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Autore: Emmastory    20/04/2015    1 recensioni
Crystal Collins è una ragazza alta e bionda che si nasconde nell'apparenza dettata dalla normalità. I suoi gemmei occhi verdi nascondono un segreto inconfessabile. Lei è una Figlia della Musica. I genitori, un amico di infanzia, delle nuove conoscenze e il suo stesso cuore, l'accompagneranno nel viaggio alla ricerca del suo "vero essere". La sua vita non sarà certo priva di dolore e antagonisti, che supererà per grazie alla sua incrollabile e ferrea volontà.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il segreto della musica


Capitolo I


La mia storia


Sono una quattordicenne alta, dai capelli biondi e gli occhi color verde smeraldo, e rispondo al nome di Crystal Collins. All’apparenza, posso sembrare una ragazza normale, ma purtroppo non è così. Alla completa insaputa di ogni altra persona al di fuori dei miei genitori, Marcus e Mary, nascondo un segreto che per anni, non ho mai osato rivelare ad anima viva. Proprio come mio padre, infatti, io sono una Figlia della Musica. Ad ogni modo, il possedere tale appellativo, non mi rende diversa dagli umani. Difatti, noi Figli della Musica, possediamo delle speciali abilità legate alla stessa, che ci permettono di esprimerci attraverso le arti. Come ogni altra ragazza della mia età, sto per accingermi a frequentare il primo anno di liceo. Anche se tale dichiarazione potrebbe suonare per certi versi infantile, devo ammettere con grande sincerità di essere davvero emozionata. Oggi è il mio primo giorno di scuola, e non vedo l’ora di scoprire quante nuove amicizie riuscirò a stringere. In passato, quando ero ancora bambina, i miei genitori ed io siamo stati costretti a trasferirci diverse volte, sempre per motivi legati al lavoro di uno dei due. Per nostra fortuna, sembra che tale evento non si ripeterà mai più. La città dove ora viviamo, porta il nome di Shady Point. È completamente immersa nel verde, e il centro abitato brulica di vita. Finalmente, dopo mesi di attesa, il mio primo giorno di scuola è arrivato. La stessa, non è affatto distante da casa mia, ma per questioni di tempo, lascio sempre che sia mia madre ad accompagnarmi. In questo preciso istante, sono tranquillamente seduta sul sedile posteriore dell’auto, con lo sguardo fisso in avanti. “Va tutto bene, Crystal?” chiede mia madre, preoccupata e sorpresa dal mio silenzio. “Sì, sono solo un pò stanca.”Le rispondo, quasi ignorandola. Mia madre sa bene di non potermi dare tutti i torti. Essendo emozionatissima riguardo alla nuova scuola, e volendo a tutti i costi arrivare puntuale, mi sono alzata prestissimo. Difatti, alle sette del mattino, ero già in piedi. I cancelli scolastici non aprono fino alle otto, e per adesso, posso affermare di essere in largo anticipo. Ad ogni modo, prima che riesca minimamente a rendermene conto, arriva il momento di scendere dalla macchina. Silenziosamente quindi, aspetto che mia madre parcheggi e fermi l’auto, per poi scendere aprendo cautamente lo sportello. In pochi minuti, arrivo davanti alla scuola. Il metallico suono di una campanella, segna l’inizio delle lezioni. senza perdere un istante, corro attraverso il cancello scolastico, raggiungendo quindi i corridoi. Tutto quello che mi resta da fare, è trovare la mia aula. Fortunatamente, la riconosco subito, ragion per cui, dopo aver lentamente abbassato la maniglia, la apro ed entro. La classe è piena di ragazzi e ragazze che hanno ad occhio e croce la mia stessa età. Stranamente, nessuno di loro mi rivolge la parola. Decido di non badare a tale insignificante dettaglio, andando a sedermi nell’unico banco libero dell’aula. A causa della mia inguaribile timidezza, non oso proferire parola fino all’intervallo. Quello è l’unico momento di pausa dalle lezioni che ci viene concesso, per cui cerco di sfruttarlo al meglio. Rimango seduta al mio posto, in completo silenzio. Mentre sono persa in una miriade di muti pensieri, una ragazza dai lunghi capelli ricci e rossi mi si avvicina, salutandomi amichevolmente e regalandomi un sorriso. “Tu devi essere la nuova arrivata, vero?” chiede, sempre sfoggiando quel luminoso sorriso. “Sono proprio io, ma puoi chiamarmi Crystal.” Le rispondo educatamente. “Io sono Sophia.” Dice lei, con lo stesso tono educato che mi sono permessa di riservarle. Ad ogni modo, dopo esserci reciprocamente presentate, ci siamo strette la mano in segno di amicizia. In quel breve lasso di tempo, ho a stento modo di accorgermi che è ormai giunta la fine dell’intervallo. Notando un posto libero accanto al mio, Sophia si siede, trasferendosi dal banco in fondo all’aula al mio. La fine del breve intervallo, segna l’inizio di una stimolante lezione di geografia. La stessa si preannuncia anche interessante, poiché fortunatamente la professoressa, ossia la signorina Rogers, sa bene come creare un rapporto di fiducia con i suoi studenti, facendosi allo stesso modo rispettare. La giornata scolastica passa in fretta, e durante la stessa, Sophia ha l’occasione di presentarmi ad un’altra ragazza. Quest’ultima, che risponde al nome di Jamie, ha gli occhi chiari, e dei capelli di un marrone scuro come le foglie autunnali. Dopo ore di attesa, il suono dell’ultima campanella della giornata, annuncia la fine delle lezioni, decretando concluso il mio primo giorno di scuola. Concedendomi un attimo per salutare le mie nuove amiche, mi attardo in aula, rimanendo poi da sola all’interno della stessa. Dando un rapido sguardo al mio cellulare, realizzo che la campanella è ormai suonata da cinque minuti, ragion per cui, mi affretto a raggiungere l’uscita della scuola. Attraversando lentamente la strada, mi dirigo verso l’auto di mia madre, salendovi senza parlare. da quel momento in poi, mi aspetta un breve viaggio di ritorno verso casa. Comodamente seduta sul sedile posteriore dell’auto, inizio a chiacchierare con mia madre per ingannare il tempo. La stessa, mi pone varie domande, compresa una alquanto ovvia, riguardante il mio primo giorno di scuola. “Com’è andata?” mi chiese, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Bene.” Mi limitai a risponderle, con fare leggermente annoiato. “Mi fa piacere.” Rispose mia madre, sorridendo. Ad ogni modo, una volta arrivata a casa, mi diressi subito verso la mia stanza, rimanendoci per il tempo che bastava  togliermi la giacca e riporla nell’armadio. Sorprendentemente, ho appena il tempo di uscire dalla mia camera, per poi accorgermi che è arrivata l’ora di pranzo. Silenziosamente, mi sedetti a tavola e iniziai a mangiare, consumando il mio pasto senza proferire parola. Dopo aver pranzato, tornai lentamente nella mia stanza. Una volta entrata, mi sedetti alla mia scrivania, tirando fuori il libro di storia dal mio zaino, e iniziando quindi a svolgere i compiti assegnati. Finii per passare l’intero pomeriggio curva sui libri. Quando finalmente andai a letto, prima di addormentarmi, pensai al mio primo giorno di scuola. Mi ritornarono quindi in mente le mie due nuove amiche Jamie e Sophia. Le conosco da poco, ma so bene che la loro amicizia ha un grande valore.
 
 
 
 
 
 
 
 



Capitolo II


Niente è come sembra


Una nuova giornata ha inizio, e il sole splende nel cielo della mia amata Shady Point. Quella odierna, ha tutta l’aria di essere una giornata completamente diversa dalle altre, per una semplice ragione. Difatti, oggi è il giorno del mio quindicesimo compleanno. I miei genitori, persone molto comprensive, mi hanno dato il permesso di organizzare una piccola festa a casa. “Puoi invitare qualche amica se ti va.” Mi hanno detto. Dopo averci pensato, ho deciso di farlo. Sono andata a scuola come ogni mattina, incontrando Jamie e Sophia in classe come di consueto. Stranamente però, notai che nessuna delle due aveva voglia di parlarmi. Inizialmente, mi interrogai sul perché di tale comportamento, salvo poi decidere di non badarci. D’altronde, sapevo bene di non poterle costringerle a farlo, perciò tentai di ingoiare quest’amaro boccone. Sedendomi al mio posto accanto a Sophia, ebbi cura di levarmi lo zaino dalle spalle, poggiandolo quindi per terra. Prima di farlo, tirai fuori il libro di matematica, aprendolo alla pagina richiesta dal professore. La spiegazione dell’odierno argomento, sembrò andare avanti per un tempo letteralmente infinito, e difatti, non ci volle molto perché la noia finisse per sovrastarmi. Nel mero tentativo di sconfiggerla, inganno il tempo prendendo appunti. Ad ogni modo, la stessa sembra essere un muro invalicabile. Mi impedisce di concentrarmi, ma facendo buon viso a cattivo gioco, mi sforzo per seguire la lezione. “Qualcosa non va?” mi chiede Sophia, tenendo stretta in mano la sua penna e guardandomi negli occhi. “Non è niente, la lezione è solo noiosa.” Le rispondo, alzando gli occhi dal mio quaderno di matematica. Dopo averle risposto, torno a fissare la lavagna. Lo stridio del gesso sulla lavagna stessa, è insopportabile, ma ancora una volta, decido di ingoiare il rospo. Per mia fortuna, anche se dopo un tempo a mio parere infinitamente lungo, la campanella suona, annunciando quindi la fine dell’ora di matematica. Lentamente, rimetto a posto il mio quaderno, riaprendo lo zaino unicamente per tale scopo. Arrivando quasi improvvisamente, il rumore della porta dell’aula che si apre mi fa sobbalzare. Ad ogni modo, mi tranquillizzo quando scopro che ad entrare non è altri che la nostra insegnante di arte, la signorina Silver. Senza perdere un istante di tempo, sale in cattedra, e ci assegna un intero capitolo del libro di testo, che ovviamente, va imparato a memoria. Mentre ascolto attentamente la professoressa, noto Sophia sbuffare per la noia. “Su con la vita. Ti darò una mano io.” Le dico, tentando di rallegrarla. Per mia fortuna, sembro riuscirci abbastanza bene, poiché vedo un sorriso illuminare il volto della mia amica. Volendo evitare di disturbare i miei compagni, apro lentamente il mio libro, facendo attenzione a non deconcentrare Sophia, immersa nella lettura e nella memorizzazione del capitolo assegnato. Contrariamente a lei, che trova l’arte una materia noiosa e poco stimolante, io l’ho sempre amata, sin dai tempi delle elementari. Questa mia naturale propensione per tale materia, mi ha sempre portato a eccellere nella stessa. Difatti, questa è appena la mia prima settimana di scuola, e i miei disegni sembrano già aver incuriosito la Silver. Di norma, la stessa non fa altro che assegnarci pagine e pagine del libro di testo, i cui argomenti vanno imparati e diligentemente esposti durante le interrogazioni. Ad ogni modo, approfitto del silenzio presente nell’aula durante l’ora di arte, per tirar fuori dallo zaino il mio blocco da disegno, per poi lasciare che la professoressa ammiri le mie creazioni. “Ha del talento, signorina Collins.” Mi dice, mentre è intenta a studiare uno dei miei ultimi disegni, raffigurante il paesaggio appena fuori dalla finestra dell’aula. “La ringrazio.” Le rispondo, con un sorriso leggermente imbarazzato. Non appena l’insegnante si allontana da me, per tornare ad occupare il suo posto in cattedra, Sophia posa il suo sguardo colmo di stupore e meraviglia su di me. “Si può sapere come hai fatto? mi chiede, sorpresa. “A fare cosa?” rispondo, stranita. “Crystal, i tuoi disegni sono bellissimi. Come hai imparato a disegnare così bene?” mi chiede, per la seconda volta. “Non lo so, sarà un talento naturale.” Le rispondo, sincera ed educata. Dopo averle risposto, torno a dedicarmi al disegno che ho lasciato in sospeso, con la ferma intenzione di finirlo e passare al mio prossimo capolavoro. Guardandomi mentre sono all’opera, Sophia non può fare a meno di sorridere, e ammettere quindi la sua gelosia. È una ragazza davvero affabile, responsabile e seria, ma nonostante la sua innata serietà, ogni cosa a volte le sembra impossibile. A quanto pare, riesce a cavarsela solo nella risoluzione di complicati problemi o calcoli matematici. Per mia sfortuna, il ridondante suono della campanella rompe il silenzio creatosi nell’aula, così come la mia concentrazione. Comprendendo che l’ora di arte è ormai finita, prendo in mano il mio blocco da disegno, e lo rimetto subito al sicuro nel mio zaino. Nel farlo, finisco per far scivolare fuori il mio diario, che finisce in terra accanto alla mia sedia. Accorgendomene, faccio del mio meglio per recuperarlo in fretta, ma fallisco nel mio intento. Difatti, ho a malapena il tempo di allungare una mano e tentare di riprenderlo, che subito una ragazza alta e bruna lo raccoglie, tenendolo stretto. Silenziosamente, aspetto che lo lasci andare, ma la scena che segue, e alla quale sono costretta ad assistere, mi sbalordisce. Vidi quella ragazza aprire lentamente il mio diario, ed ebbi timore che iniziasse a leggere quanto scritto in quelle pagine. Fortunatamente, si limitò a sfogliarlo, ed io provai una profonda sensazione di sollievo. “Ridammelo subito!” le dissi, in tono serio. “Altrimenti?” chiese, sarcastica. Mentre la guardavo, il mio imbarazzo cresceva insieme alla mia rabbia. Mi alzai subito in piedi, avvicinandomi a lei e stringendole forte il braccio, finchè il dolore causato dalla mia ferrea presa non fece sì che lo lasciasse finalmente andare. Non mi servii delle parole per rispondere, le mie azioni erano ciò che bastava. Una volta ripreso il mio diario, ritornai al mio posto, osservando la ragazza fare lo stesso. Dopo essersi seduta, la stessa mi lanciò un’occhiata carica di odio. La ignorai, volgendo il mio sguardo sul diario, fortunatamente ancora intatto. Lo riposi al sicuro nel mio zaino, in una tasca separata dalle altre. Essendo una ragazza tranquilla e per nulla attaccabrighe, non penso di poter mai riuscire a spiegare la natura del mio gesto nel tentare di riprendermelo, ma evidentemente, la mia determinazione era stata la chiave di ogni mia mossa. Ad ogni modo, dopo pochi istanti, incrociai lo sguardo esterrefatto di Jamie e Sophia. Mi guardavano entrambe fisso negli occhi, mentre l’incredulità era padrona dei loro animi. Dopo una decina di minuti, la campanella suonò, annunciando l’inizio dell’intervallo. Non mi mossi dal mio posto, scegliendo di sfruttare la tranquillità e il silenzio attorno a me per registrare pensieri e avvenimenti nel mio diario. La scrittura, proprio come il disegno, è sempre stata una delle mie attività preferite. Mi aiuta a rilassarmi, a liberare la mente e calmare i nervi. Così, oggi ho deciso di passare il mio tempo a intrecciare parole e frasi, dando libero sfogo ai miei sentimenti. Dopo qualche minuto passato a farlo, richiudo lentamente il mio diario, con la ferma intenzione di rimetterlo nel mio zaino. Improvvisamente, ho un ripensamento. So bene di non volere che nessuno ne legga mai il contenuto, e dopo quello che è successo con quella ragazza, comprendo che c’è un’unica cosa da fare. Decido quindi di alzarmi e uscire in tutta calma dalla classe, raggiungendo in fretta il corridoio. Ora come ora, cammino più lentamente, alla ricerca del mio armadietto. Lo stesso, così come tutti gli altri, è sempre chiuso ermeticamente, protetto da un lucchetto che è possibile aprire solo tramite una combinazione numerica di tre cifre. Ogni studente è libero di impostarne una, a patto che non la dimentichi. Ad ogni modo, con un rapido movimento del polso, apro il mio armadietto, mettendoci dentro il mio diario. Quel metro cubo scarso di spazio, sarà anche piccolo, ma so di certo che nessuno oserà mai curiosare al suo interno. Percorrendo lentamente il corridoio, con la ferma e decisa intenzione di tornare in classe, incontro Sophia. La stessa, mi saluta amichevolmente con un cenno della mano. “Come stai?” mi chiede, curiosa.” “Bene.” Le rispondo in tono tranquillo, guardandola negli occhi. Alla mia risposta, Sophia schiude le labbra in un sorriso. “Jamie mi ha detto che oggi è il tuo compleanno. Auguri.” Mi dice, sempre sorridendo. “Grazie.” Mi limito a risponderle, mentre continuo a camminare verso la nostra aula. Una volta rientrate, ci sediamo al nostro posto senza proferire parola. L’intervallo è appena finito, e ci aspetta una lezione di letteratura. Al solo pensiero, mi lascio sfuggire un sorriso. Un'altra delle mie attività preferite infatti, risulta essere la lettura. Sin da bambina, ho sempre amato i racconti che mia madre soleva leggermi tempo addietro, e tale amore ha finito per trasformarsi in passione. La stessa, mi da modo di espandere il mio vocabolario, aprendo porte su mondi sconosciuti. In classe, sono ormai a tutti nota come Crystal, l’ardito spirito letterario. Ad ogni modo, durante la lezione, Sophia e Jamie mi distraggono per pormi quasi all’unisono, una domanda. “Darai per caso una festa?” mi chiedono, curiose di conoscere la mia risposta. “Ho il permesso dei miei genitori, perciò sì.” Rispondo, sperando di aver soddisfatto la loro curiosità. “A proposito, siete entrambe invitate.” Aggiungo, dopo qualche istante di silenzio. “Non penserai di invitare Camille.” Disse Sophia in tono serio, benché fosse rimasta in silenzio fino a quel momento. “Chi è Camille?” osai chiedere, con aria smarrita. “Quella che ha cercato di rubarti il diario.” Intervenne Jamie dal banco dietro al mio. “Tranquille, non lo farò. Quella ragazza non mi piace affatto, è troppo prepotente e altezzosa per i miei gusti.” Risposi, in tono secco e deciso. “Questo è parlare!” dice Sophia sorridendo. Ponendo fine alla nostra conversazione, torno a concentrarmi sul libro di letteratura e sugli appunti che ero intenta a prendere. L’ora passa veloce, e approfitto della fine della stessa per uscire dall’aula e recarmi per una seconda volta, verso il mio armadietto. In tutta calma, inserisco la combinazione e lo apro, prendendo velocemente il mio diario. Dopo averlo fatto, mi assicuro di chiudere cautamente l’armadietto, accelerando poi il passo che tenevo, così da poter tornare velocemente in aula. Una volta arrivata, torno subito a sedermi. Anche quest’ora scolastica passa in fretta, e prima che me ne accorga, arriva il momento di tornare a casa. Come di consueto, saluto Sophia, che cammina al mio fianco finchè non usciamo entrambe da scuola. Proprio allora, le nostre strade si dividono, poiché io devo raggiungere l’auto di mia madre, e lei la fermata dell’autobus. Entrambi i suoi genitori lavorano, perciò quello è l’unico modo che ha di tornare a casa. Attraversando velocemente la strada, vedo l’auto di mia madre fermarsi nel parcheggio, e raggiungendola, vi salgo senza parlare. Mia madre pensa subito che non mi senta bene, ma io la rassicuro, asserendo che la giornata è stata piuttosto pesante. Ad ogni modo, non appena metto piede in casa, vengo accolta da mio padre, che mi saluta abbracciandomi. “Buon compleanno.” Dice, guardandomi con un’espressione felice dipinta sul volto. La stanchezza mi toglie il respiro e la voglia di parlare, così lo ringrazio limitandomi a sorridergli. Subito dopo, salendo le scale che portano alla mia stanza, vedo i miei genitori scambiarsi una rapida occhiata d’intesa. Il mio unico pensiero è di raggiungere la mia camera, e sono così distratta dallo stesso, che quasi non ci bado. Una volta entrata, lascio cadere per terra il mio zaino, aprendolo semplicemente per riprendermi il diario al suo interno. Sedendomi sul letto, lo apro, e inizio a leggerne mentalmente il contenuto, aggiungendo qualche nuova frase di tanto in tanto. All’interno dello stesso, oltre che i miei pensieri ed i miei sentimenti, sono racchiusi anche molti segreti riguardo al mio vero essere. Vi ho scritto e annotato, infatti, ogni particolare che sono riuscita a carpire da mio padre sui Figli della Musica. La ragione per cui parlo di tale argomento solo ed esclusivamente con lui, è semplice. Mia madre è una mortale, e rivelarle la nostra vera identità sarebbe un errore imperdonabile. Lentamente, mi perdo nella lettura, e con la stessa lentezza, la sera giunge anche a Shady Point. Secondo i miei genitori, non potrebbe esserci momento migliore per organizzare la mia festa. Con inaudita diligenza, hanno scelto di occuparsi loro dei preparativi, e ora l’unica cosa che manca, sono gli invitati. Dopo aver discusso con loro per alcuni minuti, tornai nella mia stanza, e una volta acceso il mio computer, ebbi cura di inviare un’e-mail a tutte le mie amiche, per metterle al corrente della festa. Alle stesse, ci volle pochissimo tempo per arrivare a casa mia. Avevo invitato solo pochi dei miei compagni di classe, fra cui ovviamente, anche Jamie e Sophia. Entrambe, mi salutarono non appena mi videro, consegnandomi i loro regali. Le ringraziai del gesto, andando a riporli sul tavolo del salotto. Assieme ai miei genitori, avevo deciso che li avrei aperti solo dopo che la festa fosse iniziata. Ad ogni modo, passai gran parte della serata a chiacchierare con le mie amiche. Mi divertii moltissimo, poiché sapevo bene di essere letteralmente circondata da persone che mi amavano. Poco dopo, mia madre uscì fuori di casa, raggiungendo me e le mie amiche in giardino, semplicemente per avvisarci che era arrivata per me l’ora di aprire i regali. Felicissima all’idea di farlo, corsi subito dentro casa, e una volta entrata, mi sedetti sul divano, scartando uno per uno, i miei regali di compleanno. Devo ammettere che non ne ricevetti molti, ma ciò non mi importava, stavo passando un bellissimo momento pieno di allegria, ragion per cui, non attribuivo alcuna importanza a tale dettaglio. Sophia e Jamie mi regalarono ognuna un abito diverso, ed io non potei fare a meno di ringraziarle, ma dovetti presto ammettere che i regali più belli, furono quelli dei miei genitori. Mi dissero che da loro ne avrei ricevuti due, e che uno era da parte di entrambi. Procedetti quindi ad aprire il primo, consistente in un bellissimo ciondolo argenteo a forma di nota musicale. Il secondo invece, fu quello che mi rese più felice. Conoscendomi, i miei genitori sapevano bene quanto amassi gli animali, motivo per cui, avevano di comune accordo deciso di regalarmi un coniglio. Era nero come il carbone dalla testa alla coda, e non appena lo vidi, aprii subito la sua gabbietta per accarezzarlo. Sorprendentemente, lo stesso non si spaventò, lasciandomi pazientemente fare. Gli accarezzavo lentamente il dorso, e osservavo gli sguardi pieni di felicità dei miei genitori. “Grazie. È davvero bellissimo.” Dissi, non potendo evitare di sorridere. “Come vorresti chiamarlo?” chiese mia madre, guardandomi negli occhi. Inizialmente, non sapevo cosa rispondere, ma mi bastò spostare lo sguardo su quella fragile e indifesa creatura per capirlo. “Si chiamerà Bubbles.” Risposi, in tono convinto e deciso. Dopo pochi istanti, aprii per la seconda volta la gabbia del mio coniglio, scegliendo di tenerlo in braccio per qualche minuto. Quando finalmente lo lasciai andare, mia madre decise che avremmo dovuto trovare un posto dove tenerlo. “Starà in camera mia.” Risposi, in tono serio. Entrambi i miei genitori si limitarono ad annuire, lasciandomi uscire quindi di casa, così che potessi divertirmi assieme alle mie amiche. Dopo qualche ora, arrivò per ciascuna di loro il momento di tornare a casa, e dopo averle salutate e ringraziate per gli splendidi regali, tornai subito in casa. Vista l’ora tarda, decisi che era arrivato il momento di andare a letto, ragion per cui, mi infilai il pigiama e mi misi sotto le coperte. Per qualche strana ragione, quella notte non riuscii ad addormentarmi. Sapevo di aver passato una bella serata, ma un dubbio si faceva spazio nella mia mente. Non potevo in alcun modo evitare di pensare a quello che sarebbe potuto accadere nel caso in cui mia madre o i miei amici avessero scoperto la verità su di me. Per anni, la mia vita è stata costellata di momenti felici, ma ora so bene di non potermi fidare delle apparenze. Per un’infinita serie di ragioni, sono pienamente consapevole del fatto che la mia felicità potrebbe iniziare a vacillare, o addirittura svanire. Mi è stato ripetuto più di una volta da mio padre, e solo ora capisco di dovergli dare ragione. In un mondo nel quale si è diversi da ogni altro essere vivente, nulla è mai come sembra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo III


Un evento ingiusto


Il tempo scorre inevitabilmente, e un altro intero mese della mia giovane vita è ormai giunto al termine. Lo stesso, è stato pieno di momenti belli e luminosi ma ad ogni modo, quelli bui hanno sempre soppiantato questi ultimi. Tranquillamente seduta nel salotto, sto ammirando delle vecchie foto di famiglia. Ogni membro della mia famiglia è presente in esse, e secondo mia madre, sono preziosi ricordi da conservare gelosamente, in modo che un giorno, guardarle facendo un passo indietro nel tempo, mi renda felice. Quello di cui mia madre è ancora all’oscuro, è che i sorriso da me mostrati mentre osservo quelle vecchie foto, sono falsi e melliflui. Per qualche strana ragione, un bruttissimo presentimento si sta lentamente insinuando nella mia mente. Con la stessa lentezza, anche i miei sorrisi stanno svanendo. La mia felicità sta scemando, e non più la forza di fingere. Poso la foto di famiglia che sto ammirando sul tavolo, e senza dare alcuna spiegazione a mia madre, salgo velocemente le scale per tornare nella mia stanza. Una volta arrivata, mi lascio cadere sul letto. Non riesco a sopportare tutto quello che mi sta accadendo. Mio padre è da tempo ormai immemore gravemente malato, e ho la netta sensazione che la sua vita, proprio come quella di tutti noi, sia appesa ad un filo sottile, che presto finirà per spezzarsi. Tentando di scacciare tale orribile pensiero, mi avvicino alla gabbia del mio coniglio Bubbles, e dopo averla aperta, lo prendo in braccio, iniziando ad accarezzarlo. Mentre sono nell’atto di farlo, chiudo gli occhi, nel tentativo di liberare la mente. Dopo qualche minuto, sento la porta della mia stanza aprirsi, e guardando in direzione della stessa, scopro che ad aprirla è stato mio padre. “Tua madre mi ha raccontato tutto. Cosa ti succede?” mi chiese, guardandomi negli occhi. “Niente. Sono solo nervosa.” Rispondo, evitando di incrociare lo sguardo di mio padre. “Crystal, ammettilo. Il tuo non è nervosismo. Mi nascondi qualcosa?” continuò mio padre, in tono serio e perentorio. “Va bene, il problema sei tu.” Gli rispondo, leggermente stizzita. “Cosa vuoi dire?” mi chiede, stranito dalle mie parole. “Io e te siamo uguali, eppure non ho ancora capito nulla del mio vero essere. Devi aiutarmi!” gridai, senza accorgermi che un fiume di lacrime mi stava inondando il viso. “Devi calmarti, ti aiuterò io. Prendi il tuo diario.” Disse mio padre, sorridendomi. Senza proferire parola, mi alzai lentamente in piedi, e feci quel che mi era stato chiesto. Dopo averlo preso, lo aprii senza neanche pensarci. “Crystal, devi sapere una cosa. Ci sono tanti segreti che non ti ho rivelato su noi Figli della Musica. Promettimi solo che di volta in volta li raccoglierai in questo diario.” Mi disse, regalandomi un sorriso. Guardando mio padre negli occhi, mi limito ad annuire. Lo stesso, mi stringe in un abbraccio, e subito dopo lascia la mia stanza. Lo guardo allontanarsi e chiudere lentamente la porta, lasciando che il mio sguardo parli per me. Sono davvero grata a mio padre. Essendo una persona davvero comprensiva, riesce sempre a risollevarmi il morale. Ad ogni modo, do un rapido sguardo all’orologio del mio cellulare, accorgendomi che ho pochissimo tempo per prepararmi ad una nuova mattinata scolastica. Fortunatamente, ho giocato d’astuzia, riponendo anticipatamente nel mio zaino i libri che mi servono. Lo stesso discorso, vale per i miei vestiti. Difatti, indossarli è un’azione che non mi porta via molto tempo. Prima di uscire dalla mia stanza, mi assicuro di rimettere Bubbles al sicuro nella sua gabbia, chiudendola con attenzione. Dopo averlo fatto, scendo velocemente le scale, raggiungendo la porta di casa. Ormai pronta per andare a scuola, chiedo a mia madre di accompagnarmi come di consueto, e la stessa accetta senza esitare. Durante il viaggio, non oso parlare, poiché troppo concentrata a rileggere i miei appunti di matematica. Oggi ci sarà compito in classe, e pur avendo studiato, mi concedo un veloce ripasso delle nozioni apprese. Vista la situazione, i miei voti in matematica devono assolutamente migliorare. Dopo qualche minuto, mia madre mi avverte che è arrivata l’ora di scendere dalla macchina. Evitando inutili proteste, chiudo il mio quaderno, e dopo averlo rimesso velocemente nel mio zaino, scendo subito dall’auto. Subito dopo, inizio a correre verso la scuola, sperando di non arrivare in ritardo. Non appena varcai il cancello, iniziai a cercare la mia aula, riconoscendola subito. Aprii quindi la porta senza esitazioni, scoprendo, con mia grande sorpresa di essere ancora in tempo per l’inizio della lezione. Tutti i miei compagni erano presenti, e sembrava che l’unica assente all’appello fossi io. Mi scusai per il ritardo, ringraziando il professore della sua clemenza. Subito dopo, andai a sedermi, scoprendo che la mia precedente supposizione era errata. Difatti, l’unica alunna assente non ero io, ma bensì Sophia. Generalmente occupa il posto accanto al mio, ma oggi lo stesso è completamente vuoto. Tale situazione lascia che un dubbio sorga spontaneo. Mi chiedo infatti cosa sia potuto accaderle, ma un veloce ragionamento mi porta a credere che si sia semplicemente ammalata. È primavera, e l’allergia al polline di cui soffre, a volte le gioca brutti scherzi. Ad ogni modo, sono felice della presenza dei miei amici Julius e Jamie. Oggi lui ha deciso di sedersi accanto a me, occupando quindi il posto di Sophia. L’ora di biologia volge velocemente al termine, lasciando che quella di matematica abbia inizio. La professoressa entra subito in classe, distribuendo ad ognuno di noi il foglio con la verifica. Non appena lo ricevo, cerco di fare del mio meglio per risolverne i quesiti, ma per qualche strana ragione, i numeri e i simboli matematici mi si rimescolano in testa, finendo per confondermi ancor più di quanto già non sia. In tale situazione, non mi resta che stringere i denti e tentare di applicare le nozioni imparate. Pur provandoci, non riesco tuttavia a risolvere nessuno dei quesiti della verifica. Nel tentativo di chiarirmi le idee, chiedo alla professoressa il permesso di uscire dall’aula, sperando che la pura aria che spira nei corridoi scolastici, mi calmi i nervi. Quando torno in classe dopo pochi minuti, mi accorgo che alcune domande della mia verifica di matematica erano state risolte e corrette. Fino a quel momento, non avevo neppure preso in mano la penna, perciò tale scoperta mi lasciò sbalordita. Spostai per un attimo il mio sguardo su Julius, il quale non poté trattenersi dal sorridermi. “Ne sai per caso qualcosa?” gli chiesi, confusa. “Diciamo che ho deciso di darti una piccola mano d’aiuto.” Rispose, guardandomi negli occhi e regalandomi un luminoso sorriso. Dopo aver ascoltato le sue parole, lo ringraziai sinceramente, promettendogli che sarei riuscita ad andare avanti da sola da quel punto in poi. Durante la mia assenza, Julius si era occupato di circa metà del mio compito. Ad ogni modo, c’era ancora qualcosa che non riuscivo a spiegarmi. Continuavo a chiedermi come la professoressa non si fosse accorta di ciò che aveva fatto Julius. Liberandomi in fretta da quel pensiero, conclusi che in quel momento l’insegnante era sicuramente distratta. Dopo aver tratto quella ponderata conclusione, decisi di lasciar cadere l’argomento, pensando solo a quanto Julius si sia mostrato gentile nei miei confronti. La nostra amicizia ha avuto inizio anni fa. Ci conosciamo infatti da quando eravamo bambini. Proprio come i miei genitori, i suoi sono stati spesso costretti a trasferirsi per motivi di lavoro, e ogni volta che accadeva, avevo sempre paura di perdere uno dei miei migliori amici. La mia buona stella, ha impedito che succedesse, così ora siamo di nuovo compagni di scuola, proprio come ai vecchi tempi. Durante l’intervallo, ossia subito dopo il compito in classe di matematica, abbiamo passato tutto il tempo a parlare. Ci siamo raccontati tutto delle nostre vite, e di quanto le stesse siano cambiate con il tempo. Sono davvero felice di averlo di nuovo accanto. Se gioco bene le mie carte, sperando in un futuro più roseo e gioioso, la nostra amicizia on finirà. Dopo altre due ore di lezione, arriva il momento di tornare a casa. Julius ed io, raggiungiamo quindi l’uscita della scuola insieme, e fra un passo e l’altro, ne approfittiamo per chiacchierare. Una volta uscita da scuola, sfilo il cellulare dalla tasca della mia giacca, e telefono a mia madre. Stranamente, oggi è in ritardo, e voglio andare fino in fondo a questa faccenda. Dopo qualche minuto, risponde finalmente alla mia telefonata. “Crystal, mi dispiace ho avuto un contrattempo, puoi tornare a casa a piedi, vero?” chiede mia madre, rimanendo in silenzio e aspettando una mia risposta. “Certo, nessun problema.” Le dico, salutandola e spegnendo il cellulare. “Che succede?” mi chiese Julius, al quale evidentemente appaio nervosa. “Oggi mi tocca camminare fino a casa.” Gli risposi, con riluttanza. “Se vuoi, posso farti compagnia.” Disse Julius, sorridendo. Accettai di buon grado la sua gentile offerta, iniziando a camminare al suo fianco. La giornata scolastica appena trascorsa, si era rivelata piuttosto pesante, ed ero decisamente stanca. Ad ogni modo, dopo circa una ventina di minuti, arrivai davanti a casa mia. Ringraziando Julius di avermi accompagnata, mi avviai verso la porta d’ingresso. Fortunatamente avevo con me la chiave della stessa, così evitai di bussare. Non appena aprii la porta e misi piede in casa, vidi mia madre. aveva una faccia scura, accompagnata da un’espressione di inequivocabile tristezza. “Cosa è successo?” le chiesi, preoccupata. “Tuo padre, ci ha lasciati.” Rispose, con voce rotta dall’emozione. Subito dopo, la vidi nascondere il viso con le mani, iniziando quindi a singhiozzare disperata. Quasi istintivamente, mi avvicinai a lei, tentando di confortarla. Dopo vari e vani tentativi andati a vuoto, lasciai inconsciamente che la sua tristezza mi contagiasse. Iniziai a piangere senza un lamento, dirigendomi verso la mia stanza. Vi entrai aprendo lentamente la porta. Mi lasciai cadere per una seconda volta sul letto, continuando a piangere. Le mie lacrime cadevano copiose sul mio cuscino, inzuppandolo letteralmente. Tentai di chiudere gli occhi e addormentarmi, ma senza successo. Non riuscivo davvero a crederci. Mio padre, la persona in cui avevo riposto tutta la mia fiducia, con cui avevo passato ogni momento della mia vita, che amavo incondizionatamente, se n’era ormai andata, svanendo come nebbia portata via dal vento. Malgrado i miei numerosi tentativi di farlo, non riuscii a calmarmi. Passai quindi un’orribile notte insonne. Prima di andare a dormire, mi diressi verso il bagno, dove decisi di lavarmi velocemente il viso, nella speranza che l’acqua lavasse via i miei sentimenti e le mie emozioni. Dopo ore di infruttuosi tentativi, riuscii finalmente ad addormentarmi. Il dolore per la perdita di mio padre, mio pilastro di vita, è incancellabile. So bene che lo stesso verrà lentamente lenito dal tempo, e anche se la ferita all’interno del mio gentile animo cicatrizzerà, sarà tuttavia sempre presente.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo IV


Dietro le apparenze


Un’ennesima, radiosa e soleggiata mattina ha inizio. Il sole, padrone del limpido cielo azzurro, splende, dando mostra di tutta la sua magnificenza. È ancora mattina presto, e un raggio di sole penetra nella mia stanza, illuminandola a giorno. Sono ancora avvolta dalle mie leggere coperte, e non ho alcuna voglia di abbandonare il mio letto. Stanca e assonnata come sono, fatico ad aprire gli occhi, riuscendoci solo dopo alcuni tentativi. Dopo averlo fatto, mi levo di dosso le coperte, decidendo, seppur con estrema riluttanza, di alzarmi in piedi e uscire dalla mia camera. Attraversando il corridoio, raggiungo la cucina, e una volta arrivata, mi siedo al tavolo per fare colazione. Il dolore derivante dalla morte di mio padre, non è ancora del tutto svanito. Lo stesso discorso, vale per lo stato delle mie profonde ferite emotive, non ancora cicatrizzate. Un’improvvisa e motivata tristezza mi attanaglia lo stomaco, togliendomi l’appetito. Mi limito a bere pochi sorsi di latte, accompagnandoli con dei friabili biscotti integrali. L’apatia di cui in tale momento soffro, mi porta ad ignorare la frugalità del mio pasto. Per tutta la durata della mia permanenza in cucina, non oso proferire parola. Le stesse, ora come ora non mi servirebbero, poiché la profonda tristezza che provo, ha inevitabilmente finito per togliermele di bocca. Notando la mia alquanto insolita inappetenza, mia madre tenta di convincermi a mangiare, seppur con risultati di scarsa concretezza. Senza proferire parola, raggiungo la mia stanza, salendo le scale con cautela. Una volta entrata, apro la gabbia del mio coniglio Bubbles. Lo prendo quindi in braccio, lasciando che mi si accoccoli in grembo. Tengo gli occhi chiusi. Un’improvvisa tristezza, mi porta a versare amare lacrime. Le stesse, mi rigano il viso, senza che io riesca ad arrestarle. “Non sei sola Crystal. Andrà tutto bene.” Sento dire improvvisamente da una voce. Le mie lacrime non cessano di sgorgare, e in un pianto silenzioso, mi interrogo sulla provenienza della stessa. Sono completamente sola nella mia stanza, fatta eccezione per la presenza di Bubbles. Stranamente, penso che sia stato il coniglio a parlare. Riaprendo subito gli occhi, scopro di avere ragione. La voce che avevo sentito, era proprio la sua. Quasi istintivamente, sposto il mio sguardo su di lui e sul pelo color pece, notando che inizia a sua volta a guardarmi con i suoi profondi occhi color nocciola. “Tu sai parlare?” gli chiesi, confusa e sorpresa. “So farlo, e anche bene. Non vedi?” rispose. “Ma non è possibile!” dissi, ancora in preda alla mia stessa confusione mentale. “Crystal, io non sono un animale domestico. Sono il tuo famiglio.” Disse, mantenendo la calma. “Cosa?” non potei fare a meno di chiedere, volendo solo ricevere una risposta e chiarire i miei dubbi. “Noi famigli facciamo parte del mondo della magia, e siamo nati per stare al fianco dei Figli della Musica proprio come te.” Spiegò, in tono serio ma pacato. Dopo aver ascoltato le sue spiegazioni, mi limitai ad annuire, lasciando la stanza per andare a prendere il mio zaino, lasciato distrattamente nel salotto di casa. Dopo pochi minuti, infatti, lo trovai appoggiato contro il divano. Vista la posizione dello zaino stesso, alcuni libri erano finiti sul pavimento. Li raccolsi lentamente da terra, rimettendoli al loro posto. Subito dopo, afferrai saldamente il mio zaino, mettendomelo in spalla. Tornai quindi nella mia camera, e una volta arrivata, notai l’assenza di Bubbles. Sulle prime, decisi di non badarci, ma senza neanche accorgermene, mi ritrovai a camminare per l’intera casa alla sua ricerca. Dopo aver tentato di ritrovare per lungo tempo, lasciai che il mio essere naturalmente metodica e razionale, mi portasse all’unico ragionamento logico. Conclusi quindi che si era sicuramente nascosto sotto qualche mobile. Avendo la mia tristezza come unica compagnia, ora siedo nel mio banco di scuola. Evito di parlare, poiché non voglio che i miei amici si insospettiscano, o mi pongano domande su come mi sento. L’unica pecca è che pur essendo una ragazza molto creativa, manco di coraggio. In breve, non riesco a nascondere le mie emozioni, né a fingere che tutto vada bene. Anche se ci provassi, nascondendo la mia tristezza dietro un mellifluo sorriso, o un comportamento calmo e rilassato, tale farsa non reggerebbe. Il mio malessere quindi, finisce per suscitare la preoccupazione dei miei compagni e della stessa insegnante. “Qualcosa ti turba?” chiede Julius, seduto accanto a me. “Non preoccuparti, sto bene.” Rispondo, tenendo gli occhi fissi sul mio quaderno. Dopo aver ascoltato la mia risposta, si strinse nelle spalle, tornando alla lettura di una fitta pagina del libro di testo. Dopo pochi minuti, la stessa domanda mi venne posta da Jamie e Sophia, le quali, sembravano essere seriamente preoccupate. “Sto bene.” Risposi una seconda volta, aggiungendo a tale responso, un’inconsapevole vena di rabbia. L’intera giornata scolastica sembra proseguire a rilento, ma fortunatamente, l’inizio dell’intervalloriesce ad annullare questa mia convinzione. In un mero tentativo di guarigione dal mio malessere, scelgo di annegare i miei sentimenti nel mio diario. Difatti, sono fermamente convinta che scrivere di tutte le mie frustrazioni, mi aiuterà a superarle. D’altronde, tale strategia ha dimostrato la sua efficacia in più di un’occasione, ragion per cui, credo che un ulteriore tentativo non mi danneggerà. Sollevo quindi da terra il mio zaino, aprendolo con l’unica intenzione di prendere il mio diario. Proprio mentre sono nell’atto di farlo, sento uno strano rumore provenire dallo stesso. Aprendolo quindi con velocità inaudita, rimango sorpresa da quello che vedo. Per qualche strana ragione, Bubbles era riuscito a seguirmi fino a scuola nascondendosi nel mio zaino. “Cosa ci fai qui?” gli chiesi, con un tono a metà fra rabbia e sorpresa. “Sono qui solo per te.” Mi rispose, guardandomi negli occhi. “Nasconditi subito. Se gli umani ti vedono per te sarà la fine!” gli dissi, in tono perentorio. “Rilassati.” Mi rispose, in maniera calma. “Non sanno nulla di me.” A quelle parole, alle quali non riuscii neanche a ribattere, alzai gli occhi al cielo, voltandomi verso la porta dell’aula. In quel mentre, noto che Sophia è appena entrata in classe. Rimango perfettamente immobile, guardandola avvicinarsi a Bubbles. “Che ci fa qui un coniglio? È per caso tuo?” chiede, rivolgendosi a me. “Si, è mio.” Le rispondo, guardandola negli occhi. “Ha un nome?” chiede in seguito, dopo avergli regalato qualche carezza. “Sophia, ti presento Bubbles.” Dichiaro, in tono solenne. Alla mia risposta, Sophia ride divertita. Mi chiedo il perché di tale reazione, salvo poi decidere di non badarci. Dopo pochi minuti, vedo che anche quella serpe bruna di Camille fa il suo ingresso nell’aula. “Un topo!” esclama spaventata. “Calmati, non è un topo. È solo il mio coniglio Bubbles.” Risposi, per nulla spaventata e leggermente seccata dalle sue parole. “Ad ogni modo, faresti meglio a tenere le tue bestiacce lontane da me, Collins.” Disse, sputando il mio cognome. Pochi istanti dopo, la vedo avvicinarsi a Bubbles, e dargli un colpo sul muso. La sua prima reazione è quella di mordere, ed io non tento minimamente di fermarlo. È quello che si merita dopo aver esibito un comportamento così irrispettoso. Subito dopo, Camille mi mostra la sua mano. Osservandola, noto che la pelle è leggermente rovinata, e che un rivolo di sangue le scende da un dito. “Guarda cosa mi ha fatto!” strilla indignata. “Lasciala stare!” Disse una voce alle mie spalle. Voltandomi di scatto, scoprii subito di chi si trattava. A mia completa insaputa, Julius aveva assistito all’intera scena. Fu questione di un attimo, e con velocità fulminea, lo vidi avvicinarsi a Camille. “Allontanati subito da lei.” Le disse, lasciando che la collera avesse la meglio su di lui. Sostituendo la sua espressione sdegnata con una impaurita, Camille gli obbedisce, girando sui tacchi e tornando a sedersi al suo posto. “Non è finita qui.” Mi disse, spostando il suo glaciale sguardo su di me. Tornando a concentrarmi sul mio libro di testo, decido di ignorarla, poiché so bene che il silenzio è l’unica risposta da dare a persone della sua levatura mentale. Le restanti ore scolastiche passano in fretta, e per qualche ragione a me ancora ignota, Camille non mi toglie gli occhi di dosso. “Pensi stia tramando qualcosa?” mi chiese Jamie, sussurrando. “Non lo so, ma è meglio che tenga gli occhi aperti.” Le risposi, continuando a concentrarmi sulla lettura in cui sono assorta. Poco tempo dopo, vengo distratta dal suono della campanella. La giornata scolastica odierna è ormai giunta al termine, e come ogni volta, la mia lentezza mi penalizza. Guardandomi intorno, credo di essere rimasta completamente sola, salvo poi notare il luccichio degli occhi di Julius dal fondo dell’aula. “Sarà meglio che ti muova.” Mi dice, regalandomi un sorriso. “Hai ragione.” Gli rispondo, mentre sistemo l’ultimo dei miei libri nel mio zaino. Notando che fatico a portarlo in spalla, Julius si offre generosamente di farlo al mio posto. Mi stringo quindi nelle spalle, lasciandolo fare. “Dov’è tua madre?” gli chiedo, mentre cammino al suo fianco attraversando lentamente la strada. “Non viene a prendermi. Di solito vado a casa a piedi.” Risponde, guardandomi negli occhi. Senza neanche formulare un singolo pensiero, gli sorrido. Tento di nasconderlo e apparire rilassata, ma la realtà risulta essere un’altra. Il mio cuore batte forte, martellandomi nel petto, e mentre camminiamo, mi accorgo che Julius mi prende dolcemente per mano. Un fiume di emozioni mi attraversa il corpo, e il mio battito cardiaco continua ad accelerare. Fingo di non accorgermi di quanto sta accadendo, in modo da non farlo insospettire. Dopo qualche minuto, mi accorgo di essere arrivata davanti alla porta di casa mia. Saluto Julius, ringraziandolo di avermi aiutata. In quel mentre, mi accingo ad aprire la porta di casa, riuscendoci quasi subito. Non appena entro, vedo mia madre in piedi proprio davanti a me. Ha una triste espressione dipinta sul volto, ed io non oso porle domande. Evidentemente è ancora addolorata dal lutto che stiamo affrontando. Salutandola con un cenno della mano, mi dirigo subito verso la mia stanza. Dopo aver aperto la porta, mi siedo sul mio letto, aprendo il mio zaino. Mentre sono nell’atto di farlo, noto che Bubbles fatica a muoversi. Lentamente, lo vedo venire fuori dal suo nascondiglio, posando quindi il mio sguardo su una ferita che ha sul dorso. “Che ti è successo?” gli chiedo, non potendo distogliere lo sguardo da quella vistosa ferita. “Di che parli?” risponde, fingendo di non capire. “Bubbles, sei ferito!” urlai, preoccupata. “Non ho niente.” Rispose, tentando di convincermi. “Dimostralo.” Lo sfidai con la voce. Subito dopo, lo vidi tentare di muovere qualche passo in avanti. Il dolore glielo impediva, così fu costretto a fermarsi. “Come posso aiutarti?” gli chiesi, con un filo di preoccupazione nella voce. “Crystal, questa non è una ferita normale, e l’unico modo di guarirmi è utilizzare la Salvia Vitale.” Spiegò, con la voce corrotta dal dolore. “La troverò.” Gli promisi, prendendogli dolcemente una zampa. Uscii subito dalla mia stanza, lasciando Bubbles da solo. Sapevo bene c’era solo un modo di curarlo, ma non potevo lasciare che la sua ferita si infettasse. Dirigendomi velocemente verso il bagno, apri l’armadietto dei medicinali, andando alla ricerca di una garza. Avevo in mente di fasciargli la ferita utilizzandola, poiché non sapevo quando e se sarei riuscita a trovare l’erba medicamentosa che mi aveva chiesto. Una volta trovato quel che cercavo, tornai in tutta fretta nella mia stanza, facendo del mio meglio per medicare Bubbles, che era rannicchiato sul tappeto, e non osava muoversi. Passai l’intero pomeriggio a prendermi cura di lui. Gli cambiavo la garza a intervalli regolari, assicurandomi di disinfettare ogni volta la ferita. Al calar della sera, andai subito a letto. Mi addormentai velocemente, sprofondando in un sonno privo di sogni. La stanchezza mi  impedì di sognare, consentendomi solo di dormire, con la sola compagnia del buio e del silenzio notturno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo V


Fra problemi e sentimenti


L’aurora nasce anche quest’oggi nella mia ridente cittadina. Lentamente, questa nuova giornata ha inizio davanti ai miei occhi. La mia stanza viene inondata dalla luce del sole, che mi solletica il viso, disturbando la mia vista. Con grande riluttanza, apro gli occhi, sapendo di dover affrontare un’ennesima giornata di scuola. Per tale ragione, lascio che mia madre mi accompagni. Per tutta la durata del viaggio, non oso proferire parola. Pur essendo una ragazza alquanto mattiniera, avrei di gran lunga preferito riposare. Non avendone la possibilità, mi limito ad osservare il paesaggio dal finestrino dell’auto. L’asfalto sembra scivolare via, mentre io mi avvicino sempre di più alla mia destinazione. Nel giro di pochi minuti, raggiungo la scuola, perciò comprendo che l’unica cosa da fare è scendere dall’auto di mia madre ed entrarvi. Ora come ora, cammino lentamente nei corridoi scolastici, con la ferma e unica intenzione di raggiungere la mia aula. Dopo averlo fatto, vi entro senza esitare. Una volta entrata, mi sedetti subito al mio posto. Il mio sguardo incrocia quello di Julius, il quale, non esita a regalarmi un sorriso. Subito dopo, anche le mie labbra si dischiusero in un luminoso sorriso. Improvvisamente, il mio battito cardiaco inizia ad accelerare. Non so cosa mi stia succedendo, ma sono sicura di una cosa. I suoi occhi nocciola nascondono un segreto. Le ore scolastiche passano in fretta. L’intervallo ha quindi inizio, e ognuno dei miei compagni, lascia lentamente la classe, ad eccezione di Julius. Frugando nel mio zaino alla ricerca del mio libro di filosofia, tento di evitare il suo sguardo. Quasi senza accorgermene, prendo in mano il mio diario, e lo appoggio sul banco. Supponendo quindi che Julius se ne sia andato, lasciandomi da sola nell’aula ormai vuota, e con la sola compagnia del silenzio presente nella stessa, afferro saldamente la mia penna, e inizio a scrivere, intrecciando parole che riflettono i miei sentimenti, così come ogni mia sensazione. Ancora una volta, la mia concentrazione viene spezzata dal ridondante suono della campanella. Anche l’intervallo giunge quindi al termine, lasciando il posto all’inizio dell’ora di educazione fisica. Lentamente, la classe ricomincia a riempirsi, e ho finalmente l’occasione di vedere le mie amiche Jamie e Sophia, alle quali, non avevo prestato attenzione per tutto il tempo. Alla mia vista, entrambe mi salutano con un cenno della mano, al quale ricambio con un sorriso. Pochi istanti dopo, il professore fa il suo ingresso nell’aula, accompagnando quindi sia me che i miei compagni nel cortile della scuola. Volendo tentare di prendere parte ad un’attività diversa dal solito, decido di giocare una partita di pallavolo assieme al resto dei miei compagni. Vengo sorprendentemente nominata capitano della mia squadra, ma lascio che inconsciamente che la rabbia mi sovrasti, quando scopro chi è il capitano della squadra avversaria. Quella serpe di Camille è riuscita ad ottenere tale ruolo imponendosi. Generalmente, mi definisco una persona tranquilla, motivo  per cui non riesco minimamente a spiegare la ragione dei miei sentimenti nei suoi confronti. Fin dal primo giorno di scuola, Camille sembra avermi preso di mira, apparendo ai miei occhi come una persona acida e senza cuore. La gentilezza e le buone maniere non sembrano avere alcun effetto su di lei, perciò comprendo che il solo modo di avere un qualunque tipo di approccio con lei, sia trattarla nello stesso modo in cui lei tratta gli altri. Mostrando i suoi ingiusti e irrispettosi comportamenti, crede di incutere paura nell’animo delle persone che la circondano, ma credo che le convenga sapere una cosa. Io non ho alcuna paura di lei e dei suoi atteggiamenti, ragion per cui ho preso un’importante decisione. È per me arrivata l’ora di agire. So bene che da ora in avanti, non permetterò più a Camille di scalfire me o il mio carattere. Lo stesso, è alcune volte influenzato dalle mie emozioni. Durante la partita di pallavolo, infatti, colpivo ogni volta il pallone con forza incredibile, che fra l’altro non sapevo neppure di possedere. Ad ogni modo, dopo pochi minuti dall’inizio della stessa, Camille colpì il pallone, ma sbagliando completamente mira, lo spedì involontariamente in un prato molto distante dal campo. Anche se la colpa di tale evento non era che sua, toccò a me andare a riprenderlo. Lo feci quindi senza protestare, iniziando a camminare attraverso l’erba alta. Dopo una lunga ricerca, ritrovai il pallone, nascosto da un cumulo di erba e fogliame. Mentre ero nell’atto di raccoglierlo, il mio senso dell’olfatto venne scosso da un odore leggermente acre. Camminando in direzione dello stesso, scoprii che in quel prato c’era della Salvia Vitale, ovvero la pianta che mi serviva per curare le ferite di Bubbles. Facendo molta attenzione, intascai alcune delle foglie della stessa, ben sapendo che mi sarebbero servite. Quando finalmente tornai nel campo di pallavolo, ricevetti un’accoglienza poco calorosa. “Ti ci è voluto tanto?” sibilò Camille nel vedermi, in tono acido. A quelle parole, la rabbia e il buonsenso si rimescolarono freneticamente nel mio animo, e la fortuna, unita ad una generosa dose di pazienza e autocontrollo da parte mia, mi permisero di non scompormi. Così, mantenendo la calma, scelgo il silenzio come unica risposta da darle. Anche stavolta, Camille non perde occasione per spostare il suo velenoso sguardo su di me. Completamente assorta in un fiume di pensieri, decido di continuare ad ignorarla. Ben presto, odo il suono della campanella, che indica la fine dell’odierna giornata scolastica. Mentre mi avvio verso l’uscita della scuola, vengo inaspettatamente fermata da Julius. “Aspetta!” mi urla, essendo molto lontano da me. Sentendolo successivamente chiamarmi per nome, mi volto di scatto. “Ciao Julius! Come va? “ gli chiedo, in un mero tentativo di rompere il ghiaccio. “Tutto bene. Non mi è affatto piaciuto il modo in cui ti ha trattata Camille sai?” disse, lasciando che la sua innata onestà corrompesse il suo tono di voce. “Non preoccuparti, ignorare certa gente è la mossa migliore.” Risposi, sorridendo quasi inconsciamente. “Vuoi che ti accompagni a casa?” mi chiese, cambiando velocemente argomento. “Certo!” risposi, annuendo. Subito dopo, Julius iniziò a camminare al mio fianco. A mia completa insaputa, i nostri passi si sincronizzarono. Camminammo l’uno al fianco dell’altra per circa quindici minuti, allo scadere dei quali, lui si fermò. Guardandomi intorno, mi accorsi che eravamo appena arrivati davanti a casa mia. Ad essere sincera, trovo davvero gentile il comportamento di Julius nei miei riguardi, e inoltre, un mio presentimento mi suggerisce che la nostra amicizia tramuterà presto in qualcosa di nuovo. Dopo averlo affettuosamente salutato, varcai lentamente la soglia di casa mia, richiudendomi la porta alle spalle. Successivamente, noto che nell’intera casa aleggia un tombale e misterioso silenzio. Tentando di ignorarlo, mi faccio strada nel corridoio, e dopo aver salito le scale che portano al piano superiore, entro subito nella mia stanza. La scena alla quale mi ritrovo ad assistere, mi infonde un improvviso senso di impotenza. Sdraiato sul tappeto della mia camera, c’è Bubbles, il quale, silenziosamente, si lamenta per il bruciore della ferita sul suo dorso. Avvicinandomi a lui, lo prendo delicatamente in braccio, lasciando che riposi quindi sul mio letto, superficie assai più morbida rispetto al duro e freddo pavimento. Fatto ciò, estraggo dalla tasca della giacca che porto, la Salvia Vitale che ho trovato, appoggiando sul suo dorso una delle foglie. Dopo alcuni minuti, noto che la ferita di Bubbles sta iniziando a scomparire. In una questione di attimi successivi ai minuti appena trascorsi, la ferita svanisce del tutto, regalando a Bubbles la libertà di muoversi. “Grazie per avermi guarito.” Dice, mentre balza giù dal letto con velocità incredibile. Gli sorrido debolmente. “Chi era stato a ferirti?” gli chiedo, dopo qualche attimo di silenzio. “Quell’umana indisponente. Non so dirti come ci sia riuscita, ma la colpa è sua.” “Intendi Camille? Oso chiedere, smarrita. “Proprio lei.” Rispose, con una vena di rabbia nella voce. “La salute di noi famigli dipende dal comportamento degli umani nei nostri confronti, per questa ragione è riuscita a ferirmi.” A quelle parole, posai il mio benevolo e preoccupato sguardo su di lui, continuando a strofinare la Salvia Vitale sulsuo dorso. Decisi di smettere solo dopo alcuni minuti, ossia quando compresi che Bubbles era davvero guarito. Passai quindi il resto del pomeriggio curva sui libri. Mi concessi alcune brevi pause, che sfruttai per riposare. In breve, calò la sera. Stavo tranquillamente passeggiando per strada, godendomi il sibilo del fresco vento serale. Improvvisamente, la vista di un’ombra nel buio mi gela il sangue. La paura mi attraversa il corpo, impedendomi qualunque movimento. Il buon senso, unito al terrore che provavo, mi spinse a tornare subito in casa. Richiusi velocemente la porta alle mie spalle. Subito dopo, mi sedetti sul divano, sperando di calmarmi. Dopo pochi minuti, sentii bussare alla porta. Mi alzai per andare ad aprirla, e quando lo feci, rimasi letteralmente esterrefatta dalla persona che vidi. Julius era in piedi davanti a me, e aveva una rosa rossa in mano. Dopo avermi salutato, me la porse. Incuriosita dal profumo della stessa, l’annusai per alcuni secondi. Successivamente, Julius mi prese delicatamente per mano, e stringendomi a sé, mi depose meraviglioso bacio sulle labbra. In quel preciso istante, presi coscienza dei miei veri sentimenti per lui. Avevo provato a lungo a negarli, ma dopo quanto era accaduto, sapevo bene di non poter più riuscire a farlo.
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo VI


La musica del mio cuore


Lo spuntare del sole, che esce dal suo nascondiglio di bianche e immacolate nuvole, segna l’inizio di una nuova giornata. La stessa, si prospetta profondamente diversa dalle altre. Questa mattina, Julius si è fatto trovare davanti alla porta di casa mia, asserendo di volermi fare compagnia per tutto il tragitto fino a scuola. L’ho ringraziato sorridendo, ed ho subito iniziato a camminare al suo fianco. “Scusami per ieri.” Mi disse, arrestando di colpo il suo cammino. “Perché ti scusi?” gli chiesi, tacendo dopo la fine della frase. “Non so cos’è successo, non avrei voluto baciarti, eppure…” “Non devi preoccuparti di nulla, è stato meraviglioso.” Proruppi, interrompendolo.” Alle mie parole, Julius si lasciò sfuggire un sorriso. Spostando il suo sguardo dal mio viso alla strada, riprese a camminare. In una questione di minuti, raggiungemmo la scuola. Una volta entrati, attraversammo gli ampi corridoi scolastici fino a raggiungere la nostra aula. Abbassai lentamente la maniglia della porta, entrandovi subito dopo. Ignorai completamente il fatto di essere in ritardo a lezione di storia. La signorina Rogers decise di non badarci, ragion per cui, riuscii ad ottenere il permesso di entrare evitando richiami di sorta. Mi sedetti al mio posto accanto a Julius, come tutte le mattine. Dopo averlo fatto, aprii subito il mio zaino, tirando quindi fuori il mio quaderno e il mio diario. Prestai particolare attenzione alla lezione di storia, avendo cura di trascrivere ogni dettaglio evidenziato dall’insegnante nel mio quaderno. Dopo la fine dell’ora di storia e l’inizio di quella seguente, scoprii che la professoressa di arte risultava essere assente. Trovai tale notizia davvero sconfortante. Durante l’intero fine settimana, avevo speso gran parte delle mie energie nel realizzare un nuovo e bellissimo disegno. Ognuno dei miei capolavori, secondo il volere dell’insegnante, deve rispettare una precisa tematica. Avevo perciò basato quello odierno sulla tristezza, rispettando le decisioni della Silver. Vista la sua assenza, ci è stato concesso di rimanere da soli in classe fino alla fine dell’ora. Avevo gli occhi fissi sul mio disegno, che osservavo per ingannare il tempo. Ad ogni modo, non mi soffermai su quello, ammirando anche i miei precedenti lavori. In quel mentre, migliaia di diversi pensieri mi attraversarono la mente. Scossi la testa tentando di scacciarli, e fortunatamente ci riuscii. Dopo alcuni minuti, Julius si sedette accanto a me, e iniziò a guardare i miei disegni. “Sei davvero brava!” disse, spostando lo sguardo su uno raffigurante la mia famiglia. “Ti ringrazio.” Risposi, regalandogli un sorriso. Poco dopo, decisi di aprire il mio diario, e iniziare come di consueto a scrivere. Riuscii senza accorgermene a riempire altre due pagine dello stesso. Non appena smisi di scrivere, la campanella dell’intervallo mi distrasse dai miei pensieri. Mi alzai quindi in piedi, avvicinandomi alla porta dell’aula. Prima che potessi farlo, venni fermata da Julius. “Ho una proposta da farti.” Mi disse, afferrando dolcemente la mia mano. “Ti ascolto.” Risposi, annuendo. “Che ne diresti di andarcene?” mi chiese, guardandomi negli occhi. “Vuoi dire saltare la scuola? Non possiamo farlo!” dissi, con serietà inaudita. “Crystal, quando ti rilasserai?” chiese. “Mi rilasserò quando i miei problemi e il mio dolore spariranno. “Sappi una cosa. Non tutto ciò che ti circonda rappresenta una minaccia. Ora dammi retta, puoi fidarti.” Mi disse, completando il suo discorso con un luminoso sorriso. Mi limitai ad annuire, lasciando che mi stringesse a lui. Dopo qualche secondo, mi sciolsi dal suo abbraccio. Gli presi quindi la mano, iniziando a camminare attraverso i corridoi. Julius mi condusse quindi verso l’uscita della scuola, portandomi poi a casa sua. Quando aprì la porta, i suoi genitori ci accolsero. Dopo averli salutati, andammo entrambi nella sua stanza. In quel preciso istante, Julius mi guardò, richiudendo lentamente la porta. In quel preciso istante, mi  sedetti tranquillamente sul suo letto. Guardai Julius negli occhi per pochi secondi, e improvvisamente un miagolio spezzò la mia concentrazione. “E questo chi è?” gli chiesi, riferendomi al gatto bianco seduto accanto a noi. “Lei è Luna.” Rispose, guardando negli occhi la gatta. Gli stessi, erano di un azzurro lucente e profondo, che non avevo mai visto prima. “Come fai ad averla?” gli chiesi, nel tentativo di dare inizio ad una normale conversazione. “L’ho trovata, o meglio, lei ha trovato me.” Rispose, in tono calmo. Io lo guardai senza capire. “Era una randagia, e non appena mi ha visto, mi si è avvicinata. Così l’ho presa in braccio e l’ho portata a casa.” Chiarì, sorridendo. “Che mi dici di Bubbles?” mi chiese, dubbioso. “I miei genitori me l’hanno regalato al mio compleanno.” Risposi, in tono alquanto pacato. Dopo averlo fatto, allungai una mano verso Luna, la quale, non esitò ad avvicinarsi a me. Subito dopo, la gatta iniziò a strusciarsi contro la mia mano, ancora tesa nella sua direzione. “Sembra socievole.” Commentai, ridendo di gusto.” “Hai proprio ragione.” Rispose Julius, ridendo a sua volta. Alcuni secondi passarono in fretta, e per qualche strana ragione mi interrogavo sulla prossima mossa di Julius. Il mio battito cardiaco non vuole saperne di rallentare, e lasciando uscire la gatta dalla stanza, torna subito a sedersi accanto a me. Lentamente, mi prende la mano, stringendola. Rimango perfettamente immobile, perdendomi letteralmente nei suoi bellissimi occhi. Quel suo sguardo così perfetto mi rapisce. Ora siamo completamente da soli, e nulla potrebbe rovinare questo momento. Istintivamente, chiudo gli occhi, avvicinando le mie labbra alle sue. Un nuovo bacio suggella il nostro amore, e un roseo presentimento mi infonde sicurezza. Non c’è davvero altra persona che vorrei avere accanto in questo momento. Pochi istanti dopo, ci allontaniamo l’uno dall’altra, e Julius nota che qualcosa sporge dal mio zaino. Senza che io abbia il tempo di fermarlo, allunga una mano verso quell’oggetto, che scopro in seguito essere il mio diario. “Ridammelo!” gli dico, facendo fallire un misero tentativo di sopprimere una risata. “Non finchè non mi dici cos’è.” Risponde, sorridendomi. “Va bene, è il mio diario. Posso riaverlo?” gli chiesi, dopo aver soddisfatto la sua curiosità. “D’accordo, eccolo.” Dice, porgendomelo lentamente. Lo prendo fra le dita, aprendolo quindi accidentalmente. “Posso leggerlo?” mi chiede in seguito, in tono alquanto imbarazzato. “Sì, ma prometti di non farne parola con nessuno.” gli dissi, prendendogli la mano. “I tuoi segreti sono al sicuro.” Mi rispose, baciandomi in fronte. Subito dopo, riprese in mano il mio diario, e iniziò a leggerne mentalmente il contenuto. “Scrivi davvero bene!” Commenta, complimentandosi. “Tu credi?” gli chiesi, dubbiosa. “Puoi fidarti.” Concluse, guardandomi negli occhi. Approfittando della sua temporanea distrazione, diedi un rapido sguardo al mio cellulare, comprendendo che era ormai arrivata per me l’ora di andare a casa. “Julius, devo andare.” Lo informo, tendendo una mano e aspettando che mi renda il diario. Sorprendentemente, decide di non farlo, appoggiandolo sul suo letto. “Vai già via?” mi chiede, con voce e sguardo preoccupati. “Sono passate due ore.” Rispondo, tentando di apparire seria. “Ti accompagno.” Interviene, guardandomi. “No grazie, posso tornare a casa da sola.” Gli dico, affrettandomi ad uscire dalla sua stanza. Prima che possa andarmene, Julius esercita una presa ferrea sul mio braccio, e stringendomi a sé, mi bacia. Decide di lasciarmi andare solo dopo, aprendo quindi la porta. Mi aspetto che la richiuda appena esco, ma sorprendentemente, rimane immobile davanti alla stessa, guardandomi mentre mi avvio verso casa mia. Quando finalmente arrivo a casa, mi muovo silenziosamente. Le luci sono ancora accese, il che è un buon segno, ma non volendo che nessuno mi scopra, cammino in punta di piedi, arrivando lentamente nella mia stanza. Inaspettatamente, Bubbles, che fino a quel momento dormiva sul mio letto, si sveglia sentendomi entrare. “Dove sei stata?” mi chiede, sussurrando. “Ero con Julius.” Rispondo, sottovoce. “Cosa? Non dovresti stare con lui.” Mi dice, mutando improvvisamente tono di voce. “Sai bene che quel ragazzo finirà per portarti sulla cattiva strada!” aggiunge, con voce carica di rabbia. “Non sai nulla di lui!” rispondo, con la voce corrotta da un profondo senso di astio nei suoi confronti. Dopo quelle parole, chiudo subito la porta della mia stanza. Improvvisamente, la mia rabbia si trasforma in lacrime. Fra innumerevoli singhiozzi e ricordi, finisco per addormentarmi sul divano di casa, con il mio meraviglioso ciondolo ancora al collo. Mi sveglio dopo poche ore, nuovamente assalita da una profonda tristezza. Per qualche strana e ignota ragione, i miei pensieri continuano a ronzarmi rumorosamente in testa. La calma notturna è ormai stata stravolta, e al mio immotivato malessere si aggiunge uno sconosciuto dolore. Mi alzo quindi dal divano, per avvicinarmi alla finestra del salotto, chiusa. Nel vetro della stessa, intravedo il riflesso del ciondolo che porto al collo. Abbassando lentamente lo sguardo, finisco per posarlo sul ciondolo stesso. Lo stringo quindi, in mano, finchè non avverto dolore. Lo stesso, è davvero forte, ma stringendo i denti, riesco fortunatamente a sopportarlo. Delle fredde lacrime iniziano a rigarmi inesorabilmente il viso. Istintivamente, torno a guardare il mio riflesso nel vetro della finestra, avendo appena il tempo di notare che qualcosa dentro di me sta lentamente cambiando. Quello che vedo, è infatti profondamente diverso. Le mie lacrime hanno assunto un colore rosso vivo, ed io non riesco minimamente a trovare una spiegazione logica a tale cambiamento. Mi sforzo quindi di smettere di piangere, così che le mie purpuree lacrime smettano di sgorgare. Godendomi il panorama dalla finestra, noto con piacere che il sole è in procinto di spuntare. Lascio che le mie labbra si dischiudano in un sorriso. Inspiro a pieni polmoni, mentre non riesco a contenere la mia felicità. Difatti, è come se il mio dolore sia completamente scomparso, svanendo in un battito di ciglia. Ad ogni modo, malgrado i miei numerosi e tuttavia infruttuosi tentativi, non riesco a trovare una spiegazione plausibile ai miei continui sbalzi d’umore. Sospirando, traggo la più razionale delle conclusioni, dando quindi ragione a mia madre, la quale, continua a reputarmi semplicemente stressata. Per qualche strana ragione, non sono completamente convinta dell’ipotesi di mia madre. Difatti, non credo che i problemi da cui sono giornalmente afflitta, siano dovuti unicamente alla stanchezza, e uno strano presentimento, mi avverte del contrario. Deve sicuramente esserci un’ulteriore e ignota spiegazione a tale fenomeno, ed io, tradendo la mia naturale razionalità, inizio a riflettere sulla possibile causa dei miei problemi Lasciandomi quindi guidare unicamente dal mio istinto, e tenendo la mia mente occupata con arguti ma veloci ragionamenti, giungo ad una seconda conclusione. Uno strano e inspiegabile presentimento, infatti, mi porta a credere che ogni evento che ora vivo, sia in qualche modo strettamente connesso con il mio vero essere. In questo preciso istante, vorrei davvero che mio padre fosse ancora qui con me. Contrariamente a mia madre, lui era un Figlio della Musica proprio come me, ciò significa che avrebbe potuto aiutarmi in tale momento. Qualcosa nella mia anima sta mutando, e la mancata consapevolezza di tale cambiamento mi avvilisce profondamente. Con la tristezza nel cuore, siedo sul divano di casa, chiudendo quindi gli occhi. Il buio che mi circonda, conseguenza di tale gesto, è un mio semplice e mero tentativo di estraniarmi dalla dura realtà. Per qualche tempo, tale espediente sembra funzionare, ma improvvisamente, il silenzio creatosi nella stanza viene spezzato da un rumore. Il mio cellulare vibra incessantemente, ed io decido quindi di prenderlo in mano. Il display segnala l'arrivo di una chiamata, alla quale non tardo a rispondere. La voce di Julius mi rassicura e calma all'istante. “Crystal, ti senti bene?” lo sento dire, con un tono di voce leggermente preoccupato. Sentendo che la tristezza è in procinto di impadronirsi nuovamente del mio animo, non rispondo. Il mio dolore, unito al mio profondo stato di malessere, mi stanno letteralmente consumando. Il mio istinto ha la meglio su di me, e mi suggerisce che se il mio dolore non cessa, sarà la mia giovane vita a farlo. Per l'ennesima volta, delle lacrime scarlatte mi rigano le guance, ed io inizio a sentirmi sempre più debole. Finisco quindi per svenire sul divano di casa, avendo la sola forza di vedere i cuscini macchiati e ormai intrisi del mio sangue. La mia perdita di conoscenza, dura fortunatamente per poco tempo. Vengo svegliata dalla ridondante vibrazione del mio cellulare. A telefonare è di nuovo Julius. “Cosa ti è successo?” mi chiede, con voce rotta dall'emozione. “Ho solo avuto un mancamento.” Rispondo, nel vano tentativo di rassicurarlo. “Resta dove sei, vengo subito da te.” Dichiara, ponendo quindi fine alla telefonata. La stessa, finisce così velocemente da non lasciarmi neppure il tempo di tranquillizzare Julius. Ad ogni modo, lascio andare il telefono, posandolo con cura sul tavolo del salotto. Dando un rapido sguardo ad uno scaffale, prendo in mano uno degli interessanti libri che lo stesso custodisce, tornando quindi a sedermi per iniziare a leggere. Mi perdo velocemente nella lettura, sperando che la mia giornata possa riacquistare almeno un briciolo di normalità. Tale speranza, sembra tuttavia infrangersi inesorabilmente dopo circa una decina di minuti. Difatti, qualcuno bussa alla porta. Posando il libro sul divano, mi alzo in piedi, con la ferma e decisa intenzione di andare ad aprire. Afferro saldamente la maniglia della porta, abbassandola lentamente. La porta si apre quindi con un leggero cigolio preceduto da un debole scatto. Sull'uscio di casa mia c'è Julius. Dall'espressione del suo volto, capisco che è davvero stanco. Respira infatti a fatica, e porta con sè uno zainetto. La fredda pioggia si abbatte sul terreno, bagnandogli leggermente il viso e una ciocca dei suoi scurissimi capelli castani. Con un rapido gesto della mano, lo invito ad entrare. Julius mi sorride, salutandomi amichevolmente e decidendo quindi di liberarsi della giacca che porta. “Perché sei qui?” gli chiedo, curiosa. “Mi hai fatto preoccupare, così sono corso da te.” Risponde, culminando la frase con un luminoso sorriso. A quelle parole, provo un senso di istantanea felicità, ma per qualche strana ragione, sento che le forze iniziano ad abbandonarmi. Nel tentativo di non far preoccupare Julius, mi accomodo sul divano di casa, ma tale farsa non regge a lungo. Gli basta infatti guardarmi negli occhi, per capire che qualcosa in me non va. Con fare premuroso, mi cinge quindi un braccio attorno alle spalle. Trovando i suoi gesti davvero confortanti, non proferisco parola, limitandomi a sorridere. Spostando leggermente lo sguardo, noto che Julius è ora intento ad aprire il suo zaino. Stranita, lo guardo senza capire. “Voltati.” mi chiede, guadandomi negli occhi. Senza protesta alcuna, decido di obbedire, dandogli quindi le spalle per qualche secondo. Tale lasso di tempo, basta perchè Julius appoggi il mio diario proprio sulle mie gambe. Quando tornai a guardarlo, solo pochi istanti dopo, un dubbio mi sorse spontaneo. Mi chiedevo infatti, come Julius potesse essere entrato in possesso del mio diario. Rimango perfettamente immobile, e quando il mio sguardo incrocia il suo, un ricordo si fa subito strada nella mia mente. Difatti, ricordai solo in quel preciso istante che non me lo aveva restituito, tenendolo con sè. Quasi istintivamente, presi in mano il mio diario. Lo fissai per alcuni interminabili secondi, allo scadere dei quali, Julius mi chiese di aprirlo. Gli obbedii una seconda volta, e la scoperta che feci subito dopo, mi lasciò senza fiato. Ebbi la gioia di notare, infatti, che Julius aveva scritto una dedica al fondo di una delle pagine. “Alla ragazza che mi ha rubato il cuore.” Questa la singola e profondamente significativa frase che costituiva la dedica. Nel leggerla, ignorai una scarlatta lacrima che mi scivolò sul viso, rischiando di macchiare le bianche e immacolate pagine del mio diario. Da quel momento in poi, nella stanza cadde il silenzio. Fra me e Julius si era appena creato una sorta di muro invisibile. il mutismo si era ormai impadronito di me. Distrutta da due sentimenti profondamente contrastanti, non riuscivo a proferire parola. Sapevo di amare Julius con tutta me stessa, ma ero al contempo perfettamente consapevole di non poter esternare completamente i miei sentimenti. Aprendo quindi una breccia nell'invalicabile muro che ora esiste fra di noi, lo prendo per mano, lasciando che tale gesto parli per me. A nostra insaputa, le ore passarono, ed entrambi finimmo per scivolare in un profondo sonno, allietati l'una dalla presenza dell' altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
Capitolo VII


Bugie e verità


Sono ancora pigramente sdraiata sul divano di casa, quando improvvisamente il sole fa capolino fra le nuvole, inondando quindi di luce il salotto. Sbadigliando e stropicciandomi gli occhi, decido di rimettermi in piedi. Guardando la mia immagine riflessa nello specchio del bagno, mi accorgo di aver dormito con gli abiti che indossavo il giorno prima. Ad un tratto, un pensiero mi attraversa fulmineo la mente. Mi chiedo infatti, che fine abbia fatto Julius. Mi aspettavo di vederlo coricato sul sofà mentre tornavo in salotto, ma scoprii presto di sbagliarmi. Difatti, accortami della sua assenza, conclusi che Julius doveva sicuramente essersene andato durante la notte. Stranamente, tale avvenimento fa accendere dentro di me una scintilla di rabbia, subito smorzata da un sensazione di acuto dolore. Per l'ennesima volta, delle lacrime mi rigano il viso, ed io non riesco a fare nulla per fermarle. Il dolore che provo è così forte da impedirmi qualunque movimento o reazione. Ad ogni modo, chiamando a raccolta le mie forze, mi dirigo lentamente verso il bagno. Una volta arrivata, accendo subito la luce, iniziando quindi a guardare la mia immagine riflessa nello specchio. So bene di essere la solita sedicenne bionda e dagli occhi verdi, ma per qualche strana e occulta ragione, un presentimento mi porta a credere di essere profondamente cambiata. Sono venuta alla luce con la ferma e fiera consapevolezza di essere una Figlia della Musica, ma al contempo, so che tale consapevolezza è unicamente parziale. Per anni, i miei poteri sono stati qualcosa da nascondere, come un segreto o una sorta di maleficio, ed io, ora come ora, sono giunta ad una conclusione. Mettendo da parte l'istinto, lascio che stavolta siano le mie emozioni a guidarmi. Non riesco più a sopportare il mio vero essere. La mia vita va avanti nello stesso modo ormai da anni, eppure sento di conoscermi davvero poco. Sono stanca di dover fingere, di dovermi nascondere, e di dover mentire a coloro che amo. Per tale ragione, ho ormai preso un’importante decisione. Se davvero desidero avere una vita normale, i miei poteri devono sparire. Dirigendomi quindi nella mia stanza, ammiro il mio riflesso nello specchio, spostando lo sguardo sul mio ciondolo. Togliendomelo con un gesto della mano, decido, in un impeto di rabbia mista a tristezza, di lasciarlo cadere per terra. Abbasso quindi lo sguardo, posandolo sul pavimento della mia camera. Ora come ora, mi resta solo una cosa da fare, ossia distruggere quel ciondolo. Mentre sono nell’atto di farlo, la porta della mia camera viene subito aperta. “Ferma!” sento urlare da mia madre, che si precipita nella stanza. Spaventata, mi voltai verso di lei, sgranando gli occhi. “Che cosa vuoi da me?” le chiesi, arrabbiata e confusa.” So cosa vuoi fare, e non posso permettere che accada.” Mi disse, guardando il mio ciondolo, che fino a quel momento, era rimasto sul pavimento della stanza. Lentamente, decise di raccoglierlo, stringendolo in mano. “Questo ciondolo è l’unico ricordo che abbiamo di tuo padre, Crystal. Non può andare in pezzi.” Non te ne ho mai parlato, ma so tutto sui Figli della Musica.” Aggiunse, confondendomi ulteriormente. Mi limitai quindi a guardarla, aspettando che si spiegasse meglio. “Anche io sono come te.” Concluse, fulminandomi con lo sguardo. Subito dopo, lasciò la mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Ero attonita. Quella rivelazione così fredda e spontanea mi aveva lasciata senza parole. Ora conoscevo la pura verità, che mi era stata nascosta per anni. Sapevo che anche mia madre era del mio stesso stampo. Ad ogni modo, una singola differenza ci rendeva distinguibili. Io sono nata con tali poteri, mentre lei li ha acquisiti convolando a giuste nozze con mio padre. L’animo di mia madre è quindi diviso in due parti, una umana, e un’altra mistica. L’essere parzialmente umana, le conferisce una sorta di stabilità ai suoi poteri, che io non possiedo. Difatti, la morte di mio padre, ha generato in me un importante cambiamento, rendendo il mio animo molto più fragile. Finalmente, ogni mio malessere trova una spiegazione.  Il dolore che provavo, era difatti causato, oltre che dalla scomparsa di mio padre, anche da un mio squilibrio emotivo, diretta conseguenza della repentina mutazione dei miei poteri. Di recente, ho infatti scoperto di possedere un’abilità a dir poco unica. Essendo una Figlia della Musica, posso trasmettere i miei sentimenti ad altre persone semplicemente tenendole per mano. Gli stessi, verranno percepiti dal ricevente sotto forma di melodia. Ad ogni modo, c’è ancora una cosa che non riesco a capire. Non comprendo infatti la ragione per cui mia madre mi ha tenuto nascosto il suo segreto così a lungo, arrivando perfino a mentirmi per evitare di rivelarmelo. Ad ogni modo, ora anche questa verità è venuta a galla. Finalmente, inizio a sentirmi meglio. Il dolore provato finora è scomparso. Ora come ora, provo delle emozioni indescrivibili. La felicità che provo per essere finalmente riuscita a scoprire i segreti della mia famiglia e del mio vero essere, è ormai incontenibile. Ogni dubbio, bugia e verità nascosta ha cessato di esistere. So finalmente di conoscermi a fondo.
 
 
 
 
 
 
Capitolo VIII


Rivelazioni pericolose


Per qualche strana ragione, quest’oggi un alone di mistero aleggia su Shady Point. Un’umida nebbia permea l’aria. Il minaccioso e freddo vento sibila come un flessuoso e venefico serpente. Il sole, intimidito e nascosto dalla fitta coltre nebbiosa, non splende come è solito fare. Delle nere nuvole prendono quindi il posto del sole stesso, celandolo alla mia vista e impedendogli di brillare. Tristi e fredde gocce di pioggia iniziano lentamente a cadere, abbattendosi sul terreno. Come ogni mattina, vengo accompagnata a scuola da mia madre. La pioggia batte sul parabrezza, scivolando quindi sui finestrini dell’auto. Le gomme della stessa slittano sull’asfalto bagnato. Mia madre ha gli occhi fissi sulla strada, e non osa distrarsi per alcuna ragione. Guardo quindi fuori dal finestrino, mantenendo un religioso silenzio. Il panorama che ho dinanzi è davvero deludente. Non vedo altro che pioggia e nuvole. Sono certa che un temporale avrà inizio da qui a poco. sospirando, sposto il mio sguardo sull’umido asfalto, che scivola via mentre viaggio verso la mia scuola. Un improvviso lampo squarcia il cielo, e la luminosità dello stesso mi costringe a chiudere gli occhi. Nel mero attimo in cui decido di farlo, sento un rumore sordido, simile ad un tonfo. Riaprendo gli occhi, scopro che mia madre ha fermato l’auto. Il freddo ci impedisce di proseguire. Dopo pochi istanti di attesa da parte mia, noto che mia madre tenta di rimettere in moto la macchina. Il motore sembra essersi letteralmente congelato, e tutto ciò può significare soltanto una cosa. L’auto di mia madre è in panne. Ora come ora, c’è soltanto una strategia da attuare. Devo assolutamente trovare un altro modo per arrivare a scuola. Ad ogni modo, in questo preciso istante, non riesco a formulare nessuno stratagemma. Generalmente, le mie capacità logiche sono incredibili, ma sembra che le mie competenze siano appena state completamente azzerate. Quello che ora stiamo affrontando, non è che un semplice imprevisto, che sta tuttora confondendomi. Nella mia testa c’è ora un solo pensiero. So bene che in un modo o nell’altro, devo superare questo scoglio. Guardando per un attimo fuori dal finestrino, mi accorgo di essere vicinissima alla mia meta. Scusandomi con mia madre, apro velocemente la portiera, scendendo quindi dalla macchina per recarmi verso la scuola. “Dove vai?” mi chiede mia madre, tenendo gli occhi fissi su di me. “A scuola.” Rispondo, camminando senza voltarmi. “Crystal, fa troppo freddo!” urla mentre mi allontano, nella vana speranza di essere sentita. In quel momento, non posso fare altro che ignorare le suppliche di mia madre, che continua a chiedermi di tornare indietro. Quella che ora mostro, non è ribellione o intolleranza alle regole, bensì decisione. Ho fissa in mente una meta ben precisa, che intendo raggiungere ad ogni costo. Ora come ora, la scuola è l’unico posto in cui posso incontrare Julius. Dopo le ultime giornate passate insieme a lui, sento davvero un forte e insopprimibile bisogno di parlargli. Dopo tutto questo tempo, sento di aver finalmente trovato il coraggio di confessarmi a lui. I miei sentimenti per lui sono davvero forti, e io non riesco più a tenere questa verità ancorata al mio animo. Il mio incurabile stato di malessere è svanito, e io credo che sia solo grazie a lui. Dopo alcuni interminabili e incalcolabili minuti, raggiungo finalmente la mia destinazione. Finalmente al riparo dal freddo, cammino spedita nei corridoi scolastici. Raggiungo quindi in tutta fretta la mia aula, entrandovi senza esitare. La scena che ho davanti mi allibisce. Ho ormai aperto la porta dell’aula, ma la mia mano sta ancora esercitando una ferrea presa sulla maniglia della stessa. Lasciandola subito andare, e fingendo noncuranza che in realtà non provo, vado a sedermi al mio posto. “Dov’è Julius?” sussurro, rivolgendomi a Sophia. La stessa, non fa uso delle parole per rispondermi, limitandosi quindi a scuotere il capo. Evidentemente, non ha la più pallida idea di dove sia. Spostando il mio sguardo su Jamie, le pongo la stessa domanda. Quasi a voler imitare Sophia, Jamie si stringe nelle spalle, lasciandomi intendere che non sa nulla di Julius. Le ore scolastiche sembrano infinite. Intanto, mentre i minuti che compongono la giornata odierna sembrano trascinarsi a fatica in quest’arco temporale apparentemente infinito, Camille continua a lanciarmi occhiate che non lasciano trasparire alcuna emozione. Ha le gote arrossate per via del freddo, e non sembra volermi staccarmi gli occhi di dosso. Posando lo sguardo sul mio libro di biologia, materia che peraltro amo quasi quanto l’arte, tento di ignorarla. Mentre mi immergo nella lettura, Jamie mi sussurra qualcosa all’orecchio. Ad ogni modo, non riesco a capire ciò che ha dirmi. Le fitte pagine che sono intenta a leggere, bastano a lasciare che io mi estranei da ciò che mi circonda. La campanella dell’intervallo suona, disturbando il mio udito e i miei pensieri. Ora come ora, sono impegnata a rimettere a posto le mie cose. Mi impegno quindi a riporre ogni mio libro all’interno del mio zaino. Per fare ciò, sono costretta ad abbassarmi, finendo quasi per nascondermi sotto al banco. Alcuni minuti dopo, una lunga e sinuosa ombra si staglia su di me. Alzando lentamente lo sguardo, scopro che Camille ha gli occhi fissi su di me. Quel suo sguardo così glaciale non promette nulla di buono. Non sono tuttavia dell’umore per discutere con lei. “Che cosa vuoi da me?” le chiedo, sprezzante. “Niente, soltanto il tuo diario.” Risponde, a muso duro. “Non lo avrai mai!” finisco per urlare, alterandomi di colpo. Dopo averle risposto, mi alzo in piedi, con la ferma intenzione di dirigermi verso il cortile della scuola. La pioggia ha smesso di scrosciare, e sono certa che il tiepido sole, unito alla leggero e fresco vento primaverile, mi calmerà i nervi. Arrivata in cortile, appoggio pigramente la schiena contro un muro, iniziando a leggere alcune pagine di uno dei miei romanzi preferiti. Con il solo movimento degli occhi, scorro i neri caratteri impressi sulle pagine innumerevoli volte. La mia lettura, viene tuttavia interrotta per la seconda volta da Camille. “Sto aspettando, Collins.” Disse, chiudendo il mio libro con un gesto della mano e facendolo finire per terra. “La tua attesa non avrà fine, poiché io non ho alcuna voglia di parlarti.” Risposi, abbassandomi per riprendere il mio libro. “Non te la caverai tanto facilmente! I Rinnegati come me sanno tutto sul tuo conto!” Urlò, mentre io mi allontanavo spedita. Mentre camminavo, venni ad ogni modo colpita dall’ultima frase che pronunciò. Non capivo infatti, cosa intendesse con quelle parole. Non avevo la minima idea del perché Camille fosse così in collera con me, né conoscevo il motivo per il quale si definiva una Rinnegata. Ad ogni modo, feci del mio meglio per non badare a tale dettaglio, che non potevo tuttavia, definire insignificante. Compresi, per mezzo di un ponderato ragionamento, che tale rivelazione doveva avere una sicura correlazione con il mio vero essere. Ad ammetterlo, essendo quindi totalmente sincera, Camille non mi è mai piaciuta. Non l’ho mai vista granchè di buon occhio, né ho mai tentato di instaurare con lei un rapporto di amicizia. Un mio negativo presentimento, mi suggerisce che quella ragazza sarà per me soltanto fonte di problemi. La campanella suona, distraendomi dai miei pensieri e riportandomi alla realtà. Anche questa giornata scolastica ha appena avuto fine. Ora come ora, cammino lentamente per i corridoi scolastici, con la precisa intenzione di dirigermi verso l’uscita. Il mio cammino viene bruscamente interrotto da Jamie e Sophia. “Vuoi venire con noi?” mi chiedono, quasi all’unisono. Guardandole negli occhi, sospiro. “Mi dispiace ragazze, oggi ho da fare.” Rispondo, dando velocemente loro le spalle. Pur non avendo chiara l’espressione dei loro volti, riesco comunque a percepire la loro grande perplessità. Accelerando il passo, tento di non badare alle mie due amiche, che ora sono impegnate a scambiarsi sguardi colmi di incredulità. Visto il contrattempo e lo spiacevole incidente di stamattina, sono costretta a tornare a casa a piedi. Sopporto quindi il pungente freddo, stringendomi nella mia giacca, così da impedire la perdita del mio ormai esiguo calore corporeo. In poco tempo arrivo a casa, ancora tremante ed infreddolita. Salutando mia madre, mi libero della mia giacca, preferendo scaldarmi davanti al caminetto. Sprofondo quindi nella comoda poltrona accanto allo stesso, lasciando che il silenzio regni sovrano nel salotto di casa. Ora come ora, non si ode neppure il ronzio di una mosca. Il silenzio che mi avvolge, diviene presto assordante. Un acuto dolore alla testa mi costringe ad alzarmi in piedi. Compio tale azione così velocemente da destare la preoccupazione di mia madre. La stessa, si limita a guardarmi, confusa per quanto è appena accaduto. Evitando di rompere il silenzio creatosi fra di noi, la rassicuro scuotendo il capo e mostrando un debole e mellifluo sorriso. Subito dopo, mi accorgo che non mi resta alternativa dissimile dal dileguarmi, quasi arrossendo per la vergogna. Salendo in fretta le scale, mi precipito nella mia stanza. Apro quindi la porta, sbattendola senza volere. La mia camera è pulita e in ordine, proprio come ricordo di averla lasciata al mattino. Entrandovi, apro subito la gabbia di Bubbles, svegliandolo dal suo sonno. “Si può sapere cosa vuoi?” mi chiede, sbadigliando. “Bubbles, devi aiutarmi.” Gli rispondo, in evidente stato di preoccupazione. “Si tratta di Camille, ed è davvero importante.” Aggiungo, ignara di essere ignorata. “Non è altro che una semplice umana.” Risponde, chiudendo gli occhi e assumendo un’aria che gli conferiva profonda saggezza. In questo preciso istante, vorrei davvero trovare le parole per rispondergli, ma la mia ricerca si rivela vana, poiché un senso di impotenza fa sì che ogni mia frase sia destinata a morirmi in gola. Non riesco quindi a parlare, ed i miei sguardi increduli e attoniti, sono ora la mia unica via di comunicazione. Bubbles rimane immobile a guardarmi, non degnandomi di ulteriore risposta. Stranita dal suo comportamento, lascio subito la mia stanza, per tornare a sedermi in poltrona. Spero che il tepore del caminetto in questa giornata invernale, riesca ad alleviare la mia ansia. Ora come ora, non so davvero cosa pensare. Sin da quando ero bambina, mi è stato insegnato a fidarmi sempre ciecamente dei consigli del mio famiglio, ma visto quanto mi sta accadendo, tale compito sarà davvero arduo da portare a termine. Il dubbio legato alla probabile scoperta di una nuova informazione, unito alla mia incertezza riguardo ai muti discorsi del mio cuore, mi confondono, rimescolandosi nella mia testa come torbida acqua marina. Non mi resta quindi che chiudere gli occhi, sperando di far svanire ogni preoccupazione. Ad ogni modo, non importa quanto grande sia l’impegno profuso, poiché in questo preciso momento, tali memorie sembrano essere incancellabili. Avendo ormai raggiunto lo stremo delle forze, finisco per addormentarmi placidamente. Ad ogni modo, il mio sonno è interrotto più volte. La moltitudine di ricordi che si confonde nella mia mente, mi agita, tenendomi quindi sveglia. Intanto, ammiro l’aurora dalla finestra del salotto, che solletica la mia vista, inducendomi a sfregarmi gli occhi. È ormai mattina, e ogni possibilità di passare una notte tranquilla è ora svanita.
 
 
 
 


Capitolo IX


Una nuova verità


L’alba di un nuovo giorno splende oggi a Shady Point. Ripetendo per l’ennesima volta il mio rituale mattutino consistente in una veloce doccia seguita da un’altrettanto rapida ma sana colazione, decido di avviarmi verso la scuola. Il sole splende, e i suoi raggi mi scaldano la pelle. La stagione invernale è ai primordi, eppure oggi fa decisamente caldo. L’aria fresca mi riempie i polmoni, rendendo il mio viaggio verso la scuola molto meno stancante. Raggiungo la mia meta con il sorriso sulle labbra, ma lo stesso è presto destinato a spegnersi per un motivo ben preciso. Julius è di nuovo assente. Senza parlare, mi siedo lentamente al mio posto, ignorando i saluti di Jamie e Sophia, le quali, al contrario di me, ora sorridono. Spostando lo sguardo sul posto vuoto accanto al mio, mi lascio sfuggire un sospiro di tristezza. Ora come ora, provo una leggera invidia per le mie amiche, poiché contrariamente a loro, in questo istante non ho alcun motivo per sorridere. So che per l’ennesima volta dovrò restare in silenzio, non avendo la minima possibilità di esprimermi, e dovendo quindi attendere perché le cose tornino alla normalità. Chiamando a raccolta le mie forze, e facendo buon uso della mia ferrea volontà, evito di guardare quella sedia vuota, che riporta alla mia mente un solo ricordo. Julius. Il tempo passa, e sembra che con l’andare dello stesso, i miei sentimenti per lui si intensifichino sempre di più. Tale consapevolezza, non fa che avvilirmi, poiché so di non poter fare in modo che gli stessi tacciano ancora a lungo. Fingendo indifferenza che non provo, e mentendo a me stessa, mantengo un religioso silenzio, in modo da non destare i sospetti e la preoccupazione dei compagni. Il suono della campanella mi lascia indifferente, e un mio secondo sospiro si ode all’interno dell’aula. Fortunatamente, non attiro l’attenzione di nessuno, continuando quindi a fingere sensazioni non provate. Cercando nel profondo della mia anima la minima possibilità di calmare il mio improvviso malessere, mi abbandono alla scrittura. Aprendo il mio diario, poggiato sul banco davanti a me, lascio che la penna vi scivoli dolcemente, creando frasi che risultano essere, proprio come i miei gemmei occhi verdi, lo specchio della mia fragile anima. La mia mente è ora occupata, oltre che da idee, anche da riflessioni. L’inaspettato cigolio della porta dell’aula, mi fa sobbalzare, distraendomi e facendomi abbandonare i miei luminosi e positivi pensieri. Dopo aver emesso quel fastidioso rumore, la porta si apre. Guardando quindi in direzione della stessa, stento ad accorgermi della perdita di un battito da parte del mio cuore. Con mia grande sorpresa, Julius fa il suo ingresso nell’aula, scusandosi del ritardo. Lasciando inconsapevolmente che il mio sguardo incontri il suo, noto che mi sorride, e che procede quindi a salutarmi. Ricambio istintivamente quel saluto con un gesto della mano, accompagnato da un mio luminoso sorriso. Sto per tornare alle mie filosofiche riflessioni e ai miei fantasiosi giochi di parole, quando improvvisamente lo vedo sedersi al mio fianco e toccarmi lievemente una spalla.“Scusami per ieri” mi dice, tenendo basso il tono della voce. “Che intendi dire?” gli chiedo, confusa e stranita dalle sue parole. “Non ci siamo visti, così ho pensato ti fossi preoccupata.” Rispose, accennando un debole sorriso. “Lo ero. Cosa ti è successo?” gli chiesi, aspettando una risposta. “Problemi familiari.” Si limitò a dire, rendendo la sua risposta decisamente enigmatica. In preda alla confusione, scossi il capo un paio di volte. Volevo che si spiegasse meglio, ma al contempo non volevo sembrare invadente. A tal proposito, decisi di tacere, muovendo le labbra unicamente per sorridere. Julius rispose al mio gesto cingendomi un braccio attorno alle spalle. “Devo parlarti.” Disse, mentre era nell’atto di farlo. Successivamente, mi condusse fuori dall’aula per pochi minuti, che non mi curai di contare visti i miei sentimenti per lui. Non davo la minima importanza allo scorrere del tempo. Eravamo insieme, ed era come se ogni altra persona fosse scomparsa. Lo guardavo negli occhi, perdendomi nella profondità degli stessi. Prima di dare inizio al suo discorso, chiuse la porta dell’aula alle sue spalle. Subito dopo, afferrandomi le mani e deglutendo, pronunciò una frase che non dimenticherò mai. “Io ti amo, Crystal. Da ora il mio cuore è tuo.” Rimasi immobile a guardarlo, e il silenzio esistente fra di noi venne spezzato dal contatto delle nostre labbra. Quello che ricevetti, fu uno dei baci più dolci e sinceri al mondo. Il tempo sembrò essersi letteralmente fermato, ogni rumore aveva taciuto, e le nostre sensazioni parlavano per noi. Stringendomi le mani, Julius mi condusse fuori dalla scuola, portandomi in un meraviglioso prato fiorito. “Finalmente siamo soli.” Disse, esercitando sulle mie mani una presa ancora più forte. “Proprio come volevo.” Risposi, posando le mie labbra sulle sue. “Ora torniamo indietro.” Mi disse, dopo avermi baciata. “Domani ti racconterò una storia.” Aggiunse, facendo suonare tale frase come una promessa. Lasciai quindi che mi prendesse la mano, e camminai al suo fianco fino a raggiungere la scuola. Quando finalmente rientrammo, era come se nessuno si fosse accorto della nostra assenza. Tutti i compagni erano impegnati e assorti nella lettura dei loro libri di testo, e per tale ragione, nessuno di loro badò a noi. Occupammo i nostri posti senza parlare. Inconsciamente, fuggivamo l’ uno dagli sguardi dell’altra, e gli stessi parevano inseguirsi. Poco tempo dopo, la campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni. Mi diressi verso l’uscita della scuola, con l’unica intenzione di tornare velocemente a casa. Le parole di Julius mi avevano confusa, e volevo solo raggiungere la calma del mio focolare domestico, per sedermi e riflettere. Una volta arrivata a casa, sprofondai subito nella poltrona accanto al caminetto, godendomi il calore e il crepitio delle fiamme. Vedendomi in quella posizione, mia madre mi si avvicina, porgendomi il mio romanzo preferito. Senza perdere la calma, la informo di non aver voglia di leggere, sottolineando di desiderare solo un pizzico di tranquillità. Ad ogni modo, non importava quante energie investissi nelle mie argute riflessioni, poiché ognuna delle stesse sembrava essere illogica. Gettando quindi la spugna, mi diressi verso la mia stanza, e quando vi entrai, mi sdraiai sul letto senza proferire parola. Fu questione di pochi minuti, e senza neppure accorgermene, mi addormentai. Prima di farlo, sperai silenziosamente di riuscirci, pregando di non venir svegliata da ricordi o pensieri di sorta. Le mie preghiere furono sorprendentemente ascoltate, difatti riuscii senza alcun problema a cadere in un profondo sonno, cullata dal suono della pioggia invernale che batteva sul vetro della mia finestra.
 
 
 
 

Capitolo X


Identità nascoste


La pioggia ha ormai smesso di scrosciare, e il cielo ospita il raggiante sole, che asciuga il prato del mio giardino pregno di rugiada. Una lucertola si scalda grazie alla potenza e al calore dei suoi raggi, concedendosi una pausa dal suo intenso ritmo di vita. Sto ancora dormendo, ma vengo svegliata dallo zigare del mio coniglio. Quel verso quasi impercettibile, basta a risvegliarmi dal sonno in cui sono caduta alcune ore prima. Mi strofino controvoglia gli occhi ancora assonnati e cisposi, e sbadiglio appannando il vetro della mia finestra. Parte del mio rituale mattutino, consiste nell’ammirare la bellezza del paesaggio per alcuni minuti, in modo da  riuscire a trarre ispirazione per i miei disegni. Quello odierno, tuttavia, non sembra essere poi così diverso da quello su cui poso il mio attento sguardo ogni giorno. Aprendo la finestra, non vedo altro che il mio meraviglioso giardino, perfettamente curato e rigoglioso. Ogni singolo fiore sembra avere il suo posto nel prato, i cui esili fili d’erba rilucono a causa della rugiada. Ciascuna goccia, sembra avere l’aspetto di una piccola ma preziosa gemma. Sbadigliando per una seconda volta, respiro a pieni polmoni, lasciando che la fresca e incontaminata aria mattutina agisca sul mio umore. Ad essere sincera, sono ancora preoccupata e confusa dalle parole di Julius, il quale, dopo averle pronunciate, ha velocemente cambiato l’argomento di conversazione, quasi a non volere che io mi insospettissi. Per sua grande sfortuna, il sotterfugio da lui architettato non ha avuto effetto, ed io non ho potuto fare a meno di impensierirmi. In pochi minuti, sono pronta per la scuola, e afferrando il mio zaino, esco subito di casa. Subito dopo, inizio a camminare verso la mia meta. Sono completamente concentrata sul mio cammino, che viene interrotto da un rumore di passi alle mie spalle. Mi volto quindi di scatto, notando la snella e slanciata figura di Julius avvicinarsi. Rimango immobile finchè non mi si affianca, e solo in quel momento riprendo a camminare. Julius mi saluta affettuosamente, appoggiando una mano sulla mia spalla. “Come stai?” mi chiede, sorridendo. “Bene.” Gli rispondo, sorridendo a mia volta. “Scusami ancora.” Aggiunge, mutando incredibilmente il tono della sua voce. La guardai per un attimo negli occhi, e dopo aver capito a cosa si riferiva, feci segno di no con la testa, così da fargli capire che non c’era alcun problema. Alla fine di quella conversazione, riprendemmo il nostro cammino l’uno al fianco dell’altra. Ad un tratto, Julius mi prese per mano, e potei letteralmente giurare di sentire i nostri battiti cardiaci sincronizzarsi. Pur notando tale particolare, decisi di non proferire parola, tacendo per il resto del nostro cammino fino a scuola. Quando finalmente arrivammo in classe, occupammo diligentemente i nostri posti, preparandoci ad iniziare la lezione di arte. Dopo aver preso il mio blocco da disegno dal mio zaino e averlo poggiato sul banco, tirai fuori una matita dal mio astuccio, e iniziai subito a disegnare. Rispettando la consegna della signorina Silver, secondo la quale avremmo dovuto realizzare un disegno che rappresentasse le nostre emozioni, disegnai un ritratto di mio padre. Lo scelsi come soggetto del mio disegno, poiché volevo che la mia ansia e la mia tristezza svanissero una volta per tutta. Sfortunatamente, quel ritratto riportò alla mia mente migliaia di ricordi. Difatti, ripercorsi mentalmente la mia infanzia, ripensando a tutti i meravigliosi momenti passati con mio padre. Una purpurea lacrima mi solca il volto, e Julius ha cura di asciugarmela con un fazzoletto, che provvede a nascondere nella tasca del suo giubbotto, quasi a non volere che i compagni se ne accorgessero. Essendo una Figlia della Musica, posso affermare di essere in tutto e per tutto diversa dai semplici umani. Per tale ragione, perfino le mie lacrime sono dissimili dalle loro. Nei momenti di estrema tristezza, infatti, noi Figli della Musica versiamo lacrime insanguinate. “Non piangere, Crystal. È davvero un bel disegno. Mi disse Julius, accarezzandomi dolcemente una guancia. “Grazie.” Rispondo, tirando su col naso. “Adesso calmati, e vieni con me.” Aggiunge, prendendomi delicatamente la mano. Senza protestare, lascio che Julius mi conduca nel cortile della scuola, che attraversiamo per giungere in un angolo più arioso e tranquillo. “Perché mi hai portata qui?” gli chiedo, guardandolo negli occhi. “Ho qualcosa da dirti.” Risponde, in tono stranamente glaciale e serio. Ascoltandolo, non proferisco parola, invitandolo quindi a proseguire il suo discorso con un cenno del capo. “Crystal, tu non lo sai, ma io sono come te.” Disse, stringendomi forte le mani. Non sapendo cosa dire, rimango muta come un pesce. “Non te l’ho detto in tutto questo tempo, ma è proprio così. Io e te siamo uguali, Crystal.” “Cosa? Non riesco a crederci!” ho la sola forza di rispondergli, ben sapendo che la confusione ha ormai preso il sopravvento su di me. “Capisco il tuo smarrimento. Se vuoi posso anche dimostrartelo.” Disse, spostando il suo sguardo sulle mie candide e tremanti mani. Con estrema delicatezza, mi sfiora quindi la mano destra. “Cosa senti?” mi chiede, riaprendo gli occhi, chiusi fino a quel momento. “Pace.” Rispondo, sorridendo al suo tocco. “Adesso mi credi?” aggiunse, aspettando una mia risposta. Guardandolo negli occhi, e venendo rapita dal suo sguardo, mi limitai ad annuire. Subito dopo, lasciai che mi prendesse per mano. Così, l’uno al fianco dell’altra, attraversammo gli ampi corridoi scolastici fino a tornare nella nostra aula. Non appena rientrammo, la campanella suonò, segnando la fine dell’intervallo, e l’inizio della quarta ora di lezione. Tale ora, sembrava essere letteralmente infinita. I lunghi minuti che la componevano parevano non passare mai, e l’orologio appeso al muro dell’aula sembrava essersi fermato. Tranquillamente seduta al mio posto, maschero la mia mortale noia prendendo accuratamente appunti riguardo all’odierna lezione di geometria. Scrivo in silenzio, volendo evitare di disturbare i miei compagni. La mia concentrazione viene improvvisamente spezzata da un insolito bisbiglio alle mie spalle. Due ragazze sedute in fondo all’aula, chiacchierano fra di loro. Non possedendo una verve polemica, decido di provare ad ignorarle, anche se il loro continuo bisbigliare mi arreca fastidio. Per tale ragione, mi volto subito, tornando a fissare il mio quaderno pieno di fitti appunti scritti a mano. Le mie due compagne sembrano non avermi notata, e continuano imperterrite a parlare fra di loro. Faccio quindi del mio meglio per concentrarmi sulla lezione, non riuscendoci unicamente a causa loro. Ad ogni modo, mantengo la calma, ed evito di scompormi. Distraendomi, finisco per ascoltare i loro discorsi. Con mia grande sorpresa, scopro che stanno parlando di Camille. Silenziosamente, mi chiedo cosa vogliano da lei, e mi volto a guardarle. Inaspettatamente, entrambe si accorgono di me, e smettono subito di parlare. Notando la mia distrazione, Julius mi afferra il polso, chiedendomi di guardarlo. “Lasciale stare. A quanto sembra non ti vogliono intorno.” Mi dice, stringendomi la mano. Subito dopo, mi regala un ampio e luminoso sorriso. La sua calma finisce per contagiarmi. Difatti, da quel momento in poi, i problemi sembrano non toccarmi. Le due ragazze alle mie spalle possono parlare di tutto ciò che vogliono, poiché a me non interessa minimamente. All’improvviso, una speranza si accende nel mio cuore, e un pensiero si fa largo nella mia mente. Finalmente ho capito qualcosa di davvero importante. Julius è un ragazzo splendido, l’unica persona che abbia saputo risollevarmi il morale dopo la scomparsa di mio padre. Mentre lascio che questi dolci pensieri galleggino nella mia testa come le frizzanti bollicine di una bibita gassata, ignoro il penetrante e fastidioso suono della campanella scolastica. Solitamente, la stessa funge da distrazione, ma stavolta non è così. Ora come ora, infatti, la mia felicità è tale da non poter essere rovinata in alcun modo. Intanto, l’ultima ora di scuola giunge al termine. Senza alcuna fretta, sistemo i miei libri nel mio zaino, impilandoli quasi simmetricamente. Subito dopo, afferro il mio zaino, dirigendomi verso l’uscita della scuola. Credo ingenuamente di essere sola, tardando quindi ad accorgermi che Julius è ancora al mio fianco. Con grande gentilezza, si offre di accompagnarmi a casa, ed io accetto di buon grado. Dopo essere usciti da scuola, ci incamminiamo. Durante il tragitto verso casa mia, scambiamo qualche parola, inevitabilmente seguita da sorrisi e risate. In poco tempo, raggiungo casa mia, e mi trovo costretta a salutarlo. Sono quindi pronta a farlo con un semplice gesto della mano, che lui interrompe inaspettatamente, baciandomi. Mi sciolgo dal suo forte ma romantico abbraccio dopo poco tempo, avviandomi verso la porta di casa mia. Estraendo la chiave dalla tasca della mia giacca, la apro subito, salutandolo con un gesto della mano. “Ci vediamo domani.” Mi dice, prima che riesca a entrare in casa. Mi volto nuovamente nella sua direzione, lasciando che le mie labbra si dischiudano in un meraviglioso sorriso. Mentre richiudo lentamente la porta, lascio che la felicità abbia la meglio su di me. Per alcuni, la frase che mi ha rivolto potrebbe sembrare semplice e priva di significato, ma per me non è affatto così. Difatti, tale frase è una solenne promessa, che a mio parere, Julius manterrà sicuramente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XI


La realtà dei fatti


L’odierna giornata che ha appena avuto inizio nella mia amata Shady Point, il cui cielo è illuminato dal raggiante sole mattutino, mi fa sorgere un irritante dubbio. Difatti, non riesco a evitare di pensare ai discorsi delle mie due compagne di classe. Le due parlavano incessantemente di Camille, sul conto della quale, ho sempre avuto dei sospetti alquanto fondati. Mi chiedo davvero cosa vogliano da lei. Forse non sanno che la mossa migliore consiste nell’ignorarla. Ad ogni modo, entrambe continuano ingenuamente a stuzzicarla, ignare del fatto che prima o poi, la serpe a cui stanno perennemente incollate, si rivolterà contro di loro. Vorrei avvertirle, e qualcosa mi dice che tale decisione è la migliore da prendere. Mi dirigo quindi verso la mia scuola come ogni soleggiata mattina, riuscendo ad arrivare perfino in anticipo rispetto ai miei compagni. Mi ritrovo quindi completamente sola all’interno della mia aula. Approfittando del temporaneo silenzio, e della temporanea calma che regnano sovrane attorno a me, tiro fuori dal mio zaino il mio fido diario. La fine rilegatura in pelle di squisita fattura, impedisce che le pagine possano essere rovinate. Sono impegnata a scrivere frasi profonde e veritiere all’interno del diario stesso, e ammetto di essere profondamente concentrata. Ad ogni modo, vengo irrimediabilmente distratta dal cigolio della porta dell’aula che si apre. Alzo quindi di scatto la testa, venendo scossa da un brivido di freddo e paura. Recupero la calma pochi secondi dopo, ossia quando scopro che ad entrare è la mia amica Sophia, seguita da Jamie. Entrambe, mi salutano affettuosamente, ed io non posso evitare di ricambiare. Sono davvero molto legata a loro, e so che il nostro rapporto è semplice, ma al contempo molto profondo. Sono delle amiche davvero sincere, e so bene di potermi fidare ciecamente di loro. Dopo qualche minuto, anche Julius fa il suo ingresso nell’aula. Con grande sorpresa, noto che è seguito da un ragazzo alto e biondo, con il quale è impegnato a chiacchierare. Notando la mia presenza nell’aula, si allontana subito dal suo amico, venendo quindi a salutarmi. “Buongiorno, Crystal.” Mi dice, posando le sue labbra sulle mie. Rimango completamente immobile, concentrandomi sulla qualità di quel meraviglioso bacio. Lo stesso, della durata di circa un minuto, basta a rallegrarmi la giornata. Sfortuna vuole, che subito dopo quel magico momento, Camille entri in aula, lanciandomi un’occhiata carica d’odio. Per l’ennesima volta, su consiglio di Julius, decido di ignorare il comportamento di quella serpe. Tornando a sedermi al mio posto, riprendo silenziosamente l’attività che ho lasciato in sospeso. “Ami ancora la scrittura, vero?” chiede sarcasticamente Julius, che è intento a guardarmi. “Hai perfettamente ragione.” Gli rispondo, evitando di distrarmi e continuando a far scivolare la mia penna sulle bianche pagine del mio diario. “Credo che faresti meglio a stare lontana da Camille.” Mi disse, in tono serio. “Lo pensi davvero?” gli chiesi, dubbiosa. “Non sono mai stato così sicuro di qualcosa in vita mia.” Concluse, sorridendo. Dopo averlo fatto, mi strinse a sé. Accettai quell’abbraccio come un consiglio fraterno, lasciando che i miei sentimenti e il mio cuore mi guidassero. Rimasi al fianco di Julius per l’intera durata delle prime due ore di lezione. Non appena l’intervallo ebbe inizio, scelsi di passarlo con le mie amiche. Stavo tranquillamente chiacchierando con loro, fin quando la nostra conversazione venne interrotta dalle due ragazze amiche di Camille. “Dobbiamo parlarti, Crystal.” Dissero, quasi all’unisono. Mi scusai con Jamie e Sophia, seguendo quelle due ragazze in un angolo dell’aula. “Siamo qui per parlarti di Camille.” Disse una di loro, in tono serio.” Evitai di parlare, annuendo semplicemente. Aspettai quindi che ricominciassero a parlare. “L’idea che ti sei fatta di lei è sbagliata.” Disse la seconda delle due ragazze. “Cosa intendi dire?” chiesi, aspettandomi una risposta. “Camille ha un passato davvero difficile.” Dissero entrambe. I loro toni di voce si unirono, ed io non fui più in grado di distinguerli. “Si è confidata solo con noi. Quando era ancora piccola, suo padre è stato arrestato.” Ammise una delle due. A quelle parole, trasalii. Ad essere sincera, non augurerei un male del genere neanche al mio peggior nemico. Improvvisamente, notai il terrore negli occhi di entrambe. Difatti, non tardarono a dileguarsi, per poi celarsi alla mia vista. Mi chiedevo che cosa le avesse spaventate, riuscendo a capirlo solo quando mi voltai. Camille era in piedi dall’altra parte dell’aula. Non sapevo se avesse sentito, né se si fosse arrabbiata, e raggelando, tentai di evitare tale pensiero. Feci quindi del mio meglio per mostrare calma e naturalezza, e mi abbandonai ad un sospiro di sollievo dopo la fine della giornata scolastica. Come di consueto, ero tranquillamente intenta a riporre i miei libri nello zaino, mentre mi guardavo attorno con aria circospetta. La vista di Camille poco prima mi aveva turbata, e volevo quasi inconsciamente evitare che mi vedesse. Visto il terrore che quella ragazza era riuscita a seminare nel mio cuore, in quel preciso momento volevo soltanto andarmene e tornare a casa, unico luogo in cui avrei potuto sentirmi protetta e al sicuro. Ad ogni modo, la mia fretta e le mie paure mi tradirono. Difatti, quando Julius si offrì gentilmente di riaccompagnarmi, rifiutai la sua offerta in modo alquanto brusco. Tale reazione andava contro la mia natura, e aver assunto quel comportamento nei confronti di un ragazzo come lui, mi avviliva profondamente. Nel tentativo di calmare la mia ansia, cercai in ogni modo di svuotare la mia giovane mente da ogni pensiero che vi si era ormai stabilmente annidato. Mi concentrai quindi sul mio cammino, riuscendo a raggiungere la mia destinazione in poco tempo. in quel preciso istante, ero così tesa e nervosa da entrare in casa senza neppure salutare mia madre. Quasi ignorandola, mi diressi subito nella mia stanza, e dopo essermi liberata del cappotto e dello zaino che avevo sulle spalle, aprii con un rapido gesto della mano la gabbia di Bubbles, il quale, fino a quel momento dormiva beato. Lo svegliai dal suo profondo sonno passandogli delicatamente le dita sul morbido pelo color pece. “Ho bisogno del tuo aiuto. Cosa sai dell'umana indisponente?” Gli chiesi, guardandolo negli occhi. “Quella ragazza è una semplice umana." Mi rispose, tentando di riportarmi alla calma. “Tu menti.” Dissi, in tono di sfida. Mentre aspettavo una sua risposta, notai che Bubbles evitava di guardarmi, come se in qualche modo avesse paura di me e della mia prossima reazione. Senza volere, quindi, lo feci tremare per lo spavento. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore, che cercava inutilmente di mascherare. Rimanevo in silenzio, aspettando che ricominciasse a parlare, ma lui stesso decise di non proferire parola. Ora come ora, i suoi comportamenti mi stranivano. Evidentemente, Bubbles era al corrente di qualcosa che non voleva assolutamente rivelarmi. Ancora una volta, mi sentii sprofondare in un abisso di paure, segreti e bugie. Visti i miei precedenti trascorsi, ormai ero giunta ad una sorta di punto di non ritorno. Non sapevo più se fidarmi delle persone mi avrebbe giovato o meno. Ero ormai naufraga in un mare di inconsapevolezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 


 
 
Capitolo XII


Indecisione


È notte fonda. Nella mia stanza regna il silenzio, ed io sono completamente immobile nel mio letto. Respirando piano, lascio che il tepore delle coperte mi avvolga, infondendomi sicurezza. Questa sera il freddo mi gela il sangue, impedendomi qualunque tipo di movimento. Strofinandomi gli occhi, prendo in mano il mio cellulare, che avevo riposto sulla scrivania accanto al letto.  È da poco passata la mezzanotte, e sbadigliando, tento di spegnere il telefonino. Ad ogni modo, non riesco a portare a termine tale azione, poiché lo stesso inizia a squillare. Spostando il mio sguardo sul display del cellulare, noto di aver ricevuto un messaggio. Controllando il numero del mittente, scopro che quel messaggio è da parte di Julius. Con la leggere pressione di un singolo tasto, decido di visualizzare quel messaggio. “Io e te dobbiamo parlare.” Queste le parole che quel dannato messaggio di testo recitava. Le stesse, mi confondevano. Mi chiedevo, infatti, che cosa avesse mai potuto volere da me a quell’ora della notte. Mettendo per un attimo da parte la razionalità, gli scrissi velocemente un messaggio di risposta, chiedendogli che cosa intendesse con quelle parole. Dopo circa un minuto, ricevetti un secondo messaggio da parte sua. “Voglio solo vederti” diceva. Attonita, fissavo attentamente il display illuminato, quasi a voler carpire in tal modo, il significato nascosto dietro a quei messaggi. Ad ogni modo, dopo vari e vani tentativi, decisi di desistere dal provarci, spegnendo definitivamente il cellulare. Stremata, riuscii a dormire solo per le poche ore successive, fino allo splendere dell’alba. Alle prime luci della stessa, mi alzai dal letto, decidendo di iniziare a prepararmi per la scuola. Una volta uscita dalla mia stanza, mi diressi verso il bagno, con l’unica intenzione di fare una doccia. L’acqua calda mi solleticava giocosamente la pelle, ed io non osavo oppormi a tale sensazione di benessere. Nello spazio di soli cinque minuti, fui fuori dalla doccia. Tornando quindi nella mia camera, aprii l’armadio, iniziando a pensare a come vestirmi. Dato il freddo vento che soffiava, facendo tremare il vetro della mia finestra, scelsi un comodo maglione, indumento che mi avrebbe sicuramente impedito di congelare. Le condizioni atmosferiche non erano certo ottimali,  ma decisi di stringere i denti e avviarmi verso la scuola. Aprii quindi la porta di casa, e non appena mossi un passo, mi accorsi subito della presenza di Julius. Era immobile davanti a me, e aveva un sorriso stampato sul volto. Non appena lo vidi, lo salutai affettuosamente. Ricambiando il saluto, Julius mi prese per mano, e insieme iniziammo il nostro cammino verso la scuola. Fra un passo e l’altro, notai che Julius teneva gli occhi fissi su di me, non curandosi del percorso che stavamo intraprendendo. Inizialmente, non coglievo il significato di tali sguardi, ragion per cui, tentavo di evitarli. Dopo poco tempo, capii che mi stava guardando con gli occhi di chi davvero ama. Gli regalai quindi dei luminosi sorrisi, ai quali rispose con delle forti strette di mano. Tutto quello che stava accadendo, non sembrava assolutamente essere reale, e per tale motivo, una parte di me mi ripeteva di sfuggire da quegli sguardi, e di concentrarmi unicamente sul mio cammino. Dando quindi retta ai miei muti pensieri, distolgo il mio sguardo da lui. Dopo pochi minuti, Julius ed io raggiungiamo la nostra destinazione l’uno al fianco dell’altra. Entrammo in aula quasi contemporaneamente, andando subito ad occupare i nostri posti. Stranamente, vengo squadrata da capo a piedi dalla mia insegnante, la signorina Silver. Si avvicina lentamente al mio banco, chiedendomi di mostrarle uno dei miei disegni. Annuendo, apro subito lo zaino, mostrandole una delle mie ultime creazioni. Ancora una volta, ricevo lodi e complimenti dalla signorina Silver, la quale, mi rende il disegno, che ora porta la sua firma, scritta in inchiostro rosso vivo. Ripongo quindi il disegno sotto al mio banco, notando che lo stesso ha attirato l’attenzione di Camille, la quale, sta ora tenendo gli occhi fissi sul mio capolavoro. Il suo sguardo tradisce una vena di gelosia. Improvvisamente, la vidi spostare lo sguardo dal mio disegno ai miei occhi. Mi sta ora fissando, lanciandomi occhiate cariche di odio. Non oso muovermi, fino a quando Julius non mi intima silenziosamente di farlo. “Non sfidarla, potresti pentirtene.” Mi dice, in tono serio. Guardandolo negli occhi, mi interrogo sul significato delle sue parole. “Cosa vuoi dire?” gli chiedo, aspettando una sua risposta. “Sono più informato di quanto immagini.” Si limita a rispondere, apparendo inspiegabilmente enigmatico. Improvvisamente, un profondo senso di rabbia mi pervade. Non saprei spiegare la causa della stessa, riuscendo solo a dire di essere ormai stanca delle bugie che mi vengono raccontate e dei segreti che mi vengono celati. Utilizzando il mio silenzio come veicolo di disappunto, gli volto le spalle, iniziando quindi a scrivere nel mio diario. Tengo stretta in mano la mia penna, finchè non avverto dolore. Notando di avermi ferita, Julius, mi poggia la mano sulla spalla, tentando di indurmi a guardarlo. Ad ogni modo, scelgo di non farlo. La mia rabbia è ora tale da non permettermelo. Lui mi conosce bene, e sa che odio le persone bugiarde. Ha appena osato tenermi nascosto l’ennesimo dei suoi segreti. Evidentemente, anche lui sa qualcosa sul conto di Camille, eppure, proprio come Bubbles, si rifiuta di dirmi la verità. Approfitto quindi del suono della campanella per uscire dalla classe e allontanarmi da lui. Ora come ora, non ho alcuna voglia di vederlo né di parlargli. Conosco me stessa e il mio cuore meglio di chiunque altro, e lo stesso è stato appena ferito. Raggiunto il cortile della scuola, mi volto indietro per un singolo attimo, notando che Julius mi ha seguita, raggiungendomi. “Crystal, ascolta. Mi dispiace.” Disse, avvicinandosi a me. “Perché l’hai fatto?” finii per urlare, sena accorgermi che delle scarlatte lacrime mi rigano il viso. “Non volevo mentirti.” Rispose, stringendomi forte il polso. “Che cosa sai di lei?” gli chiesi, con gli occhi ancora velati di lacrime. “La conosco bene, e da molto più tempo di te. È una Rinnegata, ossia l’esatto contrario di noi due.” Disse, apparendo più serio del solito. “Faresti meglio a stare lontana da lei. È meglio per entrambi.” Aggiunse, guardandomi negli occhi. Finalmente, la mia rabbia scompare. So che Julius mi sta dicendo la verità, e ora tutto appare più chiaro. Comprendo quindi che i miei sospetti riguardo alla realtà nascosta dietro Camille, avevano un fondo di verità. Ora so tutto di lei. Può architettare anche il più losco dei sotterfugi, e assumere i comportamenti che più le aggradano, anche perché in questo preciso istante, ho scoperto tutto sul suo conto. Quell’arpia non condizionerà più la mia vita. Ad ogni modo, voglio che sappia una cosa, ossia che io non ho alcuna paura di lei. Mi fido ciecamente di Julius, e so che il segreto che ha deciso di rivelarmi, corrisponde alla pura verità. Dopo la fine della giornata scolastica, che va avanti raggiungendo il suo culmine come ogni altra, metto a posto le mie cose, tornando quindi a casa assieme a Julius. Camminiamo di pari passo, e sembra che anche i nostri battiti cardiaci si siano sincronizzati. Quando finalmente arriviamo di fronte a casa mia, Julius mi impedisce di fermarmi, invitandomi a passare il pomeriggio a casa sua. Regalandogli un luminoso sorriso, accetto di buon grado il suo invito. Entriamo quindi in casa, e lascio che mi presenti ai suoi genitori. Dopo aver intrattenuto una lunga conversazione con loro, decido di rimanere per il pranzo, consumando il mio pasto senza parlare. Subito dopo, lascio che Julius mi conduca nella sua stanza. Una volta arrivati, ci sediamo di fronte ad una scrivania, iniziando a svolgere i nostri compiti. Distratta dai miei sentimenti per lui, non riesco assolutamente a concentrarmi. I suoi bellissimi capelli castani sembrano brillare quando un raggio di sole penetra nella stanza. Dopo aver duramente tentato di concentrarmi, decisi di chiudere i miei libri e riporli nello zaino. Vedendomi nell’atto di farlo, Julius me ne chiede il motivo. “Non riesco a concentrarmi.” Rispondo, tentando di apparire calma. Senza che io riesca ad accorgermene, una serpentina ombra di malinconia si fa largo nel mio animo, finendo per prenderne completamente il controllo. Per tale ragione, sospiro abbassando gli occhi. Nel tentativo di rallegrarmi, Julius apre lentamente il suo zaino, sostenendo di avere una sorpresa per me. Lo prego quindi di mostrarmela, attendendo trepidamente. Per evitare di rovinarmi la sorpresa, chiudo quasi istintivamente gli occhi, prolungando la mia attesa. Riaprendoli dopo circa un minuto, sotto richiesta di Julius, scopro che ha in mano un foglio, sul quale ha disegnato un prisma dagli angoli appositamente smussati. Tale premura, fa assomigliare quella figura geometrica ad un cuore. In un impeto di felicità, lo abbraccio forte, stringendolo a me e posando le mie labbra sulle sue. Pochi istanti dopo, mi allontano da lui, ricevendo un bacio da parte sua. A quel bacio seguono delle carezze sulla guancia, che al calar della sera, si trasformano in qualcosa di meglio. Continuando a ripetermi che mi ama, Julius mi abbraccia e bacia dolcemente. Quella sera, lascio che i miei sentimenti mi guidino. Confessiamo quindi i nostri l’uno all’altra, lasciando che gli eventi si susseguano naturalmente, passando quindi una notte insieme.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo XIII


Segreti inconfessabili


Non so bene che ora sia, ma sento una sorta di pizzicore sulla pelle, quasi come se la stessa venisse punta da migliaia di spilli. Apro lentamente gli occhi, scoprendo di essere ancora a casa di Julius, siamo entrambi sdraiati sul suo letto, e lui è ancora accanto a me. Alzandomi dal letto, mi assicuro di non far rumore, così da non svegliarlo. Tale tentativo, non va purtroppo a buon fine, poiché il leggero sonno di Julius viene disturbato, causandone il risveglio. “Buongiorno.” Mi dice, sbadigliando. Senza l’ausilio della parola, mi limito a sorridergli, chiudendo gli occhi per alcuni istanti e respirando a fondo la pura aria che entrava dalla finestra aperta. Era mattina presto, mi ero appena svegliata e indossavo ancora i vestiti del giorno prima. Una semplice maglietta alla quale avevo abbinato un maglione, e dei comodi jeans scuri. Ovviamente, il mio prezioso ciondolo, simbolo del mio vero essere, non poteva certo mancare. Una fine e leggera catenina d’argento sorreggeva questo monile, che aveva la forma di una nota musicale. Lo sfiorai per un attimo con le dita, spostandovi il mio sguardo. Risplendeva come ogni giorno, e oggi appariva più lucente del solito. Non riuscendo a capire il perché di tale evento, decisi di non badarci, lasciandolo andare. Avvicinandomi a Julius, gli tesi una mano, aiutandolo ad alzarsi dal letto. A dir la verità lui non vorrebbe farlo, ma deve, sapendo che un nuovo giorno di scuola sta per iniziare. Scusandosi con me per il suo essere impresentabile poiché indossa soltanto un pigiama, si diresse verso il bagno di casa sua. Rimasi nellasua stanza e mi sedetti sul suo letto, ingannando il tempo ammirando il capolavoro che Julius aveva creato per me. Aveva realizzato quel meraviglioso disegno unendo la mia passione per l’arte con quella che lui aveva per la geometria. Guardandolo meglio, notai che il disegno riportava la stessa dedica che aveva scritto fra le pagine del mio diario. La stessa, attestava a chiare lettere che io gli avevo rubato il cuore. Quelle parole riflettevano la realtà, così come i sentimenti che provavo. Mantenevo un religioso silenzio, e sorridevo rileggendo quella frase innumerevoli volte. Alcuni minuti dopo, sentii una sorta di scatto. Riflettendo, realizzai che la porta del bagno doveva essersi aperta. Quasi istintivamente, mi bloccai. Non osai muovermi neppure di un centimetro, sapendo di dovermi aspettare l’arrivo di Julius nella stanza. Indossava una maglietta nera, e dei jeans simili ai miei. Alcuni secondi dopo, le sue labbra si dischiusero in un sorriso. Avvicinandosi a me, mi prese per mano, informandomi del fatto che era ormai ora di andare a scuola. Sorridendo a mia volta, afferrai il mio zaino e lo aprii, avendo cura di conservarvi il disegno che Julius mi aveva regalato. Non appena fui pronta, uscimmo entrambi di casa, con l’intenzione di dirigerci verso la scuola. Il nostro cammino si svolgeva regolarmente, ma all’improvviso venne interrotto da una persona, da qualcuno che non ci saremmo mai aspettati: Camille. Avanzava verso di me, e sembrava davvero furiosa. “Collins!” ringhiò, chiamando il mio cognome con inaudito disprezzo. Non avrei voluto farlo, ma decisi comunque di voltarmi. “Dustin mi ha lasciata, ed io non te lo perdonerò mai!” urlò arrabbiatissima, con una lacrima che le solcava il viso. Alla sua reazione, rimasi sconcertata. Da quando la conoscevo, non avevo mai visto Camille piangere, e quella era la prima volta in assoluto. Inaspettatamente, Camille mi si avvicinò, e stringendo i pugni, tentò di spaventarmi. Pur rimanendo impassibile, non potei fare a meno di chiudere gli occhi. Pensai che mi avrebbe sicuramente preso a pugni, ma sorprendentemente, non accadde nulla. Questo, per una semplice ragione. Riaprendo subito gli occhi, scoprii infatti che Julius, volendo proteggermi, si era frapposto fra me e Camille, impedendole di farmi del male. Le teneva la mano ferma, impedendole qualunque movimento della stessa, dopodichè gliela strinse, fino a farle sentire dolore. “Gira subito al largo.” Le disse, facendola immediatamente girare sui tacchi. Dopo aver risolto il problema riguardante Camille, Julius mi riprese la mano, continuando il suo cammino verso la scuola. Nonostante l’inconveniente, riuscimmo ad arrivare puntuali. Le ore scolastiche passavano in fretta. Eravamo entrambi seduti nel nostro banco, quasi perennemente intenti a prendere appunti o ascoltare i discorsi degli insegnanti. Di tanto in tanto, Julius ed io non esitavamo a scambiarci occhiate d'intesa o bigliettini, nostro unico e originale modo di comunicare senza il rischio di essere scoperti o sentiti. Ben presto, la campanella annunciò la fine della giornata, ed entrambi fummo finalmente liberi di tornare a casa. Uscii da scuola camminando al fianco di Julius, che mi stringeva amorevolmente la mano. Il solo pensiero della sua vicinanza e delle nostre mani intrecciate mi infondeva un profondo senso di calma e tranquillità. So bene che tale confessione può per alcuni versi sembrare esagerata, ma a volte provo sensazioni completamente nuove in sua presenza. Julius è un ragazzo davvero dolce, e non perde mai occasione per dimostrarmelo. Oltre al lato dolce della sua personalità, non dimentica mai di mostrare quanto sia forte interiormente, e soprattutto quanto tenga a me. Per alcuni, i gesti che compie giornalmente non sono altro che semplici e banali dimostrazioni d'affetto, ma per me le stesse sono qualcosa di completamente diverso. Io e lui ci siamo conosciuti per caso in tenera età. Quando eravamo bambini, io venivo spesso presa in giro, poichè il mio rendimento scolastico era ottimo, e tutti mi credevano una secchiona. Sono riuscita a lasciarmi alle spalle quelle persone e le loro offese, soltanto grazie a Julius. Ora come ora, siamo entrambi degli adolescenti, e gli anni sono passati in fretta. Con il passare del tempo, il nostro rapporto non ha fatto che migliorare, divenendo sempre più solido. Nonostante tutte le disavventure passate insieme in tenera età, non ci siamo mai allontanati l'uno dall'altra, arrivando lentamente ad essere i ragazzi che siamo oggi. Inizialmente, ci consideravamo solo ottimi amici, ma lentamente, i nostri sentimenti sono cambiati, e abbiamo finito per innamorarci. Mi abbandono a questi dolci pensieri guardando le nuvole danzare nel terso e azzurro cielo, e all'improvviso, la voce di Julius mi porta alla realtà. Ha la schiena poggiata contro un muro intonacato di bianco, ed è intento a fissarmi con uno sguardo inconfondibile. I suoi occhi stanno ora brillando, ed essi sono il segno dell'inequivocabile forza dei sentimenti che prova per me. Sposto il mio sguardo su di lui, notando che ha intenzione di avvicinarsi a me. Mantenendo la calma, lo lascio fare, arrossendo al contatto delle sue labbra con la mia rosea guancia. Improvvisamente, la campanella lo distrae, ed io mi ritraggo senza volere. Dopo alcuni secondi, Julius mi prende di nuovo per mano, con la ferma intenzione di riaccompagnarmi in classe. Arriviamo in aula dopo pochi minuti, attirando involontariamente l'attenzione dei compagni di classe. Mi siedo al mio posto senza badarci, aprendo subito il mio libro di storia. Mi immergo velocemente nella lettura, e la mia concentrazione si spezza come un ramoscello in autunno per colpa di Sophia. Chiedendomi di voltarmi, mi porge un bigliettino. Lo appoggio quindi sul banco, per poi dispiegarlo e iniziare a leggerlo. Sullo stesso, era presente una singola frase, che sembrava galleggiare su quel bianco foglio. “Vediamoci più tardi.” Dopo averlo letto, ripiegai il bigliettino ricacciandomelo in tasca. Quasi istintivamente, mi voltai verso Sophia, la quale, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli ricci, indicò Julius con un leggero movimento della testa. Subito dopo, mi voltai nuovamente, ricominciando a leggere dal punto in cui ero stata interrotta. La campanella dell'intervallo suona, distraendomi da tale attività, che sono per la seconda volta costretta a sospendere. Mi concedo quindi un attimo di tempo per chiudere il mio libro di storia e riporlo nello zaino. Subito dopo, mi alzo in piedi e lascio il mio posto, con la precisa intenzione di uscire dall’aula. Una volta fuori, iniziai a camminare per i corridoi scolastici, alla ricerca della mia amica Sophia. Camminavo spedita, sperando di incontrarla. Non potevo evitare di pensare al biglietto che mi aveva scritto in classe poco prima, e in quel momento volevo davvero far luce sul reale significato dello stesso. Fortunatamente, la trovai dopo pochi minuti. Sembrava alquanto preoccupata, e alla mia vista, ammise che mi stava cercando. “Di cosa devi parlarmi?” le chiesi, aspettandomi una sua risposta. “Seguimi.” Si limitò a rispondere, afferrandomi il polso e conducendomi verso il bagno delle ragazze. Mentre la seguivo, non potevo nascondere la mia confusione. I suoi comportamenti mi stranivano, e sembrava davvero determinata a restare da sola con me. Ad ogni modo, non pongo domande. Quando finalmente raggiungemmo il bagno, Sophia si decise a parlarmi. “Si tratta di Camille.” Esordì. Guardandola, la invitai a continuare il suo discorso. “ Si comporta in modo davvero strano da quando tu e Julius state insieme.” Disse, facendo suonare quella frase come una confessione. “Dici sul serio?” le chiesi, confusa. Sophia si limitò ad annuire, ed io notai anche il leggero tremore che le scuoteva il corpo. Evitai di porle altri interrogativi, dandole le spalle e dirigendomi verso la nostra aula. Sophia tentò di fermarmi, ma io ignorai ognuno dei suoi tentativi. Le sue parole mi avevano stranito. Mentre mi allontanavo da lei, percorrendo velocemente il corridoio, un ricordo si fece di nuovo strada nella mia mente, facendomi provare un brivido di terrore. Non riuscivo assolutamente a crederci, eppure era la verità. Camille doveva aver scoperto il segreto che io e Julius le nascondevamo. Finalmente, tutti i suoi comportamenti mi apparvero più chiari, e l’alone di mistero che li avvolgeva, si dissolse. Quando raggiunsi la mia aula, mi sedetti subito al mio posto. Non dissi neanche una parola, ma il mio silenzio venne comunque tradito dalle mie emozioni. Tremavo infatti come una foglia, tanto da non riuscire neppure a parlare. Inevitabilmente, Julius se ne accorse, interrogandomi con lo sguardo. “Camille.” Sussurrai, volendo evitare che lei e altri compagni mi sentissero.” Lui mi guardò stranito. “Sa che stiamo insieme, e mi odia.” Dissi, con lo stesso tono di voce. “Sta tranquilla. Me ne occuperò io.” Mi rispose. Le sue parole mi infusero istantaneamente sicurezza. Ora come ora, mi sento davvero protetta. Quell’avida arpia di Camille potrà anche aver scoperto il mio vero essere e la mia relazione con Julius, ma avendolo accanto, so di non dover assolutamente aver timore di nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
Capitolo XIV


Salvezza e paura


Spirando lievemente, il vento che ora soffia fuori dalla mia finestra, si è portato via tre mesi della mia vita. Il sole è già alto nel cielo, e splende come non mai. Mi sono appena svegliata, e sto lentamente aprendo gli occhi per alzarmi dal letto. Per qualche strana ragione, oggi non mi sento particolarmente bene. Ho un forte bruciore di stomaco, e a mia madre appaio visibilmente pallida. La stessa, per tale motivo, mi suggerisce di non andare a scuola, asserendo che una singola assenza non mi causerà problemi. La sua sfortuna vuole, che la mia caparbietà la faccia desistere dal convincermi ad assentarmi da scuola. Così, vi vengo accompagnata come di consueto. Rimango in silenzio per tutta la durata del viaggio, scendendo dall’auto appena questa si ferma. Saluto mia madre con un debole sorriso e un cenno della mano, avviandomi quindi verso l’entrata della scuola. Camminando lentamente nei corridoi scolastici, raggiungo la mia aula, entrandovi con leggero ritardo rispetto agli altri. Mi scuso dello stesso con il professore di matematica, il quale, decide di sorvolare tale situazione. Lasciandomi sfuggire un inudibile sospiro di sollievo, vado subito a sedermi al mio posto, mantenendo un religioso silenzio. La forza di parlare mi viene tolta dal bruciore di stomaco che mi tormenta. “Stai bene?” mi chiede Julius, visibilmente preoccupato per me. “Va tutto bene.” Rispondo, nel tentativo di confortarlo. Lui annuisce, sorridendomi. La lezione di matematica sembra essere infinitamente noiosa, e il dolore che provo non è d’aiuto. Non riuscendo più a sopportarlo, alzo lentamente la mano, unicamente per chiedere al professore il permesso di uscire dall’aula. Lo stesso, mi viene velocemente accordato, e alzandomi, mi dirigo verso la porta, aprendola e raggiungendo il corridoio. Non appena fui fuori dall’aula, mi diressi verso il bagno delle ragazze. Mentre camminavo per raggiungerlo, dovetti tentare di sopprimere dei conati di vomito. Una volta raggiunto il bagno, rimessi anche l’anima. Dopo quanto era successo, stavo davvero malissimo. La testa mi girava, e mi sentivo davvero debole. Ad ogni modo, feci del mio meglio per tornare in aula e assumere un’aria calma, così da non destare sospetti. Tale espediente, tuttavia, fallisce dopo pochi minuti. Difatti, Julius non tarda a chiedermi come mi sento. Non volendo farlo preoccupare, minimizzo quanto mi è accaduto poco prima, non potendo fare altro che mentirgli. Dopo aver ascoltato la mia risposta, Julius si strinse nelle spalle, distogliendo il suo sguardo da me e fissandolo sulla lavagna. Nel corso della giornata, la mia condizione fisica attirò l’attenzione della mie amiche, le quali, apparivano davvero preoccupate. Per una seconda volta, tentai di minimizzare il tutto, in modo tale da allontanare da me ogni sospetto. Le ore passavano, e i miei dolori di stomaco non accennavano ad attenuarsi. Cercavo di mantenere la calma e sorridere, facendo quindi buon viso a cattivo gioco. Ad ogni modo, dopo la fine dell’intervallo, visto il mio stato di malessere, mi vidi costretta a telefonare a mia madre, così da farmi riportare a casa da lei. Ad ogni modo, lei mi raggiunse dopo circa una decina di minuti, aspettando solo che uscissi da scuola e salissi in auto assieme a lei. Durante il viaggio di ritorno verso casa, mia madre ammise che il mio comportamento la straniva, lasciandola quindi interdetta. Ero sempre stata una studentessa modello, e non ero mai tornata a casa prima della fine delle lezioni. Ascoltai il suo discorso senza proferire parola, scegliendo di non tentare di giustificarmi. Una volta arrivata a casa, corsi subito in bagno, dove vomitai una seconda volta. Con l’unico scopo di evitare gli inevitabili sospetti di mia madre, mi assicurai di far scomparire ogni traccia del mio piccolo incidente, lavandomi subito i denti. Poco dopo, raggiunsi la mia stanza, dove iniziai a piangere. I miei singhiozzi preoccuparono Bubbles, che spuntò subito da sotto il mio letto, lasciando che io lo prendessi in braccio, adagiandolo su una coperta. “Che ti succede?” mi chiese, abbassando le orecchie. “Non ora Bubbles, non sto bene.” Dissi, con la voce corrotta dal dolore e il viso nascosto dal mio morbido cuscino. “So bene come ti senti. È il tuo dolore che si sta manifestando.” “Cosa vuoi dire?” chiesi, avvertendo un orribile dolore alla testa. “Mi dispiace, ma devo dirtelo.” “Dirmi cosa?” continuo, ancora più confusa di quanto già non fossi. “Quella ragazza, Camille, è il tuo esatto contrario.” Confessò, abbassando subito lo sguardo, apparendo ai miei occhi davvero sconsolato.” “Tuo padre è morto per mano dei suoi genitori.” Aggiunse, trascinandomi, con quelle parole, in una spirale di profonda tristezza. Ad ogni modo, non dissi una parola, limitandomi a singhiozzare sonoramente, macchiando il cuscino con le mie scarlatte lacrime. Prima di andare a dormire, misi fine ai miei pianti, per poi alzarmi dal letto e chiudere Bubbles nella sua gabbia, che sistemo sulla mia scrivania. Mi addormento dopo ore di tentativi, non potendo evitare di pensare sia a Camille che a Julius. In quel preciso istante, l’amore per Julius e l’odio per Camille si rimescolavano nel mio fragile animo. Non sapevo davvero cosa pensare di lei. Ora come ora, conoscevo tutta la verità sul suo conto. Sapevo che mi odiava, che conosceva il mio vero essere, e che i suoi genitori erano la causa della morte di mio padre. Nel silenzio della notte, ho appena preso una decisione. Domani sarà un giorno di vitale importanza. Mi farò coraggio, e affronterò Camille. Non posso più sopportare il dolore che mi sta causando, e non sopporto più di dover essere divisa fra salvezza e paura.
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XV


Il coraggio di rischiare


Il cielo stasera è limpido, e la luna brilla, dando mostra della sua magnificenza. Per qualche strana ragione, non riesco a dormire. Ogni volta che chiudo gli occhi, non vedo nient’altro che il volto di quell’arpia. Per tale motivo, il mio sonno è disturbato, e sono quindi costretta a rimanere sveglia. Il mio respiro è ora la mia unica compagnia, poiché taccio nella mia veglia. Dopo alcuni minuti, un inaspettato rumore mi scuote, ma mi rinfranco sapendo che è semplicemente provocato da Bubbles, ora sveglio anche lui. Guardandolo, noto che cammina nervosamente nella sua gabbia, in un confuso e al contempo inspiegabile andirivieni. Mi alzo quindi dal letto, liberandomi dalla stretta delle coperte. Raggiungo la sua gabbia e la apro, dandogli modo di uscire. Proprio in quell’istante, il mio cellulare vibra. Faccio qualche passo verso il comodino, afferrandolo quasi in risposta al suono che ho appena sentito. Ho appena il tempo di compiere tale azione, che lo stesso vibra di nuovo, facendomi tremare la mano. Sposto il mio sguardo sullo schermo del cellulare, notando di aver ricevuto un messaggio da Julius. Sa bene cosa sto passando per mano di Camille in questo momento, e per tale ragione, starmi vicino e scrivermi messaggi, è il suo modo di confortarmi. Pigiando un tasto con una leggera pressione, visualizzo l’ultimo che ho ricevuto. “Ti aiuterò io.” Diceva. Non appena lo lessi, mi lasciai sfuggire un sorriso. Vista la forza dei miei sentimenti per lui, voglio credergli, e sperare quindi che mi aiuterà ad eliminare la minaccia costituita da Camille. Ad ogni modo, spegnendo il cellulare, mi infilo di nuovo sotto le coperte, scivolando in un lungo e profondo sonno. Mi sveglio dopo qualche ora, grazie alla luce del sole che penetra nella mia stanza, illuminandola a giorno. Levandomi per una seconda volta le coperte di dosso, mi alzo dal letto, dirigendomi in cucina per la colazione. Dopo aver mangiato, faccio una veloce doccia, rilassandomi e lasciando che l’acqua calda mi scivoli sulla pelle. Subito dopo, procedo a vestirmi, uscendo quindi di casa per andare a scuola. I miei biondi capelli cadono morbidi sulle mie spalle, e ondeggiano lentamente per via del vento primaverile. Durante il mio cammino verso la mia destinazione, incontro le mie amiche Jamie e Sophia, che sorridendomi, si uniscono a me. Fra un passo e l’altro, scambiamo quattro chiacchiere, fino a quando non arriviamo a scuola. Varcandone l’entrata, iniziamo a camminare lungo i corridoi, fino a raggiungere la nostra aula. Una volta arrivata davanti alla porta della stessa, la apro senza esitare, entrandovi e venendo seguita dalle mie amiche. Sfortunatamente, siamo in leggero ritardo, del quale provvediamo a scusarci con la signorina Silver. La stessa, sembra non badare a noi, che siamo ormai entrate in aula occupando i nostri posti. Come al solito, siedo accanto a Julius, il quale, oggi non sembra particolarmente allegro. “Qualcosa non va?” gli chiedo, spostando il mio benevolo sguardo su di lui. Julius non risponde, limitandosi a indicare Camille con un cenno del capo. Quasi istintivamente, lo prendo per mano. Improvvisamente, è come se il pensiero degli altri non avesse più alcuna importanza per me. In risposta al mio gesto, Julius sorride. “Ti aiuterò io.” Mi dice, lasciando nuovamente che un sorriso gli illumini il volto. Io mi limito ad annuire, stringendo la sua mano ancora più forte. Due ore di lezione passano in fretta, ed io passo l’intervallo a disegnare. Il mio blocco da disegno è poggiato sul banco, e con l’aiuto di una matita, e della mia smisurata creatività, sto producendo un altro dei miei capolavori. Prendendo spunto dal panorama che osservo appena fuori dalla finestra dell’aula, imprimo sul foglio un disegno raffigurante il meraviglioso prato fiorito dove Julius ed io solevamo passare il tempo l’uno accanto all’altra. Ad ogni modo, terminato il mio disegno, lascio andare la mia matita, rimettendola al suo posto. Subito dopo, mi alzo in piedi, decidendo di uscire dall’aula per rinfrescarmi le idee. Mi assento per pochi minuti, rimanendo scioccata da ciò che vedo al mio ritorno. Avvicinandomi al mio banco, noto che uno dei fogli del mio blocco da disegno è stato strappato e accartocciato. Allibita, mi chiedo chi possa aver fatto una cosa del genere, chiedendo spiegazioni anche a Jamie e Sophia, le quali, erano rimaste in classe per tutto il tempo. “Ne sapete qualcosa?” chiesi, smarrita. “È stata Camille.” Risposero, quasi all’unisono. “Perché non l’avete fermata?” continuai, con una vena di rabbia nella voce. “Avevamo paura che ci facesse del male.” Rispose Sophia, impaurita. A quelle parole, mi voltai, dirigendomi verso la porta dell’aula. Ad ogni modo venni fermata da Julius, il quale, non potè fare a meno di notare il mio stato d’animo. “Rilassati. Non c’era molto che potessero fare.” Disse, tentando di calmarmi. Ascoltando le sue parole, riuscii a tornare ad essere me stessa, sedendo al mio posto e iniziando a piangere versando amare lacrime. “Che cos’hai?” mi chiese Julius, sedendosi accanto a me. “Ha rovinato il lavoro di una giornata.” Risposi, singhiozzando. “Non ha idea di quanto tempo ci abbia messo. A lei non importa nulla di nessuno.” Aggiunsi, asciugando le mie scarlatte lacrime con un fazzoletto.“Adesso calmati.” Mi chiese Julius, appoggiandomi una mano sulla spalla. Sorridendo e accettando il suo leggero tocco, annuii guardandolo negli occhi. “Mi occuperò io di lei.” Promise, sorridendomi. Annuii una seconda volta, tenendo basso lo sguardo. Subito dopo aver finito di parlare, lasciò subito l’aula, sparendo dalla mia vista. Rimanendo completamente da sola, decisi di andare alla ricerca di un modo per ingannare il tempo, finendo quindi per iniziare a sfogliare il mio libro di letteratura. Ho sempre amato la lettura, che è lentamente divenuto uno dei miei passatempi preferiti. Speravo quindi che scorrere con gli occhi lunghe righe di caratteri neri, mi facesse dimenticare Camille, così come tutto il male che mi aveva causato.  Fortunatamente, quell’attività sortì l’effetto sperato. Pochi istanti dopo, smisi di leggere, voltandomi verso la porta dell’aula. La stessa, era appena stata varcata da Julius, il quale, mi si avvicinò appena mi vide. Aveva un’espressione di felicità dipinta sul volto, alla quale però non riuscivo a dare una spiegazione. “È tutto finito. Camille è sistemata.” Disse, con un sorriso che gli illuminava il volto. “Come hai fatto?” gli chiesi, dubbiosa. “ È bastato che le dicessi la verità.” Rispose, guardandomi negli occhi. Rimasi in silenzio, e senza proferire parola, lo abbracciai, mostrandogli quindi quanto ero felice. L’intervallo era ormai finito, e con esso se n’era andata anche la quarta ora di lezione. Rimaneva quindi solo l’ultima, che passò letteralmente in un soffio. Dopo il suono dell’ultima campanella  scolastica, ebbi cura di riporre ognuno dei miei libri nel mio zaino, per poi uscire da scuola assieme a Julius. Lo stesso, mi accompagnò a casa sua, e passai con lui l’intero pomeriggio. Sfortuna volle, che poco tempo dopo essere entrata in casa, il mio bruciore di stomaco rovinasse tutto, e che fossi quindi costretta a correre in bagno e rimettere anche l’anima. Dopo tale incidente, non gli fornii alcuna spiegazione, limitandomi a scusarmi e tornare subito a casa mia. Ero così imbarazzata che non volevo mi vedesse. Una volta arrivata a casa, salutai mia madre, per poi dirigermi nella mia stanza, dove aprii subito la gabbia di Bubbles. Lui era il mio famiglio, e in questo preciso momento, poteva essere il mio unico confidente. Gli parlai quindi della mia giornata, avendo cura di non trascurare i dettagli, e menzionando quindi anche la figuraccia che avevo fatto davanti a Julius. Ad ogni modo, Bubbles aspettò pazientemente che finissi il mio discorso, per poi iniziarne subito uno a sua volta. “C’è qualcosa di importante che ho da dirti.” Esordì, in tono fiero e solenne. “Ti ascolto.” Risposi, invitandolo a continuare. “Come tu ben sai, tuo padre non è morto per cause naturali. È infatti scomparso dopo aver bevuto il succo delle More Venefiche, frutto nocivo per voi Figli della Musica.” Aggiunse, studiando il mio volto. “Com’è successo?” chiesi, stranita dal suo racconto. “Fra la tua famiglia e quella di Camille, è sempre esistita una faida che non ha creato altro che dissapori. I suoi genitori odiavano i tuoi, e miravano alla loro distruzione, così hanno convinto tuo padre a bere il succo di quelle more.” Il mio sguardo stupito portò Bubbles al mutismo, che spezzò alcuni secondi dopo, riprendendo il suo discorso. “Il veleno presente nelle stesse è a lenta diffusione, e questo spiegherebbe la cagionevole salute di tuo padre prima della sua scomparsa.” Disse, tenendo basso lo sguardo, quasi a voler tentare di nascondere la sua tristezza. “L’unico consiglio che posso darti è di starle lontano.” Concluse, ritirandosi spontaneamente nella sua gabbia, dove decise di rimanere per il resto della giornata.” Dopo aver ascoltato il suo consiglio, mi limitai ad annuire, e vidi, guardando fuori dalla finestra, che era ormai calata la sera. Per tale motivo, decisi di infilarmi il pigiama, per poi andare subito a letto. Ad ogni modo, quella sera non fui facile preda del sonno. Difatti, non riuscivo a smettere di pensare a Julius. Sapevo che non sarei mai riuscita a trovare le parole per ringraziarlo abbastanza. Mi aveva sempre protetta, non perdendo mai occasione per farlo, e aveva raccolto nelle sue mani il coraggio che mi sarebbe servito per rischiare, mettendo a repentaglio sé stesso per salvarmi dal pericolo costituito da quell’avida serpe.
 
 
 
 
 
 
 


Capitolo XVI


Realtà da affrontare


Alto nel cielo, il sole splende, mostrando la sua forza e la sua determinazione nel ripristinare gli equilibri universali. Ogni giorno, prende il posto della luna, scaldando con i suoi raggi il terreno, così come fa con la mia morbida pelle. Tre settimane sono ormai passate, e io non mi sento affatto in forma. Oggi infatti, ho in mente di non andare a scuola. Ad ogni modo, mia madre è fermamente convinta che stia fingendo, e che la mia sia solo una montatura, così mi costringe ad andarci, accompagnandomi in auto. Durante il viaggio, la prego di tenere aperti i finestrini, sperando che la fresca e pura aria mattutina mi riempia i polmoni, liberandomi, almeno parzialmente dal dolore di stomaco di cui soffro ormai da tempo. La stessa, si stringe nelle spalle, esaudendo il mio desiderio. Come se il dolore allo stomaco non fosse abbastanza, allo stesso si aggiunge anche un terribile dolore alla schiena, che sono costretta a sopportare appoggiandomi contro il sedile dell’auto. Una volta arrivata a scuola, le cose sembrano peggiorare. I dolori di cui soffro mi portano un inspiegabile senso di nausea, a causa del quale, sono costretta a rimettere più di una volta. Dopo essere uscita dall’aula varie volte per quello scopo, i miei compagni iniziano ad avere dei sospetti. Julius e Sophia, in particolare, continuano a chiedermi come mi sentissi, e cosa ci fosse che non andava. Non volendo che entrambi si preoccupassero inutilmente, continuavo a minimizzare ogni cosa, ritenendo infondato ognuno dei loro sospetti. Sfortunatamente, per la terza volta consecutiva, sono costretta a uscire dall’aula a causa dei miei problemi di salute. Quando finalmente ritorno, appaio pallida agli occhi di Julius. “Come ti senti?” mi chiede, preoccupato. “Male.” Ho la sola forza di rispondere. Tutte le mie energie sono prosciugate dal mio stato di salute, perciò non posso fare altro che biascicare frasi tenendo basso lo sguardo. Un’acuta fitta di dolore alla testa mi frastorna, e non riesco a fare altro che lamentarmene. “Non hai una bella cera.” Mi disse, con lo stesso tono. “Lo so.” Risposi, con la voce corrotta dal dolore. Nel tentativo di risollevarmi il morale, Julius mi sorride, e il suo espediente funziona. Sorrido infatti a mia volta, stringendogli istintivamente la mano. Rispondendo al mio tocco, Julius stringe ancora più forte. Gli sorrido per una seconda volta, venendo ad ogni modo distratta dallo sguardo indagatore di Sophia. Mi volto quindi verso di lei, che guardandomi, si stringe nelle spalle. La conosco come il palmo della mia mano, e so che quello è il suo modo di nascondermi qualcosa. Per tale motivo, attendo il suono della campanella dell’intervallo per parlarle.“Hai qualcosa da dirmi?” le chiesi, dubbiosa.” “Sì.” Rispose, con sincerità inaudita. “Parla pure.” Le dissi, aspettando che ricominciasse a parlare. “Tu non stai bene, e non puoi continuare a negarlo.” Mi disse, diventando improvvisamente seria. “Hai perfettamente ragione.” Le risposi, evitando il suo sguardo. “Ho qualcosa da dirti.” Affermai, con voce rotta dall’emozione. Ascoltandomi in silenzio, Sophia non proferì parola, invitandomi a continuare con un gesto della mano. “Sai tenere un segreto?” le chiesi, tacendo subito dopo. “Sarò una tomba.” Mi disse, sorridendomi. Trassi conforto dalle sue parole, ragion per cui, presi un profondo respiro e le dissi la verità. “Sono incinta.” Le dissi, sospirando. Proprio in quel momento, vidi Sophia sbiancare. Non riusciva a crederci, e pensai che si sarebbe arrabbiata, ma inaspettatamente, si avvicinò a me, abbracciandomi. “Congratulazioni.” Mi disse, sorridendo. “Chi è il padre?” mi chiese subito dopo. “Julius.” Ammisi, abbassando di nuovo lo sguardo. “Gliel’hai detto?” chiese, guardandomi negli occhi. “No. Non ne sa nulla.” Dissi, con un tono che lasciava trasparire chiaramente la mia tristezza. “Devi assolutamente farlo!” mi disse, apparendo incredibilmente seria. “Ho paura.” Confessai, giustificandomi. “Crystal, non puoi nasconderglielo per sempre.” Aggiunse, posando una mano sulla mia spalla. “Hai ragione.” Le risposi, ringraziandola della comprensione e lasciando subito l’aula. Camminavo per i corridoi scolastici, incontrando Julius dopo pochi passi. Lui stesso, mi salutò non appena mi vide, abbracciandomi e stringendomi forte a sé. “Possiamo parlare?” gli chiesi.” Certo!” rispose, in tono felice. Subito dopo, lo presi per mano, attraversando il corridoio fino ad arrivare nel cortile della scuola. “Siamo finalmente soli.” Esordii. “Cosa dovevi dirmi?” mi chiese Julius, regalandomi un ampio e luminoso sorriso. Subito dopo, mi si avvicinò, prendendomi dolcemente per mano. “Ti prego di ascoltarmi, perché è la pura verità.” Dissi, trattenendo un fiume di lacrime che sapevo avrebbe sicuramente straripato. Julius mantenne il silenzio, rafforzando la presa che esercitava sulla mia mano. Presi quel gesto come una risposta positiva. “Noi due avremo un bambino.” Gli dissi, sentendo il mio animo liberarsi dei pesi che lo opprimevano. Dopo aver ascoltato le mie parole, Julius mi lasciò le mani, pronunciando parole alle quali non riuscivo a credere. “Mi dispiace, Crystal, non posso farlo.” Disse. Allontanandosi quindi da me e lasciandomi completamente sola. Tentai di fermarlo, ma senza successo. In preda alla tristezza, mi appoggiai contro un muro, iniziando quindi a versare lacrime figlie di un dolore mai provato prima. Le osservavo mentre cadevano copiose in terra, bagnando il freddo e arido cemento. Sconsolata e amareggiata, mi incamminai verso la mia aula, che raggiunsi lentamente. Dopo quanto mi era accaduto, non mi importava di essere arrivata in classe in ritardo, né di ciò che i compagni ora pensano di me. Non credo che esistano parole capaci di descrivere il dolore che ora provo. Sono stata appena lasciata dal ragazzo che amo, e presto sarò anche madre del nostro bambino. Julius ha deciso di uscire dalla mia vita dopo aver scoperto la mia condizione, lasciandomi quindi da sola con questa nuova realtà da affrontare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo XVII


Dolore e pentimento


Sono ancora perfettamente immobile e seduta nel mio banco di scuola. Accanto a me è tornata a sedersi Sophia, poiché ora Julius occupa un banco in fondo all’aula. Mi lascio andare a dei sospiri di noia e dolore, limitandomi a seguire le indicazioni degli insegnanti. Mantenere viva la mia attenzione in un momento del genere, è davvero dura, e perfino Sophia sembra essersene accorta. Ora come ora, inganno il tempo facendo scivolare la mia matita sul mio blocco da disegno. I risultati che ottengo, sono purtroppo scarsi e ormai privi di valore. Improvvisamente, è come se il mio animo fosse stato svuotato del suo contenuto. Il mio dolore è davvero indescrivibile, e sembra che anche il mio talento stia iniziando a risentirne. Con fare sconsolato, lascio quindi andare la mia matita, rimettendola lentamente al suo posto. Fisso il mio sguardo sulla lavagna per alcuni secondi, per poi voltarmi verso Jamie, seduta nel banco dietro al mio. Distrattamente, lascio cadere il mio sguardo su Julius, il quale, a sua volta guarda Camille. Noto quindi che sfuggiva dai miei veritieri sguardi, che tuttavia non potevano inseguirlo. Guardando poi negli occhi quella serpe bruna, mi accorgo di un ragazzo seduto accanto a lei. Dal modo in cui la guarda, tenendole dolcemente la mano, riconosco che quello è il suo fidanzato Dustin. Non sapevo molto di lui, essendo soltanto al corrente della sua breve storia con Camille, alla quale lui stesso aveva deciso di porre fine, ma che ora sembrava essere ricominciata. Entrambi hanno un carattere simile, e l’odio che provo per entrambi mi spinge a distogliere lo sguardo da loro. Dopo il suono dell’ultima campanella scolastica,            non riesco ad evitare di sbuffare per la noia. Ben sapendo che nei miei lamenti non c’è nulla di concreto, procedo a riporre i miei libri nel mio zaino, per poi iniziare a camminare alla volta dell’uscita scolastica. Sulla strada di casa, incontro Julius. “Aspetta!” mi prega, afferrandomi per un braccio. “Cosa vuoi?” rispondo, in tono alquanto seccato. “Voglio solo parlarti.” Risponde, guardandomi negli occhi. “Non abbiamo nulla da dirci!” finii per urlare, liberandomi dalla sua presa e continuando a camminare allontanandomi da lui. Accelerando il passo, raggiungo finalmente la porta di casa mia, ma prima che riesca ad aprirla, vengo fermata di nuovo da Julius. Ha il fiato corto, poiché ha dovuto correre per seguirmi. Io lo guardai negli occhi, e lui mi prese per mano. “Ho commesso un errore, Crystal.” Disse, con un tono che mostrava la sua inaudita sincerità. “Non voglio lasciarti da sola. Voglio esserci, per te e per il nostro bambino.” Aggiunse, abbracciandomi. In quel momento, sapevo di non avere la minima intenzione di perdonarlo, eppure, sentii che una voce dentro di me mi suggeriva di fidarmi. In fin dei conti, Julius era appena tornato da me, e sembrava davvero essersi pentito di ciò che aveva fatto. Scelsi quindi di perdonarlo, stringendolo in un romantico abbraccio carico di sentimenti. Lasciando che mi prendesse per mano, raggiunsi casa mia al suo fianco. Una volta arrivata davanti alla porta, fui costretta a separarmi da lui, anche se in realtà, e specialmente in un momento del genere, non avrei mai voluto farlo. Aprii quindi con riluttanza la porta, salutandolo con un gesto della mano. Subito dopo essere entrata in casa, mi diressi subito verso la mia stanza, e quando vi arrivai, mi lasciai cadere sul letto, respirando il buon profumo emanato dalle mie lenzuola. Mentre sono tranquillamente sdraiata, il mio cellulare squilla, e prendendolo in mano, rispondo alla chiamata che scopro di aver ricevuto. Ad aver telefonato, è Julius. Mi chiede come sto, se ho da fare, e soprattutto, se sono da sola. Procedo quindi a rassicurarlo, rispondendo di sì, e rimango sorpresa quando lo sento porre fine alla telefonata subito dopo aver sentito la mia risposta. Il silenzio regna nella mia stanza per i successivi dieci minuti, allo scadere dei quali, vengo disturbata da un rumore. Uscendo dalla mia camera, capisco che qualcuno sta bussando alla porta. Decido quindi di andare ad aprire, restando letteralmente allibita da ciò che vedo. Perfettamente immobile sull’uscio di casa mia, c’era Julius, che non appena mi vide, non mi lasciò neppure il tempo di salutarlo. Difatti, mi si avvicinò, togliendomi letteralmente il respiro con un abbraccio a cui seguì un fantastico e indimenticabile bacio. Non mi opposi allo stesso, godendomelo fino alla fine. Dopo alcuni secondi, infatti, Julius lasciò che io mi sciogliessi dal suo abbraccio, permettendomi quindi di respirare. “Avevo davvero voglia di vederti.” Mi disse, sorridendomi e baciandomi una seconda volta. “Anch’io.” Risposi, sorridendo a mia volta. Dopo aver passato insieme quel momento così romantico, ci incamminammo verso la mia stanza. Una volta entrati, ci sdraiammo sul mio letto, e spostando il suo sguardo su di me, Julius iniziò ad accarezzarmi dolcemente la pancia. Lasciando che un pensiero felice mi attraversasse la mente, sorrisi a quel tocco. In quel preciso momento, mi concentrai unicamente sul rapporto che mi legava a Julius. Avevo ormai diciannove anni, ero fidanzata con un ragazzo a dir poco meraviglioso, e portavo in grembo il nostro bambino. Eravamo l’uno al fianco dell’altra, e sembrava che nulla potesse rovinare quel momento. Mantenendo un religioso silenzio, Julius mi prese la mano, e improvvisamente tutto tacque. Il rumore causato dai miei pensieri cessò di colpo, ed io non sentii altro che pace.
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XVIII


La vera felicità


Nella mia stanza la calma regna sovrana. Attorno a me, solo silenzio. Lentamente, decido di aprire gli occhi, scoprendomi sdraiata sul mio letto. Julius è ancora al mio fianco, e sembra aver vegliato su di me per l’intera notte. Si è addormentato con una mano sulla mia pancia, ed io non osavo muovermi. Spostai il mio sguardo su di lui, e vidi che dormiva beatamente. Scivolai lentamente giù dal letto, uscendo quindi dalla mia stanza. Non appena aprii la porta, vidi mia madre in piedi di fronte a me. Istintivamente, raggelai. Guardandola, capii che aveva intenzione di aprire la porta della mia camera. Vista la presenza di Julius, non volevo assolutamente che lo facesse, così lottai per tale scopo. Le impedivo di farlo al meglio delle mie possibilità, e proprio mentre tentavo di impedirglielo, ricevetti un accidentale colpo al braccio da parte sua. Lamentandomi per il dolore, finii per svegliare Julius, che si precipitò fuori dalla stanza, raggiungendomi. “Stai bene?” mi chiese, preoccupato. “Sì.” Biascicai, massaggiandomi il braccio ancora indolenzito. “Che cosa ci fa lui qui?” chiese mia madre, fulminandomi con lo sguardo.” “L’ho invitato io.” Mentii, sperando di soddisfare la sua curiosità. Fortuna volle, che Julius facesse il mi gioco, annuendo non appena mia madre lo guardò. Spostai per una seconda volta il mio sguardo su di lei, e subito dopo, venni scossa da un fremito. Barcollai a causa dello stesso, finendo per accasciarmi sul pavimento. In quel preciso istante, Julius mi si avvicinò, prendendomi delicatamente il polso. Ebbi a malapena il tempo di incrociare il suo sguardo, per poi abbassare la testa e svenire. Non ricordo molto riguardo a tale svenimento, e posso solo dire di essermi risvegliata in ospedale. La fatica che avevo fatto per riuscirci era stata incredibile, ma sapevo di avercela fatta. Non appena mi svegliai, guardai subito Julius negli occhi. “Crystal! Ce l’hai fatta!” lo sentii dire, sopraffatto dalla gioia. “Cosa mi è successo?” gli chiesi, abbozzando un sorriso. “Sei semplicemente svenuta, così ti abbiamo subito portata qui.” Mi rispose, accarezzandomi una guancia. Alcuni istanti dopo, mia madre e un medico varcarono la soglia della mia stanza d’ospedale quasi in contemporanea. “La bambina sta bene.” Disse, rivolgendosi sia a me che a Julius. “Cosa sta dicendo?” chiese mia madre, stranita dalle parole del dottore. “La pura verità.” Rispose quest’ultimo, in tono calmo e pacato. Poco tempo dopo, un’ infermiera mi raggiunse, dandomi finalmente l’occasione di tenere in braccio mia figlia. Osservando il comportamento dell’infermiera, mia madre manteneva il silenzio, che era intervallato da occhiate indagatrici. Quasi temendo la sua reazione, non oso parlare, tenendo semplicemente in braccio la bambina. “È tua nipote. Dissi, guardando mia madre negli occhi, e lasciando che prendesse in braccio la bambina. Mia madre spostò quindi il suo sguardo su di me. Appariva seriamente confusa, e continuava a guardarmi senza staccare gli occhi da me. “Questa bambina è figlia mia e di Julius.” Chiarii. Ad essere completamente sincera, non avevo mai detto nulla a mia madre della mia gravidanza, e in questo preciso istante, lei aveva appena scoperto ogni cosa. Stranamente, anche dopo la mia spiegazione, mia madre non disse una parola, limitandosi ad abbracciarmi. Avevo appena dato alla luce sua nipote, e lei ne era evidentemente entusiasta. Conclusi quindi che mia madre conoscesse già questo mio segreto, ma che avesse continuato a tacere tale scoperta, esclusivamente per sorprendermi con la reazione che aveva appena avuto. Quando finalmente riuscii a sciogliermi dal suo abbraccio, compresi che il pomeriggio appena passato non era certamente ordinario, per una semplice ragione. Io e il mio fidanzato Julius, anche dopo mille tribolazioni, avevamo avuto l’occasione e la fortuna di assistere alla nascita di nostra figlia Destiny White. In quel preciso istante, io e lui dovemmo ammettere l’inesistenza di parole belle abbastanza da descrivere la nostra felicità. Il nostro rapporto è stato costellato di difficoltà, che ora sembravano essere completamente svanite. Ad ogni modo, c’è da ricordare la presenza delle stesse dietro ad ogni angolo. Ora come ora, stiamo vivendo dei momenti di reale e genuina felicità, ma un presentimento fa insinuare un oscuro pensiero nella mia mente, secondo il quale, la stessa non durerà a lungo. Continuo a lamentarmi riguardo a tale presentimento, e Julius fa del suo meglio per confortarmi. “Calmati.” Mi ripete, abbracciandomi e accarezzandomi i capelli. Per un momento, riprendo il controllo di me stessa, respirando a fondo e perdendomi nei suoi occhi nocciola. Lascio quindi che mi stringa in un secondo abbraccio, che ha il potere di farmi dimenticare ogni bruttura della mia giovane esistenza. Mi convinco che la sua presenza nella mia vita era di fondamentale importanza. Nonostante i nostri trascorsi, siamo riusciti a tornare ad essere noi stessi, e vivere quindi come la giovane coppia di innamorati che siamo. In questo preciso istante, tengo in braccio nostra figlia Destiny, la quale, in questa situazione, non risulta essere semplicemente nostra figlia, ovvero sangue del nostro sangue, bensì qualcosa di molto più importante. Oltre ad essere la nostra amata bambina, la piccola Destiny è il puro simbolo della nostra vera felicità.
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XIX
Animi feriti
Altri due lunghi mesi della mia vita sono ormai fuggiti, come un destriero che galoppa al tramonto, alla volta di verdi praterie sconosciute. Fino a qualche tempo fa, avrei sfruttato i miei momenti di pausa per rilassarmi, ma purtroppo, ora come ora, non poso più farlo. Due mesi fa, è infatti venuta alla luce mia figlia Destiny, la quale purtroppo, ha fatto il suo ingresso nel mondo trovando davanti a sé un impervio cammino da percorrere. Difatti, lei non è una bambina come le altre, poiché nata in condizioni critiche. La piccola, soffre di una grave malattia cardiaca. Il suo giovane cuore è davvero troppo debole, e ogni battito potrebbe letteralmente essere l’ultimo. Per questa ragione, Julius  ed io passiamo ogni notte a preoccuparci per lei, avendo cura di non perderla mai di vista. Difatti, lasciamo sempre che dorma al nostro fianco, in modo da riuscire a monitorare costantemente il suo battito cardiaco. Per qualche strana ragione, ogni volta che Destiny inizia ad avere problemi a respirare a causa della sua malattia, sembra che Julius sia l’unica persona in grado di riuscire a calmarla, ristabilendo così la sua condizione fisica. Tale avvenimento, mi avvilisce, poiché significa, secondo il mio pensiero, che non sono una brava madre. fortunatamente, Julius è sempre pronto a risollevarmi il morale. Lui stesso, mi ha infatti rivelato un segreto, che ha avuto la fortuna di imparare da sua madre. Secondo lo stesso, le figlie femmine sembrano essere maggiormente recettive verso i padri, mentre il contrario vale per i maschi. Le sue parole sono di gran conforto per me in questo momento, poiché mi fanno capire quanto nostra figlia Destiny sia legata a noi. L’unica pecca è che anche amandola, non saremo mai in grado di sconfiggere il male che la affligge dalla nascita. Ad ogni modo, questo non significa che Destiny non potrà condurre una vita piena e normale, e voglio davvero sperare che un giorno, in un futuro non troppo lontano, mia figlia possa riuscire a sconfiggere questo male. I giorni passano, ma la mia speranza a riguardo non accenna ad affievolirsi. Essendo i suoi genitori, Julius ed io abbiamo fatto una promessa. Infatti, faremo tutto ciò che è in nostro potere per riuscire a salvarla. Anche se la malattia di cui soffre è davvero grave, sono fermamente convinta dell’esistenza di una cura. Julius ed io siamo fiduciosi, e vogliamo quindi continuare a sperare. Ora come ora, gli animi di tutti noi sono feriti, e le ferite all’interno degli stessi sanguinano copiosamente. Ad ogni modo, siamo entrambi sicuri di una cosa. Il dolore che ora proviamo, verrà lentamente sostituito da una sensazione di indescrivibile felicità. Un giorno, tutti noi avremo cura di voltarci indietro, per poi scoprire che tutte le difficoltà che siamo stati costretti ad attraversare, non erano altro che ardue sfide proposte dalla vita stessa, che è costellata di gioie e dolori. Inoltre, come ho avuto l’onore e la fortuna di imparare a mie spese, se la vita ci presenta una difficoltà, la stessa non è altro che un percorso preparatorio, ossia un trampolino di lancio verso una gioia perfino più grande. La vita stessa, risulta a volte essere la più dura delle insegnanti, poiché somministra il proprio esame ancora prima di spiegare la lezione che va inevitabilmente, e anche per vie traverse, imparata. Ad ogni modo, quello che davvero mi sorprende riguardo a mia figlia Destiny, è la sua grande determinazione, unita al suo attaccamento alla vita. Ho avuto modo di riconoscere questa sua qualità il giorno della sua nascita. Non appena ha fatto il suo ingresso in questo mondo, così crudele e al contempo benevolo, non ha osato emettere neppure un singolo vagito, limitandosi semplicemente ad aprire gli occhi. Sin da quando è nata, ha avuto cura di dimostrare la sua forza d’animo. sfortunatamente, solo ora mi rendo conto che questa sua forza si sta lentamente esaurendo. Julius ed io, ci sentiamo letteralmente divisi in due. I nostri cuori e le nostre menti sono impegnati in un diverbio senza fine, poiché speriamo in una pronta guarigione da parte di Destiny, ma allo stesso tempo siamo consapevoli del fatto che è letteralmente troppo debole e malata per riuscire a salvarsi. Vista la situazione, Julius ed io non possiamo fare altro che volgere il nostro speranzoso sguardo al cielo e pregare, sperando in un vero e proprio miracolo, capace di lenire le il dolore presente nei nostri fragili animi feriti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo XX
Speranze e imprevisti


Sono sveglia e vigile come ogni notte, e poso il mio sguardo sulla piccola Destiny, la quale, in questo momento dorme beatamente accanto a me. Il silenzio che regna attorno a me, è spezzato dal respiro di mia figlia, che ha sempre avuto dei problemi a farlo, a causa di una grave malattia cardiaca di cui soffre dalla nascita. Rimango completamente immobile ad osservarla, mentre respira a fatica. Venendo colta alla sprovvista da tale evento, sveglio subito Julius, il quale, accorgendosi di quanto sta accadendo, provvede a prendere in braccio Destiny, sperando di calmarla e aiutarla a respirare. Dopo alcuni secondi, noto che il respiro e il battito cardiaco di mia figlia si regolarizzano, e provo un profondo senso di sollievo a riguardo. Con il passare del tempo, Destiny sta crescendo, rispettando fortunatamente ogni singola tappa della sua crescita. Difatti, ha appena compiuto due anni, e nonostante la sua malattia, si comporta come ogni bambina della sua età. È una bambina molto curiosa, e ama scoprire il mondo che la circonda. Ad ogni modo, sono felice di sapere che mia figlia sta lentamente migliorando. Personalmente, amo vederla camminare in giro per casa, e sentirla parlare con me, mentre arricchisce di giorno in giorno il suo vocabolario. L’unica pecca è che gli altri bambini che conosce la prendono in giro, poiché a loro dire, lei non tiene il loro passo. Tale consapevolezza ci avvilisce entrambe. So bene che Destiny vorrebbe essere una bambina normale, senza alcuna limitazione fisica, ma purtroppo, questo suo desiderio non si realizzerà mai. Ad ogni modo, mi ripeto che è una bambina forte, e che in qualche modo riuscirà a superare questo durissimo scoglio. Destiny possiede una notevole forza d’animo, unita ad una determinazione di proporzioni incredibili. Essendo sua madre, non posso che sentirmi ogni giorno orgogliosa e fiera di lei, poiché recentemente ha trovato il modo di mettere a tacere tutti i bambini che osano prendersi gioco di lei. Non urla, non alza la voce, ma li allontana silenziosamente, facendoli progressivamente scomparire dalla sua vita. Con questi ingegnosi espedienti, Destiny sta lentamente costruendo la sua indipendenza, garantendosi quindi, una certa dose di libertà. Volendo dimostrarle quanto sono fiera di lei, le ripeto giornalmente che le voglio bene, non dimenticando mai di dirle qualcosa di ancora più importante. Difatti, data la lunga lista di difficoltà che è costretta ad affrontare, mi sono presa la libertà di dedicarle una frase, che secondo il mio pensiero è ricca di significato. Difatti, Julius ed io esprimiamo giornalmente l’affetto che proviamo nei suoi confronti, ripetendole che è una bambina speciale, e facendole quindi capire, con parole semplici e adatte alla sua giovane età, che se le persone attorno a lei storcono il naso alla sua vista, o la deridono e feriscono attraverso l’uso delle parole, deve fingere la loro inesistenza, poiché i banali pezzi di vetro provano invidia nei riguardi dei preziosi diamanti. Di giorno in giorno, la piccola Destiny continua ad imparare, facendo tesoro di ogni mio insegnamento. Difatti, nonostante la sua giovane e tenera età, sembra davvero essere molto più matura. Da ormai lungo tempo, Julius ed io siamo costantemente disturbati da un singolo e nefasto presentimento. Una flebile voce all’interno dei nostri fragili animi, continua infatti a ripeterci che Destiny va salvata prima che sia troppo tardi. Entrambi vorremmo davvero sapere quale sia il prossimo passo da compiere, così come la nostra prossima meta. Ad ogni modo, volendo mantenere viva la mia positività, assieme alle mie ormai morenti speranze, mi sono rivolta a mia madre, la quale, sembra essere l’unica persona disposta ad aiutarmi. La stessa, ha finalmente trovato il coraggio di rivelarmi un segreto che aveva finora taciuto. La vidi quindi posare il suo sguardo su di me. “So che cos’ha tua figlia, e posso aiutarla.” Disse, in tono solenne. Ad ogni modo, non potei evitare di guardarla negli occhi, pur senza capire. “Sono una Guaritrice.” Aggiunse, con lo stesso tono utilizzato fino a poco prima. In quel preciso istante, Julius fece il suo ingresso nella stanza. Dopo alcuni secondi, notai che proprio dietro di lui, c’era la piccola Destiny. Aveva trotterellato accanto al padre fino a quel momento, e non potei evitare di lasciarmi sfuggire un genuino e luminoso sorriso, quando mi accorsi che lui le stava tenendo la mano. Pochi istanti dopo, mia madre chiese alla bambina di avvicinarsi a lei. La bambina obbedì senza fiatare, iniziando quindi a muovere qualche passo verso la nonna. Quando finalmente la raggiunse, lasciò che la stessa le prendesse la mano. Subito dopo, intravidi uno strano bagliore provenire dalle mani di mia madre. Tacendo la mia scoperta, non osai parlare, guardando mia madre negli occhi. “Come ti senti?” chiesi a Destiny, dubbiosa e preoccupata. La bambina non rispose, limitandosi ad annuire e sorridere. Interpretai quindi quel responso come positivo, non potei evitare di sorridere a mia volta. “Cos’è successo?” chiesi a mia madre, stranita dall’accaduto. “L’ho guarita.” Rispose, sorridendo debolmente. In quel preciso momento, Julius ed io ci scambiammo un occhiata d’intesa. Ad un tratto, mia madre mi si avvicinò, ed io la strinsi in un abbraccio. Ero davvero felicissima. Difatti, mia madre era riuscita a guarire mia figlia, soltanto grazie all’utilizzo dei suoi poteri. Finalmente, Destiny poteva essere considerata al pari di ogni altra bambina, poiché è finalmente riuscita a vincere la lotta contro la sua malattia. Sa bene di essere finalmente guarita, e per tale motivo, continua a ripetermi che non sarà mai abbastanza grata a sua nonna. Se non fosse stato per il suo intervento, infatti, la piccola Destiny sarebbe sicuramente morta. Julius ed io, non potremmo chiedere di meglio. La nostra amata bambina ha finalmente visto la luce alla fine di questo tunnel, e sembra che non esista modo di esprimere la nostra felicità. Ad ogni modo, un ennesimo e tuttavia negativo presentimento, fa in modo che un orribile pensiero si faccia strada nella mia mente. Difatti, non vedo Camille dalla nascita di Destiny, e ciò mi porta inconsciamente a pensare che stia tramando qualcosa contro di me, proprio come ai tempi del liceo. Quella serpe bruna è una Rinnegata, ossia l’esatto contrario di noi Figli della Musica. I suoi genitori sono la causa della morte di mio padre, e da quando l’ho scoperto, mi chiedo giornalmente cosa potrebbe accadere. In questo preciso momento, io e Julius siamo sicuri di una cosa. Sappiamo bene infatti di aver ripristinato le nostre speranze, così come i nostri dubbi. Inoltre, siamo perfettamente consapevoli di essere circondati da persone che ci amano, e che sono pronte ad aiutarci e sostenerci su ogni fronte. Ad ogni modo, per qualche strana ragione, un nuovo pensiero inizia a galleggiare nella mia testa, potendo quindi essere paragonato ad una soffice e bianca nuvola sospesa nel cielo azzurro. Per un’infinita serie di motivazioni, so che assieme alla mia felicità e alle mie speranze, anche tantissimi imprevisti stanno per tornare a far parte della mia vita.


Capitolo XXI


Peggio del previsto


Un altro anno è passato, e molte cose nella vita mia e di Julius sono fortunatamente cambiate in meglio. Difatti, nostra figlia Destiny è finalmente riuscire a guarire dalla sua grave malattia cardiaca. Ora come ora, sono tranquillamente seduta nel salotto di casa, e tengo Destiny in braccio mentre discorro animatamente con mia madre. La stessa, condivide appieno le mie idee, secondo le quali, qualcosa di davvero orribile stia per accadere. Inoltre, sempre secondo il pensiero di mia madre, uno spiacevole imprevisto coinvolgerà anche mia figlia Destiny. Personalmente, mi rifiuto di crederle. Lei stessa sa bene di essere una Figlia della Musica come me e Julius, ma non sa assolutamente niente dei miei trascorsi. Non conosce affatto Camille, e non è al corrente di tutte le angherie che ho subito a causa sua. Ad ogni modo, non riesco a smettere di pensare alle parole di mia madre, né tantomeno a stare tranquilla. Una parte di me vorrebbe disperatamente evitare tale pensiero, ma un’altra non riesce a farlo. Se avesse ragione, la mia vita cambierebbe radicalmente. “Sta calma.” Mi ripete Julius, con un filo di preoccupazione nella voce. “Non posso.” Gli rispondo ogni volta, finendo per iniziare a versare amare e scarlatte lacrime. “Ti fidi di me?” mi chiese, in tono calmo ma serio. “Si.” Risposi, con gli occhi ancora colmi di lacrime, che intanto sgorgano e macchiano un mio bianco e candido fazzoletto. “Che succede?” mi chiese Destiny, con voce angelica e sguardo innocente. Spostai quindi il mio sguardo su di lei, tentando di ricacciare indietro le lacrime e abbozzando un debole sorriso. “Niente.” Le risposi infine, stringendola in un delicato abbraccio. Subito dopo, la presi in braccio, per poi portarla a letto. Vegliai su di lei fino a quando non sì addormentò, e dopodichè lasciai la stanza, chiudendo lentamente la porta alle mie spalle. Successivamente, raggiunsi Julius nella nostra camera, e mi infilai subito sotto le coperte. Quella sera, passai una notte insolitamente insonne. Riuscii a dormire soltanto per poche ore, dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto. Ad ogni modo, non appena riuscii ad addormentarmi, venni svegliata da un rumore sospetto, che decisi di ignorare. Avrei voluto controllarne la fonte, ma ero decisamente troppo stanca per farlo. Cambiando quindi idea, diedi le spalle alla porta della stanza, lasciando che le mie morbide e calde coperte mi avvolgessero. Procedetti quindi a riaddormentarmi. La luce dell’alba illuminò la mia stanza dopo alcune ore, ed io decisi di alzarmi dal letto, seppur con grande riluttanza. Dopo essermi vestita, decisi di uscire subito di casa. Dati gli oscuri sentimenti che avevano turbato il mio animo, pensai che un’uscita, o una rilassante e salutare passeggiata, potessero aiutare a calmarmi. Per qualche strana ragione, non riuscivo in alcun modo a rilassarmi. Ogni passo che muovevo nel verde e lussureggiante parco cittadino, sembra perdersi nel vuoto dello stesso. È primavera, eppure quest’oggi il vento soffia impetuoso, facendo sì che anche i rami degli alberi a me vicini si muovano minacciosamente. Facendo appello alla mia razionalità, tento di tornare ad essere me stessa, tentando quindi in ogni modo di calmarmi. Ad un tratto, vengo distratta da una leggera ombra proiettata sul terreno. Quasi istintivamente, sposto il mio sguardo sull’ombra stessa, tranquillizzandomi quando scopro che appartiene ad uno dei vecchi e attempati gatti della zona. L’animale sembrò quindi notare la mia presenza, ma decise di ignorarmi, continuando a camminare per la sua strada, forse alla ricerca di qualche insetto o uccello da inseguire. Arrestando il mio cammino, decisi di iniziare a procedere a ritroso, così da raggiungere la mia auto e tornare subito a casa. Non appena accesi il motore, venni pervasa da un profondo senso di sicurezza. Ora come ora, non mi restava altro da fare che iniziare a guidare e raggiungere la mia casa, ovvero la mia unica destinazione. Per tutta la durata del viaggio, tenni gli occhi fissi sulla strada, non permettendo a niente e nessuno di distrarmi. Guidavo ormai da lungo tempo, e venni colta di sorpresa da un passante. Era un uomo abbastanza alto, e portava una giacca nera. Cercai di non dar peso alla sua vista, venendo però attirata da un singolo e minuscolo particolare. Gli occhi color nocciola di quell’uomo, unito allo sguardo carico d’odio che mi rivolse. Stranita, riportai la mia attenzione sulla strada che percorrevo, evitando con tutte le mie forze di pensare a quanto era appena accaduto. Raggiunsi la mia destinazione dopo un tempo che mi parve infinita, e decisi di entrare subito in casa. Non appena lo feci, mi diressi verso la mia stanza. Entrandovi, vidi Julius seduto sul letto. Aveva uno sguardo preoccupato, ma al contempo pensieroso. Interrogandolo con un gioco di sguardi, gli chiesi cosa gli fosse successo, e per tutta risposta, lui mi mostrò il suo cellulare. Guardandone attentamente lo schermo, notai che aveva appena ricevuto un messaggio. Gli chiesi quindi di visualizzarlo, venendo scossa da un tremito. “La vostra vita è da ora un inferno.” Queste le parole che componevano il messaggio ricevuto da Julius. Subito dopo averlo letto, decisi di sedermi accanto a lui. In quel preciso istante, iniziai inconsapevolmente a tremare. Cercai quindi di afferrare la mano di Julius, alla disperata ricerca di conforto.  “È finita.” Dissi. Abbassando lo sguardo, e apparendo quindi visibilmente sconsolata. “Non è vero.” Rispose Julius, nel tentativo di infondermi coraggio. “Ne usciremo insieme.” Promise, guardandomi negli occhi. Dopo aver ascoltato le sue parole, lo strinsi in un abbraccio, e chiusi gli occhi. Speravo, con tale comportamento, di cancellare il nostro presente, così da poterlo riscrivere, proprio come si fa con le pagine di un libro. Subito dopo, lasciai la stanza, scegliendo di abbandonarmi nella sontuosa poltrona del salotto. Mi sedetti senza proferire parola, rimanendo in quella posizione per un’ora intera. L’immobilità che mantenni per tutto quel tempo, mi diede modo di pensare, e riportò alla mia mente un ricordo. Difatti, in quel preciso istante, ogni cosa sembrò diventare più chiara. Finalmente, l’uomo che aveva incrociato il mio sguardo aveva acquisito un’identità. Quell’uomo, non poteva che essere Dustin. Un breve ma arguto ragionamento, mi permise poi di giungere ad una ponderata e logica conclusione. Il mittente del messaggio ricevuto da Julius era inequivocabilmente Camille. Conoscevo quella perfida ragazza come il palmo della mia mano, e sapevo che il suo agire circospetto non era altro che uno dei suoi infiniti modi di manifestare la sua cattiveria e infliggermi le sue angherie. Con un velo di paura nel cuore, Julius ed io andammo a letto. Eravamo entrambi sfiniti, e finimmo per addormentarci quasi subito. Ad ogni modo, ci svegliammo alle prime luci dell’alba. Era una calda mattina feriale, e ciò significava che Julius doveva andare al lavoro. Poco prima della nascita di nostra figlia Destiny, era infatti riuscito a trovare un impiego come insegnante di matematica nel nostro vecchio liceo. Visti i nostri trascorsi, e considerati i tempi che correvano, temevo per la sua incolumità, e per tale motivo, lo pregai di non uscire di casa almeno per un giorno. Lui stesso, tuttavia, si trovò costretto a rifiutare e a ignorare le mie richieste. Fra noi due era l’unico a lavorare, e sapeva che se non l’avesse fatto, non avremmo potuto continuare a permetterci il nostro stile di vita. Notando di non poter riuscire a convincerlo ad ascoltarmi, lo lasciai andare, seppur a malincuore. Rimasi quindi perfettamente immobile sull’uscio di casa, a guardarlo allontanarsi verso la sua destinazione. Passai il resto della giornata a preoccuparmi, tentando allo stesso tempo, di uscire dal guscio in cui avevo finito per rintanarmi. L’orologio del mio cellulare segnava appena le nove del mattino, e proprio in quel momento, ricevetti una telefonata. Grazie alla stessa, avevo finalmente avuto modo di parlare con la mia vecchia amica Sophia. Abbiamo entrambe finito la scuola da poco, ed io non ricevevo sue notizie dal giorno della nascita di Destiny. La nostra chiacchierata non durò molto, e al termine della stessa, pronunciò una frase che mi fece trasalire. Mi chiese infatti, di accendere la televisione. Senza protesta alcuna, feci ciò che mi era stato chiesto, raggiungendo quindi lentamente il salotto. Non appena accesi il televisore, raggelai e mi sentii mancare. Difatti, una notizia del telegiornale affermava che un uomo era stato appena investito da un pirata della strada. Sconvolta, continuavo a guardare imperterrita lo schermo, non riuscendo a nascondere il mio terrore. Dopo alcuni secondi, ascoltai una breve descrizione di quel pover’uomo. Iniziai letteralmente a tremare, accorgendomi che la stessa corrispondeva in tutto e per tutto a quella di Julius. Non riuscivo a crederci. Quella odierna sembrava essere una giornata tranquilla, e lui era semplicemente uscito per andare al lavoro, e ora mi rendevo conto che mio marito, l’uomo che amavo con tutta me stessa, era appena stato investito. Senza neanche aver modo di accorgermene, iniziai a versare amare lacrime. Con il cuore gonfio di tristezza, continuavo a prestare attenzione alle immagini riguardanti l’incidente, facendo quindi inconsapevolmente aumentare il mio senso di malessere. Decisi di spegnere subito il televisore, sperando che tale azione cancellasse anche quelle orribili immagini, ora impresse nella mia mente. Non riuscivo a vedere nient’altro che mio marito esanime in terra, giacere al suolo in attesa di aiuto. Non potendo credere a ciò che avevo appena avuto la sfortuna di vedere, mi ritirai nella mia stanza, scegliendo di abbandonarmi sul letto nella vana speranza di dormire. I minuti passavano, ed io ero sul punto di scivolare in un sonno profondo, quando improvvisamente venni sorpresa dalla vibrazione del mio cellulare. Il display dello stesso era illuminato, e segnalava l’arrivo di un messaggio di Sophia. Prendendolo lentamente in mano, lo visualizzai. Lo stesso consisteva in una singola frase, che tuttavia bastò a risollevarmi il morale. “Per fortuna sta bene.” Subito dopo, sentendo rinascere in me una nuova speranza, decisi di uscire di casa e raggiungere l’ospedale. In fondo, sapevo che dopo quanto era successo, quello era l’unico posto in cui avrei potuto trovare Julius. Raggiunsi la mia destinazione in pochi minuti, e procedetti a comunicare il mio cognome e il motivo della mia visita ad un’infermiera, che mi guidò fino alla stanza che i medici gli avevano assegnato. Quando vi entrai, non potei evitare di nascondere con le mani il mio viso colmo di lacrime. Julius era sdraiato in un arido letto d’ospedale, e teneva gli occhi chiusi. Avvicinandomi, mi rincuorai vedendo che respirava, seppur debolmente. Per due intere ore, rimasi seduta accanto a lui, tenendogli la mano. I medici mi dissero che era entrato in coma subito dopo l’incidente, e che per lui c’erano ormai poche possibilità di salvezza. Chiusi quindi gli occhi a mia volta, e senza proferire parola, scivolai nel mutismo più completo. Dopo alcuni minuti, avvertii un leggero e impercettibile cambiamento. Il respiro di Julius, dopo ore di attesa, si era finalmente regolarizzato. Spostai quindi il mio speranzoso sguardo su di lui, continuando a stringergli la mano. Pochi secondi dopo, lo vidi tentare di aprire gli occhi. Ci riuscì dopo alcuni vani tentativi, e iniziò a biascicare qualche parola, fra cui il mio nome. In quel preciso istante, non riuscivo a contenere la mia felicità, e lasciai inconsciamente che le mie labbra si dischiudessero in un luminoso sorriso. Non riuscivo davvero a crederci. Ero così felice da non distinguere il sogno dalla realtà. Ad ogni modo, in quel momento era sicura di una cosa. Non stavo sognando, e mio marito aveva fatto appello a tutte le sue forze per tornare sé stesso e restarmi accanto. Julius aveva gli occhi aperti, e mi parlava con voce flebile. Con un filo di voce, mi chiese di nostra figlia Destiny, e lo rassicurai dicendogli che stava bene, e che era il ritratto della salute. Dopo aver ascoltato le mie parole, Julius sorrise. Dopo alcuni secondi di silenzio, pronunciò una frase alla quale faticai a credere. “È colpa di Camille.” Quelle cinque parole mi colpirono, suscitando la mia incredulità. Guardai quindi Julius negli occhi, aspettando che riprendesse a parlare. Lo conoscevo da anni, e non aveva mai osato mentirmi in nessuna occasione, ragion per cui, compresi di dovergli forzatamente credere. Ad ogni modo, anche fidandomi ciecamente di lui, non riuscivo minimamente ad accettare la realtà che stavo vivendo. In quel preciso istante, il messaggio di quella serpe bruna mi ritornò in mente. Lo stesso, sosteneva a chiare lettere che la nostra vita sarebbe lentamente divenuta un inferno. Dopo un veloce ragionamento, scoprii la verità che continuavo a negare a me stessa. Difatti, tutte le nostre disgrazie sembravano portare la sua firma. La situazione in cui Julius ed io ci trovavamo non era certo delle migliori, ma entrambi decidemmo di conservare la speranza. Per mia fortuna, Julius venne dimesso dall’ospedale quello stesso giorno, ragion per cui, scegliemmo di tornare subito a casa, nostro confortevole nido, sede del nostro nucleo familiare. In breve, calò la sera, ed entrambi decidemmo di andare a letto. La sfortunata e tragica serie di eventi che avevamo vissuto in quei tre giorni, ci avevano letteralmente spossato. Ci addormentammo l’uno accanto all’altra nel nostro letto, scivolando in un profondo sonno e venendo cullati dal ritmico battito dei nostri cuori. Ci svegliammo entrambi la mattina dopo, consapevoli di aver stilato una lunga lista di cose da fare. Ognuno di noi aveva i propri piani, che andavano ovviamente portati a termine. Poco prima di addormentarsi, Julius aveva avuto cura di dirmi che aveva una sorpresa per me. Sorridendo, decisi di non proferire parola, limitandomi ad aspettare l’inizio di un nuovo giorno per scoprirla. Ci svegliammo entrambi la mattina dopo, guardandoci entrambi negli occhi. Liberando una mano dalla morsa delle coperte, Julius mi accarezzò dolcemente la guancia. Chiusi gli occhi per alcuni secondi, così da potermi godere quel momento, scegliendo di alzarmi dal letto subito dopo. Ad ogni modo, notai che Julius si comportava in maniera piuttosto inconsueta. Appariva spesso distratto, e sembrava quasi ignorarmi. Conoscendo mio marito come il palmo della mia mano, sapevo che i suoi comportamenti non erano altro che chiari segnali delle sue intenzioni. Stava sicuramente architettando qualcosa, e ora ne avevo la certezza. Dopo aver fatto la doccia, raggiunsi la mia camera per vestirmi. Tale azione, non mi portò via molto tempo, ma guardandomi allo specchio, notai che mancava qualcosa. Nella fretta, avevo erroneamente dimenticato di mettere al collo il mio amato ciondolo. Così, decisi di aprire il cassetto in cui lo conservavo, in modo da rimediare alla mia dimenticanza. Proprio mentre ero nell’atto di farlo, notai la presenza di uno strano biglietto accanto allo specchio. Incuriosita, iniziai a leggerlo. Lo stesso, riportava due singole e semplici parole. “Aspetta stasera.” Dopo aver letto quell’insolito biglietto, che presentava l’inequivocabile calligrafia di Julius, corsi subito in cucina, dove fortunatamente lo trovai. Gli corsi quindi incontro, abbracciandolo. Lo ringraziai quindi del biglietto, asserendo che lo stesso mi aveva reso felice, ma al contempo ansiosa e impaziente. “Non vedo l’ora che arrivi stasera.” Dissi, in preda ad un incontrollabile stato di euforia. “Lo credo bene.” Rispose, sorridendomi. Passai quindi il resto della giornata a leggere, potendo solo immaginare le sue intenzioni. Finalmente, dopo una lunga attesa, la sera calò sulla nostra amata città. Stavo per mettermi ai fornelli come di consueto, ma Julius mi fermò, annunciando che saremo usciti insieme. Ero davvero felice, ma allo stesso tempo preoccupata. Sapevo, infatti, che se fossimo usciti di casa nostra figlia Destiny sarebbe rimasta completamente sola. Decisi quindi di esporre il problema a Julius, il quale, mi rassicurò affermando di aver già pensato a tutto. Difatti, a mia completa insaputa, aveva affidato Destiny alle cure della nonna. Ora come ora, ogni singolo particolare nel quadro dei miei sentimenti sembra aver trovato il suo posto. Sono davvero felice e rilassata, e sembra che nulla possa rovinare il nostro momento insieme. Quella sera, Julius decise di portarmi fuori a cena. Ero ovviamente entusiasta all’idea, ragion per cui, decisi di non proferire parola a riguardo, limitandomi quindi a sedermi in auto. Il viaggio verso la nostra destinazione durò circa mezz’ora, ma decisi almeno per quella sera, di non badare allo scorrere del tempo. Quando finalmente raggiungemmo il ristorante, espressi la mia felicità a Julius. Continuavo a ripetergli che ero felicissima, e che quello era il più bel giorno della mia vita. Consumammo quindi la nostra cena senza proferire parola. Il nostro gioco di sguardi era abbastanza eloquente. Conoscendoci da anni, le parole erano ormai divenute superflue. Non appena finii di cenare, vidi Julius muoversi lentamente verso di me. Rimanendo perfettamente immobile, gli sorrisi, guardandolo negli occhi. Inconsapevolmente, lasciai che un secondo sorriso mi illuminasse il volto, venendo pervasa da una sensazione di calma e felicità. Chiusi quindi gli occhi, sorridendo al suo tocco. “Non aprire gli occhi.” Mi chiese, rimanendo calmo. Annuendo, decisi di obbedire. Riaprii gli occhi dopo alcuni secondi, per trovarmi davanti una sorpresa mozzafiato. Non riuscivo davvero a credere ai miei occhi. Proprio davanti a me c’era una bellissima torta al cioccolato. Sorrisi e lo ringraziai, abbracciando Julius e tenendolo stretto a me. Come ogni anno, si era ricordato del mio compleanno. Sin da quando eravamo bambini, Julius non si è mai dimenticato di tale ricorrenza, facendomi sempre i regali migliori. Con grande gioia, scoprii che le sorprese non erano finite. Difatti, notai Julius frugarsi nella tasca della giacca, per poi estrarne un biglietto, che mi chiese di leggere. Lo stesso, scritto proprio dal mio amato Julius, testimoniava il suo amore per me. Anche io lo amavo, e non avevo mai perso occasione per farglielo notare. Dopo aver finito di mangiare, tornammo subito a casa. Durante il viaggio di ritorno, ebbi l’occasione di sentirmi davvero rilassata e calma. Visti i miei trascorsi, il mio animo era quasi costantemente pervaso da sentimenti quali il dolore, la paura e l’indecisione, che finalmente erano stati soppiantati dalla gioia. In breve tempo calò la sera, ed entrambi andammo a letto. Ebbi quindi cura di ringraziare Julius per la splendida serata, addormentandomi fra le sue braccia dopo qualche minuto. Per qualche strana e a me ignota ragione, un oscuro pensiero si insinua nella mia mente. Non riesco davvero a capire cosa sta accadendo, ma sembra che nonostante la splendida giornata appena trascorsa, tutto finirà per rivelarsi peggio del previsto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Capitolo XXII


Tragici sviluppi


È notte fonda, il buio e il silenzio mi avvolgono, e sto ancora dormendo. Vengo svegliata da uno strano ed insolito rumore. Apro quindi gli occhi, pur mantenendo la mia immobilità. Vorrei davvero controllarne l’origine e la fonte, ma comprendo di essere decisamente troppo stanca per farlo. Nel tentativo di ignorarlo, mi rigiro nel mio letto, tentando di riaddormentarmi. Fortunatamente ci riesco dopo pochi minuti, ma sono costretta a svegliarmi una seconda volta, sempre a causa di quel medesimo e ridondante rumore, si ripresenta quasi ad intervalli regolari. Non riuscendo più a sopportarlo, decisi di alzarmi subito dal letto. Il sole è appena spuntato, e baciandomi la pelle, fa capolino fra le nuvole. Mi alzo quindi in piedi, con un singolo pensiero che vaga naufrago nella mia mente. Lo strano ed insolito rumore che ho sentito l’altra notte, mi ha davvero fatto preoccupare, ragion per cui, oggi ho deciso di far luce su questo mistero. Il mio primo pensiero fu di controllare la stanza di mia figlia Destiny, poiché dopo un’attenta analisi, un’acuta osservazione, ed un arguto ragionamento, compresi che la sua cameretta era il luogo da cui quello strano rumore proveniva. Avvicinandomi alla porta della stessa, notai che era socchiuso. Stringendomi nelle spalle, decisi di non dar peso a questo piccolo dettaglio, presumendo di averla lasciata aperta per puro caso. Dopo alcuni secondi, la spinsi dolcemente, decidendo quindi di entrare. Non appena lo feci, un minuscolo dettaglio mi colpì, attirando quindi la mia attenzione. Difatti, rimasi basita nell’assistere allo scenario che avevo davanti. La finestra della stanza era aperta, e mia figlia non era nel suo letto. Iniziando seriamente a preoccuparmi, lasciai la stanza, scegliendo di dirigermi in cucina, dove fortunatamente trovai sia Julius che  mia madre. “Destiny è sparita.” Dissi, con la voce corrotta dallo spavento. “Cosa?” dissero all’unisono entrambi, assumendo quindi inconsapevolmente il mio stesso stato d’animo. “È sparita.” Ripetei, tentando di sostituire la mia espressione spaventata con una seria. Subito dopo, con il solo utilizzo dello sguardo, convinsi Julius a seguirmi fino alla camera di Destiny. Camminavo nell’ampio corridoio, e la mia paura per tale da far sembrare la strada più lunga ad ogni passo. Quando finalmente raggiungemmo la stanza di nostra figlia, Julius fu il primo ad entrare. Dopo una manciata di interminabili secondi, lo sentii chiamare il mio nome. Senza perdere un istante, decisi di raggiungerlo. “Guarda.” Mi disse, indicando il letto di nostra figlia. Quasi istintivamente, mi inginocchiai, iniziando a ispezionare con cura il pavimento al di sotto dello stesso. Con mia grande sorpresa, notai che il mio coniglio Bubbles si era nascosto proprio sotto al letto, e tremava si paura. Con un rapido gesto della mano, lo convinsi a venir fuori dal suo nascondiglio. “Dov’è Destiny?” gli chiesi, dubbiosa. “È stata rapita.” Rispose, con serietà mai mostrata prima. “Come? E da chi?” continuai, esterrefatta dalle sue parole.” “Dall’umana indisponente.” Disse, chiudendo gli occhi in segno di tristezza. “Lo sapevo!” esclamai, furiosa. “Dobbiamo assolutamente trovarla.” Aggiunse Julius, in tono solenne. Essendo pienamente d’accordo con lui, mi limitai ad annuire, lasciando che mi prendesse per mano. Chinandomi, procedetti a prendere in braccio Bubbles, il quale, gemette per il dolore. “Lasciatemi qui.” Disse, lasciando che le sue chiare emozioni corrompessero il suo tono di voce. Obbedendo quasi istintivamente, lo lasciai subito andare, notando un orribile particolare. Il dorso di Bubbles era solcato da una profonda ferita. Ricordando il primo episodio concernente tale avvenimento, corsi nella mia stanza. Ricordai quindi, che in uno dei cassetti avevo conservato un ramo di Salvia Vitale, che procedetti a strofinare sul dorso di Bubbles non appena lo raggiunsi. Successivamente, lasciai che Julius mi prendesse per mano, lasciandomi condurre da lui fuori casa. Non appena uscimmo, ci mettemmo entrambi sulle tracce di Camille. Sfortuna volle, che non sapessimo dove abitasse, e tale situazione non depose certo a nostro favore, complicando le nostre ricerche. Camminavamo l’uno al fianco dell’altra, sperando di trovare almeno un indizio che avesse potuto condurci dritti da quell’arpia. Dopo alcuni minuti di completo silenzio, passati a vagare senza una meta, decisi di chiudere gli occhi, lasciando che una miriade di ricordi invadesse la mia mente. Fra gli stessi, ne spiccò uno, che mi convinse a riprendere il cammino da dove lo avevo arrestato. Afferrai quindi Julius per un polso. Lui non comprese la velocità e la decisione di tale gesto, ed io non persi tempo a spiegargliela. Di punto in bianco, avevo ricordato l’ubicazione della casa di Camille, e sapevo bene che nulla mi avrebbe fermato dal raggiungerla. Iniziai a correre, senza più badare al povero Julius, il quale, nel frattempo mi aveva lasciato la mano, e faticava a starmi dietro. Non curandomi di tutto ciò, proseguii per la mia strada, arrivando ad imboccare un sentiero poco lontano dalla nostra scuola. Tenevo gli occhi fissi sullo stesso, sapendo che ogni passo mi avvicinava alla mia meta. Dopo venti interminabili minuti di cammino, scorsi una casa circondata da un giardino affatto rigoglioso. Ogni singola pianta appariva appassita o morente, e l’unica ancora in vita era un arbusto di quelle che mi sembrarono more. Avvicinandomi a quella casa, bussai alla porta, non potendo controllare la vena di rabbia che avevo tentato di sopprimere e nascondere in tutto quel tempo. Ad ogni modo, non fui affatto sorpresa quando Dustin, marito della serpe bruna, aprì lentamente la porta, tentando perfino di apparire amichevole. “Che cosa avete fatto a mia figlia?” chiesi, ben sapendo che la collera si era ormai impadronita di me, e che le mie mani tremavano a causa della stessa. “Sta tranquilla, non le abbiamo torto un capello.” Rispose in tono calmo, procedendo a chiamare sua moglie. Dopo alcuni secondi di attesa, sentii la rabbia ribollirmi dentro. In quel preciso istante, trovai davanti ai miei occhi quell’arpia, che teneva in braccio mia figlia, impedendole di ribellarsi e raggiungermi. Rimanendo perfettamente immobile, osservavo il terrore negli occhi della povera Destiny, notando poi qualcosa che mi sconvolse. Aveva il viso solcato da una ferita, che fortunatamente non appariva profonda, e la stessa era presente anche sulla sua mano destra. I segni lasciati da quest’ultima, erano pressoché simili a quelli di una bruciatura. “Lasciala subito andare!” urlai, rivolgendomi a Camille. La stessa, obbedì senza parlare, lasciando quindi che fossi io a prendere in braccio Destiny. Subito dopo averlo fatto, la strinsi a me, nel mero tentativo di lenire il dolore causatole dalle ferite. Sapevo bene che mia figlia era terrorizzata, ma per qualche strana ragione, sembrava che il tocco delle mie mani la calmasse, inducendola quindi a sorridere e provare felicità. “Cosa le avete fatto?” indagai, con sguardo glaciale e voce carica di rabbia nei confronti di quell’ignobile arpia. “Le abbiamo mostrato cos’è la sua vita. Un vero inferno.” Rispose, terminando il discorso con una sarcastica e acida risata che non mi piacque affatto. In preda alla collera, fissai il mio sguardo su di lei. Pochi istanti dopo, vidi Julius tentare di frapporsi fra me e lei, rivolgendole una frase che non dimenticherò mai. “Sta lontana dalla mia famiglia.” Una frase che per alcuni potrebbe sembrare completamente ordinaria, ma che visti i nostri trascorsi non lo era per me. Quelle parole, assumevano ora un significato profondamente diverso dall’originale. Le stesse, potevano voler dire solo una cosa. Julius teneva davvero a me e alla nostra famiglia, e mentre tornavamo a casa, fra un passo e l’altro ebbi modo di riflettere. Arrivai quindi alla più logica delle conclusioni, secondo la quale, avrei sempre potuto contare sull’appoggio di Julius. Lui amava davvero la sua famiglia, e durante il cammino verso casa, fui davvero felice di sapere di farne parte.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo XXIII


Ferite invisibili


Altri due anni della nostra vita sono giunti al termine. Il dolore che li ha caratterizzati è ancora presente, e onestamente non credo svanirà mai del tutto. Nel corso degli stessi, Julius ed io ne abbiamo passate tante, ma nonostante le difficoltà, abbiamo sempre scelto di non arrenderci. Anche se piuttosto lentamente, abbiamo imparato ad accettare i nostri errori, avendo sempre cura di migliorarci allo scopo di non ripeterli in futuro. Nel corso della mia vita, ho avuto l’occasione di conoscere persone che si auguravano di non sbagliare mai, e che hanno quindi rimodellato il loro stile di vita unicamente per tale scopo. A mio parere, tanta prudenza non ha alcuna utilità, poiché gli errori non vanno interpretati come insuccessi o sconfitte, bensì come chiavi capaci di spalancare le porte dell’ignoto. Difatti, se nessuno commettesse mai neppure un singolo errore, la vita andrebbe avanti in modo alquanto arido e meccanico, e sarebbe asettica e priva di emozioni. Le stesse, sempre secondo il mio pensiero, sono il modo che la vita ha di dirci che la stessa va vissuta appieno. Emozioni come il dolore e la paura, finiscono a volte per cambiare le persone. Io stessa, posso sinceramente affermare di non essere più la ragazza che ero prima che il destino sconvolgesse i miei piani. Difatti, quando mi sono trasferita con la mia famiglia qui a Shady Point, non avrei mai neanche lontanamente pensato di avere di nuovo l’occasione di incontrare Julius, mio amico d’infanzia, o di conoscere delle amiche vere e sincere come Jamie e Sophia. A mio avviso, ciò che il destino può riservare è veramente incredibile. Ad ogni modo, il mio non è sempre stato roseo, essendo infatti costellato di ardue sfide e difficoltà di ogni sorta. Ad ogni modo, il mio fato è stato corrotto da un pizzico di fortuna, grazie alla quale, sono sempre riuscita a ritrovare la forza di rialzarmi, così da riprendere il mio cammino. Proprio oggi, l’alba di un nuovo giorno mi sorprende come sempre. Ormai, sedermi tranquillamente nella mia stanza, e ammirare l’aurora in completo silenzio, è diventata una serena e rassicurante routine giornaliera. Sono immobile nella mia camera, con Destiny al mio fianco. Spostando il mio attento sguardo dal panorama che osservo al suo viso, noto ancora le cicatrici delle ferite che quell’ignobile arpia ha osato infliggerle. Nel mero tentativo di nasconderle, stringe i pugni, sfuggendo quindi dai miei preoccupati sguardi, che non possono inseguirla. “Dov’è Bubbles?” mi chiede, con la sua innocenza di bambina. “Nella sua gabbia.” Le rispondo, sorridendole e lasciando che si avvicini alla stessa. Sentendola arrivare, Bubbles si sveglia dal suo sonno, iniziando a camminare verso le sbarre della sua gabbia, per poi sfiorarle col muso. Assistendo a quella scena in religioso silenzio, mi accorgo che la foglia di Salvia Vitale che gli avevo poggiato sul dorso la notte prima, ora giace accantonata in un angolo. Grazie alle mie doti di attenta osservatrice, riesco a rendermi conto di qualcos’altro. Difatti, noto con mia grande sorpresa, che quella foglia è ormai secca. Immobile come una statua, mia figlia non osa proferire parola. Mostra questo comportamento dal giorno in cui è caduta nelle grinfie di Camille. Prima era una bambina loquace e solare, proprio come tutti i bimbi della sua età, ma da quel fatidico giorno, il suo vocabolario si è molto ridotto, così come la sua loquacità. Ora come ora, infatti, Destiny riesce a parlare solo con me e suo padre, rivolgendo talvolta, anche qualche sorriso alla nonna. A quanto sembra, questa terribile esperienza deve averla segnata profondamente, poiché noto che la mia piccola Destiny non è più la stessa. Da quasi un anno, non riesco più a vedere la sua allegria e la sua gioia di vivere, entrambe andate e perse per sempre, proprio come un’amichevole scommessa. Sospirando, mi avvicino lentamente alla gabbia del mio coniglio, aprendola in modo tale che possa uscirne. Lo stesso, approfitta del mio gesto, per venirne fuori lentamente, sfruttando l’anelito di libertà che gli rimane. Dopo averlo fatto, inizia a camminare lentamente, formando dei perfetti cerchi sulla morbida coperta del mio letto. Lo vedo sdraiarsi dopo alcuni secondi, notando che chiude gli occhi dopo aver rivolto il suo pacato e saggio sguardo verso me e Destiny per l’ultima volta. Finge quindi di dormire, sapendo che la sua ora è ormai arrivata, e volendo evitare di intristire la bambina, ora seduta sul letto accanto a lui. È intenta ad accarezzarlo, ma il suo tocco si fa per qualche ragione sempre più lieve, così come i battiti del piccolo cuore di Bubbles, che intanto, fra un secondo e l’altro, continuano ad affievolirsi, finché lui, convinto della sua fine, non smette di respirare, utilizzando le sue ultime forze per strofinare il suo umido nasino contro la mano di mia figlia. Subito dopo, Destiny scende dal letto, avvicinandosi a me. Entrambe, con il viso mesto e le guance rigate di lacrime, teniamo gli occhi fissi su Bubbles, che ora giaceva inerme sul mio letto. Mia figlia osservava quella scena mantenendo un perfetto silenzio, salvo poi nascondersi il viso con le mani e iniziare a versare amare e scarlatte lacrime. Pur essendo una bambina di appena quattro anni, sembrava aver capito perfettamente l’importanza e la solennità di quel momento, ragion per cui, prese la più logica e ponderata delle decisioni. Allontanandosi da me, uscì dalla mia stanza, decidendo di non poter più sopportare tale visione. Soffrendo sia per lei che per me stessa, non tentai in alcun modo di fermarla, scegliendo di lasciarla andare. Dopo alcuni minuti, il silenzio creatosi attorno a me venne rotto dal cigolio della porta, che era appena stata aperta da Julius. “Cos’è successo?” mi chiese, vedendo il mio volto bagnato di lacrime. Senza proferire parola, gli indicai il mio letto, e voltandosi in direzione dello stesso, Julius mutò l’espressione del suo volto, assumendo quindi il mio stesso stato d’animo. Mi strinse forte a sé, e io apprezzai il suo tentativo di infondermi coraggio e conforto, e proprio in quel momento compresi che rimanere seduta e immobile non sarebbe servito a nulla. Tentai quindi di alzarmi in piedi, venendo però fermata da Julius, il quale, quasi anticipando i miei movimenti e il mio volere, si avvicinò al mio letto, e raccolse l’esile corpicino del mio coniglio, dirigendosi quindi verso il salotto. A quel punto, mossa da una certa curiosità riguardo alle sue intenzioni, decisi di seguirlo, richiudendo lentamente la porta alle mie spalle. Lo ritrovai seduto sul divano accanto a Destiny, che finalmente sembrava essersi calmata e aver smesso di piangere. Notai che fissava Bubbles con occhi tristi, accarezzando il suo morbido pelo. Poco dopo, a Julius venne un’idea, e lui stesso, iniziò a camminare verso il giardino. Destiny ed io decidemmo di seguirlo, in maniera tale da scoprire la sua prossima mossa. Quando finalmente lo raggiunsi con mia figlia al seguito, Julius mi guardò dritto negli occhi, porgendomi il corpo del povero e ormai defunto Bubbles. Subito dopo, lo vidi prendere una grossa vanga e cominciare a scavare una piccola buca nel terreno. Quasi istintivamente, gli sorrisi. Sapeva bene quanto io fossi affezionata a quel coniglio, e aveva quindi pensato ad organizzare una sorta di piccolo funerale per lui. Dopo aver scavato quella fossa, Julius si avvicinò a Destiny, chiedendole di rientrare in casa e prendere una delle sue vecchie scatole di scarpe, che avrebbe evidentemente funto da bara per quel povero animale. La bambina obbedì senza fiatare, tornando in giardino dopo alcuni minuti. Poggiò quindi quella vuota scatola per terra, sollevandone il coperchio e chiedendomi di adagiarvi il corpo di Bubbles. Rimanendo in completo silenzio, feci ciò che mi era stato chiesto, assicurandomi di riporre il coperchio al suo posto. Subito dopo, sollevai il contenitore da terra, avvicinandomi alla buca e riponendolo all’interno della stessa. Subito dopo, dando le spalle a quella fossa, tornai accanto a Destiny, che aveva assistito all’intera scena senza parlare. Lasciai quindi che Julius riempisse quella buca, aspettando che si riavvicinasse a noi. Quando finalmente lo fece, tutti e tre ci prendemmo per mano, mantenendo un religioso e indisturbato silenzio. In quel preciso istante, abbassai la testa in segno di rispetto. Non sapevo se Bubbles mi avrebbe sentito, ma ad ogni modo decisi di rendergli giustizia, e di fargli sapere che non sarebbe mai stato dimenticato, così, mantenendo quella posizione, sussurrai una singola parola: addio. Subito dopo, ricominciai a piangere, poiché quest’evento, proprio come tanti altri, aveva lasciato nel mio fragile animo delle ferite invisibili.
 

Capitolo XXIV


L’epilogo dei miei giorni


Un altro lungo e lugubre mese è ormai passato, e Bubbles è ormai scomparso dalla mia vita come una fresca impronta nella neve, ormai cancellata dall’inesorabile soffio del vento. Era davvero un ottimo amico e compagno, e adesso che se n’è andato, gli unici ricordi che ho di lui sono la sua ormai vuota gabbia, e la miriade di saggi e utili consigli che mi ha lasciato in eredità. La sua morte è stata davvero un evento inaspettato, che ha toccato il cuore di tutti noi. Ad ogni modo, la persona che sembra essere più provata da tale evento, è oltre a me mia figlia Destiny, che ha amato quel coniglio fin dal primo momento. Bubbles ci ha lasciati esattamente un mese fa, e da allora la nostra tristezza non ha mai accennato a diminuire. Julius cerca di confortarmi, continuando a ripetere che un giorno troverò un nuovo famiglio, ma io non ne sono affatto convinta. “C’è ancora Luna.” Ripete, lasciando sempre che quella calma e serafica gatta bianca mi si sdrai pacificamente in grembo. Tutte le volte, io non rispondo, limitandomi ad abbassare lo sguardo ed emettere un lungo e avvilente sospiro, segno di inequivocabile e somma tristezza. Alzandomi lentamente dalla poltrona in cui ora siedo, decido di dirigermi verso la mia stanza, in maniera tale da non mostrare le mie amare e scarlatte lacrime a Destiny, la quale, sta ora accarezzando Luna al mio posto. Le emozioni sono parte integrante della nostra anima, e nel caso di noi Figli della Musica, le stesse assumono un valore ancora più importante. Per noi, sentire un peso sul cuore, o avere lo stomaco attanagliato da angoscia, paura e sentimenti negativi, non sono semplici e meri modi di dire, ma realtà che viviamo giornalmente. Il dolore e la gioia ci caratterizzano, formando quindi di giorno in giorno, quello che in un futuro non troppo lontano, si rivelerà essere parte di noi, proprio come il pezzo mancante di un puzzle, o la colorata e vitrea tessera di un mosaico, meraviglioso e freddo al tempo stesso. Tutto quello che io desidererei ardentemente in questo preciso istante, non è che un isolato angolo, dove rimanere completamente da sola e pensare, facendo sì che mille ricordi mi ritornino in mente, e rimembrando quindi ogni aspetto della mia vita. Un posto dove recarmi nei momenti bui, al quale posso accedere unicamente attraverso il pensiero, un luogo sicuro, dove so di poter finalmente riuscire a liberare il mio fragile e ferito animo dai pesi che lo tengono saldamente ancorato al gelido terreno. Un angolo tranquillo, dove sedermi e pensare, scrivendo, parola per parola, riga dopo riga, e pagina dopo pagina, il meraviglioso epilogo dei miei giorni.


Congratulazioni, siete appena giunti alla fine di questo mio scritto. Spero vivamente che questa storia vi sia piaciuta, e non attendo che le vostre opinioni.


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