10.
Allison sospirò prendendo posto su
una sedia. La stessa sedia che si trovava nella versione reale della camera che
stava occupando in quel momento. La sedia accanto al letto sul qualche Elijah
la stava tenendo stretta tra le braccia.
Si chiese se l’Originale si fosse
accorto che qualcosa non andava o se semplicemente la credesse addormentata
dopo una giornata emotivamente faticosa come quella che avevano avuto. Ripensò
alla conversazione con Camille e non poté fare a meno di sentirsi leggermente in
colpa; gettare su quella giovane donna tutte quelle terribili informazioni…
forse non era stato molto delicato da parte sua. Soprattutto perché la
psicanalista dal viso dolce stava solo cercando di aiutarla.
Si disse che avrebbe dovuto
scusarsi con lei una volta finita tutta quella cazzata della realtà alternativa
messa in piedi da Finn. Sempre se il maggiore tra i Mikaelson non l’avesse
uccisa con quel noiosissimo silenzio prima.
“Stai per caso tentando di
annoiarmi a morte?” chiese accavallando la gamba. “Credevo che mi avessi
portata qui perché dovevamo fare una chiacchierata. Cos’è? Hai perso le
parole?”
Finn sospirò sfregando lentamente
le mani. “Sei una creatura singolare. Sei…”
“Stanca di questa stronzata,”
Allison indicò la stanza con un gesto della mano. “Dimmi che diavolo vuoi e
facciamola finita okay?”
L’uomo rise scuotendo poco il capo.
“Lui mi aveva avvertito” mormorò. “Mi aveva detto che questa improvvisata non
ti avrebbe impressionata.”
“Non è la prima volta che vengo
trasportata in una dimensione alternativa da un folle stregone che ha come più
grande ambizione quella di uccidere la propria famiglia. Non è il mio primo
rodeo, Smemorina.”
“Oh, così mi deludi” Finn rise
mettendosi in piedi. “Mi sarei aspettato una citazione un po’ meno… scontata da
una come te.”
“Una come me?” fece eco lei. “E
come sarei esattamente?”
“Ambiziosa, coraggiosa,
intelligente, forte, bellissima” rispose lui. “Permettimi di farti una
domanda.”
“Se vuoi chiedermi di essere la tua
ragazza la risposta è no. Senza offesa, ma non sei il mio tipo.”
“Perché continui a mettere il naso
negli affari della mia famiglia?” il corpo che ospitava Finn Mikaelson si mosse
in direzione della finestra e incrociò le mani dietro la schiena.
Allison fece spallucce. “Forse non
ho altro di meglio da fare. O forse semplicemente trovo la tua famiglia
macabramente… intrigante. Adrenalinica in qualche modo.”
“Capisco,” sussurrò Finn tornando a
sedersi di fronte a lei. “Ma vedi, gli affari della mia famiglia non dovrebbero
riguardarti. Dovresti preoccuparti della tua di famiglia e lasciare che io, e
solo io, mi occupi della mia.”
La donna annuì e fece un grosso
respiro prima di replicare. “Il lui di cui hai parlato poco fa, quello che a
quanto pare mi conosce così bene da sapere cosa potrebbe o meno impressionarmi,
non te l’ha detto forse? Non ti ha detto che io non ho una famiglia?”
“L’ha fatto e oh… mi ha detto molto
molto di più. Vuoi sapere cosa mi ha raccontato esattamente?”
“Oh si ti prego. Non vedo l’ora”
rispose lei sarcastica. “Ma ti supplico sii rapido, mi sono stufata di stare in
questa specie di altra dimensione. Vorrei tornare a quella reale, con i
Mikaelson che mi sono simpatici.”
“Victor Monroe!” esclamò Finn. E
sentire quel nome fu sufficiente a trasformare il volto di Allison in un’ombra
scura che non sfuggì all’uomo. “È quello che potremmo comunemente definire la
cosa più vicina che tu abbia ad un padre. Mi sbaglio forse?”
Lei non rispose, ma incrociò le
mani cercando di controllare l’espressione sul suo viso.
“Cos’è? Hai perso le parole?” Finn
rise scuotendo il capo. “Questo è inaspettato.”
Allison fece un grosso respiro
valutando per un attimo la sua prossima mossa. Si alzò lentamente e lo
raggiunse. Si mise dietro la sedia che lui occupava e gli poggiò entrambe le
mani sulle spalle piegandosi poco.
“Qualunque cosa tu stia tramando,”
gli sussurrò ad un orecchio. “Sappi che se a Victor Monroe verrà torto anche un
singolo capello, verrà fatto un graffio o semplicemente scheggiata un’unghia,
ti riterrò direttamente responsabile e ti darò la caccia giorno e notte fin
quando non ti avrò trovato. E quando avrò finito con te, pregherai di poter
tornare indietro a questo preciso istante per poterci ripensare, per
rimangiarti le velate minacce che sono appena uscite dalla tua bocca. Questa è
una promessa mio caro Finn. E se la tua fonte è così affidabile come sostieni,
deve sicuamente averti detto che io mantengo sempre le mie promesse.”
Allison diede una rabbiosa spinta
alla sedia e Finn cadde in terra, un sorriso tuttavia era ancora stampato sul
suo viso.
“Quello che lui non ti ha detto,
probabilmente, è che io non sono esattamente come tutte le altre cacciatrici.
Ho un… dono, per così dire; me la cavo praticamente sempre” la donna schioccò
le dita e la stanza si trasformò in un bellissimo giardino fiorito.
“Ma cosa…” Finn si rimise in piedi
guardandosi intorno perplesso.
“Stai giocando con la mia mente
Finn, il che significa che stai giocando nel mio territorio. Il che significa
che qui ho io il comando, non tu.”
“Non è possibile!”
“Te l’ho detto, ho un dono” ripeté
Allison. “Dì a Matt che se vuole la guerra, l’avrà.”
Allison
scattò seduta sul letto, il naso le sanguinava ed Elijah la fissava con gli
occhi lucidi. Cami, sulla soglia della porta, li aveva sgranati, quasi come se
stesse assistendo ad una sorta di miracolo.
“Quanto
tempo sono rimasta incosciente?” chiese fissando prima l’Originale e poi la
donna.
“Tu
eri… eri morta. Non respiravi e il tuo corpo era freddo come il ghiaccio” la
voce di Camille tremava. Di paura.
Elijah
sospirò di sollievo passandosi una mano sul viso mentre Allison si alzava dal
letto. “Camille, potresti per favore prenderle dell’acqua e un’altra coperta?”
Lei
annuì lasciando la stanza, socchiudendo poco la porta mentre usciva.
Una
volta soli, Elijah si prese un attimo per osservare Allison. Era pallida e
visibilmente turbata ma era viva, poteva sentire il suo cuore battere e quando
lei gli sorrise, la paura che gli aveva attanagliato lo stomaco si sciolse in
calde e lenti lacrime.
La
raggiunse con tre rapidi passi e se la strinse al petto, felice di sentire il
calore che il suo corpo emanava.
“Credevo
di averti persa,” le sussurrò baciandole i capelli.
Le
mani di Allison si mossero lente fino a raggiungere le scapole, anche
attraverso la stoffa della giacca poteva sentire i muscoli del vampiro contrarsi
mentre la tensione si scioglieva.
“Sto
bene,” mormorò contro il suo petto.
Elijah
sciolse l’abbraccio quel tanto che bastava per guardarla in viso. “Cosa diavolo
è successo?”
“Tuo
fratello Finn voleva fare quattro chiacchiere con me e visto che non riusciva a
localizzarmi ha pensato bene di intrufolarsi nella mia mente.”
“Cosa
voleva?”
Allison
sospirò allontanandosi da lui. “Ha blaterato qualcosa riguardo al fatto che
dovrei smetterla di ficcare il naso negli affari della sua famiglia. Ha
minacciato di fare del male a Victor.”
“Lo
ucciderò con le mie mani,” Elijah strinse i pugni talmente forte da far
diventare le nocchie bianche.
“C’è
di più. Credo che non stia agendo da solo e credo di sapere chi è il suo
complice. Continuava a parlare di un tizio che, a suo dire, sapeva tutto di me
e credo di sapere di chi si tratta” la donna si passò la mano tra i capelli
cercando di rimettere in ordine i pensieri. “Credo che abbia riportato in vita
mio fratello.”
Seguì
un minuto di completo silenzio e poi il pianto di Hope risuonò lungo il
corridoio.
****
LOS
ANGELES – CALIFORNIA
Hayley
fissò la villa davanti a sé e sorrise mentre richiudeva lo sportello dell’auto.
Il sole della California rendeva il giallo chiaro delle mura della casa ancora
più brillante.
“Questa
è casa tua?” chiese ad Allison incrociando per un attimo il suo sguardo.
“Sì,
lo è.”
“Porca
miseria,” mormorò Hayley. “Quanti soldi hai esattamente?”
Allison
abbozzò un sorriso fermandosi accanto a lei. La reazione della donna non la
sorprese, se non altro perché era esattamente il modo in cui tutti reagivano la
prima volta. La grande villa dalle mura giallo chiaro si erigeva su due piani,
l’ampio vialetto chiuso da un grande cancello la faceva apparire ancora più grande
di quel che era.
“Non
mi sorprende che tu ti trovi così a tuo agio alla tenuta di New Orleans, in
confronto a questa villa quella sembra la casetta in piscina” aggiunse l’Ibrido.
“Mio
padre amava molto questa casa, io ne avrei preferita una più discreta ma dopo
la sua morte non me la sono sentita di venderla. Oltretutto ci vengo raramente.
Ha ripreso vita da quando ci vive Claire.” Allison fece cenno ad Hayley di
seguirla e si fermò di fronte al cancello.
“Chi
è Claire?”
“È
la figlia del tramite di Castiel. La madre l’ha abbandonata qualche anno fa. È
un’adolescente in gamba ma è un po’ problematica. Frequentava pessime compagnie
quando Castiel l’ha trovata, le ho offerto di vivere qui promettendole
un’indipendenza che in realtà non ha. Alcuni amici si occupano discretamente
della sua sicurezza, anche se lei non lo sa.”
Hayley
sorrise, ancora una volta colta di sorpresa dall’animo gentile che si
nascondeva sotto il sarcasmo e la riposta sempre pronta della cacciatrice.
Pensò che per quanto si fidasse di Cami e di Rebekah, per quanto le stimasse,
una donna come Allison era ciò che avrebbe desiderato per Hope se mai a lei
fosse successo qualcosa che avrebbe lasciato la sua piccola senza una figura
materna.
“Te
la presento,” le disse Allison strappandola ai suoi pensieri. “Potrete farvi
compagnia in piscina mentre io vado a fare ciò per cui sono venuta. Entra pure”
la invitò.
Hayley
avanzò e seguì Allison a passo lento mentre il grande cancello si richiudeva
alle loro spalle. Pensò che tutto sommato quella poteva essere considerata una
piccola vacanza.
****
Victor
Monroe aprì la porta strofinandosi gli occhi. L’orologio segnava le otto e
trenta del mattino e Lily era al lavoro da almeno mezz’ora. Pensò che
sicuramente la sua adorata fidanzata aveva dimenticato qualcosa, oltre alle
chiavi di casa, e sospirò scuotendo il capo quasi divertito dalla scena che si
ripeteva praticamente ogni mattina.
La
persona che si ritrovò davanti però non era Lily. Era qualcuno che amava
immensamente, ma non la sua molto incinta fidanzata.
“Allison…”
sussurrò sorpreso di vedere la donna che amava come una figlia sulla soglia
della sua porta di casa alle otto e trenta di un mattino in cui, lui sapeva, si
doveva trovare in Louisiana ad aiutare vecchi amici di cui aveva preferito non
sapere molto.
“Ciao
Vic” Allison lo salutò. Gli occhi le pizzicavano, ma sentiva l’urgenza di
sorridere, nonostante la sua visita non portasse buone notizie. Da quanto tempo
non vedeva l’uomo che amava come un padre. L’uomo che si era preso cura di lei,
che aveva creduto in lei quando tutti la ritenevano un caso disperato.
Non può essere aiutata mormoravano
in tanti, definendola una causa persa dopo la perdita della sua intera
famiglia. Quanta rabbia Allison gli aveva riversato contro, ricevendo in cambio
degli abbracci capaci di scaldare il cuore. Victor avanzò di qualche passo e la
strinse tra le braccia, senza preavviso, con quello slancio a volte un po’
imbarazzante che lo contraddistingueva.
“Allison,”
ripeté. “Sono così felice di vederti, ragazzina.”
La
donna si lasciò andare tra le braccia forti dell’uomo, chiuse gli occhi
respirando a fondo quell’odore che sapeva di casa e si aggrappò a lui quasi ne
avesse bisogno. “Sono felice anche io. Tanto felice.”
Victor
sciolse l’abbraccio per guardarla negli occhi. La invitò ad entrare ed Allison
realizzò che presto, quello sguardo azzurro non sarebbe stato più dolce come
era in quel momento.