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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    20/04/2015    2 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Just a kiss on your lips in the moonlight
Just a touch of the fire burning so bright
I don't want to mess this thing up
I don't want to push too far"
 


13.

L’aria era fredda e lei non aveva più la giacca, che aveva lasciato dentro. Cult era non molto distante. Camminava su e giù per quel marciapiede, la sigaretta stretta tra le dita  e lo sguardo basso.

Cosa avrebbe detto? Non lo sapeva. Avrebbe fatto la figura della ragazzina? Della stupida? Non le importava, forse anche grazie all’alcool.

Lo raggiunse proprio mentre si stava voltando dalla sua parte. Gli occhi la guardarono per attimi interminabili, come due fiumi in piena la scavarono a fondo, lasciandola senza fiato.

“Che vuoi ragazzina?”

Già, cosa voleva?

“Io…”

Non aveva più fiato. Il respiro era corto, la vista offuscata. Che diavolo le prendeva?! Lei era Joan Lauren Cameron, lei non si faceva venire un attacco di panico per un uomo! Sapeva cos’erano gli attacchi di panico, e non solo a livello teorico, purtroppo. Ne aveva sofferto tanto durante il college, ma poi, anche grazie all’aiuto di uno specialista erano passati, o meglio, era un po’ che non ne aveva uno.

Cult non capì. Joan dovette allontanarsi. L’aria satura del suo profumo le impediva di respirare. Si appoggiò al muro. Durò poco, fu un attacco più breve di quelli a cui era abituata, ma le sembrò un’eternità e quando finalmente si riprese era sudata e stanca.

Le parole di Cult le giungevano ovattate, fino a quando le orecchie tornarono a percepire i suoni normalmente.

“Ragazzina, che hai?”

Era preoccupato. Lo poteva scorgere in quel blu immenso, nelle rughette della fronte. E un pensiero la colpì come un fulmine a ciel sereno. Avrebbe voluto baciarlo. Lì.

Subito.

“Ragazzina dì qualcosa, per cortesia”. Il tono era fermo e non lasciava trasparire la preoccupazione, ma quegli occhi! Quegli occhi erano l’oceano, erano cielo e mare, calma e tempesta.

Non riusciva a parlare, presa da quei pensieri. Da quelle certezze. Un attacco di panico non era mai una cosa buona, eppure quella volta aveva portato con sé la certezza.

Cult le piaceva più di quanto aveva ammesso a sé stessa o a Steve. E non se n’era resa conto fino a quel momento.

Con lui era sempre un passo avanti e dieci indietro, ma non le importava in quel momento.

Premuroso e scostante.

“Ragazzina, vuoi rispondermi?!” Non ammetteva repliche e aveva alzato la voce

“Sto bene”. Quella costatazione le uscì come un debole suono, abbandonato nell’aria fredda. Non sapeva se fosse vero, se stesse realmente bene, ma non le importava.

“Sei sicura? Tremi e sudi, prima sembrava che non respirassi”.

“Sì, ma ora sto bene”.

La sigaretta era stata abbandonata per terra, ancora a metà e ancora accesa. La schiacciò con un gesto secco, rude, poi si sfilò la giacca e gliela appoggiò sulle spalle, finendole terribilmente vicino.

Rimase a guardarlo, mentre lui faceva lo stesso. Non era più importante quello che doveva dirgli e l’alcool sembrò non avere più alcun effetto su di lei.

“Non dovresti bere troppo”.

“Tu non dovresti fumare, e comunque non stavo bevendo troppo”.

“Lo pensavi anche l’ultima volta, e poi ti sei quasi schiantata per terra”. Sogghignava, come sempre.

“Allora te lo ricordi”.

Non fu sicura di averlo detto ad alta voce fino a quando non sentì la risposta di lui.

“Non ero io quello ubriaco”. Poi però si corresse, ironico. “Brillo, pardon!”

Joan alzò le mani in segno di resa. “Questa te la do vinta, ma solo perché non ho la forza di ribattere”.

“Cos’hai avuto prima?”

Il ghigno era scomparso e il tono era serio e neutrale, incolore. Ormai aveva capito che Cult nascondeva le emozioni dietro quegli occhi freddi e quel tono gelido. Era preoccupato.

“Niente, te l’ho detto. Sto bene”. Cercò di sorridergli risultando il più naturale possibile, ma non dovette convincerlo perché la guardò truce, gelido e imperativo.

“Ho avuto un attacco di panico, ogni tanto capita. E’ lo stress”.

Forse. In parte.

Si strinse in quella giacca troppo larga e tanto calda.  Aveva letto molto, nella sua vita. Storie di epifanie apparse dal nulla. Eccola la sua epifania. In una notte troppo fredda, col cielo limpido e un marciapiede umido.

“Perché sei uscita?”

“Ti cercavo”. Sincera e diretta. A che pro inventare una scusa?

“Perché?”

“Dimmelo tu il perché di quell’occhiata!”

Fu preso in contropiede, ma non si scompose più di tanto, indossando la maschera che lo proteggeva da qualsiasi emozione.

“L’ultima volta che hai bevuto ti sei quasi schiantata per terra”. Ripeté le parole di prima, quasi cercasse una via d’uscita facile e indolore da quella conversazione.

Joan continuava a guardarlo, imperterrita, sconvolgendolo dentro con quello sguardo così profondo da arrivargli fino al cuore. Nessuno lo aveva mai fatto sentire così.

Così esposto.

Iniziò a camminare lungo il marciapiede, accendendosi un’altra sigaretta. Di spalle a Joan potè chiudere gli occhi per un attimo, respirare a pieni polmoni. Sperava che a

Joan bastasse quella risposta, perché non aveva altro. Non sapeva spiegarsi il perché di quell’occhiata di cui non si era nemmeno reso conto.

Ma Joan non si arrese, testarda gli andò dietro, prendendolo per un braccio per farlo girare, proprio mentre si portava la sigaretta alla bocca. Le sembrò di essere un uno di quel telefilm o quei libri dove ci sono intere scene in cui i protagonisti si guardano senza dire niente. Da fuori, da spettatrice, si sarebbe data della stupida, ma ora non le importava di sembrarlo o di esserlo.

“Bravo, hai dato la risposta migliore, ora voglio quella vera però”.

Cult la osservò dall'alto del suo metro e ottanta. Lei stava immobile, con quella giacca troppo grande e quegli occhi troppo profondi.

“Smettila ragazzina, stai diventando noiosa”.

Sapeva che lo diceva solo per allontanarla, così continuò imperterrita, togliendogli la sigaretta dalla mano e gettandola a terra.

“Saresti un caso clinico perfetto per una lezione sulle barriere difensive. Quelle che innalziamo per proteggerci da eventuali traumi, sofferenze,…”

“Non fare la psicologa con me!” Gli occhi erano diventati due fessure, impercettibili.

Forse aveva tirato troppo la corda, forse avrebbe dovuto fermarsi prima, ma ormai era in ballo, tanto valeva ballare.

“E tu non fare lo stronzo con me!”

Cult inspirava ed espirava velocemente, mentre Joan tratteneva il respiro, in attesa.

“Forse non volevo che bevessi con altri, o forse stavo solo pensando ai cazzi miei e tu ti ritieni al centro del mondo”.

Un tuffo al cuore, senza motivo. Era ubriaca la notte prima con lui. Era a letto la notte prima con lui. Lo stringeva mentre dormiva. Con lui.

“Entra con me”. Sussurrò, appoggiandosi al muro. “Bevi qualcosa con me”. 

Lui la raggiunse. Appoggiò una mano proprio accanto alla sua testa. Joan si trovò a sperare ardentemente che dicesse di sì.

“Devo lavorare, ragazzina”.

Non voleva più guardarlo. Era stanca e voleva andare a casa. Solo in quel momento capì quanto fosse stata stupida.

Un passo avanti e dieci indietro.

Si allontanò, mentre Cult rimase aggrappato a quel muro. Le mani ormai strette a pungo, le nocche bianche.
 

Quando Joan rientrò si sforzò di usare il suo miglior sorriso. Le ricordò i pranzi in famiglia quando non stava bene o non aveva voglia. Sua madre la incitava sempre a sorridere nonostante tutto, anche se dentro sei triste o qualcosa non va, sorridere sempre.

Doveva ricordarsi di ringraziare sua madre perché grazie a quell’insegnamento nessuno le fece domande. Tranne Alison, che le chiese come mai indossasse una giacca da uomo.

“Ero fuori a prendere aria e dato che avevo freddo Cult me l’ha prestata”.

Il discorso morì li, nonostante l’occhiata di Steve nella sua direzione. La ignorò, fingendo di non essersene accorta.

All’interno del locale faceva caldo, ma lei non riuscì a togliersi quella giacca dalle spalle. Forse era colpa del freddo degli occhi di Cult o forse de profumo che emanava
e che le impediva di abbandonarla semplicemente su una sedia così come aveva abbandonato il suo cappotto.

Era tardi e Alison e Blake stavano tornando a casa.

“Mi scoccia molto chiedervelo, ma non è che potreste darmi un passaggio a casa?”

Alison sembrò più che felice. “Ma certo, vero Blakey?”

“Certamente, tanto non ci cambia nulla”.

Joan sorrise a entrambi grata. “Grazie, siete molto gentili”.

“Steve, tesoro, guarda che noi stiamo andando, Joan viene con noi. Ci vediamo domani”. Gli schioccò un bacio sulla guancia.

“Grazie della serata, Steve”.

“Torna quando vuoi, sei la benvenuta”:

“Tornerò solo per i tuoi meravigliosi cosmopolitan”. Lo salutò con un cenno quando oramai erano vicini all’uscita.

Si tolse la giacca di pelle controvoglia, indossando il suo cappotto che, essendo stato abbandonato per ore su una sedia, era freddo.

Sperò che Cult non fosse più all’entrata, ma che ci fosse l’altro ragazzo, quello abbronzato, super muscoloso, col tatuaggio lungo tutto il collo.

Speranza vana, perché Cult era all’entrata. Si stava sistemando la camicia, mentre faceva entrate due ragazze che lo guardavano civettuole. Le salì un conato di vomito quando lui sorrise di rimando.

“Ragazzi devo restituire la giacca a Cult”.

Loro aspettarono proprio dietro di lei e fu loro grata per quel sostegno di cui non erano consapevoli.

Cult si girò ancora prima che lo chiamasse, quasi avesse percepito la sua presenza.

Lei si limitò a porgergli la giacca, ripiegata verticalmente.

“Grazie”.

“Vai via?” Diretto e incolore.

“Già”.

“La accompagniamo noi, non preoccuparti”. Blake lo rassicurò. Joan pensò che fosse dolce da parte sua, ma a Cult non importava. Avrebbe potuto percorrere il Bronx
da sola e lui se ne sarebbe fregato. Meglio così. Si sarebbe dimenticata di quella stupida cottarella molto prima.

“La accompagno io”. Alison sgranò gli occhi, così come Joan, che, voltatasi verso Blake e Alison, si voltò nuovamente verso di lui.

“Non è necessario, per loro non è un problema e tu devi lavorare” Disse astiosa sottolineando le ultime due parole.

“Ma sì, Cult, non è davvero un problema”. Blake manteneva il tono calmo e pulito.

Cult sembrò ringhiare. “Non era una proposta”.

Era una situazione di stallo, che fu Alison a interrompere.

“Va bè, tesoro, se la vuole accompagnare Cult in fondo non c’è alcun problema, l’importante è che torni a casa sana e salva”.

Joan la guardò, implorante, ma lei le rivolse uno sguardo comprensivo. Che avesse capito qualcosa? Bè se aveva capito quella ragazza era dotata di una sensibilità e di un acume rari.

Sana e salva.

“Oh, bè come credete…” Blake era decisamente confuso, ma sorrise a Joan salutandola e rivolse un cenno gentile ma distaccato a Cult.

Alison rimase a salutare Joan con più calma. La stinse in un abbraccio caldo e profumato.

“Noi ci vedremo presto, cara la mia Joan”. Chissà perché sembrava una minaccia, ma Alison era talmente dolce che le era impossibile spaventarsi.

“Non vedo l’ora!”

La salutò ancora con un cenno della mano prima di salire in macchina, dall’altra parte della strada.
 
“Aspettami qui. Mi faccio sostituire”.

Joan annuì, priva di qualsiasi emozione. Il cielo si era annuvolato e probabilmente presto sarebbe iniziato a piovere, forse a nevicare. Era ormai primavera, ma il telegiornale aveva annunciato nuove nevicate e giorni soleggiati si alternavano a giorni grigi e freddi.

Cult fu di ritorno pochi minuti dopo. Le arrivò da dietro, appoggiandole di nuovo la giacca sulle spalle, nonostante avesse indossato la sua di giacca.

Lei tentò di ribellarsi, ma lui era più forte e forse anche più testardo. Alla fine si trovò con due giacche a tenerle caldo, ma dentro sentiva comunque freddo. Gli aveva offerto una possibilità e lui l’aveva rifiutata. Lei e la possibilità.

Attraversarono la strada e giunsero alla macchina, ricoperta da un sottile stato di ghiaccio. Appena entrati Cult si comportò come all’andata. Accese l’aria calda e lei
poté bearsene scaldando almeno l’esterno del corpo.

Cult teneva lo sguardo fisso sulla strada. Joan non potè fare a meno di guardarlo. Il profilo perfetto si stagliava nella notte, illuminato dai fari delle altre auto. La mano sinistra accarezzava il volante, mentre la destra si spostava dal cambio alla gamba –dove la appoggiava con calma- e viceversa. I muscoli delle braccia, lambiti dalla camicia candida, erano rilassati, ma pronti a guizzare ad ogni movimento.

La strada sembrava diversa rispetto all’andata. Quei palazzi, quelle vie non le sembravano quelle di prima, ma lei aveva un pessimo senso dell’orientamento, quindi poteva sbagliarsi. Lesse il nome di qualche via e fu certa di essere lontano da casa. Che Cult stesse allungando la strada apposta?

Lui sembrò leggerle il pensiero, perché si voltò nella sua direzione, impassibile, per poi tornare a fissare la strada.

“Perché hai cambiato strada?”

Lui non rispose, chiuso in un silenzio rilassato. Continuava a guardare davanti a sé, impassibile.

Joan sbuffò, imprecando mentalmente. Maledetto il giorno in cui l’aveva soccorso. Cult ignorò la passeggera, rimanendo immobile, svoltando a destra, poi a sinistra.
Sembrava non sapesse nemmeno lui dove stava andando.

Joan tamburellava con le dita sulla gamba, innervosita.

“Senti, quello offeso non dovresti essere tu…Quindi dimmi subito perché hai cambiato strada!” Gridò stizzita da quella situazione. “Dove diavolo stiamo andando?!”

“A casa”.

“E dobbiamo passare per tutta la città per arrivarci?”

Cult ghignò, presuntuoso.

“Ok, fammi scendere”. Ma lui la ignorò e questo la innervosiva ancora di più.

Erano in una zona lontana da qualsiasi posto lei conoscesse, ormai.

“Ho detto fammi scendere!” Ormai urlava arrabbiata. Ma lui non dava segno di vita. Respirava lentamente, il petto che saliva e scendeva a ritmo regolare.

Joan tentò di aprire la portiera, ma era bloccata. Maledetto! Maledetto lui e la sua follia. Maledetta lei stessa che era così idiota da accettare qualsiasi cosa facesse.

Gli diede una spinta, non forte, ma aveva bisogno di scuoterlo, di ottenere la sua attenzione.

“Forse non hai capito che non sto scherzando, Cult…Ferma questa cazzo di macchina e fammi scendere!”

Un’altra spinta, che lo distrasse rischiando di farli finire fuori strada.

“Vuoi farci fare un incidente?!” Era freddo, calmo e questo non faceva altro che alimentare la rabbia di Joan.

“Meglio all’ospedale che in questa macchina con te!”

Si fermò in un vicolo, di botto, tanto che Joan quasi sbattè la testa contro il finestrino. Aprì la portiera e uscì, senza richiuderla. Borbottava qualcosa.

Cult la seguiva a passo svelto.

“Se non la smetti di borbottare attirerai qualche malintenzionato”.

“Bene, magari me lo può dare lui un passaggio!”

“Fermati, santo Dio!”

La prese per un braccio, facendola voltare. Finalmente poteva di nuovo guardare quegli occhi caldi. Era arrabbiata, innervosita, borbottava e i capelli le volavano davanti alla faccia, ed era bellissima.

“Lasciami subito!”

Lui la lasciò andare e solo in quel momento Joan si rese conto di quanto voleva un contatto con lui. Soffriva per uno sconosciuto. Era stata rifiutata da uno sconosciuto.

Era furiosa. E ferita.

Gli occhi le pizzicavano, ma col cavolo che avrebbe pianto davanti a lui! Aveva provato sensazioni strane quella notte e si era comportata in modi che non erano per niente da lei, ma non avrebbe pianto davanti a lui.

Voleva fare il duro? Bene, l’avrebbe trattato nello stesso modo.

“Ma si può sapere cosa vuoi? No perché sta diventando fastidiosa questa situazione…”

Lui guardava oltre mentre lei cercava quelle pozze blu.

Guardami. Avanti guardami.

Basta. Di possibilità gliene aveva date due in una sera, ne aveva abbastanza. Si incamminò lungo il marciapiede.

Un barbone ubriaco che parlava da solo le si avvicinò.

“Ci faranno del male, tutti loro ci faranno del male!”

“Sì, bè tutti gli esseri umani fanno del male, mettiti in fila per i reclami”.

E passò oltre. Cult la guardò allontanarsi, fiera e decisa nonostante non sapesse dove andare. Salì in macchina, fece inversione e la raggiunse, sbarrandole la strada con l’auto.

“Guarda che chiamo la polizia se non la smetti. Mi hai stufato Cult!”

Cercò di andare oltre, ma lui le si parò davanti.

“Non ho nulla da offrirti”.

Joan alzò lo sguardo.

“Non ti ho chiesto nulla”.

Finalmente i loro occhi si incontrarono. E fu guerra. L’oceano di Cult si scontrò con il fuoco di Joan.

“Appunto. Non mi hai chiesto nulla”.

“Ok...Mi sono persa!”

Cult sorrise. Aveva il sorriso più bello del mondo. Avrebbe dovuto sorridere di più.

“Mi hai salvato la vita e…”

“Anche tu l’hai salvata a me, quindi siamo pari”.

“Sì, ma…”

“Ma…?”

Cult sfuggì al suo sguardo.

“Basta cose non dette, basta frasi a metà, Cult. Per favore. Mi viene il mal di testa a cercare di capire cosa pensi”.

“Non so nemmeno io cosa devo dire, cosa devo fare. La verità è che sei piombata nella mia vita  e io non so cosa fare”.

Non suonava come qualcosa di positivo.

“Ho un caratteraccio e vivo solo per me stesso eppure tu non ti dai per vinta. Lasci sempre una porta aperta per me”.

Questo suonava decisamente meglio, ma era ancora confusa.

“Eri solo una ragazzina che mi dava sui nervi…E ora so solo che qualcosa è cambiato”.

Joan fece per parlare, ma lui non gliene diede il tempo.

“Non farmi domande perché non saprei risponderti e ti arrabbieresti e…Io non voglio che ti arrabbi. Non ora, non oggi. Domani potrai mandarmi al diavolo, ma ora potresti solo salire in macchina e lasciare che ti accompagni a casa?”

Senza dire nulla, stupita e confusa, si avviò alla macchina, su cui salì con calma, quasi fosse in slow motion.

Cult prese posto alla sua sinistra, in silenzio. Aveva il volto disteso, quasi si fosse liberato da un peso.

Se non altro non era l’unica confusa riguardo le proprie sensazioni…

Il tragitto verso casa fu silenzioso, eppure era un silenzio meraviglioso, in cui si potevano sentire mille rumori. Il respiro regolare di Cult, il rumore delle marce cambiate, della freccia, del motore che rombava sotto di loro.

Arrivarono a casa in fretta, solo pochi minuti.

Joan varcò il portone del palazzo per prima. Salì le scale con Cult che la distanziava di un paio di gradini, ma non si voltò mai.

Quando ormai aveva messo piede sul pianerottolo di casa si sentì trascinata indietro, inebetita.

E Cult la baciò. La baciò come nessuno l’aveva mai baciata. E lei realizzò che avrebbe voluto essere baciata così tutti i giorni. Le strinse la vita mentre la faceva
indietreggiare a toccare il muro. La sua lingua le sfiorò le labbra e lì crollò il muro di autodifesa, quello che le aveva fatto appoggiare le mani sul petto di lui, ad allontanarlo. Si trovò a ricambiare quel bacio senza nemmeno rendersene conto. Il cuore le batteva forte e la testa pulsava.

Sì alzò sulle punte per arrivare ai suoi capelli, in cui infilò entrambe le mani. La giacca, ancora appoggiata alle spalle, cadde rovinosamente per terra mentre loro bacini si scontrarono violentemente, bisognosi di contatto.

Era la sensazione più bella che avesse mai provato. Aveva baciato diversi uomini, ma nulla era paragonabile a quello. Era un bacio pieno di tutto quello che si erano detti e ancor di più di quello che non si erano detti. Gli accarezzò le braccia, percependo i muscoli nascosti dalla camicia, mentre lui le sfiorava appena i fianchi.

Poi la bolla di sapone si ruppe, quando il telefono di Cult squillò. Sussurrò qualcosa mentre si staccava dalle labbra di lei per rispondere.

“Sì, no…Lo so Steve”.

Era bellissimo. Il viso perfetto, gli occhi liquidi e i capelli corvini spettinati.

“Sì. Arrivo. Dammi dieci minuti”.

Chiuse la comunicazione.

“Devo scappare”. Disse abbassandosi per riprendere la giacca.

Joan, incapace di parlare si limitò ad annuire. Cult rimase a guardarla per qualche secondo. Era bellissima, le guance arrossate, gli occhi profondi e languidi. Sorrideva appena.

“Ciao, ragazzina”.

“Ciao”. 
 
Oh yes, oh yes, mie care!
Che dite, un bell'alleluia ci sta tutto, o sbaglio?
Anche se non è tutto oro quel che luccica...e con questi due è difficile fare piani...
Maaaa comunque, vi auguro buona serata e grazie per aver letto anche questo capitolo :)
xx 

 
  
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