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Autore: serClizia    20/04/2015    5 recensioni
UARK, University of Arkansas, detta più comunemente l'Arca.
Clarke sta studiando per diventare medico, è parte importante della confraternita delle Theta Beta nonché figlia dell'illustrissima ex-alunna Abby Griffin, ora chirurga di fama nazionale. Alla UARK ci sono feste, matricole da controllare, etichette da rispettare. Quest'anno, però, la Prima Festa Primaverile non va come dovrebbe andare, e Clarke avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile. Anche di quello di un irritante e altezzoso sconosciuto di nome Bellamy.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Bellamy
 
Alle 21:00 siamo puntuali sotto l’Old Main*, i due cart parcheggiati sul ciglio della strada.
Clarke arriva con la sua banda di squinternati: Jaha Junior e quel Finn – più i due tizi che ho visto alla festa di cui non ho ritenuto necessario conoscere il nome.
Li saluto con un cenno del capo e indico la banda dei miei alle mie spalle. Preferisco passare ai fatti, saltando il più possibile i convenevoli, quindi punto a parlare in fretta e toglierci l’incombenza delle presentazioni.
“Gente, questi sono Miller, Murphy, Atom, Derek, Myles, Connor, Dax e Sterling,” li indico uno alla volta, fanno un cenno quando sentono il proprio nome. Miller rimane composto, Atom sorride, Murphy fa girare il coltellino. Gli altri li conosco a malapena, se ne stanno sempre tra di loro nel quartier generale, è già tanto che mi ricordi i loro nomi.  “Il piano è questo: nove di noi più cinque di voi fanno quattordici. Ci dividiamo in due gruppi da sette, ognuno si prende delle fette di campus che adesso vi dirò. Dopo aver perlustrato tutte le nostre zone, torneremo qui e faremo rapporto. Intesi?”
“Cioè andiamo tutti contemporaneamente?”, chiede uno dei tizi sconosciuti, quello con gli occhi grandi e degli occhialoni francamente ridicoli in testa. Avrei dovuto aspettarmi delle domande, sono solo abituato a impartire ordini precisi che i ragazzi obbediscono senza contraddire.
“Sì, ho diviso il campus in dieci zone. Il gruppo 1 ne perlustrerà 5, il gruppo 2 le restanti 5. Al sorgere del sole ci troveremo qui per un briefing. Fine del piano.”
“Questo piano fa schifo.”
È stata Clarke a parlare, prevedibilmente. Mi si piazza davanti a braccia conserte - il nervoso che la sua sola presenza comporta ormai familiare - e in un secondo sono già sul campo di battaglia.
“Ti vorrei ricordare che oggi hai mandato tu il piano in vacca, non io. Portare il tizio in camera tua e lasciarlo incustodito… a cosa stavo pensando?”
Lo sguardo che mi rivolge mi coglie leggermente alla sprovvista, non è la sua solita avversione - reciproca, chiaro - è qualcosa di molto più intenso.
Si rivolge di nuovo al gruppo, senza rispondermi. “Possiamo fare sette gruppi da due, ha più senso.”
“Ah, sì? E chi l’ha deciso?”, nella mia testa c’è una voce che mi ripete che puntare i piedi senza ascoltare veramente la sua idea è infantile, ma la ignoro totalmente. “Ripeto, quella di oggi è stata un fallimento totale. Meglio non affidarsi al tuo, di buonsenso.”
Clarke sospira ma rimane voltata verso il gruppo. “Ci diamo dei turni di veglia nel corso della nottata…”,
“Che è quello che ho detto io.” Mi ignora. “…con un kart ci si mette la metà del tempo a fare tutto il campus, e a fine turno ogni gruppo passa il kart a quello successivo.”
I ragazzi cominciano a mormorare e fare cenni di assenso, persino i miei.
“Non puoi sapere se ogni gruppo riuscirà a coprire tutto il campus, è troppo grande,” ribatto. È per quell’aura di ostilità completa che mi arriva, contrastarla è più forte di me. “Se dividiamo tutto in quadranti…”
“E finiscila, Bellamy! Del tuo orgoglio di leader non frega niente a nessuno. La mia idea è migliore, punto!”, stringe ancora di più le braccia attorno a sé, proiettata col busto in avanti, come se si stesse trattenendo dal attaccarmi e strozzarmi con le sue stesse mani.
“Il mio orgoglio di leader, mi prendi per il culo? Stiamo parlando proprio del tuo, qui!”
In due passi mi è di fronte, rossa in volto, gli occhi assottigliati in due fessure. “Sei un idiota, tutto questo non ha niente a che vedere con me!”
“Ah, no? E io che pensavo che tutto avesse a che fare con te, nell’universo!”
“Figlio di…”
“Woah, fermati lì, Principessa,” la ammonisco. “Non tirare in mezzo mia madre.”
Sono riuscito a zittirla, ma regge il mio sguardo, stringendo i pugni. Ricambio con altrettanto ardore, soprattutto perché è andata a centrare un tasto che nessuno, nessuno, può permettersi di tastare.
“Ehm, ragazzi…?”
“Cosa!”, urlo verso il tizio cinese che si è messo in mezzo, a palmi aperti. Indietreggia di un passo, e mi rendo conto che ci stanno guardando tutti come fossimo due pazzi rinchiusi in una stanza imbottita. Sono imbarazzati, senza sapere cosa fare. Qualcuno dei miei ragazzi china il capo, strusciando la punta delle scarpe.
Bene,” Clarke calca sulla b. “Andiamo a votazione, allora. Chi pensa che il mio piano sia migliore?”
Qualcuno dei suoi sta già cominciando ad alzare la mano. “Lasciate perdere,” cedo. “Facciamo come dice lei. Basta che nessuno si sogni di mettermi in gruppo con questa pazza.”
“Bene,” esclama.
“Bene!”
Jaha Junior sta scuotendo la testa, mentre Finn sembra estasiato; mi fanno salire ancora di più la bile.
Mi volto verso Miller. “Quando la Principessa avrà deciso quale sarà il suo partner,” esclamo a voce alta perché mi possano sentire tutti, “potremo dividerci. Ogni guardia con un civile!”
Mi volto vero l’ala di Clarke, mi fanno un cenno di assenso. Finn apre la bocca ma Clarke lo anticipa, rivolgendosi più a lui che agli altri: “Vado con Wells!” e Finn la guarda battendo le ciglia, scontento. Annuisco, che facciano come pare a loro, sono stanco di queste cazzate. “Allora Miller con il cinese, Murphy con Finn, Dax con… lui,” indico occhi-grandi,  “Atom con me, Sterling e Connor, Derek e Myles. Domande?”
Tutti scuotono la testa, sembrano intimoriti - tranne Clarke e i suoi due scagnozzi, ovviamente.
Quel Finn continua a fissare Clarke e Jaha Junior che parlottano fitti e sospiro. Mi tocca lavorare con dei personaggi pessimi. Sento che il cinese vorrebbe dirmi qualcosa, ma deve leggere nel mio sguardo e se ne rimanene muto. Ottimo. Occhi-grandi lo prende per il gomito e cominciando a parlottare anche loro. L’ho già detto che sono circondato da personaggi pessimi?
“Abbiamo preferenze di orario?”, chiedo.
Qualcuno scuote la testa, altri rimangono semplicemente in silenzio.
“Principessa?”, mi rivolgo di nuovo a lei, calcando sul sarcasmo.
“No,” mi risponde, altezzosa.
“Bene. Allora il primo turno lo farà lei, prima le signore. Il resto a ruota, partendo da Miller. Ok?”
Mormorii di assenso, segno che anche questa è andata.
Sua Maestà mi si avvicina, col palmo della mano aperto all’insù. La fisso, in allerta. Ormai ne sono convinto, per qualche motivo mi odia; il suo linguaggio corporeo me lo sta praticamente strillando in faccia.
“Le chiavi?”, friziona le dita, impaziente. Gliele schiaffo in mano.
“Non rigarmi il kart!”, la apostrofo, prima che salga. Non mi degna di una risposta.
 
                                                                                      **
 
La prima ronda è stata un fiasco.
La luce è già spenta negli alloggi, siamo tornati dai nostri turni e sono andati tutti a riposare, ma non riesco a dormire. Continuo a ripensare alla serata.
Abbiamo girato come dei cretini e non è successo assolutamente niente. Non abbiamo visto né sentito nulla di sospetto, tanto che siamo giunti alla conclusione di limitare le ronde così numerose ai week-end e alle feste, lasciando Kane all’oscuro di questa piccola insubordinazione. Che se le pattugli lui le strade tutte le notti, se lo reputa così importante.
Manderò qualcuno dei miei alle solite ronde prestabilite, ma non li terrò in piedi a fare gli straordinari quando non abbiamo idea di cosa stiamo cercando o dove.
Completo, totale fallimento come prima serata. In più, c’è quel piccolo insignificante fatto che la Principessa ora mi odia. Non so cosa sia cambiato rispetto a ieri nella sua stanza, forse sono stato eccessivamente maleducato per i suoi standard o qualche cazzata del genere, fatto sta che è passata da una banale insofferenza a puro e semplice odio, neanche fossimo nemici di vecchia data.
Il suo piano era in effetti migliore, ma non era questo il punto. Era già sul piede di guerra prima ancora che andassi contro alla sua idea. Ovviamente avrei potuto semplicemente ascoltare e non litigare per ogni dettaglio a prescindere, ma l’ho fatto. Molto maturo, lo so, ma quello sguardo mi caricava di ondate di nervosismo sotto pelle che non sono stato capace di ignorare.
Quello che davvero mi infastidisce non è tanto l’atteggiamento in sé, quanto il non capirne il perché.
Se faccio incazzare qualcuno così tanto, di solito sono in grado di sapermi attribuire il giusto merito.
È perché ho calpestato il suo prezioso tappeto? Ho insudiciato la sua stanza con la mia presenza? Ho involontariamente ucciso qualche animale domestico di cui non mi sono accorto? O ha deciso che sono stato io ad aver spinto Octavia a far fuggire la nostra unica pista?
“Ehi, boss,” la faccia di Miller spunta e penzola sopra la mia testa. Ogni tanto mi scordo che gli alloggi non prevedono stanze singole, solo delle doppie con i letti a castello. “Se continui a picchiettare il muro, vengo giù e ti lego materasso, cosa ne pensi?”
Picchiettare il muro? Abbasso lo sguardo. Ho la mano sinistra chiusa a pugno, l’indice infilato sotto il pollice, la nocca piegata e pronta a dare un ennesimo colpetto alla parete.
Spingo via la faccia di Miller - che mugugna qualcosa - e mi sistemo sulle coperte. Basta pensieri inutili sulle principesse altezzose di questo mondo, è tempo di riposare. Domani è sabato e c’è la partita di football, e visto che fare questa sottospecie di lavoro non è abbastanza degradante, domani dovremo fare gli addetti al traffico. Non vedo l’ora.
 
 
                                                                                      **
 
 
Il risveglio arriva come sempre sotto forma di Miller che salta sul mio letto. “Rise and shine, Boss!”
Gli lancio il cuscino come ogni mattina e mi rigiro sul materasso, dandogli le spalle. Infilo la testa sotto le coperte mentre ripenso al sogno assurdo che ho fatto.
Ero in camera di Clarke con un pennarello in mano e continuavo a urlarle che il suo autoritratto era fatto male. Lei per qualche motivo se ne stava di spalle, e anche se mi rispondeva per le rime, non si voltava mai.
Non so cosa ci dicessimo, ricordo solo che le indicavo il disegno e insistevo sul fatto che mancasse un neo sopra le labbra. Non so cosa diavolo voglia dire.
Miller si mette a prendermi a cuscinate sulle gambe; la sua missione di compiacermi ha dei metodi davvero discutibili.
“Va bene, mi alzo! Ti uccido se non la smetti, giuro.”
Il cuscino mi atterra sulla testa. “Era tutto quello che volevo sentirti dire,” mi sussurra in un orecchio.
Che idiota.
Mi infilo in bagno per svuotare la vescica e una doccia veloce. Quando esco, è già ora di pranzo.
Trovo Atom ai fornelli, in cucina, e gli altri – Miller e Murphy - spaparanzati sulle sedie attorno al tavolo.
È ironico, quello che cucinava metamfetamina è diventato il nostro cuoco.
Prendo posto accanto a Murphy, che sta lì a girarsi quel maledetto coltellino tra le mani.
Un’occhiata di sbieco e smette, infilandoselo in tasca con uno sbuffo. Non dice nulla ed è meglio così, non è proprio giornata, è tardi e ho perso metà giornata dormendo per colpa di quella stupida ronda.
“Allora, Boss,” attacca Miller. “Come ci organizziamo per oggi?”
“Solito,” borbotto.
“Devo di nuovo andare al parcheggio?”, si lamenta Atom da sopra la padella.
“È quello che vuol dire ‘solito’, no?”
“Il sirenetto è scontroso stamani, lasciatelo stare,” dice Miller, che prima o poi ucciderò sul serio. “Ha litigato con la sua fidanzata, ieri.”
La tavolata scoppia a ridere, persino Atom che è appena arrivato ad impiattare la pasta. Pessimi, tutti pessimi, non se ne salva uno.
“Sì, certo, le piacerebbe,” sbuffa Murphy, arricciando le labbra. Parte un coro di ‘ooh’ e fischi, e sorrido mio malgrado. Sono un branco di idioti, ma sono il mio branco di idioti.
“Anche perché come farebbe a portarsela a letto? Rimarrei traumatizzato a vita, là dentro,” Miller mi fissa con sgomento. “Per favore, non portartela a letto.”
Altro giro di risate, Atom arriva a battere la mano sul tavolo, Miller gli lancia un tozzo di pane.
“Ok, nessuno si porta a letto nessuno. Finitela e mangiate. Miller, se continui a lanciare il cibo invece di mangiarlo, te lo confisco per una settimana.”
“Ehi, non puoi farlo!”
“Vuoi scommettere?”
Miller desiste e si rimette a mangiare in silenzio, uno sguardo ferito dipinto sul volto. Sono circondato da individui pessimi e incredibilmente permalosi.
 
                                                                                      **
 
Hanno vinto.
I Razorbacks – i giocatori della squadra di football della UARK – hanno vinto ed io sono sfinito.
Fare da cordone di sicurezza fuori dallo stadio alle partite è estenuante, abbiamo passato tutto il pomeriggio e buon parte della serata a dirigere il traffico e fare le aquile sugli studenti.
Guardo Murphy, alla mia destra, appoggiato contro una transenna all’uscita dallo stadio, è esausto anche lui e la giornata non è ancora minimamente conclusa. Hanno vinto, quindi significa che ci sarà il bonfire*.
E la campus security può permettersi di andare a casa a riposare? Certo che no, deve seguirli e guardarli festeggiare, sedare le risse, portare a casa gli ubriachi – anche se con questa vittoria dovrebbero esserci meno risse e più pacche sulle spalle accompagnate da innumerevoli versioni stonate dell’inno della scuola.
La cosa che mi fa rimanere più all’erta però è la paura della possibilità. Una festa di una confraternita è un conto, al bonfire ci va tutta l’università. Chiunque potrebbe essere il prossimo obiettivo di quei pazzi.
Seguo la folla di gente che si sposta verso i giardini davanti all’Old Main, dove si fanno di solito le feste in comune e i falò. Il chiacchiericcio è già fastidioso di suo, ma quando comincia ad arrivare la musica dalle casse, sempre più alta man mano che mi avvicino, vorrei girare i tacchi e andarmene a letto.
Clarke spunta al mio fianco, infilandosi nella colonna di gente accanto a me. Perfetto, mi ci voleva proprio un altro round di urla sconclusionate per aumentare il mal di testa.
Non voglio essere io a cominciare, quindi rimango in silenzio, dandole a malapena l’impressione di aver registrato la sua presenza. È strano che nemmeno lei abbia ancora detto niente, ma continua a guardarsi la punta delle scarpe, come sempre stringendosi le braccia al petto.
Sta raccogliendo le forze per mandarmi definitivamente a fanculo?
Non che mi interessi, ci conosciamo a malapena.
“Mi dispiace,” butta lì all’improvviso, facendo saettare lo sguardo dalla punta dei piedi a me, in un lampo.
Ha appena detto che le dispiace? Per cosa? È successo qualcosa ad Octavia?
“Per ieri,” chiarisce.
Sposto lo sguardo sulla schiena di un tizio enorme e sudatissimo davanti a me, che ha deciso di issarsi in spalla un suo amico mingherlino e insieme fanno dei suoni che mi battono sulle tempie dall’interno, come delle scariche di taser direttamente nel cervello. Vorrei ucciderli entrambi.
“Ero…,” si schiarisce la voce. “Sono stata un po’ maleducata, e…”
“Un po’?”
Stringe le labbra per un secondo, prima di appiattirle in un sorriso educato. “Ieri avevo le scatole girate per i fatti miei, e nonostante tu sia un idiota e un rompicoglioni come hai appena dimostrato, non era verso di te che avrei dovuto dirigere la mia frustrazione.” Fa una piccola pausa. “Nonostante tu sia una persona fondamentalmente frustrante.”
Parla lentamente, ho l’impressione che si stia trattenendo, e che se si lasciasse andare non sarebbe una conversazione così… stranamente educata.
Faccio un lieve cenno col capo senza offendermi; mi sopporto a malapena da solo. “Ok, continua.”
Assottiglia di più il sorriso. Dev’essere una cosa da Confraternite, sorridere in quel modo quando in realtà vorresti uccidere chi ti sta davanti.
“Non c’è altro. Ieri ho esagerato, ti ho detto che mi dispiace, fine della storia.”
“Non c’era bisogno di venirmelo a dire, non sono una tua consorella. Lo sai, vero?”
Si ferma bruscamente in mezzo alla strada. “Cristo, non ce la fai ad accettare semplicemente delle scuse?”
Non posso fermarmi, il bonfire è già iniziato e voglio tenere d’occhio la situazione, quindi comincio a camminare all’indietro, urtando le persone intorno a me.
“Chiedi troppo, Principessa, come sempre. A proposito, fammi sapere come vuoi organizzarti per tutti quei favori che devo farti.”
La sua espressione allarmata mi fa sorridere. Come temevo, tutta questa messinscena è per assicurarsi la mia collaborazione per i corsi di autodifesa e la cosa dei sottobicchieri. In fondo è una sorority girl* fatta e finita, come tutte le altre.
Mi raggiunge in fretta, le braccia non più incrociate ma rigide ai suoi fianchi come due parentesi. Ha una camminata un po’ mascolina, per essere tale sorority girl.
“Bellamy…”
“Rilassati, Buffy. Non ho intenzione di rimangiarmi la parola, anche se sei una persona fondamentalmente frustrante.”
Il lieve sorriso che le appare sulle labbra sembra sincero, stavolta. “Pensavo di cominciare domani.”
Domani? Saremo stanchi morti, dopo la ronda e questa stupidissima partita di football.
“O la prossima domenica,” si affretta ad aggiungere. Comincio ad avere il serio dubbio di perdere il controllo dei muscoli facciali quando parlo con lei. La maggior parte delle persone della mia vita mi ha sempre rimproverato di essere troppo impassibile. Cosa succede alla mia faccia che improvvisamente parla al posto mio? Deve finirla. Essere impassibile è tutto.
“Mmmh,” mi gratto il mento. “Domani posso venire io e darvi due dritte di base. E far venire il resto dei ragazzi la prossima domenica. Saranno troppo stanchi dopo questa nottata.”
“Tu non sarai troppo stanco, invece?”, mi rimbecca con un sarcasmo scettico per niente velato.
Smetto di camminare all’indietro e mi ritrovo davanti il tizio sudatissimo con il suo amico di fianco, fortunatamente sopravvissuto alla scalata della montagna. “A domani, Principessa.”
Accelero il passo, ho tergiversato anche troppo. Se mi ha risposto qualcosa, si è perso nella folla.



                                                                          
                                                                                 **
 
 
Non faccio in tempo a bussare al portone delle Theta Beta che Maya mi appare davanti accecandomi con 32 perfettissimi denti di benvenuto, le consorelle alle sue spalle con identici sorrisi stampati in faccia.
Non sento nemmeno cosa dice, troppo abbagliato da troppa bianchezza.
Mi conducono verso il centro del salone, dove sono tutte in versione palestra, con leggins, felpine aperte e bottigliette d’acqua.
Il mormorio si intensifica quando Maya mi spinge in mezzo al cerchio. Mi sento un istruttore di yoga, grazie a Dio non c’è nessuno specchio da nessuna parte.
Clarke si fa strada e mi si avvicina – noto che ho un vuoto attorno del raggio di almeno due metri. Forse hanno paura che faccia loro qualcosa? Magari sanno del programma di Jaha. Le persone ricche e benpensanti hanno questa istintiva curiosità verso i criminali, anche se poi si tengono a distanza.
“Ecco il nostro eroe,” calca sulla parola con eccessivo sarcasmo, come sempre quando si rivolge a me.
“Sono solo un altro umile servitore. Come posso assistervi oggi, Principessa?”
Maya mi prende leggermente per il gomito, tossendo piano. Mi devo piegare perché continua a tirarmi finché non le porto l’orecchio ad altezza sufficiente per farla sussurrare: “Non usiamo questo epiteto per Clarke, qua dentro. È offensivo, e ci ha chiesto esplicitamente di non farlo.”
“Certo.”
E suppongo che non abbia nulla a che vedere con il fatto che lei sia la Presidentessa e non voglia perdere autorità davanti alle sue sudd… consorelle. “E comunque,” mi lascia andare e riprende a parlare ad alta voce. “Sei al servizio delle Theta Beta, oggi, non di una singola persona.”
Fa un gesto teatrale che comprende tutte le ragazze in cerchio intorno a noi. Sospiro. Ma perché ho accettato di fare questa cosa?
Octavia appare nel mio campo visivo mentre si sbraccia per salutarmi. Giusto, ecco perché ho accettato. O. deve avere la priorità. Mia sorella, mia la responsabilità. Il fatto che lei adesso abbia acquisito tutta questa parentela in più non era nei piani, ma vabbè. Sono sempre stato bravo ad improvvisare.
“Ok. Dunque… dividetevi in coppie e disponetevi in…”, cerco di fare un conto veloce a mente. “Almeno tre file di persone. Lasciatevi dello spazio di manovra intorno.”
Le ragazze cominciano a muoversi, vociando. Maya parte ad aiutarle a sistemarsi, impartendo ordini a gran voce.
Mentre seguo O. con lo sguardo registro che Clarke non si è ancora mossa dal suo posto, a tre passi da me.
Mi sta fissando.
“Cosa?”
“Niente, ehm…,” scrolla le spalle, sempre guardandomi fisso negli occhi. “Grazie, di tutto questo.”
“Prima le scuse, poi il grazie. Dev’essere il mio compleanno.”
Rotea gli occhi al cielo e va a prendere posto vicino a Maya, che la sta chiamando a far coppia con lei. Stavolta se ne va sorridendo appena, invece di lanciarmi un’occhiata torva o una risposta sarcastica delle sue.




                                                                                **





Clarke sembra di buon umore.
Sto facendo vedere la posizione migliore per tirare un pugno a qualcuno – sul serio, le ragazze non sanno nemmeno come si chiudono le dita per picchiare qualcuno, ci abbiamo perso sopra almeno venti minuti – e quando incontro il suo sguardo vedo intensità, concentrazione, una lieve increspatura della fronte di chi si sta impegnando ad ascoltare le tue direttive.
E poi mi sorride.
Un sorriso genuino, di chi ha semplicemente accettato la tua presenza e quando capita che vi guardate piega le labbra in un sorriso amichevole. Due volte. Mi ha sorriso due volte.
Ieri voleva uccidermi, oggi mi sorride come se non fossi più così ‘fondamentalmente frustrante’.
“Non capisco.”
“Nemmeno io.”
“Bellamy?”, una brunetta rotondina attira la mia attenzione, alla mia sinistra.
“Mh?”
“Non capisco la posizione,” mi specifica, un po’ stralunata dalla mia risposta. Merda, mi sto facendo distrarre come un novellino. Mi concentro di nuovo sulla brunetta. Non so come abbia fatto ad entrare qui, O. mi ha detto che prendono solo le matricole di ‘bellezza eccelsa’. Si è premurata di farmelo sapere quando l’hanno contattata, svolazzava in aria come una farfalla sotto LSD.
In effetti, ha detto anche che prendono quelle eccezionalmente belle e quelle eccezionalmente ricche. Questa deve ricadere nella seconda categoria. Non che io abbia niente da ridere sulle forme, anzi, più carne significa più roba da afferrare, solo non ce la vedo come materiale da Theta Beta, secondo i loro standard.
“Non è difficile,” mi sforzo di ritornare in argomento. “Te lo faccio vedere un’altra volta.”
Divarico leggermente le gambe e piazzo i piedi in modo parallelo, piegando un po’ le ginocchia. Chiudo le dita a pugno e alzo le mani fino ad arrivare di poco sotto il mento. È la posizione iniziale che ci hanno insegnato al corso preparatorio al Progetto Campus Security di Jaha.
Non mi è sfuggita l’ironia che mi insegnassero una cosa del genere quando sono stato ammesso proprio per aver dimostrato di sapere come si prende a pugni una persona. Jaha non è finito all’ospedale né niente del genere, ma nemmeno io avevo particolari ripercussioni, a parte un fastidioso dolorino alle nocche che è sparito in una settimana.
La brunetta intanto ha mimato le mie azioni e mi ha rivolto un sorriso tremolante. Dev’essere giornata, forse è veramente il mio compleanno? Eccetto che questa poverina sembra più spaventata da me che altro.
Spero che sia una specie di scherzo di Octavia, che ne so, magari è andata in giro per la Theta Beta a raccontare che sono un serial killer o qualcosa del genere, e queste ci hanno creduto.
“Holland, cosa stai facendo?” Maya urla alle nostre spalle. Mi giro e la vedo partire verso una coppia di ragazze che si sta sul serio prendendo a pugni, invece di colpire le braccia alzate davanti al viso come ho istruito io.
Maya mi lancia un’occhiata mentre continua ad avanzare con foga verso le due, che nel frattempo hanno cominciato a fingere di non essere appena state in una specie di rissa. Sono contento che abbiano evitato di tirarsi i capelli, si vede che la mia lezione sta avendo successo. “Tu!”, mi urla, indicando il suo posto vacante. “Prendi il mio posto con Clarke. Ci penso io a queste due.”
Mi avvicino, anche se non ho intenzione di rimanere. Devo girare e assicurarmi che le ragazze abbiano tutte assunto la posizione corretta, non posso rimanere fisso su una sola.
Clarke mi sorride – di nuovo – e si mette in posizione. Come volevasi dimostrare, sbaglia, e sta troppo piegata in avanti con il busto.
“Aspetta,” mi faccio avanti. “Mettiti più indietro, così.”
Le metto una mano sulla spalla e mi parte una scossa elettrica su tutto il braccio. A partire dal palmo, fin nel gomito, per finire verso la clavicola.
Lei si sistema, ignara. Stacco la mano. La striscio contro i pantaloni.
Non toccherò più nessuno, oggi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:

*L’Old Main è un edificio realmente esistente alla UARK.
Qui se volete vedere delle foto e/o saperne di più.
*Il bonfire sarebbe quel falò che fanno gli americani per festeggiare La Qualunque. Dire solo falò era troppo poco, è un termine a sé per una festa commemorativa. Dirlo altrimenti mi fa venire in mente solo un fuocherello sulla spiaggia con chitarra e vino.
* Sorority Girl significa ragazza da confraternita. Ma in italiano è orribile, quindi ho preferito tenerla così. Anche perché ci sono le Fraternities dove sono tutti maschi e le Sororities dove sono tutte femmine. In italiano abbiamo riassunto tutto con Confraternite, e mi viene da storcere il naso a chiamare così una casa di Theta Beta piena di ragazzette ricche e agiate e vestite di rosa.
 
Eccoci qua!
I know, il piano di pubblicare ogni lunedì è tristemente sfumato. I blame Real Life. Si torna al buon vecchio ‘pubblico quando riesco a scrivere’.
Ho in programma delle belle scenette per il futuro, e intanto spero che queste siano riuscite a trasmettere lo stesso livello di feels che ho provato quando mi sono venute in mente, e che da allora mi fanno ridacchiare come una scema ogni volta che me le immagino tipo scene di un telefilm.
Anyway, fine del capitolo. Bellamy si scuoterà, ammetterà che c’è qualcosa sotto? Che magari tutta questa cosa del “Siamo diversi, lei è ricca e agiata e io no, non ci sopportiamo” può anche essere affiancata da un’attrazione di base?
E cos’è successo a Clarke? Perché prima era scontrosa, poi si è tranquillizzata? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, mhuahuahuaha. (Rido maleficamente perché mi sto vendicando di un paio di amiche scrittrici che si divertono a lasciarmi con mille domande senza darmi nessuna risposta, quindi ho un senso sadico di rivalsa nei loro confronti XD)(che ovviamente dura poco, visto che io spiegherò cose nel prossimo capitolo mentre una in particolare sono VENTOTTO CAPITOLI che non mi dice cosa c’è in una lettera e almeno CINQUE che non mi dice cosa c’è in una cartellina, but still)(ignoratemi quando mi sfogo così a caso a beneficio esclusivo di chi legge le fanfiction di queste persone)(sì, sto parlando di te, EVER LILY)


PS: c’è un altro link musicale, ho scelto Party Rock Anthem come sottofondo ai festeggiamenti del bonfire perché mi sembrava calzante con una festa universitaria, balli e festeggiamenti. Mi sto divertendo a piazzare i link strategicamente, stavolta sulla parola “casse”. Sempre più genia del male, ve lo dico io.
  
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