Serie TV > The Musketeers
Segui la storia  |       
Autore: silvermoongirl10    19/04/2015    1 recensioni
Questa storia racconta l'evoluzione dell'amicizia tra Porthos e Aramis, dal loro primo incontro e attraverso la serie. Essere un Moschettiere vuol dire molte cose, una fratellanza leale, buoni amici, grandi avventure e di sicuro strane ferite.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Aramis, Porthos
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
From Strangers to Brothers

Nota dell'autrice:
Questo capitolo parla dello scompiglio di emozioni di Aramis dopo il massacro di Savoia. Il titolo del capitolo è stato preso dalla canzone Broken dei Lifehouse poiché penso che calzi a pennello con quello che penso che Aramis stia attraversando. Le canzoni che ho ascoltato per entrare nell’umore per il capitolo sono: Broken (Lifehouse), Everything (Lifehouse), Your Guardian Angel The Red Jumpsuit Apparatus), Slipped Away (Avril Lavigne) e Remember When (Avril Lavigne).
Questo è una altro capitolo con multiple Pov.

 

Era passato quasi un mese dal massacro di Savoia e la città di Parigi aveva proseguito la sua vita come al solito, come se nulla fosse successo. Aramis era seduto sul davanzale della finestra, appoggiato contro il muro e con la fronte premuta contro il vetro freddo. La mezzanotte era passata da un po’, sapeva che avrebbe dovuto essere sdraiato a letto a dormire. O almeno provarci. Ma le tre settimane passate a girarsi e rigirarsi senza sonno lo avevano fatto desistere dal farlo. Tutte le volte che chiudeva gli occhi per riposare, tornava in quella dannata foresta a Savoia. Quando Porthos restava con lui, tentava di addormentarsi per amore del suo amico, ma non era lì ora e lui poteva dichiararsi sconfitto: non doveva sognare di essere in quella foresta ancora una volta.

Girò la testa così da vedere le stelle e così da poter quasi credere che tutto fosse in pace. Ma non lo era. Poteva esserlo per la gente di Parigi, ma non per lui. Era continuamente torturato dai ricordi del massacro. Tutto gli rammentava cosa era successo, tutto lo rimandava alla foresta circondato dai cadaveri dei suoi amici. Il clangore degli zoccoli gli ricordava i cavalli che scappavano, il grugnito di qualcuno che lavorava i versi che i Moschettieri facevano mentre combattevano per le loro vite, il suono dei moschetti gli ricordava del numero troppo basso di colpi che aveva sparato e lo scontro del metallo il pericoloso luccichio negli occhi degli uomini mascherati mentre combattevano per uccidere i Moschettieri. I suoni di Parigi che una volta lo avevano confortato, ora gli procuravano solo dolore e tristezza.

Dal funerale di massa aveva iniziato a far visita spesso a Susanne e Elisabeth, come aveva promesso le avrebbe aiutate come poteva. Tutte le volte che le guardava sentiva l’ingiustizia di tutto questo: come poteva lui, che non aveva moglie e figli a cui badare, sopravvivere? E perché Francis, che aveva iniziato a metter su famiglia, morire? Non era giusto e non era corretto. Susanne era una brava persona, non gli aveva chiesto una sola volta cosa era accaduto e, guardando nei suoi occhi, Aramis poteva vedere che lei non lo incolpava di essere il solo superstite. Aramis aveva preso l’abitudine di evitare Porthos, Athos e il resto dei Moschettieri in generale. Quando li osservava, tutto ciò che poteva vedere era compassione, pietà e domande nei loro occhi. Ma quando guardava Susanne vedeva tristezza, ma oltre tutto ciò comprensione. Mentre lui trovava più facile sedersi e parlare con la giovane donna, il resto del Reggimento pensava che avesse una relazione con lei. Li aveva derisi al pensiero che per quella volta avevano sbagliato. Anche se avesse amato Susanne a quel modo, non avrebbe mai iniziato una relazione con lei o sposata per la paura di renderla di nuovo vedova di soldato.

Il freddo della finestra iniziò lentamente a penetrare nella pelle e rabbrividì, ma rimase nella stessa posizione con gli occhi fissi sulle stelle. Ma il cielo notturno si affievolì per essere sostituito dall’accampamento nella foresta e dal massacro. Guardò ancora e ancora mentre i suoi amici morivano tutt’attorno a lui. Raoul che innumerevoli volte aveva tentato di essere al livello di bevute di Athos e aveva fallito miseramente ogni volta, Alexandre che lo aveva aiutato con la cura delle ferite e che aveva innegabilmente salvato la sua vita l’anno precedente dopo che era stato ferito alla gamba. Gilbert che lo aveva supplicato di insegnargli come sparare con il moschetto con più precisione, aveva iniziato a fare progressi quando la sua vita era stata crudelmente abbreviata, e Francis. Aramis strinse le mani così forte che le unghie iniziarono a tagliargli i palmi lasciando piccole mezzelune rosse. Allontanò la mente dai suoi pensieri quando sentì il familiare rumore delle persiane che segnalava l’arrivo del mattino.

Sospirando distese il suo corpo rigido, lentamente iniziò ad alzarsi in piedi e si stirò. Camminò verso la bacinella vicina e si schizzò un po’ d’acqua sulla faccia per svegliarsi. Solo perché aveva smesso di addormentarsi, non voleva dire che non era stanco e che non bramava la deliziosa incoscienza che solo il sonno portava.

Si trascinò verso il tavolo dove c’era una pagnotta e ne tagliò un pezzo; riuscì a mangiarne un morso prima che la familiare sensazione di nausea gli fece rimettere la fetta sul tavolo. Durante le passate tre settimane tutte le volte che tentava di mangiare qualcosa, non riusciva a mandare giù più di due morsi prima di fermarsi, temendo di vomitarlo.

Sospirò ancora, si infilò la casacca di pelle e si strinse la fascia e la cintura attorno ai fianchi. Per ultimo prese il cappello e se lo mise con decisione, lo abbassò un poco così da coprirsi gli occhi e i cerchi scuri che iniziavano a diventare dei segni permanenti sul suo viso.

Aramis prese un respiro profondo, raddrizzò la schiena e poi uscì dal portone, lo chiuse e iniziò a percorrere le ora animate strade di Parigi. Di solito aspettava sulla soglia che Porthos percorresse le poche case tra i loro alloggi. Ma nelle ultime tre settimane Aramis usciva un po’ prima e non lo aspettava. La proprietaria della casa dove alloggiava, Madam Joanna Leroy, una donna sui quarantacinque anni e una vedova di soldato anch’ella, era preoccupata per lui, essendo stata sposata con un militare sapeva cosa lo teneva sveglio la notte. Non aveva figli suoi e spesso trattava Aramis come il figlio che lei e il marito non avevano mai avuto, così durante quelle tre settimane continuamente veniva a parlare con lui e gli portava la cena di cui Aramis mangiava soli due bocconi. Una cosa che temeva era Joanna che aspettava Porthos e gli raccontava della mancanza di appetito di Aramis. Tremava al solo pensiero della reazione dell’amico alla scoperta della sua mancanza di fame e di sonno.

 
 
Porthos lasciò il suo alloggio prima di quando avrebbe fatto di solito, Aramis l’aveva sempre aspettato, ma tutto era cambiato tre settimane fa. Ora l’altro Moschettiere si dava la pena di evitare contatti con chiunque, teneva la testa bassa con il cappello a coprirgli gli occhi. Porthos odiava vedere il suo amico in quelle condizioni, ma non sapeva cosa fare. Il giorno dopo il funerale e dopo che Aramis se n’era andato, aveva bussato alla sua porta, ma non aveva ricevuto alcuna risposta nonostante sapesse che l’amico era dentro.

Così oggi aveva deciso di uscire prima e aspettare vicino alla porta di Aramis per dare un’occhiata al suo amico. Poco dopo arrivò fuori dai suoi alloggi e aspettò. Non dovette attendere molto, Aramis uscì dalla porta e Porthos trattenne il respiro turbato: il suo amico era pallido, non come quando l’aveva trovato sdraiato nella neve ma ci andava vicino, aveva cerchi neri sotto gli occhi e sembrava più magro. Guardò mentre chiudeva la porta e mentre spingeva il suo cappello ancora più in basso per coprire i suoi occhi da sguardi indiscreti. Porthos lo fissò con tristezza mentre Aramis imboccava la strada, e poi lo seguì a distanza.

Quando raggiunsero la guarnigione, Aramis si girò immediatamente e camminò verso il luogo dove venivano tenuti i cavalli. Ora tutti i giorni, prima che Treville ordinava loro di mettersi in formazione, Aramis spendeva il suo tempo seduto sul pavimento coperto di paglia ai piedi di Bella. Una volta Porthos aveva tentato di parlargli, ma il suo amico lo aveva semplicemente ignorato senza dire una parola, non gli parlava più né lo guardava negli occhi. In realtà era lo stesso con tutti i Moschettieri. Non importava quanto duramente provavano, nessuno riusciva a far uscire una sola parola dalla bocca del loro amico, persino Treville ci aveva provato e non aveva avuto successo. Era come se l’Aramis che tutti conoscevano e amato fosse morto nel massacro.

Sospirando Porthos andò a sedersi accanto ad Athos al tavolo posto nel cortile, all’occhiata interrogativa dell’altro rispose solo scuotendo la testa. Athos emise un sospiro e tornò a pulire la sua spada. Porthos guardò i Moschettieri che si riunivano lentamente e fissò Tristan.

Oltre ad Aramis, anche Tristan non aveva accettato facilmente il massacro di Savoia. Era il miglior amico di Raoul e Gilbert, erano diventati soldati insieme e alla fine erano diventati Moschettieri. Non erano mai stati divisi prima dell’esercitazione e ora Tristan aveva perso i suoi amici e fratelli. Proprio come Aramis, il giovane soldato era diventato più silenzioso e non parlava molto. Ma diversamente da suo fratello, il giovane soldato non aveva evitato il resto dei Moschettieri, al contrario si tratteneva con loro il più a lungo possibile, disperato per quella stessa amicizia che aveva con Raoul e Gilbert. Ma quando in pattuglia Tristan correva dei rischi che potevano ucciderlo, tutti sapevano che non gli importava più a lungo di continuare a vivere o morire: si arrabbiava facilmente e innumerevoli volte aveva quasi preso parte a dei duelli, che nel suo attuale stato mentale lo avrebbero portato ad una sconfitta, ma per fortuna i Moschettieri erano sempre intervenuti e lo avevano riportato alla guarnigione per farlo calmare. Fino alla pattuglia successiva. Vedendo come Tristan faceva i conti con la perdita dei suoi amici, quando Porthos lo guardava vedeva cosa sarebbe diventato se Aramis fosse stato ucciso.

Philippe che era buon amico di Alexandre, un altro che era stato perso tra le loro fila, aveva preso Tristan sotto la sua ala e lentamente stava aiutando il giovane Moschettiere a riprendersi dal suo attuale stato. Philippe stava lentamente ottenendo progressi, Porthos sapeva che con il tempo Tristan sarebbe tornato in sé. Ma lo stesso non poteva essere detto di Aramis.

Prima che Porthos potesse pensare di più sulla questione sul suo amico, Treville apparì e tutti si misero in formazione. Di solito Porthos, Aramis e Athos stavano in prima fila, ma Aramis aveva iniziato a stare dietro a pochi passi dai Moschettieri allineati in fondo. Porthos si voltò e guardò mentre suo fratello trascinava i piedi fuori dalla stalla fino al cortile, tutto questo con la testa bassa.

Non rimasero in piedi nel cortile a lungo; Treville diede loro solo informazioni circa un gruppo di ladri a cui avrebbero dovuto fare attenzione, disse chi doveva fare le pattuglie e dove dovevano essere fatte. Saggiamente mise Philippe e Tristan insieme dopo aver visto l’effetto calmante che il primo aveva sul giovane uomo. Subito dopo che furono lasciati liberi e gli fu detto di andare alle loro mansioni, Aramis scomparve velocemente nelle stalle e Porthos sospirò non sapendo cosa fare.
 


Treville risalì il ballatoio e guardò un poco i suoi uomini. Fu grato di vedere che Tristan stava meglio sotto la guida di Philippe; non voleva vedere il talento del giovane sprecato.

Ma poi i suoi occhi caddero su Aramis che si stava velocemente ritirando e chinò la testa, le cose con lui erano peggiori rispetto a quando si era unito ai Moschettieri per la prima volta. Tutti avevano perso amici e membri della famiglia e così tutti sapevano cosa dirgli per aiutarlo attraverso il suo dolore, ma nessuno nel Reggimento era stato l’unico sopravvissuto di un massacro; nessuno sapeva cosa dire per aiutarlo. Così Aramis aveva finito per soffrire in silenzio.

Le lacrime iniziarono a riempirgli gli occhi ancora, si voltò e andò nel suo ufficio con un pensiero fisso in mente. Perché ho mandato Aramis? Sapevo cosa sarebbe successo, perché l’ho mandato consapevolmente ad affrontarlo? Conosceva la risposta. Perché l’esercitazione apparisse reale e con Erneste in un’altra missione con la maggioranza dei Moschettieri più anziani, i soli che potevano andare a comandare la spedizione erano Marsac e Aramis.

Aveva sperato e pregato per il ritorno di Francis e Aramis salvi, solo il secondo era tornato, ma non era più lui. Ora Treville sperava e pregava con tutto il cuore che Aramis tornasse davvero da loro. Sapeva che se ci avrebbe messo troppo, il giovane Moschettiere sarebbe stato perso per sempre, e questo era qualcosa che non avrebbe mai voluto affrontare.
 


Aramis era rannicchiato in fondo alla stalla di Bella con la testa appoggiata alle ginocchia e le mani che stringevano i capelli. In quel momento sapeva di essere esausto perché quella mattina ovunque guardasse vedeva qualcuno che era stato ucciso a Savoia.

Alcuni erano peggio di altri, ma tra i peggiori c’era Alexandre appoggiato contro l’entrata della guarnigione con una linea di sangue che gli macchiava il collo: aveva portato una mano alla gola come per tentare di fermare il flusso di sangue e con l’altra cercava di afferrare Aramis; una volta che fu abbastanza vicino per aiutarlo, Alexandre improvvisamente si lasciò cadere sul pavimento, senza forze e lo guardò con occhi ciechi. Il secondo era stato Raoul: sorrise ad Aramis con la spada alzata in segno di vittoria, ma quell’espressione fu presto spazzata via quando Gilbert apparve sdraiato ai suoi piedi rantolando in cerca di aria con il sangue proveniente dal collo che si allargava attorno alla testa e che scivolava giù dalle labbra. Raoul gridò per il dolore e sollevò Gilbert in piedi e gli promise di salvarlo, ma un moschetto sparò e Raoul collassò al suolo immobile. Gilbert gridò per la perdita del suo amico e prese a ripetere che gli dispiaceva prima che i suoi occhi si chiudessero per non riaprirsi mai più. Poi ci fu Francis sdraiato di fronte a lui che gli implorava di salvarlo, di permetterli di vedere un’ultima volta sua moglie e sua figlia.

A questo punto Aramis stava tentando di trattenere il pianto, non riusciva a capire perché era lui l’unico a sopravvivere. E si sentiva prosciugato tutte le volte che vedeva uno dei suoi amici morti. Bella strofinò il muso tra i suoi capelli e lui alzò lo sguardo su di lei, guardando nei suoi occhi avrebbe giurato di poter vedere che gli diceva di alzarsi e fare qualcosa per distogliere la mente dal massacro e stancarsi abbastanza così da riuscire ad addormentarsi.

Così portò la sua sella su un banco da lavoro e iniziò ad aggiustare le fibbie vedendo che presto o tardi avrebbero potuto cedere mentre cavalcava. Iniziò a ripararle con ritmo regolare, una era particolarmente dura così prese il martello e iniziò a colpirla. Il continuo ritmo dell’arnese che colpiva il metallo riportò la sua mente al massacro. La sua mente fu presto riportata al presente quando si colpì la mano sinistra.

“Argh!” Lasciò cadere il martello e si portò la mano sinistra al petto.

“Va tutto bene?” Chiese una voce dietro di lui e Aramis raggelò: era Porthos, “Aramis?”

“Sto bene.” Disse, ma non lo era: sembrava che la mano gli stesse andando a fuoco, ma sapeva che se lo avesse ammesso allora avrebbe dovuto affrontare un Porthos preoccupato.

“A me non sembra.” Commentò Porthos,

“Bene io non te lo chiesto, l’ho forse fatto?” Scattò Aramis, ancora con la schiena rivolta al suo amico. Poi tornò a grandi passi alla stalla che era diventata il suo porto sicuro dal massacro. Non si guardò una sola volta alle spalle.

 
 
Porthos era rimasto in piedi a guardare mentre Aramis si allontanava, stava per tornare al cortile ma si fermò. Ora basta, aveva bisogno di parlare con Aramis, doveva farlo ora. Così deliberatamente marciò dietro di lui e trovò il suo amico seduto ai piedi di Bella che si cullava ancora la mano sinistra al petto.

Aramis intravide i suoi piedi e tentò di allontanarsi, ma Porthos afferrò la sua spalla e con forza lo fece voltare per affrontarlo. Si abbassò e gli spinse indietro il cappello. Spalancò gli occhi alla vista dell’amico, il pallore del viso e le occhiaie scure erano ancora visibili, ma guardando più da vicino Porthos poteva vedere che gli occhi di Aramis erano bordati di rosso per le lacrime che aveva tentato di trattenere.

“Aramis.” Sussurrò Porthos scioccato, la sua mano ancora appoggiata sulla spalla dell’altro.

“Non farlo.” Disse Aramis mentre voltava la testa “Non fare nulla.”

“Permettermi di vedere le condizioni della tua mano.” Disse Porthos.

Aramis strinse di più la mano ferita, “Ti ho detto che è tutto a posto.”

“Non te lo stavo chiedendo. Ora mostrami quella mano!” Ordinò Porthos.
Aramis alzò di scatto la testa turbato con gli occhi spalancati; Porthos colse l’opportunità per avvicinare gentilmente a sé la mano ferita. Sibilò per la compassione, il dorso della mano stava già diventando livido e il palmo stava sanguinando dove la fibbia lo aveva tagliato. Ma toccandola, capì che non c’erano ossa rotte.

“Forza, ti riporto a casa.” Commentò Porthos mentre si alzava in piedi e tirava l’amico con sé.

“Ma-“

“Non discutere con me Aramis. Lo vedo che sei esausto e non sei utile a nessuno in questo stato.” Lo interruppe Porthos. Sospirò tristemente quando non ci furono ulteriori litigi, di solito Aramis avrebbe discusso di rimando, e questo poteva durare ore. Ma l’altro annuì solo docilmente e abbassò di nuovo il cappello sopra gli occhi, come se volesse bloccare il mondo fuori.

Poco dopo arrivarono agli alloggi di Aramis e Porthos lo spinse su una sedia, poi ne prese un'altra così da essere seduto accanto all’amico. Pulì il taglio sul palmo e gli bendò la mano, accese poi un fuoco nel caminetto, trovò il pane e ne portò due fette ad Aramis.

Questi scosse la testa “Non ho fame.”

Porthos si accigliò “Devi mangiare qualcosa.”

“Non posso.” Sussurrò l’altro.

“Perché no?” Gli fece pressione
Porthos mentre gli porgeva il pane.

Aramis volse la testa lontano dal cibo e scattò “Perché non ho fame!”

Porthos allora si raddrizzò sulla sedia, si sporse più vicino all’amico e ringhiò “Così non hai dormito né mangiato?”

“Sostanzialmente.”

Porthos scattò in piedi e sovrastò l’altro Moschettiere che lo guardava truce. “Questa è incoscienza, Aramis!  Come hai potuto andare avanti così per tre settimane?!”

Aramis si alzò a sua volta in piedi e lo guardò duramente “Non ho pianificato di farlo succedere!”

“Vero, ma hai permesso che accadesse comunque.” Lo derise Porthos.

Aramis entrò nel suo spazio personale e lo guardò minacciosamente “Prova a sopravvivere ad un massacro di venti Moschettieri e vedi se non hai alcuna mancanza di appetito o se riesci a dormire una notte intera senza rivivere quella strage notte dopo notte!” Aramis allora volse bruscamente le spalle a Porthos, raggiunse a grandi passi la finestra e poi si girò per affrontarlo di nuovo “Sai perché passo così tanto tempo con Bella e Susanne? Perché negli occhi dei Moschettieri, persino nei tuoi!, vedo solo compassione e pietà insieme al desiderio di farmi domande su ciò che è accaduto. O per aiutarmi a guarire o per capire cosa è successo! Ma Bella e Susanne non lo fanno! No, nei loro occhi vedo solo comprensione! È più facile passare il giorno con loro perché non devo pensare a cosa è accaduto! Non devo ricordare!

“Aramis-“ Iniziò Porthos, ma Aramis continuò come se non lo avesse sentito.

“Per rendere le cose peggiori, persino di giorno sono perseguitato da questo! Ogni suono, ogni immagine riportano tutto alla memoria!” Gridò “Non riesco a dormire! Non riesco a mangiare! Sono arrivato al punto di vederli in strada coperti di sangue! Sto diventando pazzo!” Aramis rise aspramente mentre si portava le mani tra i capelli.

Porthos rimase in piedi in silenzio, scosso, e poi si mosse in avanti e mise le mani sulle spalle di Aramis, le strinse con forza, ma gentilmente, “Tu. Non. Stai impazzendo.” Disse a denti stretti.

“Come altro spieghi ciò che mi sta accadendo?” Sibilò Aramis, lo spirito combattivo sembrò colare fuori da lui, le ginocchia cedettero e si ritrovò seduto sul davanzale, crollando nella stretta di
Porthos “Avresti dovuto lasciarmi morire in quella foresta.” Sussurrò.

Porthos scosse con forza le spalle di Aramis, “Non dire mai più una cosa del genere!”

L’altro lo fissò con occhi ciechi, “Ho così freddo Porthos. Puoi anche avermi fisicamente portato via da quella foresta, ma sono ancora là. Non posso fuggire.” Mormorò con voce rotta.

Porthos si accovacciò così da essere allo stesso livello degli occhi dell’altro, “Sei fuori di lì Aramis.”

Aramis scosse la testa “È come se stessi cadendo, sto aspettando di colpire il suolo, ma il tempo lo sta prolungando. Perché? Voglio solo che finisca!”

“Sei caduto Aramis, e ti ho preso. Non devi aspettare oltre, è finita. Sei al sicuro.” Sottolineò Porthos, poi attirò a sé Aramis e lo abbracciò, “Non sarai mai solo; sarò sempre al tuo fianco.”

 
 
Più tardi quella stessa notte Aramis era ancora seduto sul davanzale guardando le stelle; Porthos aveva tentato di restare sveglio per assicurarsi che dormisse senza incubi, ma alla fine si era addormentato. Aramis aveva solo dovuto far finta di dormire e aspettare finchè anche l’altro lo facesse. Aveva poi portato avanti il suo rituale notturno di stare seduto sul davanzale aspettando che il sole sorgesse. Si spaventò quando una mano si appoggiò sulla sua spalla.

“Sta calmo, sono solo io.” Disse Porthos mentre si mosse così da essere appoggiato al muro opposto rispetto ad Aramis. Lo guardò rilassarsi così da essere appoggiato liberamente al muro con la testa inclinata verso l’alto per poter guardare il cielo e con le mani che avvolgevano le ginocchia. “Non dovresti dormire?”

“Non posso.” Replicò Aramis.

Porthos allora si sedette sul bordo del davanzale e lo guardò direttamente,

“Hai bisogno di lasciarlo andare Aramis.”

“Non posso.” Sussurrò Aramis con voce rotta “Tutte le volte che ci provo è sempre lì.”

Devi Aramis, ti sta divorando vivo. Non posso perderti, sei mio fratello, la mia unica famiglia.” Disse Porthos dolcemente.

“Non mi hai perso.” Mormorò Aramis mentre girava la testa per guardarlo, “Sono ancora qui.”

“No, non lo sei.” Replicò Porthos scuotendo la testa “Sei cambiato Aramis, e non in meglio. Devi lasciarlo andare prima di iniziare a guarire. Ci vorrà tempo, ma devi farlo.”

Come? Io lo voglio. Ma non so come.” Mormorò Aramis con la stessa voce rotta e sconfitta, alzò le mani per coprirsi il volto.

Porthos vide l’attimo in cui gli occhi dell’amico si fissarono sulla benda, come fu rispedito in quella foresta. Così si avvicinò e gli scosse gentilmente la spalla.

Gli occhi di Aramis si focalizzarono su di lui e con voce tesa disse “Ho provato ad aiutarli, ma gli assalitori erano ovunque. E poi sono stato colpito alla testa. Non ho potuto salvarli e ora sono tutti morti.”

“Non è colpa tua.” Affermò Porthos,

Il viso di Aramis assunse un’espressione addolorata e finalmente iniziò a lasciare andare il massacro. Porthos lo strinse in uno stretto abbraccio e lasciò piangere il suo amico. Sapeva che Aramis lo stava tenendo dentro sin dal giorno della strage. E sapeva che ora la guarigione poteva iniziare. Dopo un po’ quando le lacrime si tramutarono in singhiozzi, Porthos lo fece alzare e lo fece sdraiare sul letto. Si stese accanto a lui quando l’amico si rifiutò di lasciarlo andare, le dita di Aramis strette dove sentiva la pulsazione e lasciò che il suo polso restasse tra le sue dita sapendo che avrebbe confortato il suo amico.

Mentre gli occhi di Aramis iniziarono a chiudersi Porthos sussurrò “Sei salvo Aramis. Sei salvo.”

Il giorno dopo Porthos si svegliò per trovare Aramis in un sonno profondo, uscì e chiese a Joanna di sedersi con l’altro Moschettiere (cosa che fece di buon grado) mentre andava da Treville. Senza molte persuasioni riuscì ad avere un po’ di licenza per lui e il suo amico, era tempo che Aramis visitasse i suoi parenti. Lo disse a Treville e il loro Capitano diede loro quattro settimane di licenza per permettergli di andare a casa di Aramis e passare lì tempo sufficiente.

Tornò agli alloggi dell’amico per sentirsi dire da Joanna che Aramis non si era ancora svegliato. Così Porthos riprese il suo posto a sedere e due ore dopo l’altro iniziò a svegliarsi.

Aramis alzò lo sguardo sull’ampio sorriso di Porthos e aggrottò la fronte confuso “Perché sei così felice questa mattina?”

“Perché io ho parlato con Treville e ho ottenuto quattro settimane di licenza per noi. Partiamo tra tre giorni e andiamo a fare visita ai tuoi genitori.”

Aramis lo guardò a bocca aperta “Torno a casa?”

Porthos annuì e sul viso di Aramis comparve un ampio sorriso che era mancato sin da Savoia. E a questo punto Porthos seppe con certezza che alla fine sarebbe andato tutto bene.

Nota dell'autrice
Il prossimo capitolo riguarderà la visita dei due Moschettieri ai genitori di Aramis.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Musketeers / Vai alla pagina dell'autore: silvermoongirl10