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Autore: Vale11    20/04/2015    1 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Riario sa che prima o poi se ne accorgeranno: è allenato..no è addestrato a non far trasparire nulla, ma che nessuno si sia mai reso conto di quanto di quanto odi suo padre gli pare davvero assurdo. O sono tutti maestri simulatori come lui, oppure è lui che è davvero bravo o, molto più probabilmente, nessuno si aspetta che possa nutrire un sentimento così forte nei confronti di Sisto perché nessuno sa che è suo padre. Gli pesa. Moltissimo. Crede di non averlo mai detto a nessuno, nemmeno a Zita, ma sa che lei è sempre stata capace di leggerlo alla perfezione. Con gli altri non si deve nemmeno sforzare di fingere, gli viene così facile da essere imbarazzante, ma dopo decenni passati a trattenersi gli sembra di avere una mano stretta intorno al collo. Semplicemente, a volte, smette di respirare. Così, su due piedi. E si ritrova ad affogare nell’aria. Non è divertente. Affatto.


Quando gli indigeni lo guidano da Da Vinci non sa bene come riesca a mettere un piede davanti all’altro. Non sa nemmeno come riesce a stare in piedi davanti all’artista senza saltargli alla gola. Quando la sacerdotessa li lascia da soli glielo dice, poi lo schiaffeggia a mano aperta. Non è un gesto atto a far male, anche se vede Da Vinci soffrire il colpo, è più atto a umiliare, a far scendere quell’uomo dal piedistallo e metterlo davanti al cadavere della donna che amava. Non può prendersi tutta la colpa, lo ucciderebbe. Ha bisogno di dividerla con qualcuno se non vuole impazzire del tutto. Da Vinci blocca il secondo colpo, Riario fa in tempo a minacciarlo di morte, letteralmente, se non torneranno indietro col libro, poi sente le ginocchia cedere. 


Leonardo è ancora debole e, per quanto Riario possa essere magro, i muscoli pesano comunque parecchio: il braccio del conte gli scivola di mano, non riesce a trattenerlo, e il crack che fanno le sue ginocchia sul pavimento di pietra è tale da fargli stringere i denti. Riesce a non fargli sbattere la testa, però. E’ già qualcosa.


“Vi sentite meglio?”
Sete acqua calda scorrergli addosso, e ci mette un po’ a capire le parole. Non si ricorda bene dov’è, ne cosa sia successo. Solo l’acqua calda addosso e quella voce da decifrare.


Leo trascina Riario fino alla pozza d’acqua e lo stende su una delle coperte che sono a terra, entra nella piscina improvvisata e lava via il sudore e l’odore di sesso drogato che si sente addosso, poi cerca un panno, lo bagna e inizia a ripulire il conte: è coperto di terra e sangue, suo e di altri. Sa che c’è anche il sangue di Zita, li in mezzo, e basta il solo pensiero a farlo sentire indegno di toccare Riario; il fatto è che deve lavare via tutto se vuole trovare le ferite e medicarle in qualche modo. Riario non gli risponde, quando gli chiede se si sente meglio, quindi immagina sia ancora privo di conoscenza. Finisce di pulirgli la schiena e passa al braccio destro: per ora ha trovato tagli, lividi e graffi, ma nessuna ferita davvero grave. Se è vero quello che Ima gli ha detto, se è vero che Riario ha dovuto affrontare tre guerrieri a mani nude, è un miracolo che ne sia uscito relativamente sano, ed è una testimonianza di quanto quell’uomo sia da temere. Non sa se la stessa cosa si possa dire della sua sanità mentale, però: gli occhi di Riario mentre gli diceva di aver ucciso Zita per salvarlo lo perseguiteranno per sempre. Sa che li disegnerà appena poterà, forse per farli uscire dalla testa e intrappolarli sulla carta, come un demone che deve bloccare da qualche parte con un sigillo d’inchiostro per toglierselo di testa. 
Passa il panno bagnato dalla spalla al polso, poi gli prende la mano e controlla le dita una per una: non c’è niente di rotto, ma parecchio di sbucciato si. Un dito è decisamente gonfio, immagina sia una lussazione: dopo averne avuto certezza lo rimette in asse. Il conte non muove nemmeno un sopracciglio. Sembra morto.


C’è qualcosa che dovrebbe ricordare, lo sa. E’ importante, terribilmente importante, ma niente. Solo acqua calda, dolore passeggero, acqua calda di nuovo.


Leonardo appoggia la mano di Riario sulla coperta e inizia a lavargli l’altro braccio, di nuovo dalla spalla fino al polso, poi le dita e il palmo. Scopre nuove escoriazioni, un brutto taglio vicino al gomito e lividi sul bicipite. Lava tutto quanto con con una delicatezza che non sapeva di possedere. Sciacqua con cura il petto del suo supposto nemico, che non gli è mai parso tanto umano come in quel momento, e sotto chiazze blu, nere e rosse trova altri tagli, ferite e lividi. Per esser sopravvissuto ad una cosa simile Riario non può essere solo un uomo: è un esercito in una persona sola. 


Acqua calda sul petto, sulle spalle e sulle braccia. Acqua calda sulla pancia, calda come il sangue di qualcuno. Deve ricordare. Quando vede un coltello entrare nella pelle scura di una donna smette di respirare.


Leonardo sta sciacquando il panno quando Riario schizza a sedere stringendosi la gola con le mani. E’ strano, vederlo tutto pulito tranne il viso: sembra una maschera di carnevale tragica. C’è qualcosa che non va, però. Non respira bene, sembra che l’aria gli resti incastrata in gola e non voglia uscire. 


Zita, ha ucciso Zita. Non respira più e, anche se potesse, non crede che vorrebbe farlo.


Leonardo getta a terra il panno e corre a sedersi di fronte a Riario, le mani che prudono per poterlo toccare, senza però saper bene cosa fare. Alla fine decide di cercare di fargli regolare il respiro facendogli sentire il suo, appoggiandosi una delle mani del conte sulla cassa toracica, tenendo il pollice premuto sul polso per controllargli le pulsazioni. Ci prova, ma non è facile: Riario fa resistenza, gli occhi spalancati sono un misto di panico e odio puro e quando Leonardo cerca di prendergli una mano lo spintona e cerca di allontanarsi facendo leva sulle ginocchia: non ha molta forza, ma basta per irritare l’artista.
“Riario, sto cercando di aiutarvi! - urla, alzando le mani - lasciatemi fare!”
Il conte guarda le mani alzate di Da Vinci con gli occhi spalancati, come qualcuno che si aspetti di essere colpito da un momento all’altro, poi collassa su un fianco reggendosi su un gomito, le mani sempre intorno alla gola e il respiro strozzato. Non si aspettava una reazione del genere. Striscia fino a rientrare nel campo visivo di Riario, i suoi occhi non lo perdono di vista un attimo: quando è sicuro che lo veda tiene le mani basse ma ben visibili e si avvicina.
“Riario, voglio solo aiutarvi. Non voglio farvi del male - gli dice, stupendosi della cautela che gli scivola nella voce - me lo permettete?”
Il conte sposta lo sguardo a terra continuando a rantolare, poi guarda di nuovo Da Vinci: non fa niente per dargli il permesso, ma Leonardo decide di agire comunque. Di nuovo, lentamente, gli allontana una mano dalla gola. Riario si tende, ma lo lascia fare.
Si appoggia la mano sulla cassa toracica e cerca di respirare il più lentamente possibile.
“Riuscite a copiare il ritmo del mio respiro, conte? - gli chiede, parlando a due occhi spiritati che lo fissano - mi sentite?”


Lo sente, in qualche modo. Annuisce. Ci prova.


Ci vuole un po’, ma Leonardo si rende conto che il respiro del conte si sta regolarizzando e che il suo battito cardiaco, fino a poco prima irregolare sotto il suo pollice, sta tornando forte e stabile. Finalmente lo sente inspirare a lungo, poi buttare fuori aria. Continua a tenergli il polso, sia per controllargli il battito che per evitare che gli arrivi un altro ceffone.
“Vi sentite meglio?”


Si. No. Non lo sa. Annuisce chiudendo gli occhi, gattona all’indietro fino a trovarsi con le spalle al muro e resta li, con la disperazione che gli cade addosso come pece. Ha una gran voglia di mettersi a piangere, ma non si ricorda più tanto bene come si fa.


Leonardo vede Riario allontanarsi fino a toccare con le spalle la parete della stanza dove si trovano: gli sembra stordito, e deve aver freddo considerando che è praticamente nudo a parte quella specie di telo che gli hanno legato in vita. Se il sole del nuovo mondo non lesina calore, di giorno, la notte è tutta un’altra storia a quell’altitudine. Cerca di capire cosa sia meglio fare, poi raccoglie il panno e un po’ d’acqua in una ciotola e gli si avvicina.
“Riario - si siede davanti a lui, è coma parlare con una statua - avete il viso sporco di sangue. posso aiutarvi?”
Alza il panno per farglielo vedere, il conte lo segue con lo sguardo e si stringe nelle spalle. Leonardo ha l’impressione che si farebbe dipingere un paio di occhiali sul viso senza reagire, in quel momento. Invece di farlo ridere l’immagine gli trasmette una tristezza terribile.


Girolamo chiude gli occhi quando la mano dell’artista gli si avvicina al viso. Acqua calda, di nuovo.


Leonardo gli passa il panno sugli zigomi e lo vede chiudere gli occhi, gli lava di dosso tutta la terra, i colori e il sangue e strappa via un pezzo di coperta pulita per premergliela su una tempia, dove un taglio non vuole saperne di smettere di sanguinare. Riario non reagisce nemmeno a quello, e Leonardo si sente inspiegabilmente solo senza esserlo. Non sa se è la tristezza che scivola fuori dal conte a ondate o cosa, ma sente di dover fare qualcosa. Inizia a parlare per riempire il vuoto: gli racconta del volo, di quanto l’abbia studiato, di quanto lo affascini. Gli dice della Colombina, passandogli lo straccio sulla fronte, ha mai visto lo scoppio del carro? Sa come funziona? Si complimenta per la sua abilità nell’uso di due lame contemporaneamente mentre gli pulisce la linea della mandibola, gli chiede s e per caso non sia ambidestro pure lui. Sciacqua di nuovo il panno e cerca di levargli terra e sangue dai capelli. Riario non apre bocca, le gambe incrociate e le mani abbandonate sulle ginocchia.


La voce dell’artista è un piacevole diversivo dai sui pensieri, e quello che gli racconta lo affascina moltissimo. Non riesce a raccogliere le forze che gli servirebbero per rispondere, ma si sforza di tenere gli occhi aperti e di ascoltare.


Leonardo si accorge che, anche se del tutto immobile, il conte lo ascolta con attenzione. Sorride passandogli il panno bagnato sul collo un’ ultima volta, poi lo osserva: Riario è coperto da cicatrici. Alcune sono evidentemente conseguenza di combattimenti, ma altre sembrano bruciature o scudisciate; ne ha una su una guancia che sembra il segno di un grosso anello. A Leonardo viene in mente l’anello piscatorio e corruga la fronte, collega lo sguardo spaventato che gli ha lanciato prima, quando gli ha urlato contro, con quello che vede ora e la sua straordinaria resistenza al dolore e la conclusione a cui arriva non gli piace per niente. Si allontana di qualche passo, spiegandogli come mischiare le sostanze giuste con le uova per ottenere i colori desiderati e raccoglie una coperta da terra poi cambia idea e, sempre con una lentezza e una cautela esasperanti, gli appoggia le mani sui gomiti.
“Riuscite ad alzarvi?”
Riario lo guarda come se non parlassero la stessa lingua, poi annuisce e si lascia tirare su. Leonardo lo guida fino all’ammasso di coperte al centro della stanza, cercando di non pensare a cosa ci è successo solo poco tempo prima, e lo fa sedere: gli sembra di avere per le mani un guscio vuoto.


Appena tocca le coperte gli arriva addosso tutta la stanchezza accumulata in settimane, mesi, anni. Si lascia spingere giù dall’artista ma continua a tenere gli occhi aperti: sa che quando li chiuderà vedrà i visi dei tre guerrieri che ha ucciso e che hanno cercato di ucciderlo. Sa che vedrà Zita. E non vuole. L’artista gli butta addosso una coperta e gli si siede accanto, sbocconcellando pane di uno strano colore giallo. Scuote la testa quando gliene offre.


Leonardo non ha fame ma si costringe a mangiare qualcosa, si pulisce le mani dalle briciole e raccoglie una coperta dal mucchio, appoggiandola sul corpo del conte. Gli offre del pane senza stupirsi di vederlo rifiutare, poi si stende a sua volta, voltandosi su un fianco verso la sua nemesi. 
“Dovreste cercare di dormire”
Riario gira la testa verso di lui, con un sorriso così sarcastico da farlo sentire un po’ sollevato, poi torna una maschera di indifferenza e ricomincia a guardare il soffitto. Leonardo non demorde.
“Avete bisogno di riposare, o domani non sarete nemmeno in grado di camminare.”
Niente. Riario non si volta nemmeno. Leonardo gli appoggia una mano sul polso.
“Controllo io, qui. Vi sveglierò se ce ne sarà bisogno”
Il conte si volta verso di lui, apre bocca, la chiude. Lo fissa. Gli passa sul viso un qualcosa di molto simile allo stupore, poi annuisce e chiude gli occhi.


Leonardo resta a vegliare su Riario per un bel po’ chiedendosi se qualcuno, a parte lui e Zita, gli abbia mai detto una cosa del genere. L’abbia mai rassicurato in qualche modo. Se qualcuno lo rifarà mai, adesso che Zita è morta.


Il mattino dopo Riario è di nuovo Riario, e Leonardo è di nuovo Leonardo. C’è un filo di comprensione mutuale che prima non c’era, fra i due, ma per il resto è tutto come se non fosse successo niente. In un certo senso, è quasi un sollievo.
  
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