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Autore: Scarli    19/04/2015    0 recensioni
Se mi piaceva stare in compagnia? Chiedetelo alla moltitudine di persone di cui mi circondavo ogni giorno. Mi chiedevano foto, autografi e, addirittura, se potevano darmi un bacio. Questa è la vita di un quarterback. La mia vita.
Credevo mi piacesse vivere così. Pensavo che questa era la felicità.
Mi sbagliavo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Quella mattina non andai a scuola, mi finsi malato. Non ero pronto ad affrontare un altro giorno di scuola, non dopo quella notte. Ero solo. Odiavo definirmi così. Ero solo soltanto fisicamente.
Trovai un bigliettino sul tavolo:
‘’Ciao tesoro, sono la mamma. Io ho avuto un impegno urgente al lavoro e tuo padre, beh è tuo padre. Il latte è nel frigo e i cereali nello scompartimento sopra il lavello. Purtroppo io e papà resteremo via per quasi tutto il giorno per questo ti ho lasciato i soldi sul tavolo per il pranzo. Telefona al cinese e fatti portare qualcosa.’’
Tolsi la lettera dalla mia visuale e li scorsi: erano un bel po’ di soldi.
Mio padre era sempre fuori per pranzo, raramente per cena. Diceva che si vedeva con clienti importanti. Pensavo che si vedesse con qualcuna tradendo mia madre ma non ebbi mai la risposta. Mia madre era un chirurgo, impegni di questo genere erano frequenti. Magari per un paziente grave che aveva bisogno di un operazione, mia madre era la migliore di tutto il Tennessee.
Le 12:00 del mattino e l’unica cosa che riuscii a fare fu guardarmi la maratona de Il Trono di Spade. Mi affascinava il modo in cui il re Joffrey moriva avvelenato. Era fatto davvero bene. Avrò visto quella puntata almeno un centinaio di volte.
Mi lavai, mi vestii, presi le chiavi del motore, i soldi e uscii. Non potevo stare rinchiuso da solo in quella casa. Una volta sul motore la mia destinazione non era chiara neppure a me. Fast Food? No meglio di no, li tutti mi conoscevano. Presi la Locust St, abitavo in una casa lì prima di andare alle superiori. Non avevamo ancora trovato un acquirente ma secondo me era una scusa dei miei genitori: quella casa racchiudeva molti ricordi. Non era molto mio padre quello legato alla villa ma mia madre, lei tendeva ad affezionarsi a chiunque e a qualsiasi cosa abbastanza vicino da spuntare nel suo campo visivo. Per questo i miei amici non la conoscevano.
La casa si presentava vissuta ma ancora del colore originale: azzurra. Ricordo quando la colorammo. Ero ancora un ragazzo tranquillo, senza pensieri. L’azzurro fu frutto del mio volere, decidevo quasi tutto io perché ero solo un bambino.
Entrai dentro, le chiavi erano sempre sotto un mattone removibile. Tutti i mobili erano coperti da dei teli bianchi ma io li scoprii perché mi sentivo in una casa fantasma. Quella casa un giorno  sarebbe diventata mia, mi dissi. Dovevo curarla. Non era grande ma era di una bellezza semplice. Feci un veloce giro della casa raccogliendo teli bianchi che poi appallottolai in un’angolo. Scendendo dalle scale, intravidi il giardino dalla finestra. Nonostante fosse situato davanti il lato frontale della casa prima non me ne accorsi: le erbacce e le piante morte ricoprivano il 99% del prato.
Mi misi all’opera perché era l’unica cosa che potevo fare per non annoiarmi. Cercai pale, cesoie e altra roba per il giardinaggio. L’unica cosa che trovai fu una pala rotta. Decisi di arrangiarmi ed usare le mani pur sporcandomi tutto.
Venti minuti di giardinaggio e l’unica cosa che ero riuscito a fare era rovinare ancora di più di prima il giardino. Naturalmente, vedendo che peggioravo le cose non continuai per tutto il giardino ma ¼ di esso rimase li a rinfacciarmi che non ero capace di sistemarlo.
Mi sdraiai e mi misi le mani in testa perché ormai mi ero arreso. La natura aveva vinto. -Dovresti trattare meglio quelle piante- Mi girai. Una ragazza con un vestitino rigato bianco e blu era a qualche metro di distanza da me. Mi misi seduto. -Ti faccio vedere come fare- Rimasi a guardarla sbalordito. Era una ragazza gentile. I suoi lunghi capelli mossi e castani e i suoi occhi azzurri la rendevano una ragazza bellissima.
Con gentilezza, tolse le erbacce, risistemando poi il terreno. -Vedi non è difficile. Prova!
Mi inginocchiai accanto a lei e nel frattempo mi insegnò a trattare bene la natura. -Io sono Benjamin comunque- mi presentai.
-Clarissa. Ma chiamami Clary.- ricambiò lei -Qualcuno ha comprato finalmente questa casa?
-Ero già il proprietario. O meglio i miei genitori lo sono- balbettai.
-Oh io sono qua da 5 anni e non l’ho mai vista abitata.
-Noi abbiamo trasferito da 6 anni e questa casa rimane nel cuore di mia madre- Feci una smorfia alla quale, per mia felicità, sorrise.
-Posso capirla. Anch’io sono rimasta legata alla mia vecchia casa.
Rimanemmo così: parlando delle nostre abitudini e dei nostri genitori. Scoprii che i suoi erano musicisti, suo padre suonava il violino e sua madre il violoncello. Clary si impegnava con il pianoforte. Andava a lezione ogni lunedì, mercoledì e venerdì. Il martedì e il giovedì studiava tedesco insieme al professore privato che le arrivava a casa nel primo pomeriggio. Il fine settimana era dedicato ai concerti e alla visita di spettacoli teatrali che, mi confidò, le provocavano tanta noia da farla dormire. I suoi la rimproveravano per questo. Mi disse che tutto questo, il tedesco, i concerti, il pianoforte, non erano quello che sognava di fare: studiava ad una scuola pregiata di cui non ricordo il nome, con gente per bene, ma ‘troppo per bene’, come diceva lei, mentre voleva andare in una scuola comune, uscire con amiche che non aveva, avere un ragazzo e non vivere sotto le regole dei genitori.
Io le raccontai dei miei genitori sentendola dire quanto fortunato fossi. Parlai del quarterback che era in me, di quanto questa vita fosse bella ma a volte troppo per una sola persona.
Rimanemmo di rincontrarci qualche volta. Io le promisi che sarei riandato in quella casa un’altra volta.
   
 
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