa? Per salvare ora qualche centinaio di soldati che nonostante tutto credono di più negli dèi che non negli uomini.” Oreste passò accanto all’amico e aprì la tenda: il suono delle preghiere e le fiammelle delle fiaccole sugli altari votivi eretti in fretta e furia erano una conferma sufficiente delle sue parole.
E Pilade sentì di non poter più trattenersi.
“Sono i nostri soldati!” Urlò, afferrando Oreste per le spalle e scaraventandolo contro il tavolo. “Parli di loro come se non li conoscessi, come se non sapessi che Pausania ha una moglie incinta, che il figlio di Crise aspetta il ritorno di suo padre per sposarsi.” I fogli si posavano a terra ad uno ad uno. “E tu li stai per guidare in una missione suicida come se… come se…” L’uomo ammutolì.
Oreste si rialzò.
“Esatto. Come se.” Mormorò a se stesso. “Credi che non lo sappia? Che non senta le loro voci alla notte, quando tu dormi? Credi che io non ricordi ogni dettaglio dei volti di Crise, Pausania e Teucro e di tutti gli altri, proprio come li ricordava Electra?”
“Ad Electra non è mai importato nulla di loro.”
“Non sono forse uguale a lei?” Il re di Argo rise all’espressione sconvolta dell’amico, ma fu una risata amara. “Siamo fratelli: lo avevi dimenticato?”
“Non siete uguali. Non lo siete mai stati.”
“Hai ragione: avrei dovuto essere del tutto simile a lei per portare a termine la missione.” La risata di Oreste ora era quella di un folle. “Quante volte ho sognato di poter essere freddo, insensibile e letale come Electra, la Bianca Lama, mai macchiata da sentimenti.”
“Electra non avrebbe potuto…”
“Avrebbe potuto fare tutto quello che io ho fatto finora, e avrebbe potuto farlo meglio.” Lo interruppe Oreste. “Ma dovevamo essere in due. L’esca e l’eroe. Rimane da capire chi di noi due riuscirà a completare la missione.”
Pilade sedette nella polvere accanto al suo re.
“Electra non può fallire.”
“Lo so.” Le spalle di Oreste furono percorse da un brivido. “Eppure ho paura, Pilade.” D’un tratto afferrò il braccio dell’amico. “Che cosa succederà domani?”
Sospirando Pilade spinse Oreste verso di sé. “Domani moriremo tutti. Solo questo è certo: ma forse riusciremo dove Agamennone ha fallito.”
Le mani di Oreste erano fredde mentre tracciavano cerchi sulla sua pelle, spingendosi sempre più in basso. Era il contrasto con il ghiaccio di quelle dita a creare quel calore che serpeggiava nel suo corpo?
“Sarai al mio fianco anche quest’ultima volta?”
Pilade lo afferrò  per i fianchi, cercando la sua bocca con la propria.
“Anche oltre i cancelli della morte.” Mormorò, annullandosi nel gelido bacio del suo re.
 
 
Cassandra era stata molte cose: figlia di re, guerriera, sacerdotessa, veggente, schiava e vittima.
Io preferisco ricordarla come la ragazza che, tra un duello e l’altro, si nascondeva dietro al mio altare per sfogliare volumi proibiti agli umani, e che un giorno alzò gli occhi dai libri e vide un dio in forma umana che cercava di sgattaiolare di nuovo nella sua nave senza farsi notare.
Fu così che iniziò la nostra relazione.
Per la sua sete di conoscenza rinunciò alle sue amate spade e al comando degli eserciti di Ilio: divenne la sacerdotessa incaricata delle comunicazioni con l’Apollo, l’unica umana ad avere libero accesso alla mia nave.
Cassandra amata da un dio.
All’inizio la desideravo: il mio amo per catturarla era la raccolta di antichi documenti terrestri, che solo grazie a me avevano potuto sopravvivere alla furia divina dei secoli oscuri. Racconti di guerre in cui gli dei non avevano preso parte, descrizioni tecniche di armi e congegni il cui ricordo si era perso.
Personalmente avrei preferito si concentrasse su letture più leggere, tuttavia le poesie d’amore che le avevo procurato tendevano a riapparire in forme diverse, come barchette di carta e aeroplanini.
Così iniziai a cercarle manuali di storia e filosofia: una volta letti, discutevamo per ore sul significato di una scelta sbagliata nelle politiche di millenni precedenti, oppure sulla corretta interpretazione di un concetto astratto.
Fu così che mi innamorai di lei.
Notate che, nel momento in cui me ne resi conto (quando mi fece crollare addosso una pila di tomi sulla vita di qualche oscuro filosofo terrestre), per qualche motivo starle accanto iniziò a causarmi sofferenza.
Era la prima volta che provavo qualcosa di simile nella mia esistenza.
Soltanto quando lei mi bloccò contro una parete e mi baciò per farmi tacere (per sua volontà e non per la mia: avevo chiaramente ragione in quella discussione) il dolore scomparve.
Cassandra che amava un dio.




  
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