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Autore: FeLisbon    20/04/2015    4 recensioni
"C'era una volta..." ...ma non è una storia come tante altre, perché i nostri eroi non sono come tutti gli altri!
E questa non è di certo la fine, ma solo uno splendido e gioioso inizio!
Cosa accadde a quel "cavaliere" e alla sua "principessa" dopo quell'abbraccio carico di emozioni, e quel lieto annuncio di una nuova vita in arrivo?
[Post-Finale 7x13]
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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4. Welcome back
 

Dopo una giornata di indagini erano ancora senza nessuna pista valida: le due vittime erano state identificate come Mary Donovan e Lucy Meller. Non si conoscevano, non erano imparentate e le rispettive famiglie non avevano mai sentito nominare l'altra. Com'era possibile che si trovassero nello stesso posto, uccise da una stessa persona?
Kimball Cho si sentiva bloccato: non sapeva come procedere. Aveva mandato Wylei e Tork a parlare con i familiari per conoscere meglio la vita delle ragazze. Non avevano nulla in comune! Mary studiava giurisprudenza, era diligente, seria e viveva ancora a casa con i suoi genitori. Lucy invece si era da poco trasferita in un appartamento tutto suo, aveva lasciato l'università ed ora lavorava come cameriera in un posto lussuoso che le permetteva di pagare il modesto affitto.

Come se non bastasse, la squadra dell'FBI non poteva nemmeno dire di conoscere il movente. Le borse di entrambe erano state ritrovate poco lontane dai corpi, con dentro cellulare e portafoglio. Non risultavano violenze sessuali...
“Dannazione!”
Abbott venne riscosso dai suoi pensieri dall'imprecazione del collega. Lui e Cho erano seduti nell'ufficio del capo, uno di fronte all'altro tentando di far chiarezza sulla situazione.
“Non abbiamo niente. Stiamo indagando su genitori e amici, quando sappiamo perfettamente che nessuno di loro avrebbe avuto una ragione per uccidere entrambe. Ci sta sfuggendo qualcosa.”
Dennis si sorprese di vedere Kimball così scomposto e infervorato, non era da lui. Poteva capire la sua frustrazione, ma che ci fosse sotto qualcos'altro?
“Va tutto bene?”
Negli ultimi tempi Abbott sentiva di essere diventato quasi esclusivamente il consulente psicologico della squadra. Sorrise a questo pensiero: era inevitabile. Si era affezionato a quei ragazzi e tra qualche giorno sarebbe partito. Voleva solamente essere certo che tutto sarebbe stato al posto giusto.
Cho annuì distratto, ritornando al suo normale grado di loquacità.
Non poteva fare a meno di pensare che forse Jane avrebbe notato qualche dettaglio fondamentale, o che Lisbon avrebbe saputo come procedere e quali strade battere. Era appena diventato capo e già si trovava alle prese con un caso destinato a rimanere irrisolto... Non andava tutto bene. Affatto.

Era già buio quando decisero di tornare a casa. Era inutile continuare a lavorare tutta la notte senza avere niente di specifico su cui indagare.
Avevano già tutti un piede sulla porta quando squillò il telefono. Wylei rispose dalla sua scrivania, annuì rapidamente e annunciò all'interlocutore dall'altra parte della cornetta che sarebbe sceso subito.

“È arrivato un pacco per noi.”
Abbott, Cho e Tork lo guardarono perplessi. “Noi chi?”
Ma il giovane era già salito in ascensore. I rimanenti agenti rimasero in silenzio aspettando che tornasse e cercando di immaginare di cosa si trattasse.
Dopo solo due minuti il biondino era già di ritorno con uno scatolone tra le mani, di cartone, con un coperchio come quelli utilizzati per archiviare i file. Su di un lato c'era un biglietto con scritto solo “CASO DONOVAN-MELLER”.
Mentre ancora si avvicinava al punto in cui erano tutti raccolti schiuse la scatola sbirciandoci dentro. Impallidì inorridito e lasciò cadere il pacco per terra. Il contenuto si riversò sul pavimento ai piedi degli agenti.
“Ma che diavolo...?!”
Mentre tutti facevano un passo indietro disgustati, il capo rimase immobile, concentrato. Non gli ci vollero più di pochi secondi per ricordare tutto. Ora sapeva esattamente cosa stava succedendo. La situazione era più grave di quanto avesse pensato.
Incrociò rapidamente gli sguardi degli altri uomini. Non c'era bisogno di parlare, sembravano tutti d'accordo: Lisbon e Jane sarebbero dovuti tornare alla svelta.


 

La mattina seguente Patrick e Teresa se la presero comoda. Quella precedente era stata una serata piena di emozioni forti e importanti, non c'era niente di meglio che coronarla con un'abbondante colazione a letto.
Sorridevano.

Ad intervalli più o meno regolari Jane appoggiava la mano sulla pancia di lei, la muoveva dolcemente avanti e indietro e giocava con il suo ombelico.
“Jane, piantala!”
Cercava di essere autoritaria ma con scarsi risultati. Le piaceva tutto quell'affetto, e adorava lo sguardo luminoso e devoto che trovava nei suoi occhi azzurro mare. Ogni volta che lui pensava alla loro famiglia presente e futura essi brillavano di luce propria e Teresa sentiva di annegarci dentro.
Non era mai stata una di quelle donne che si lasciavano sopraffare dall'amore, ma in momenti come questi sapeva di non aver bisogno di nient'altro. Aveva Patrick, avrebbe avuto un bambino, una famiglia tutta sua, una famiglia vera, e non una in cui la figlia maggiore si ritrovava a fare da madre a fratellini disastrosi e a un padre alcolizzato. Questa famiglia sarebbe stata diversa, sarebbe stata esattamente come doveva essere.
Sentiva lo stomaco attorcigliarsi e i polmoni allargarsi, il sorriso sorgerle spontaneamente e la testa svuotarsi di tutte le preoccupazioni. Cos'era quella sensazione? Che fine aveva fatto Teresa Lisbon?
“Si chiama ottimismo.”
La donna fulminò con lo sguardo il suo neo-marito, come ammonimento per averle frugato nella mente ancora una volta.
“Ottimismo? Non credo mister sensitivo, non fa per me.”
Jane sorrise divertito. Era vero, Lisbon non era mai stata una persona ottimista, ma chi poteva darle torto?
“Beh, ce lo stimo promessi ormai, non puoi più tirarti indietro.”
Anche Teresa sorrise al ricordo di quella dolce promessa in riva al lago, fatta solo qualche giorno prima.
“D'ora in avanti, solo il lato positivo, si.”
Patrick si avvicinò al suo viso e la baciò frettolosamente ma con dolcezza. Quando si allontanò lei sfoggiò il suo solito broncio da piccola principessa arrabbiata.
“Tutto qui?”
Jane spalancò gli occhi fingendo di essere scandalizzato da quella richiesta, poi tornò con piacere a baciare le sue labbra, piano, con trasporto.
Proprio in quell'attimo, come se non stesse aspettando altro che il momento giusto da rovinare, il cellulare della poliziotta suonò.
Le ci vollero diversi secondi per convincersi ad interrompere quello che avevano appena cominciato e rispondere. Tra le proteste di Jane si alzò dal letto e lesse il nome sul display.
“È Cho.”
“Non rispondere o ci toccherà tornare a casa prima... e questa è la nostra luna di miele!”
“Come fai a dire che ci chiederà di tornare? Magari vuole solo...salutare?”
Non aveva ancora finito la frase che Patrick alzò gli occhi al cielo spazientito, quando avrebbe smesso di chiederle come riusciva ad intuire tutto? E poi questa volta era davvero scontato: Abbott non avrebbe permesso un'interruzione della loro unica settimana di romantica per nessun motivo, a meno che la situazione non fosse tanto seria da richiedere la loro presenza immediata.
“Pronto? Ciao Cho.”
Jane la osservava parlare al telefono, in meno di qualche secondo si era trasformata da donna felicemente sposata ad agente dell'FBI. La postura, lo sguardo, la voce erano tornati quelli di sempre: sicuri, determinati, risoluti. Era dispiaciuto di dover tornare così presto, e forse avrebbe dovuto dispiacersi anche del repentino cambiamento di Lisbon, ma non poteva. Teresa era entrambe le cose: dolce, passionale e felice quando erano da soli, ma anche seria e devota al suo lavoro, ed in fondo l'amava proprio per questo, ed erano state la sua forza d'animo e la sua dedizione alla giustizia a conquistarlo per prime.
“Si. Si, certo, capisco. Non preoccuparti, entro domani sera dovremmo essere di ritorno. Ok, lo farò. Ciao.”
Ovviamente Jane aveva ragione. La squadra aveva bisogno di loro e sarebbero dovuti tornare alla svelta. Appoggiò il telefono sul tavolo e si voltò lentamente verso di lui, impaurita dall'espressione triste che avrebbe certamente trovato sul suo viso.


 

La sera precedente i quattro agenti avevano chiamato i tecnici forensi per esaminare il contenuto della scatola. Necessitavano i risultati il prima possibile. La seconda chiamata era stata destinata all'impresa delle pulizie: il pavimento era incrostato di sangue rappreso e non era piacevole lavorare in quelle condizioni.
La mattina seguente, dopo aver chiesto a Lisbon di tornare, Cho fece una seconda telefonata, poi si unì al resto della squadra per informarla su ciò che sapeva: non era la prima volta che gli capitava un caso simile tra le mani, e forse l'esperienza passata aveva a che fare con questi omicidi. Era pur sempre una pista.
Si misero tutti al lavoro.

 


Quando ormai mancavano poche ore all'arrivo ad Austin, Lisbon introdusse finalmente l'argomento più importante di cui ancora non avevano discusso.
“Lavorerai a questo caso?”

“Certo.”
Rispose subito, senza nemmeno fingere di averci pensato su. Lei strabuzzò gli occhi perplessa. E rimase a guardarlo sospettosa, come se stesse tramando qualcosa.
“Che c'è? Non sei contenta? Non è quello che vuoi?”
“Io, si, cioè, voglio che tu faccia ciò che ti rende felice...”
Questa frase gli strinse lo stomaco per un attimo. Ricordi passati lo colpirono violentemente come un pugno. Erano le stesse parole che lui le aveva detto tempo addietro, portandole dei cannoli senza avere il coraggio di dirle quali fossero i suoi veri sentimenti. Quante cose erano cambiate. Adesso quella donna che aveva lasciato sulla soglia di casa era sua moglie. Riconquistò in fretta il buon umore.
“Questo è un caso particolare... E poi mi sembra di capire che senza di me non ve la caviate.”
Teresa lasciò cadere la provocazione e insistette.
“Lavorerai ai prossimi casi?”
Questa volta la risposta non arrivò così velocemente come la precedente.
“Ho una casa da costruire, Lisbon. Ricordi? Lavorerò a questo caso, poi mi dedicherò alla nostra casa, a noi.”
Non era certa che fosse la risposta migliore, ma di certo era una buona risposta. Jane avrebbe lavorato ancora per un poco con loro, e questo la rendeva felice. Poi avrebbe lasciato la squadra, ma sapeva che non avrebbe mai più lasciato lei, quindi la sua assenza sul lavoro poteva anche sopportarla.
“Ok.”
Patrick, diversamente, non era per niente soddisfatto. Sapeva che non avrebbe lavorato con l'FBI per tutta la vita, non era ciò che voleva. Avrebbe risolto questo caso e poi si sarebbe occupato d'altro. Ma così facendo Teresa sarebbe rimasta senza di lui sul campo, e non solo! Teresa e il suo bambino. Non che lui sarebbe stato di grande aiuto in una reale situazione di pericolo, ma l'idea di passare tutto il giorno con la paura che potesse accadere qualcosa di brutto a loro era angosciante.
Per il momento decise di non parlarne. Era un argomento delicato e l'ultima volta che l'avevano affrontato non era finito molto bene... E poi c'era ancora tempo. Un ultimo caso.

 


Arrivarono alla sede alle ultime luci del giorno e ricevettero il più caldo benvenuto di sempre. Lisbon si sentì leggermente a disagio: erano stati via solamente quattro giorni! Non c'era bisogno di tutta quell'espansività. Jane invece abbracciò tutti volentieri e sembrava aver già dimenticato l'irritazione dovuta al ritorno anticipato. Sorrideva e chiacchierava con tutti.
Fortunatamente per Teresa, Cho sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d'onda e mise fine ai convenevoli.

“Ok. Vi mostro il pacco che ci è arrivato.”
Dopo le analisi avevano ricomposto la scatola così com'era arrivata per permettere a Jane di esaminala senza troppi “inquinamenti”.
Gliela porsero mentre li aggiornavano sulla storia delle vittime e sulle indagini già svolte.
Jane tolse il coperchio appoggiandolo sulla scrivania e sia lui che Lisbon guardarono dentro. Su un fondo di cartone bianco poggiava un intestino sanguinolento attorcigliato su se stesso.
“Mmm...”
Si mise a cercare qualcosa all'interno, spostando l'organo aggrovigliato con una penna. Ma non c'era nient'altro. Sembrava deluso.
“Strano...”
Tutti lo guardarono interrogativi mentre Lisbon lo spronò a spiegarsi.
“Cosa c'è?”
“È solo che... Dovrebbe esserci anche...”
Teresa lo guadò spazientita, quando avrebbe imparato a parlare chiaramente con tutti loro e a metterli partecipi dei suoi pensieri? Lui prese in mano lo scatolone guardandone i lati e il sotto continuando a non trovare nulla. Poi si fermò di colpo, come se avesse avuto un'illuminazione, sorrise e agguantò il coperchio guardando la facciata rimasta sempre coperta.
“Et voilà!”
Lo girò e lo fece vedere a tutti: con scrittura elegante e sottile c'erano scritte poche righe di quella che sembrava essere una macabra poesia.
“Non c'è dubbio. Cho, avevi ragione. Bentornato Cavernicolo.”











-Angolino dell'Autrice-
Eccomi qui con il nuovo capitolo! Lo so, lo so, è passato un sacco di tempo e vi chiedo scusa!
Ma meglio tardi che mai, giusto? :)
Spero vi piaccia, fatemi sapere se vi va. Qualsiasi commento/critica/supposizione è ben accetta! :D
Buona giornata :)
   
 
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