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Autore: SagaFrirry    21/04/2015    0 recensioni
Stregoni, Scienziati e Guerrieri si fanno battaglia. Un giovane stregone dovrà scegliere se lottare contro la sua stessa famiglia oppure…e se quello strano ragazzino dai capelli verdi potesse aiutarlo? Magia, armature, famiglia e complotti. Vincerà il buon senso o la follia dei mortali?
Questa storia la scrissi nel 2013, spero nel frattempo di essere migliorata!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XV

 

ESAMI FINALI

 

“Torna un po’ a spiegarmi perché lo fai” parlò Reahu, osservando in silenzio il suo allievo.

Ihanez si stava preparando a partire. Il giorno del suo esame da stregone era giunto. Il signore del cielo, seduto al tavolo e reggendosi la testa con la mano, sigaretta di sbieco in bocca, attendeva una risposta. L’allievo ci mise un po’.

“In che senso? Che ti dovrei spiegare? Sono uno stregone, e mi sento in grado di affrontare l’ultimo esame della mia classe”.

“Sì, ma perché? A che ti serve?”.

“Tu perché non lo hai fatto?”.

“Perché è anche per colpa degli stregoni se c’è la guerra. Io non mi sento uno di loro”.

“Io sì, invece. L’ho promesso, al mio maestro e ad Hennay. Ed ora lo farò”.

“E cosa pensi di fare?”.

“Cosa penso di fare?!”.

“Sì, apprendista. L’esame finale del quinto livello non è come quello di quarto. Lo sai, o come sempre ti butti nelle cose senza rifletterci?”.

“Lo so”.

“Ebbene: cosa intendi fare? All’esame ti chiederanno di dimostrare le tue capacità e convincere i giudici presenti che sei degno di passare quella prova”.

“Ho qualche idea”.

“E non mi spii niente?”.

“No, ficcanaso”.

“Come vuoi. Potevo darti qualche suggerimento”.

“Hei, tu non lo hai fatto quell’esame! Non rompere!”.

“E tu non esaltarti per niente. Quello è solo uno stupido esamuccio per stregoncini. Siamo noi la serie A, l’importante è ciò che farai qui”.

“Lo so. Quanto sei stressante!”.

Ihanez era pronto a partire. Da tempo non indossava le vesti da stregone ed in parte gli erano mancate. Si osservò. Ai polsi gli si erano creati strani disegni, lì dove aveva visto apparire i pezzi dell’armatura di suo padre.

“Vai da solo?” riprese Reahu.

“Ovvio, ho passato l’età in cui devo andare in giro accompagnato da un adulto”.

Il signore del cielo non si mosse, mentre il suo allievo usciva dalla stanza e si incamminava per il corridoio. Scosse il capo e si alzò, uscendo a sua volta dalla camera del futuro signore della vita.

“Perché disapprovi la sua scelta?” gli domandò Rashnu.

“Perché è solo un’inutile perdita di tempo. Potrebbe rimanere qui ad addestrarsi, invece di buttare la giornata in simili cazzate”.

“Ma lui ci tiene tanti. Dovresti pensare ai desideri del tuo allievo”.

“Bah. Fate quello che volete”.

Il padrone di casa andò vicino a Ihanez, che era stato circondato dai colleghi. Volevano augurargli buona fortuna.

“Dove si terrà l’esame?” volle sapere Rashnu.

“Alla torre degli astri. Non è molto lontana da qui”.

“La torre degli astri? Ci sono stato, tempo fa. Non è quella grossa e cilindrica?”.

“Proprio quella. Fin’ora l’ho vista solo da fuori. Chissà com’è dentro. Lo scoprirò presto”.

“Affrettati. È ora”.

Ihanez rispose con un cenno del capo e si allontanò a passo svelto.

 

   

 

“Ricordate: questo attacco sarà molto importante. Voglio vedere tutti voi combattere con il massimo delle forze. Sono stato chiaro?” parlò un grosso soldato dall’aria minacciosa.

“Sissignore” risposero tutti.

Fra loro, vi era Veda, poco convinta dall’idea di prendere parte a quella guerra ma non vedendovi alternative. A quanto pare, quello era il suo destino.

“Ad ogni squadra di soldati, verrà assegnato un gruppo di scienziati, che con i loro strumenti e le loro tecnologie ci permetteranno di avere la meglio con ogni tipo di magia. Vostro è il compito di garantir loro l’incolumità, per quanto possibile. Mi avete capito?”.

“Sissignore” gridarono di nuovo.

“Veda, tu sarai a capo della squadra principale, con il maggior numero di scienziati. Te la senti?”.

“Certo, signore”.

“Bene. Dividetevi in base alle disposizioni che vi ho dato e state pronti”.

Veda sorrise, quando vide che fra gli scienziati assegnatale vi era Gudis, che sorrise a sua volta. Lui, divenuto uno dei massimi studiosi della magia fra i membri della sua classe, era stato scelto per quella missione speciale. Non aveva avuto scelta. O collaborava, o diveniva sacrificabile.

“Per il grandioso Ogmios, state pronti!” incitò le truppe il generale, sentendosi rispondere con un grido altrettanto forte.

 

   

 

Reahu fissò con curiosità Rashnu. Come mai era ancora lì? E perché stava indossando i pezzi rimastagli dell’armatura di suo padre?

“Che succede?” volle sapere il signore del cielo.

“Niente. Non ti preoccupare” mentì Rashnu.

“Non mi imbrogli. Che stai facendo?”.

Rashnu sospirò, capendo che non si sarebbe liberato facilmente di quello scocciatore.

“Una volta, anni fa, Veda aveva avuto una visione. Molte persone morivano, in un edificio cilindrico. Ne era molto spaventata”.

“Credi che il luogo dell’esame finale sia il posto visto da Veda?”.

“Sì”.

“Ed hai intenzione di andarci da solo?”.

“Potrebbe essere solo un falso allarme”.

“Potrebbe. E se non lo fosse?”.

“Me la saprò cavare”.

“Rashnu” iniziò Reahu, inchinandosi leggermente “Forse non consideri il mio potere all’altezza, o forse senti di dover dimostrare chissà cosa a chissà chi, ma permettimi di farti da scorta. Se davvero accadrà qualcosa, voglio combattere al tuo fianco”.

Rashnu lo fissò. Non se lo sarebbe mai aspettato.

“Come vuoi” si limitò a dire, non trovando altre parole.

Reahu salì nella sua stanza e, aprendo un piccolo cassetto, ne estrasse due collane. Due ciondoli, che ogni stregone aveva, diverso per ogni livello. Uno era il suo ed uno era quello di Alinn. Sapeva che solo con quelli al collo sarebbero potuti entrare nel luogo d’esame. Coperti da pesanti mantelli per celarne i tratti del viso, forse ancora ricercati, i due uscirono dalla casa, con le collane ben in vista. Reahu si voltò verso l’uscio. Che strana sensazione provava addosso…

 

   

 

Ihanez era entrato nell’edificio circolare e si guardava attorno. Gli uomini e le donne che dovevano essere esaminati erano radunati nello spiazzo circolare che seguiva l’ingresso. Alzando la testa, mezzelune sporgenti disposte tutt’attorno contenevano gli stregoni che già avevano affrontato la prova e che erano lì per giudicarli. Quella più in alto di tutti ospitava il capo supremo di quella classe. Ihanez lo fissò. Lo vide alzarsi in piedi, sorretto da un lungo bastone. Aveva lunghissimi capelli bianchi ed uno strano sguardo, assente. Vestiva di blu scuro, come tutti gli altri, e fu il primo a parlare. Indicò Ihanez con il dito ossuto e gli fece segno di venire avanti, ponendosi al centro del cerchio formato dalla parete dell’edificio. L’interpellato obbedì.

“Come ti chiami, ragazzo?” domandò il capo degli stregoni.

“Randoeku”.

“Quello è il tuo nome da stregone. Pronuncia il tuo vero nome”.

“Ihanez, signore” rispose lui, chinando la testa in segno di rispetto.

“Ihanez” ripeté, in modo quasi meccanico, l’anziano “Non hai trentacinque anni, o sbaglio?”.

“No, signore. Non ho ancora l’età ritenuta giusta per affrontare questo esame, ma mi ritengo pronto. Per questo sono qui”.

“Ti ritieni pronto? Chi ti ha addestrato?”.

“Sono stati molti i miei maestri. Sarebbe ingiusto citarne solo qualcuno e fare l’intero elenco porterebbe via troppo tempo”.

“Sembri molto sicuro di sé. Questa è una buona cosa. Ma sai, spero, che questo esame si può affrontare una volta soltanto, vero? Se fallirai, non avrai una seconda possibilità”.

“Lo so. Non fallirò”.

“Bene, ragazzo. Vediamo fin dove la tua determinazione è in grado di portarti. In che modo vuoi dimostrarci di essere degno del livello massimo?”.

“Lo voglio dimostrare con una sfida”.

“Vuoi sfidare uno di noi?”.

“Sì, esatto. Non è contro le regole, mi sembra”.

“Non lo è. Ma è un suicidio”.

“Beh, in questo caso, se dev’essere un suicidio, voglio che sia il più grandioso della mia categoria. Sfido Voi, capo degli stregoni, se non è un problema”.

La torre si riempì di voci, di disapprovazione e rimprovero nei confronti di quel ragazzo sfacciato.

“Silenzio!” li zittì lo stregone supremo “Ammiro il coraggio di questo ragazzo, o la sua follia, ed accetto la sua sfida”.

 

   

 

“Tarhunt!” chiamò Clio, bussando leggermente alla porta del signore degli eventi atmosferici.

“Ciao, Clio” la salutò lui, non aspettandosi di vederla “Non sei con mio fratello?”.

“Per questo sono qui. Lui e Rashnu sono andati via ed i loro sguardi non mi han trasmesso nulla di buono. Ti dispiacerebbe venire con me? Vorrei raggiungerli”.

“Dove sono andati?”.

“Credo dove Ihanez farà l’esame finale, alla torre degli astri. Li ho sentiti parlare di persone in pericolo e cose simili e sotto i mantelli portavano le armature”.

“Alla torre degli astri? So dov’è. Credi gli possa accadere qualcosa?”.

“Credo di sì. Ho una brutta sensazione. Forse non è niente…”.

“Beh, io qui non ho molto da fare. Andar fin là non ci costerà nulla”.

Anche Tarhunt possedeva la collana degli stregoni, lui più grande e complessa di quella del fratello perché aveva affrontato l’esame finale. La indossò ed uscì dalla stanza. Clio sarebbe passata facilmente come sua allieva, non ancora graduata.

“Dove andate?” volle sapere Tate.

“A fare un giretto. Torna pure alle tue faccende” tagliò corto Tarhunt.

“Ma, maestro…”.

“Torneremo per il tramonto, Tate. Fai il bravo”.

Tate annuì e li vide andar via. Li accompagnò con una lieve brezza e poi tornò ai suoi compiti.

 

   

 

Il più forte degli stregoni stava ora davanti a Ihanez. Aveva tolto il mantello, per facilitarsi i movimenti e, a quanto pare, non aveva bisogno del bastone che lo sorreggeva prima.

“Percepisco in te una grande energia, Ihanez” disse.

Lo stregone più giovane lo fissò. Quello sguardo vuoto era molto strano. Che fosse cieco? Non aveva importanza. Se era a capo degli stregoni, allora doveva essere molto forte, cieco o no.

“Prima di iniziare, spiegami. Perché hai scelto di sfidare proprio me?”.

“Perché sono stanco di questa guerra e voglio prendermela con qualcuno. Voi, come capo di una categoria, di certo avete in qualche modo colpa in ciò che sta succedendo”.

“Ottima motivazione. Sappi che non sarò delicato”.

“Nessuno lo è mai stato con me”.

Lo stregone capo ghignò e scattò in avanti, mostrando un’incredibile velocità, nonostante l’aspetto da anziano stanco. Ihanez non si fece intimorire e schivò quella mossa, contrattaccando subito e riuscendo a colpire il suo obbiettivo, che indietreggiò. Gli altri stregoni si ammutolirono. Il capo provò un altro attacco diretto ma pure quello non gli riuscì, e subì un altro colpo. Sorrise, come soddisfatto dal fatto che colui che aveva di fronte lo facesse divertire in quel modo. Si piegò in avanti, raccogliendo energia su entrambe le mani, e poi la liberò. Questa, luminosa, corse lungo le pareti e si diresse verso Ihanez, che non si fece cogliere di sorpresa. Schivò e deviò entrambe le sfere di magia, impedendo loro di colpire gli spettatori.

“Dovrai fare meglio di così, vecchio, o non mi sconfiggerai” parlò Ihanez, senza mostrare alcun segno di stanchezza.

Provava un tale odio nei confronti del suo avversario, che quasi era tentavo ad agire in modo impulsivo, uccidendolo all’istante. Quell’essere permetteva la guerra, non apriva in alcun modo trattative di pace con le altre classi. Colpa sua e degli altri capi se c’era la guerra e se tante persone erano morte. Passò all’attacco e, saltando, circondò lo stregone anziano di sottili fili di magia, che toccandolo gli trasmisero una potente scossa. L’avversario cadde sulle ginocchia, rialzandosi a fatica. Ora il suo sguardo era furioso. Alzò entrambe le braccia al cielo, creando fra di esse una grossa sfera fiammeggiante.

“Il colpo di Reahu?” si stupì Ihanez, non sapendo bene come schivarlo.

Si concentrò. Non poteva permettere a quella fonte di magia di colpire i presenti. Gridando, richiamò a sé l’energia e, alzando di colpo entrambe le braccia al cielo, formò una barriera. La sfera si dissolse, colpendola, anche se fece indietreggiare Ihanez di parecchi metri prima di perdere forza. Il capo, nel frattempo, era già pronto a sferrare un altro colpo. L’esaminato saltò, credendo di schivarlo. In realtà, la magia deviò e lo colpì, scaraventandolo contro la parete della torre, che si sbriciolò. Ancora scosso, e volando a mezz’aria, Ihanez ridiscese rapido, senza accorgersi che il cielo stava acquisendo un inquietante colore scuro. Colpi violentemente il capo degli stregoni, riservandogli lo stesso trattamento che aveva subito in precedenza. Tossendo per la polvere sollevata, l’anziano non parlò. Rimase immobile a fissare lo sfidante. I suoi occhi, così inquietanti, sembravano biglie vuote. Una nube nera lo stava avvolgendo, sollevandone i capelli e rendendolo ancora più spaventoso. Un lampo squarciò il cielo, fino a qualche istante prima sereno.

 

   

 

“Sei stato tu?” domandò Rashnu.

“A far cosa?” lo fissò Reahu.

“Quel lampo laggiù”.

“No, io non ho colpa”.

“Allora credo sia il caso di accelerare il passo”.

Reahu capì ed imitò il figlio di Ogmios, alzandosi in volo, dimostrandosi come sempre il più veloce dei due.

 

   

 

“Noi dobbiamo andare là? Ma dico, siamo pazzi?!” esclamò Gudis, dopo aver udito un tuono potente ed aver visto il lampo abbattersi sulla torre.

“Questi sono gli ordini” tagliò corto la sorella.

“Suicidarsi sono gli ordini? Lì ci sono i migliori stregoni del pianeta, e noi li attacchiamo?”.

“Questo è il piano. Se riesce, la guerra sarà finita perché sarà stata sconfitta la razza nemica” rispose un soldato.

Veda non pareva convinta di questo. Alzò gli occhi al cielo.

“Rashnu!” esclamò, vedendolo passare.

 

   

 

Il capo degli stregoni rise, in modo inquietante, facendo tremare le pareti.

“Cos’hai da ridere?” ringhiò Ihanez.

“Da tempo non mi divertivo così” rispose lo stregone, scattando in avanti per colpire ancora.

Il futuro signore della vita parò a fatica e saltò all’indietro, sollevandosi. Quella magia non era da semplice stregone. Chi aveva davanti, in realtà? Decise che era decisamente il momento di usare le maniere forti. Si concentrò e circondò l’avversario con luci colorate, che si strinsero tutt’attorno fino a divenire bianche. Il capo gridò.

“Ho in mano la tua vita” esclamò Ihanez, richiamando a sé quella luce, cambiando posizione delle braccia ed illuminandosi a sua volta.

Si stupì della cosa. Perché lui si stava illuminando? Doveva farlo solo il suo avversario! Con una mossa di scatto, tolse parte di quella luce bianca al capo, che finì sbalzato all’indietro, contro il muro. Ihanez si fissò le mani. stavano sanguinando. Cosa era successo? Era sceso di nuovo il silenzio. L’anziano stregone giaceva immobile. Poi respirò, profondamente, ed aprì gli occhi. Non erano più come biglie vuote, ma profondi e scuri. Ihanez gli si avvicinò, non sentendosi in grado di colpire un uomo in quello stato.

“Ihanez?” lo chiamò il capo.

“Sì, sono sempre io il Vostro avversario”.

“Vieni vicino”.

Ihanez obbedì, dubbioso. L’anziano lo afferrò per la mano e lo fece abbassare, in modo da potergli parlare all’orecchio.

“Sono fiero di ciò che sei diventato, ma quello che arriverà non è un avversario per te. Vattene finché puoi, figlio mio”.

“Figlio?”.

 

“Maestro?” esclamò Reahu, fermo a mezz’aria davanti al buco provocato da Ihanez alla parete della torre “Ipalnemoa?”.

Ipalnemoa sorrise al suo allievo. Poi portò Ihanez ancora più vicino, mettendogli un braccio attorno al collo e guardandolo negli occhi.

“Prendi il mio potere” disse, chiudendo gli occhi.

Il futuro signore della vita, ancora confuso, sentì una forte magia iniziare a scorrere in lui.

“Attenti!” gridò Reahu.

Un velocissimo raggio di magia aveva attraversato il cielo. Neppure il signore del cielo era riuscito ad intercettarlo e fermarlo ed ora si dirigeva veloce verso padre e figlio. Ipalnemoa reagì e scostò Ihanez, che ne fu ferito solo di striscio. Il passato signore della vita, però, ne fu colpito in pieno.

“Ti faccio i miei vivi complimenti” parlò una voce, la più profonda che Ihanez avesse mai sentito.

Reahu la riconobbe e sobbalzò.

“Rashnu!” lo chiamò “Siamo nella…”.

“Taci!” lo zittì Rashnu, fissando con rabbia l’uomo che lentamente stava prendendo forma al centro dello spiazzo circolare, fra la nebbia scura.

“I complimenti per cosa? E tu chi sei?” ringhiò Ihanez, toccandosi il braccio ferito e cercando di far rinvenire il padre.

“Con quel tuo colpo, sei riuscito a risvegliare tuo padre, la cui mente era soggiogata da me. E, allo stesso tempo, lo hai reso sufficientemente debole da permettermi di colpirlo mortalmente. Congratulazione Ihanez, figlio di Ipalnemoa, signore della vita, in pratica hai appena ucciso il tuo stesso padre”.

 

   

 

Mantus sentì un forte tuono e lo riconobbe. Qualcosa stava accadendo.

“Fratello” mormorò, percependo l’energia di Ipalnemoa.

Chiamò i suoi figli, che lo raggiunsero incuriositi. Che stava succedendo? Lo sguardo di Mantus era severo, preoccupato.

“Il vostro momento è giusto, figli miei” parlò, con tono solenne.

Nirriti e Nirrita si fissarono, in silenzio, piuttosto stupiti. Mantus camminò lento fino ad un angolo della sua stanza, dove una lunga falce stava appoggiata al muro. Aveva una doppia lama, sui due lati del lungo bastone nero. I gemelli lo osservarono mentre l’afferrava.

“Non c’è tempo per permettermi di trasmettere gradatamente i miei poteri. Servite voi, adesso, e con energia massima”.

“In che senso?” domandò Nirrita.

“La vostra battaglia è iniziata e voi dovete prendervene parte. Ma non così. Devo donarvi il mio intero potere”.

Senza aggiungere altro, e muovendosi in modo talmente rapido da impedire ai figli di intervenire, Mantus si trafisse mortalmente con la falce.

“Padre!” gridarono i gemelli.

Il potere di colore scuro di Mantus lasciò il corpo del signore della morte. Lentamente, questi cadde in avanti, mentre la sua magia raggiungeva i due gemelli e li avvolgeva, divenendo parte di loro.

“La torre degli astri. Andate a difendere il vostro destino” si sentì la voce del genitore per gli inferi.

I gemelli, udendo quelle parole, si guardarono. Sentivano il potere della morte dentro di loro. Dovevano andare, in fretta, rimandando a più tardi le lacrime per il padre appena sacrificatosi per loro.

 

   

 

Io ho ucciso mio padre? Pareva chiedersi Ihanez, rimanendo immobile, fissando quell’uomo che ormai si era quasi del tutto materializzato. Era imponente e con uno sguardo severo, aranciato.

“Hai spezzato il sigillo che il signore della vita aveva creato attorno a me. Devo proprio ringraziarti. Ma non avrai il tuo premio. Il potere della vita tornerà nelle mie mani”.

Ihanez, ferito ed ancora in terra, vide quell’uomo allungare la mano verso di lui. Non sapeva come reagire. Si sentiva debole e colui che aveva di fronte aveva attorno a sé un potere immenso. La luce che circondava Ipalnemoa si stava dirigendo verso la mano protesa.

“No!” gridò Rashnu, intervenendo e colpendo l’uomo di spalle, scoprendone il viso.

La magia di Rashnu aveva scostato il cappuccio, mostrando ai presenti che  i loro sguardi erano uguali. I capelli bianchi dell’uomo si liberarono e lui si voltò, guardando con odio chi lo aveva colpito. Poi gli sorrise, riconoscendolo.

“Credi davvero di potermi fermare, Junior?” domandò.

“Lo credo e lo farò. Il potere della vita spetta a Ihanez, non a te”.

Reahu scese e si fermò, in piedi, davanti al suo allievo.

“Stai bene?” gli domandò, senza guardarlo.

“Più o meno” rispose lo stregone.

“Tranquillo. Rashnu farà in modo che il potere di tuo padre ti appartenga”.

“Quell’uomo…è Ogmios, vero?”.

Reahu annuì. Era pronto a combatterlo ma Rashnu lo fermò.

“Penso io a lui” gli disse “Se non lo sconfiggo personalmente, non riuscirò mai a risvegliarmi del tutto. Fidati di me, Reahu”.

“Tranquillo” sorrise Ogmios “Pure il tuo amico avrà qualcosa da fare, mentre ti dimostro che non sei in grado di prendere il mio posto”.

“Chiudi la bocca!” ringhiò Rashnu “So cosa hai fatto, e mi prenderò tutto il tuo potere per questo”.

“Sei melodrammatico. Ma se è uno scontro con me quello che vuoi, lo avrai”.

Reahu, a fatica, lasciò lo scontro al collega. Si girò verso Ihanez, chinandosi.

“La ferita non sembra troppo grave” lo tranquillizzò.

“Lo so, ma è come se stesse assorbendo tutta la mia energia”.

“Andiamocene da qui. Rashnu non vuole il nostro intervento, e tu hai bisogno di cure”.

Un’ombra alle loro spalle fece capire subito al signore del cielo che non sarebbe stato facile. Si girò e spalancò gli occhi.

“Saxnot?” disse “Tu sei senza poteri!”.

“Sbagliato, figlio di Onyame. Ogmios mi ha ridato ogni capacità, con anche qualcosa in più. Sarò io il tuo avversario. Non vi farò uscire da qui, come il mio signore ha ordinato”.

“Levati dai piedi, se non vuoi che te ne dia tante come mai ne hai prese in vita tua!” sbottò Reahu, preoccupato per le condizioni dell’allievo.

“Io non credo tu sia in grado di farlo. Ogmios mi ha concesso molta più energia”.

Reahu strinse i pugni e digrignò i denti.

“Ti ridurrò in briciole, traditore. Alla fine sarai diviso in talmente tanti pezzi che l’unica cosa che ti resterà da fare sarà gettarti nell’umido!” gli disse, richiamando a sé tutta la sua energia.

 

Ogmios non sembrava cattivo, osservandolo meglio. Semplicemente indifferente. Fissava suo figlio senza alcun entusiasmo, mentre questi gli girava attorno per studiarlo.

“Sei ancora in tempo, ragazzo. Puoi andartene” sogghignò, notando lo sguardo non proprio convinto di Rashnu.

“Non mi tirerò indietro. Ti sconfiggerò”.

Ogmios parve divertito dalla cosa ma palesemente distratto. L’unica cosa che gli interessava era il potere della vita, rimasto sospeso sul corpo di Ipalnemoa, essendo Ihanez troppo debole per raccoglierlo. Ogmios lo voleva quel potere ed allungò una mano per possederlo.

“No!” sbottò Rashnu, tentando di fare la stessa cosa.

In una strana lotta impari, padre e figlio si contendevano quella forza con rabbia e determinazione. Rashnu era consapevole che, se il padre fosse riuscito ad ottenere la vita, sarebbe stato impossibile batterlo. Viceversa, Ogmios doveva intuire che le forze del figlio erano notevolmente aumentate in quegli anni e non poteva permettergli di incrementarle ancora.

“Fatti da parte!” gridò, spalancando gli occhi e scaraventando Rashnu verso l’alto.

Questi riuscì a fermarsi prima di impattare contro il soffitto e tornò giù, frapponendosi fra il padre e la luce bianca della vita.

“Non l’avrai! Non te lo permetterò!” esclamò.

“Vuoi proprio che ti uccida? Perché è questo ciò che accadrà. Sei troppo debole per battermi”.

“E sia. Se il mio destino è questo, lo affronterò. Ma non senza combattere”.

“Pft. Siete proprio una generazione senza cervello”.

“Vorrà dire che difenderò ciò in cui credo senza disturbare i miei pochi neuroni!”.

 

“Avanti, Reahu. Fatti sotto” sfidò Saxnot.

“Tu credi davvero di battermi?” si stupì il signore del cielo.

Rialzandosi lentamente, aveva richiamato a sé l’armatura del padre ed ora brillava intensamente, pulsando energia come mai prima d’ora. I veli che la componevano si muovevano mossi da un vortice inarrestabile.

“Tu, misero essere dalla forza pressoché inesistente credi di poter sconfiggere me, fra le cui mani scorre tutta la potenza dell’universo? Ti consiglio di sparire, prima che sia troppo tardi”.

Saxnot rimase un attimo indeciso sul da farsi. Gli occhi oro di Reahu lo fissavano minacciosi, circondati da capelli blu che si muovevano senza sosta ed incastonati in quel viso sempre più nero e spaventoso, furioso.

“Io non mi tiro mai indietro, davanti ad una sfida” disse, dopo un po’.

“Allora verrai spazzato via!” esclamò Reahu, muovendo solamente due dita e lanciando Saxnot contro la parete che aveva di fronte.

“Sei disarmato!” tossì l’avversario, rialzandosi a fatica “Non mi fai paura”.

Scattò in avanti, spada alla mano, e tentò un affondo. I veli dell’armatura si chiusero, respingendo la lama come se fossero fatti di un materiale più duro di essa. Saxnot non capì come questo fosse possibile ma non ebbe il tempo di pensarci troppo, perché si ritrovò di nuovo contro il muro.

“Moscerino fastidioso, finiscila di tormentarmi e sparisci dalla mia vista” sbottò Reahu.

“Amor mio!” chiamò Adraste, correndo a soccorrere il marito ferito.

Assieme a lei, una nube nera avvolse Saxnot, che si rialzò. Guardò la compagna, che parve intuire il suo pensiero.

“Hieros!” gridarono in coro i due, fondendosi assieme.

Reahu fissò la cosa, senza però provare particolare timore. La nube nera che li circondava lo preoccupava di certo più di quei due fusi assieme.

“Ora te la vedrai con noi!” parlò l’ibrido Saxnot-Adraste, con voce mista.

“Se la cosa vi diverte” fu la risposta, con espressione neutra.

Lo Hieros li aveva resi più veloci e più forti, ma Reahu riusciva comunque a schivarne i colpi. I veli della sua armatura si chiudevano a proteggerlo e si riaprivano per permettergli di attaccare. Aveva fretta di togliersi di dosso quello scontro, per poter portare in salvo il suo allievo. La creatura fusa doveva aver capito che da sola non poteva riuscire nel suo intento, perciò comandò la nube nera che gli stava accanto e la indirizzò verso l’esterno, dove l’esercito di scienziati e guerrieri attendeva il momento buono per attaccare. Subito i combattenti si mossero ed irruppero nella torre.

“Che fate? Fermi!” gridò Veda, mantenendo il controllo di se stessa.

“E questi chi sono?!” esclamò Reahu, costretto ad atterrare per difendere Ihanez.

Veda notò la cosa e corse verso quella direzione.

“Ci penso io” parlò, sguainando la spada “Fidati di me”.

Il signore del cielo annuì. Doveva disfarsi al più presto del suo avversario, che nel frattempo si era caricato di energia ed era pronto ad attaccare. Mosse le braccia verso Reahu, indirizzandogli contro una pioggia di lame affilate. Questi se ne accorse appena in tempo. I veli dell’armatura si serrarono, lasciandolo incolume, ma facendolo gemere. Quell’essere ibrido aveva in sé parte del potere di Ogmios e lo stava usando sempre di più. Doveva sconfiggerlo, prima che aumentasse ulteriormente.

“Ora ti mostrerò so che sa fare il signore del cielo” gridò, spalancando le braccia.

 

 “Clio!” gridò Tarhunt difendendola dall’orda di creature armate che aveva fatto il suo ingresso nella torre.

“Cosa sta succedendo?” domandò la signora della memoria, guardandosi attorno, confusa.

“Non ne ho idea. Queste persone sono come possedute da qualcosa”.

“Se solo riuscissimo a farle smettere di combattere, liberandole da questa possessione…”.

“Hai qualche idea? Io no, sinceramente”.

Tarhunt respinse un altro attacco e sollevò Clio da terra, appollaiandosi su una delle mezzelune in pietra. Vide suo fratello e, alle sue spalle, Veda che difendeva Ihanez ferito.

“Grazie” mormorò Clio.

“E di cosa? Il minimo che possa fare è salvare mia cognata”.

“Non sono tua cognata!”.

“Ma lo sarai”.

La signora della memoria arrossì. Si alzò in piedi, accanto a Tarhunt. Che gran confusione c’era in quella torre! Lanciò uno dei suoi colpi, quelli che simpaticamente Reahu definiva “attacchi di panico”, creando un certo timore fra i monoclasse. Non durò molto, perché la nube nera che li possedeva diede immediatamente ordine di ricominciare a combattere.

 

“Onyame?” si stupì Ogmios, notando l’armatura su Reahu.

“Ti sei distratto!” esclamò Rashnu, attaccando con una raffica di scariche magiche.

Il padre subì il colpo, e non parve gradire per niente.

“Adesso mi hai davvero stancato!” esclamò “Ti distruggerò!”.

“Al mondo, nulla si crea e nulla si distrugge”.

“Vuoi che ti dimostri il contrario?”.

Una luce fortissima investì Rashnu, che non riuscì a schivarla e venne colpito in pieno. Volò in aria. Si aggrappò ad una delle mezzelune, evitando di ricadere di peso. Tossì, sputando sangue. Doveva contrattaccare, ma in che modo? Era evidente che il suo avversario possedeva ben più forza di lui. Ma non si poteva arrendere. Nonostante tutte quelle voci che continuavano a ripetere che era sbagliato attaccare l’unico dio, prese coraggio e si issò sulla mezzaluna. Da lì avrebbe potuto sferrare un attacco perfetto.

 

“Scusate il ritardo!” esclamarono, in coro, Nirrita e Nirriti.

Entrambi, fra le mani, stringevano una falce, ottenuta dalla divisione dell’arma unica del padre. Subito compresero la situazione. Roteando la propria arma, riuscivano a spazzare via la nube dai mortali, anche se solo temporaneamente.

“Clio!” gridarono “Noi li liberiamo, tu li spaventi. Questo li farà fuggire, e saranno al sicuro”.

Clio obbedì, mettendosi in piedi sulla mezzaluna e guardando giù. Si concentrò. Avrebbe dovuto usare un sacco di energia.

“Io mi sforzerò di controllare la loro sete di vendetta” parlò una voce giovane.

“Petbe?” si stupì Tarhunt.

“Che c’è? Dovevo lasciare tutto il divertimento a voialtri? Io sono il signore della vendetta, ruolo infame, ma quest’oggi lo userò a nostro vantaggio. Senza sete di vendetta, combatteranno con meno energia e voglia”.

Detto questo, il giovane figlio di Saxnot ed Adraste si appropriò di una mezzaluna ed iniziò a diffondere il suo potere.

“Pensate di scacciare così facilmente la mia forza?” parlò la nube, acquisendo una curiosa forma antropomorfa, che sarebbe risultata comica in un contesto diverso.

“Sei solo una palla di fumo!” ringhiò Nirrita “Hieros!” gridò poi, fondendosi con il gemello.

Uniti, i due portavano l’armatura del genitore, segno che si erano risvegliati completamente. Era nera, composta da ossa avorio che spiccavano sulla base scura. La falce era tornata ad essere a doppia lama, riunendosi. Lo spaventoso sguardo del signore della morte fissò i presenti. Era tempo di farsi notare!

 

Ihanez non aveva mai assistito a quel tipo di unione. Non immaginava che due creature potessero unirsi in quel modo. Si sentiva inutile, in quel momento. La sua sorellina lo stava difendendo, che vergogna. E sopra la sua testa vedeva Rashnu, che combatteva per difendere il potere dalla vita. Se solo avessi un solo briciolo di energia in corpo, pensò, potrei reclamare il potere che mi spetta. Ma di energia non ne aveva, nemmeno un soffio.

 

“Morirete tutti per mano del nostro signore Ogmios” parlò l’ibrido Saxnot-Adraste.

“Hai finito con le minchiate? Combatti e chiudi quella bocca!” lo zittì Reahu, muovendo un braccio ed investendo l’avversario con una raffica di piccole stelle brucianti.

“Tutto qui quel che sai fare? Qualche bruciatura non ci fermerà”.

“Oh, madre terra, quanto sei stupido. Io mi trattengo perché non voglio ucciderti, essere fuso. E non ti consiglio di continuare a provocarmi”.

“Non ho paura di te. So di poterti sconfiggere”.

“Solitamente apprezzo le persone sicure di sé, ma non in questo caso”.

L’unione fra Saxnot ed Adraste si preparò ad attaccare, di nuovo, e Reahu sospirò. Che seccatura!

 

Rashnu fissò il suo genitore, che pareva quasi divertito da quello scontro.

“Ti farò sparire quel ghigno dal viso” mormorò, preparando la sua mossa.

Congiunse i due bracciali, creando una luce fortissima e oro, che avvolse colui che la stava evocando. Lanciò un grido. Quello era il colpo più forte che aveva.

 

Reahu conosceva quella tecnica e sapeva quel che provocava. Ribaltò le braccia indietro, senza atterrare, scoprendosi in parte ma lasciando che i veli dell’armatura proteggessero Veda e Ihanez.

“Ti sei scoperto!” ghignò il suo avversario, che ne approfittò per cercare di colpirlo.

Il signore del cielo nemmeno gli rispose. Si limitò ad alzare le gambe e, sempre mantenendo le braccia aperte a difesa di coloro che aveva dietro di sé, ricacciò indietro il nemico. Poi ignorò tutto il resto. Il colpo di Rashnu stava arrivando.

 

Tarhunt notò la reazione del fratello e ordinò a Clio di stare giù. Riuscì giusto in tempo a farla abbassare, proteggendosi entrambi all’interno della mezzaluna di pietra. Il calore dell’energia li avvolse, così come la sua luce. Serrarono gli occhi, sperando che il loro rifugio non cedesse.

 

Rashnu gridò, separando di colpo i bracciali ed aprendo le braccia. Poi le protese in avanti con uno scatto e da esse partirono due scariche di energia potentissima, che assunsero la forma di due piatti. I piatti della bilancia, la giustizia che Rashnu rappresentava. Ruotando velocemente, investirono di scariche lucenti l’intero edificio, per poi concentrarsi vero il loro bersaglio. Ogmios conosceva quella tecnica, era la stessa che usava lui, ma non immaginava di vedersela usare contro. Credeva che il figlio non fosse in grado di padroneggiarla. I due dischi lo colpirono, uno per lato. Rimase in piedi, ma indietreggiò di parecchi metri. Convinto di essere stato protetto dall’armatura, notò con disgusto che in realtà sanguinava. Parte di essa ora la vedeva addosso al figlio. Doveva riuscire assolutamente ad impossessarsi del potere della vita! Quel moccioso non poteva comprendere le leggi del mondo per governarlo! Restò a fissare il suo erede per un lungo tempo.

“Ora ti mostrerò come si usa davvero quel colpo” commentò, dopo diversi minuti.

“Oh, merda” non trovò altre parole Rashnu, e probabilmente anche altri pensarono la stessa cosa.

 

I signori della morte stavano tentando in ogni modo di sconfiggere quella nube nera che portava alla follia i monoclasse. Era una cosa difficile, più di quanto credessero. Strinsero i denti. Non avrebbero deluso il padre, che appositamente era morto per permettergli di partecipare a quella battaglia. Lanciando la falce, che ruotando creava vortici per la sala e poi tornava dai suoi proprietari, impedivano che altre persone fossero soggiogate da essa. Questo però non rendeva meno pericolose le persone già sotto il suo dominio. Nemmeno la luce del colpo di Rashnu fermò quei soldati.

“Ma dove siamo finiti? Nel regno dei pazzi?” sbottarono i signori, ancora uniti assieme in un unico corpo, sentendo che la gente ancora credeva intensamente in Ogmios.

 

“Devo fare qualcosa” esclamò Clio “Se loro ricordassero, se loro sapessero, ciò che è successo ai predecessori, così come lo so io, sono certa che cambierebbero idea”.

“Cosa ti serve?” domandò Tarhunt, respingendo altri nemici con i fulmini.

“Molta più energia”.

“Hai idea di come prenderla?”.

Clio si morse il labbro inferiore. Aveva un’idea, ma non sapeva se potesse davvero funzionare. Il signore del tempo atmosferico si guardò attorno. Ihanez aveva bisogno di vita, per potersi appropriare del tutto del ruolo che gli spettava. Vita. Perché non prendeva quella dei caduti? Tarhunt capì da solo che non lo faceva perché troppo debole. Serviva qualcuno che donasse la propria esistenza.

 

“State bene?” domandò Reahu, rivolto a Ihanez e Veda.

Ihanez non poteva dire di stare benissimo, con quella ferita aperta, ma annuì. Veda, dai calci che tirava agli avversari, pareva proprio non aver subito danni.

“Gudis!” lo riconobbe il signore del cielo.

Lo scienziato, soggiogato dall’ombra, rischiava di finir letteralmente falciato dai signori della morte. Usò la sua energia per proteggerlo, ma facendo questo si distrasse. L’unione fra Saxnot ed Adraste guardò in su. Là, lo vedevano, stavano Clio e Tarhunt, le creature più importanti per il loro avversario. Ghignando, decisero di lanciare contro di loro il prossimo attacco, puntando sulla distruzione psicologica di Reahu. Tarhunt, impegnato a respingere i colpi che ora pure gli stregoni gli lanciavano contro, si accorse tardi degli intenti di Saxnot-Adraste. L’unica cosa che riuscì a fare fu pararsi davanti a Clio, per proteggerla. Era lei la più importante fra i due e, lo sentiva, avrebbe trovato l’energia per trasmettere la memoria ai presenti. Il suo potere non riuscì a proteggerlo dai colpi inferti da una creatura in possesso di parte della magia di Ogmios. Trafitto, gemette e cadde in avanti, precipitando dalla mezzaluna.

“Tarhunt!” lo chiamò Clio, cercando invano di afferrarlo.

Petbe lo vide e scattò, prendendolo al volo. Reahu, sentendo il nome del fratello, si girò e vide quanto accaduto. Ignorando qualsiasi altra cosa, lo raggiunse.

“Tarhunt!” lo chiamò, mentre Petbe lo metteva a terra.

I signori della morte tennero lontane le creature che attaccavano. Saxnot-Adraste rideva divertito, sicuro di aver colpito il punto debole dell’avversario.

Tarhunt aprì lentamente gli occhi chiari.

“Ma che fai?” mormorò al fratello “Torna a combattere!”.

“Ma che dici?!”.

“Ihanez. Dona la mia vita a Ihanez. Tu lo puoi fare, sei uno dei pilastri del mondo. Con la mia vita, avrà di nuovo energia”.

“Tarhunt” mormorò Clio “Non puoi morire per me!”.

“Non muoio per te. Muoio per il mondo. Avrei preferito non farlo, però…”.

Trovò la forza di sorridere, stringendo la mano del fratello maggiore, che lo fissava senza parlare, chino su di lui.

“Dona la mia vita a Ihanez. E non lasciare che Ogmios prenda il mio potere. Io credo in te, anche se non so cosa sia successo quella sera di cui tutti parlate”.

Il respiro di Tarhunt era sempre più affannoso e flebile.

“Io non posso lasciarti morire” disse Reahu.

“Smettila di fare il coglione. Non puoi salvarmi”.

“Ma ho promesso…”.

“Che ti saresti preso cura di me, e lo hai fatto. Ora fai ciò che ti chiedo, per una volta, e smettila di perdere tempo”.

Reahu, sconcertato da queste parole, non sapeva cosa dire.

“Dai, non guardatemi così!” si lagnò Tarhunt, girando la testa “Ci rivedremo, prima o poi”.

“Hai ragione” si sforzo di sorridere Reahu “Ci rivedremo”.

Tarhunt parve soddisfatto da quelle parole. Era come un permesso per potersene andare. Si rilassò. Sperò, come ultima cosa, di non essere morto inutilmente.

Ihanez non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma la luce azzurra che lo stava avvolgendo aveva un’aria familiare.

“Prendi la mia essenza” si sentì dire “Signore della vita”.

“Tarhunt” mormorò Ihanez, venendo sollevato da quella forza, che lentamente entrava in lui.

La ferita infertagli in precedenza smise di sanguinare, rimarginandosi. Sentiva di nuovo la magia scorrere potente nelle proprie vene. Strinse i pugni. Poco più in alto, qualcuno stava cercando di appropriarsi di qualcosa che gli apparteneva e sapeva cosa fare per riprendersela.

Anche Reahu sapeva cosa fare. Ricacciando dentro le prime sue lacrime dopo quasi duecento anni, si voltò pieno di rabbia verso Saxnot-Adraste. Petbe percepì il forte sentimento che provava e rimase titubante  a fissarlo. L’avversario contro cui stava per scagliarsi il signore del cielo era l’unione dei suoi genitori. Sicuramente li avrebbe disintegrati, visto quanta rabbia il desiderio di vendetta gli stava provocando. Guardò quella creatura. Il suo sguardo era spento, vuoto. Quelli non erano più i suoi genitori, ma manichini controllati da qualcun altro. Non c’era più nulla di vero in loro. Non erano più coloro che aveva amato. Chiuse gli occhi e lasciò che la vendetta si impossessasse di Reahu, facendolo praticamente esplodere.

 

Ogmios si accorse che Ihanez era di nuovo in piedi e rimandò il lancio del suo colpo. Doveva impedire che quel ragazzino si prendesse ciò che voleva. Il potere assoluto della vita era lì, a pochi passi, ed era circondato da pidocchi fastidiosi che facevano di tutti per impedirgli di ottenerlo.

“Non osare, moccioso!” gridò, rivolto a Ihanez, che ora guardava il corpo senza vita del padre.

“Oh, ma fottiti!” rispose Ihanez, spalancando le braccia e gridando.

Sapeva che il potere della vita avrebbe scelto lui, sarebbe divenuto parte del suo essere, ignorando Ogmios. O almeno così sperava…

 

Reahu gridò, mentre il cielo si oscurava. Lui, ormai del tutto nero, manteneva lo sguardo dorato fisso verso Saxnot-Adraste, che cominciò ad intuire di non aver fatto una cosa molto intelligente. Il signore del cielo si scagliò contro il suo nemico, urlando. Non richiamò la magia. Lo afferrò e lo scagliò a terra, contro il pavimento che si ruppe. Con quell’impatto, i due uniti si divisero.

“Datemi un solo motivo per non distruggervi in minuscole particelle” ringhiò Reahu, tenendoli fermi entrambi senza fatica.

“Oh, suvvia, siamo colleghi da tempo” mormorò Adraste.

“Prima Akerbeltz ed ora mio fratello. Se fossimo colleghi, non avresti permesso la loro morte”.

“E Petbe? Non pensi a nostro figlio?” si aggiunse Saxnot.

“Che mossa meschina” commentò proprio Petbe, in piedi a pochi passi dalle teste dei suoi genitori “Mio padre non l’avrebbe mai usata. Voi due non avete più nulla dei miei veri genitori, siete solo loro immagini comandate da fuori”.

Petbe fissò Reahu e mosse il capo, come a volergli dire che era libero di agire come meglio credeva. Il signore del cielo lo fissò a suo volta, cercando di cogliere qualche ripensamento. Non ci fu, e Reahu distrusse i loro corpi, in migliaia di piccole luci che gradatamente si spensero, svanendo.

“A quanto pare, sono in grado di distruggere” commentò, rialzandosi.

 

Ogmios allungò un braccio verso Ihanez, con l’intento di prendersi il potere della vita, che brillava attorno al corpo di Ipalnemoa come un’originale sarcofago. Ihanez lo ignorò, immergendo le mani in quella luce bianca, che immediatamente lo riconobbe e reagì, risalendo lungo le braccia di chi la richiamava. Salì in fretta e, quando Ihanez si voltò verso Ogmios che tentava di raggiungerlo, era già sufficientemente forte da creare una barriera che ricacciò indietro l’assalitore. Rialzandosi, Ihanez era interamente avvolto dalla luce bianca. Ogmios ringhiò. Aveva perduto la forza della vita, perciò per vincere non aveva altre alternative: doveva uccidere Rashnu.

Una volta che la luce si attenuò, il signore della vita si mostrò per ciò che era diventato. L’armatura era completa ora. Quattro enormi piume dai magnifici colori partivano dal grosso collare che sorreggeva il mantello candido, così come ne circondavano tutto il bordo. Piume colorate ne decoravano anche la corta veste ed i sandali intrecciati. Sul capo, fra i capelli arancio, una corona a forma di semidisco brillava, come un cristallo. Si era risvegliato del tutto, e la sua torre a casa si era completata, così come quella di Reahu e dei gemelli di Mantus.

 

Rashnu, preso per il collo dal padre, trovò la cosa piuttosto frustrante. Perché lui era l’unico a non aver acquisito a pieno i suoi poteri? Perché era l’unico fra i pilastri che non ci riusciva? Si liberò dalla presa del padre e saltellò sulla mezzaluna più alta. La gente si ostinava a credere nella bontà di quel suo genitore ormai del tutto fuori di senno. E questo faceva sì che la sua energia ne risentisse parecchio. Doveva trovare un modo per far capire le sue ragioni al popolo, che lo considerava un mostro all’attacco del loro unico dio. Lo vide. Stava caricando il suo colpo più forte. Non aveva scampo. Con quello, sarebbe stato sconfitto. Chiuse gli occhi, amareggiato. Non voleva che tutto finisse così, ma era evidente la superiorità di suo padre.

 

“Dobbiamo fare qualcosa” commentò Clio, guardandosi attorno.

Ora che vita e morte agivano assieme, la nube nera stava svanendo ma la gente rimaneva lì a pregare per Ogmios, augurandogli la vittoria. Si concentrò. Doveva provare a trasmettere loro i ricordi di quella sera. Doveva riuscirci! Richiamò tutta la sua energia.

“Clio!” la chiamò Reahu, contribuendo a scacciare la nube nera “Non usare in quel modo il tuo potere. Chiedi troppo da te, ti farai solo del male. Smettila!”.

“Lasciami fare. È il solo modo!” esclamò lei.

“Finirai con il consumarti del tutto e morire!”.

“Se è questo ciò che devo fare, allora lo farò!”.

Lei continuò a concentrarsi, e lentamente assieme al suo potere sentì lasciarla anche l’energia vitale. Reahu reagì e la raggiunse, avvolgendola all’interno dei veli della sua armatura.

“Smettila!” la supplico.

Poi si fissarono negli occhi. Che pazza idea gli era passata per la mente! Si sorrisero.

“Hieros” mormorarono “Gamos”.

Nessuno di loro aveva mai sperimentato gli effetti di quell’unione ne vi aveva assistito, tranne Rashnu che però aveva altro a cui pensare. L’onda d’urto provocata dall’unione di cielo e memoria travolse tutti. Solo vita e morte riuscirono a rimanere in piedi. Clio si sentiva leggera, come se fosse una delle stelle, e Reahu era avvolto dalle immagini di tutti i tempi. Era strano. Il loro potere si espanse ed avvolse i presenti, che iniziarono a  vedere ciò che era successo. Tutto il mondo iniziò a vedere e ricordare quella sera di quasi due secoli prima.

 

L’ora di cena era quasi giunta. Ipalnemoa, già leggermente assonnato, se ne stava tranquillo ad un angolo del tavolo, aspettando che arrivassero gli altri per poter mangiare. Reahu era in camera sua, non dovendo mangiare, perso in pensieri che nemmeno lui poteva comprendere del tutto. Onyame, ancora debole dopo il salvataggio del figlio, era già andato a letto. Rashnu si era trattenuto da Mantus, che gli stava insegnando alcuni passaggi del suo futuro lavoro. Tarhunt, l’ultimo arrivato assieme ad Adraste, ancora non aveva trovato il coraggio di mangiare assieme gli altri, perciò se ne stava per conto suo. La sala lentamente si riempì, in attesa del padrone di casa. Ogmios si fece un po’ attendere ma poi apparve alla porta. Pareva di buon umore e sedette a capo del tavolo con entusiasmo, sorridendo. Ipalnemoa rispose a quel sorriso. Era lieto di vedere il collega senza la solita espressione preoccupata per chissà cosa.

“Vedo che manca un po’ di gente all’appello” parlò, rivolto al signore della vita “O mi sbaglio?”.

“Nessun errore” gli rispose Ipalnemoa “Rashnu è da Mantus, dovrebbe tornare a momenti”.

“Ed Onyame?”.

“Ha preferito restare in stanza questa sera”.

“Capisco. In questo caso, possiamo iniziare a mangiare. Buon appetito”.

I presenti ringraziarono ed iniziarono a cenare. Ogmios si soffermò ad osservarli, uno dopo l’altro. Ipalnemoa notò quello sguardo e lo trovò strano. Che aveva in mente? Lasciò perdere il cibo nel piatto e continuò a prestare attenzione ad Ogmios.

“Tutto bene?” gli domandò, dopo qualche istante.

“Ti pare di no?” fu la risposta del padrone di casa.

“No, mi pare di no. Per niente”.

“E, chissà, forse hai ragione”.

Ogmios si reggeva la testa con le mani e guardava fuori dalla finestra, con aria pensierosa.

“Sai cosa stanno facendo là fuori, adesso, Ipal?”.

“Chi?”.

“Il mondo. Sai che sta facendo? La guerra, Ipal. Si sta facendo al guerra”.

“Ne sono consapevole”.

“È una cosa che non capisco. Perché?”.

“Le ragioni di una guerra possono essere molte”.

“Lo so questo, ma mi chiedo perché rifiutino i miei doni in questo modo. La natura, la forza, l’amore, la vita, il cielo stellato e tutte le altre cose splendide che son state create, rifiutate in questo modo da loro”.

“Non mi sembra che le stiano rifiutando”.

“Se accogliessero i doni che abbiamo fatto loro, non avrebbe senso la guerra perché vivrebbero in pace in un mondo perfetto”.

“Perfetto? Non esageriamo. Ad ogni modo, è nostra facoltà intervenire, lo sai?”.

“Intervenire? E perché? Ho faticato per loro, bruciando tempo ed energia che avrei potuto usare in ben altro modo e come vengo ripagato? Con odio e sangue”.

“Mica odiano noi! Si odiano da soli”.

“Fa lo stesso. Ognuno di loro ha una parte di noi, ed odiandosi fra loro a mio avviso è come se odiassero me. Perciò perché io dovrei continuare a dare loro cose che poi rifiutano?”.

“Loro ti venerano. Sei l’unico di noi pilastri il cui culto è rimasto vivo nel mondo. Non ti odiano, è solo una tua impressione”.

“Mi venerano e per venerarmi si distruggono? Ma che razza di esseri ho creato?”.

“ABBIAMO creato, ti correggo. Te lo ripeto: possiamo intervenire. Una tua parola e sono certo che tornerà tutto in ordine”.

“Ne vale la pena?”.

“Come?!”.

“Rispondi, Ipalnemoa. Vale la pena sprecare ancora tempo su delle creature simili?”.

“Certo che sì. Ogni istante della mia vita sarà dedicato a loro, anche se non credono più in me e le mie parole resteranno inascoltate dai loro cuori. Io sono la vita, Ogmios, è ovvio che il mio desiderio sia quello di farla proseguire”.

Ogmios rimase in silenzio. Si appoggiò allo schienale dell’imponente sedia dove stava seduto e sospirò. Pareva riflettere, o forse era deluso dalla risposta datagli da Ipalnemoa.

“Non è giusto che tutti questi poteri vengano messi al servizio di creature tanto crudeli. Non li meritano e sono stanco di concederglieli” disse, poggiando entrambe le mani sul tavolo.

Subito, a quel tocco, una luce oro iniziò ad espandersi, passando da un commensale ad un altro. Ipalnemoa non capì cosa stesse facendo ma ebbe la prontezza di alzarsi e non farsi sfiorare da quella luce. Gli altri presenti gridavano.

“Che stai facendo?” urlò Ipalnemoa, notando come nessuno riuscisse più a muoversi dal tavolo e come la luce oro li stesse circondando.

“Mi riprendo ciò che è mio” si limitò a dire Ogmios, poi chiudendo entrambi i pugni.

Quel gesto arrestò lo scorrere dell’energia oro e la stanza piombò nel buio. Il signore della vita chiamò per nome alcuni dei suoi colleghi, senza ricevere risposta. Ogmios aveva assorbito le loro capacità, lasciandoli del tutto privi di forze.

“E adesso dove vai?” domandò Ipalnemoa, vedendolo uscire dalla stanza.

“Anche il cielo è roba mia” rispose Ogmios, prendendo la via delle scale.

Prima di far questo, si girò e soffiò sulla mano, che ancora brillava d’oro. La sala iniziò a bruciare, con il signore della vita nel mezzo. Questi si guardò attorno, spaventato. Doveva riuscire a portare in salvo i suoi colleghi, anche se ormai privi di capacità. Ma il fuoco magico di Ogmios non era qualcosa che si poteva spegnere tanto facilmente e le sue scintille oro già toccavano molti dei presenti. Tossendo, spaccò una delle finestre. Le pareti stavano cedendo e percepiva chiaramente le vite attorno a sé spegnersi, una dopo l’altra.

“Che succede?” domandò Tarhunt, sentendo il baccano ed accorrendo in quella direzione.

Ipalnemoa pensò in fretta. I due che aveva di fronte, Tarhunt ed Adraste, avevano dentro di loro un enorme potenziale. Doveva fare una scelta e, se pur a malincuore, scelse di salvare loro due.

“Presto, venite con me” parlò saltando all’esterno.

“Dove? Cosa succede?” domandò Adraste.

“Non c’è tempo per spiegare. Venite con me. Fate presto”.

“Sì, maestro” rispose Tarhunt “Ma mio fratello? È al sicuro, vero?”.

“Reahu” mormorò Ipalnemoa.

Lui, insieme a Rashnu, era il tassello più importante da preservare. Si girò verso la casa. Onyame sarebbe riuscito a cavarsela per il poco tempo che necessitava la vita per salvare i futuri signori. Li afferrò saldamente e guardò verso l’alto. Una gran luce lo avvolse ed apparve davanti al ponte di Cintvat. Chiamò suo fratello, che lo raggiunse in fretta.

“Cosa ci fai qui? E chi sono questi due?” chiese, appena apparve.

“Tieni Rashnu qui, capito? Fino a quando non te lo dirò io. E loro due restano qui”.

“Ma…che c’è? La fine del mondo?” parlò, confuso, Mantus.

“Non lasciare che Rashnu torni a casa, intesi? Per nessuna ragione. Fidati di me. e tieni anche questi due giovani al sicuro. Ora devo andare”.

“Che catastrofe si sta creando, fratello?”.

“Non ho tempo per spiegare”.

Ipalnemoa si dissolse, senza dire altro, tornando a casa.

Nel frattempo, Ogmios aveva raggiunto la stanza di Onyame. Il signore del cielo aveva intuito qualcosa dal gran baccano che aveva sentito. Grida, urla, suppliche, ed ora suo fratello veniva verso di lui, carico di energia e con uno sguardo che mai gli aveva visto in volto prima d’ora. Non poteva scappare, non poteva nascondersi. Che senso aveva? Ogmios governava il mondo, lo avrebbe scovato ovunque. Uscì dalla camera di sua spontanea volontà, sperando che si dimenticasse del suo unigenito Reahu.

“Cosa hai fatto?” domandò Onyame, fingendo di non provare timore per colui che aveva di fronte.

“L’unica cosa giusta. Questo mondo non merita di continuare così”.

“Sono d’accordo. Ma non credi ci siano altri sistemi per riportarlo sulla strada giusta?”.

“Quando qualcosa non funziona, ed hai già tentato più volte di ripararla, allora è tempo di gettarla via. Non trovi, Onyame?”.

“Stai parlando di vite umane, di creature viventi, non di orologi a pendolo!”.

“Lo sapevo che non avreste compreso. Tu ed Ipalnemoa siete legati a questo mondo in un modo innaturale, quasi blasfemo per delle creature come noi”.

“Blasfemo? Ma ti ascolti quando parli?”.

“Tu sei debole, Onyame. Hai dato ascolto a quella stupida leggenda degli unigeniti ed hai dato al tuo successore molta più energia del dovuto, a mio avviso. Ora sei scoperto, e lui non può certo salvarti. Mi hai fatto un favore. Se avessi mantenuto tutta la tua energia, non avrei potuto ucciderti”.

“Uccidermi?! Ogmios! Sono io, tuo fratello! Perché vuoi uccidermi?”.

“Perché voglio mettere fino a tutto questo, e voialtri pilastri mi intralciate”.

“Ma questo è sbagliato!”.

“Io sono Ogmios, quello che faccio è sempre giusto. Io sono la Giustizia”.

“Tu sei pazzo. Pazzo e basta”.

“Appena avrò finito con te, mi occuperò del tuo caro figliolo e poi passerò a Rashnu. Ad Ipalnemoa non resterà un granché da fare e, per quel che mi riguarda, Mantus può anche restare. Quello non interferisce con la mia idea del futuro”.

“Ma che ti è successo?”.

“Cosa mi è successo? Ho visto qualcosa di perfetto divenire meno di niente per colpa dell’odio e della guerra”.

“Ma noi possiamo cambiare tutto questo. Ogmios, noi possiamo…”.

“Non possiamo niente! Sono io la causa della guerra ed io la fermerò, a modo mio. Creature che arrivano ad uccidersi l’uno con l’altro per dimostrarmi di essere gli unici degni del mio amore è la cosa più insensata dell’universo. Io li ho creati, ed io li distruggerò. Tutti quanti”.

“Noi li abbiamo creati, NOI! Non tu da solo!”.

“Il concetto non cambia”.

Stanco di parlare, Ogmios allungò una mano e scaraventò il fratello giù per le scale. Onyame tentò di reagire, ma i suoi poteri non erano sufficienti.

“Dovresti amare ciò che hai creato” mormorò il signore del cielo, rialzandosi a fatica.

“Ed invece non è così. Provo ribrezzo per quanto cammina per questo mondo”.

Senza fare la minima fatica, lanciò un altro attacco contro il fratello, che finì di nuovo a terra.

“Morirai questa notte, Onyame. Rallegrati. Guarda che bella luna c’è nel cielo”.

Onyame la guardò. Si stava tingendo di rosso sangue. Chiuse gli occhi. Era pronto a ricevere il colpo di grazia.

“Fermati!” gridò qualcuno, dall’alto delle scale.

“Reahu!” gemette, cercando in ogni modo la forza per difenderlo.

“Ma guarda un po’ chi c’è” commentò Ogmios, girandosi verso quella direzione.

“Perché fai questo?” domandò il futuro signore del cielo.

“Perché è giusto così, ma non mi aspetto che una pulce come te capisca”.

“Meglio una pulce, piuttosto che un viscido bastardo che tenta di uccidere il suo stesso fratello”.

“Ma quanto sei sfrontato, ragazzo. Qualcuno dovrebbe proprio insegnarti a tenere la bocca chiusa. E quel qualcuno sono io. Te la farò chiudere per sempre”.

Reahu indietreggiò. Quell’uomo, a cui aveva giurato fedeltà, non era più lo stesso. O forse era quella che mostrava ora la sua vera natura? Ogmios sferrò il suo attacco, lanciando un raggio oro verso Reahu. Questi non ebbe altra alternativa se non correre, mentre sotto di sé il corridoio e le scale crollavano, colpite da quella magia. Volò nell’ultimo tratto, schivando per poco quell’energia.

“Sei veloce, ma questo non ti basterà” commentò Ogmios, osservando divertito Reahu, che nel frattempo si era messo con i piedi contro il soffitto e guardava giù.

Era leggermente rannicchiato, pronto a saltare.

“E sei pure testardo. Perché non ti arrendi?” continuò il padrone di casa.

“Se devo crepare, fammelo fare come desidero” si limitò a dire Reahu.

Ogmios caricò un altro colpo ma non riuscì a sferrarlo, perché qualcosa di bianco ne avvolse braccia e collo, facendolo indietreggiare. Infastidito, mosse entrambe le braccia in avanti ed apparve Ipalnemoa all’altro capo di quei lunghi nastri bianchi.

“Maestro” mormorò Reahu, vedendolo.

Indossava l’armatura della vita, cosa che non aveva mai fatto prima. Tirò indietro le braccia, indurendo quel legami che strinsero forte le braccia di Ogmios.

“Che roba è mai questa?!” sbottò il padrone di casa.

“La vita è frutto di un legame, come sono queste mie corde”.

“La vita è soffocante?” domandò ancora Ogmios, notando come pure il suo collo fosse intrappolato.

“A volte” si limitò a dire Ipalnemoa, tirando ancora.

Ogmios reagì ed Ipalnemoa fu sbalzato in aria. Saltò e si rigirò, richiamando a sé i nastri. Li allungava e li stringeva a suo piacimento, ed in quel caso fu costretto a stringerli per non spezzarli.

“Cosa credi di fare, Ipal?”.

“Tutto il possibile per fermarti” fu la risposta, accompagnata dallo schiocco di una frusta bianca.

Reahu non sapeva cosa fare. I due iniziarono ad affrontarsi e subito vide aprirsi ferite su di loro e li sentì gridare di dolore e rabbia. Nel frattempo, Onyame rimaneva immobile, avvolto dall’armatura di veli che lo stava proteggendo. Aveva gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro. Che fosse morto? Reahu fece per muoversi quando vide, con sollievo, che Mantus era apparso sulla soglia di casa. Il signore della morte guardò con orrore ciò che era successo in quel luogo, percependo le anime di quelli che si erano spenti.

“Onyame!” lo chiamò, chinandosi sul collega ferito.

“Proteggi mio figlio” mormorò il signore del cielo, senza muoversi e senza aprire gli occhi.

Mantus guardò in alto. Reahu era rimasto sul soffitto. Brillava di luce azzurra. Onyame gli stava trasmettendo i poteri, e probabilmente il ragazzo nemmeno se ne accorgeva.

“No!” gridò Ogmios, notando la cosa e scagliando una sfera oro contro Reahu, che fu costretto ad interrompere il processo e saltellare altrove il più in fretta possibile.

“Non preoccuparti, Onyame” parlò Mantus “Non lascerò che sia lui a prendere il tuo potere!”.

Reahu era giovane ed inesperto, troppo per ricevere tutta l’energia del padre, ma Ogmios non doveva averla. L’unico modo che conosceva Mantus per impedirlo era legare il potere all’anima. Onyame sorrise. Il suo sangue scorreva via, così come la sua vita. Guardò per un’ultima volta il suo prezioso figlio e poi si lasciò morire, sicuro che Mantus sapesse cosa fare. Il signore della morte chinò il capo. Per un istante, gli tornarono in mente cose a cui non pensava da tempo. Si ricordò bambino, si ricordò giovane. Guardò Ogmios. Come poteva essere cambiato tanto? Gridò, concentrando tutto il suo potere, permettendo all’anima di Onyame di legarsi al suo ruolo. Così facendo, solo lei avrebbe potuto cedere le sue capacità, a chi voleva, quando riteneva fosse giusto. Un giorno, Reahu sarebbe stato degno di ricevere interamente quel potere ed allora il signore del cielo glielo avrebbe donato. Il padrone di casa non gradì per niente quel gesto. La magia del cielo intrappolata in un’anima azzurra, con nessuna possibilità di recuperarla?

“Mantus!” gridò “Traditore!”.

Ipalnemoa approfittò di quella distrazione e tornò a legarlo stretto, questa volta con ancora più nastri, che si irrigidirono all’istante. Alcuni di essi iniziarono a creare un disegno e Mantus intuì cosa il fratello avesse in mente di fare. Saltò, afferrando Reahu e coprendolo dall’immensa luce che il signore della vita creò. Avvolse ogni cosa, con il suo bianco intenso. Reahu riuscì a guardare. Ogmios lo indicò, minaccioso.

“Se parlerai di questo giorno, ti strapperò con i miei stessi artigli la parte mancante della tua misera anima” ringhiò.

Mantus coprì di più Reahu ed attese che la luce si dissolvesse. Quando ciò avvenne, Ipalnemoa era al centro della stanza. Era stanco, lo si vedeva, e lasciava ricadere i nastri bianchi in terra, senza avere sufficiente forza per irrigidirli di nuovo. Si guardò attorno. La casa era intatta, senza alcun segno di lotta. Il signore della vita ebbe un attimo di confusione. Dovette concentrarsi per recuperare i suoi ricordi. Come ultimo gesto prima di venir sigillato da Ipalnemoa, Ogmios aveva tentato di cancellare quanto successo, riportando la casa all’aspetto originale ed interferendo con le memorie. Con la mente di vita e morte, quel tentativo fallì. E pure con Reahu, che con la sua parte di anima mancante era immune da certe macchinazioni. Si accorsero subito, però, che non era stato per tutti così. Tarhunt ed Adraste, che avevano visto la dimora in fiamme ed i loro colleghi morti, non avevano alcun ricordo di questo e, quando tornarono in quel luogo, si comportarono come se nulla fosse. Rashnu, che aveva udito il racconto dei due superstiti, lo aveva anch’egli dimenticato.

“Dove sono tutti?” domandò, appena arrivato “Dov’è mio padre?”.

Ipalnemoa provò a spiegargli quanto successo, ma qualcosa gli impediva di dire la verità.

“È scomparso” riuscì solo a dire “Siamo rimasti solo noi”.

Del resto, anche se avesse potuto parlare, come avrebbe potuto farsi capire? Come poteva pretendere che Rashnu credesse alle sue parole? Non vi erano corpi e la casa era intatta, perfetta. Perfino le sue ferite si erano rimarginate.

“Sparito?” ripeté Rashnu, con grandi occhi impauriti e tristi.

Reahu provò un grande dolore per quel ragazzo. Si vedeva che provava affetto assoluto per il suo genitore, e pareva smarrito senza di lui.

“Ed Onyame? E gli altri?”.

Ipalnemoa e Mantus scossero il capo, senza sapere cosa dire. La verità erano impossibilitati a raccontarla e non trovavano altre spiegazioni, se non quello di dire che non lo sapevano.

“Siamo rimasti noi” parlò Mantus “Noi soltanto. Ma non preoccuparti. Riusciremo ad occuparci di tutto, insieme”.

“Solo noi? Ce la faremo?”.

“Ma certo, vedrai”.

“Finché loro non torneranno, giusto?”.

“Giusto”.

Rashnu guardò Reahu, che rimaneva impassibile ed apparentemente indifferente.

“A quanto pare a te toccherà occuparti del cielo prima del previsto” commentò Rashnu.

Reahu non parlo. Le stelle ancora piangevano il loro signore e si stupì dell’incapacità di Rashnu di notarlo. Si limitò ad annuire.

“Dove sono le anime?” domandò Mantus al fratello, quando gli altri si furono sufficientemente allontananti.

“In un posto sicuro, tranquillo” rispose Ipalnemoa, senza incrociare il suo sguardo.

“Io mi prenderò cura di questo mondo” parlò Rashnu, rivolto all’ala ora sigillata del padre “E di tutte le sue creature, così come mi è stato insegnato”.

Pareva che il potere di Ogmios rendesse accettabile quella situazione agli occhi del nuovo padrone di casa, ed i pochi consapevoli di ciò che era realmente accaduto non sapevano come cambiare la cosa. Forse era meglio così, conclusero.

“Hai fatto quel che hai fatto credendo alla storia degli unigeniti, vero?” parlò ancora Mantus.

 “Ho fiducia in Rashnu” rispose Ipalnemoa “Così come credo nel potere di Reahu”.

“Perciò immagino che ora tocchi a noi due passare alla generazione successiva”.

“Sapremo quando sarà il momento”.

“Lo credi davvero?”.

“Voglio crederci”.

 

Ipalnemoa se ne andò una sera d’inverno, senza parlare al nuovo, piccolo, gruppo di abitanti della casa. C’era una creatura da cui però non riusciva mai a nascondersi e quella creatura era Reahu.

“Dove ve ne andate con questo freddo e con il buio?”domandò l’allievo.

“Non ho alternative, Reahu” parlò Ipalnemoa.

Con i capelli arancio mossi dal vento, si voltò verso il suo allievo e gli sorrise. Assomigliava sempre di più a Onyame.

“C’è una persona che ha bisogno di essere controllata più da vicino”spiegò.

“Ogmios? È Ogmios, vero, colui che devi controllare da vicino?”.

“Sì, Reahu, e ti consiglio di abbassare la voce”.

“Ma…”.

“Non solo per lui. Per me è ora di trovare la Madre. Un giorno mio figlio abiterà questa casa e tu lo vedrai, mio allievo”.

“Non mi interessano i figli degli altri. E non te ne puoi andare per un motivo del genere!”.

“Fidati di me. Faccio la cosa giusta e tornerò. Vivrò di nuovo in questa casa. E, se non sarò io a farlo, ci sarà qualcun altro che avvererà questa mia promessa per me”.

Reahu non disse altro. Lo vide allontanarsi. Ufficialmente, per il resto della casa, era partito alla ricerca di Ogmios. Non sarebbe mai più tornato.

 

“Eccoti, finalmente” ghignò Ogmios.

Dopo più di un secolo di prigionia, Ipalnemoa era stato costretto a raggiungerlo, per impedirgli di fuggire. Il suo potere era aumentato, a differenza di quello della vita che con la guerra non faceva che affievolirsi.

“Chiudi la bocca” sbottò Ipal.

I due si trovavano in una specie di bolla, lontana dallo spazio e dal tempo, da cui ad Ogmios non aveva modo di uscire. Lo fissò, mantenendosi a distanza di sicurezza.

“In te c’è qualcosa di diverso, Ipalmenuccio. Hai forse donato parte del tuo potere?”.

Il signore della vita storse il naso. Come se n’era accorto? Il processo di passaggio era appena iniziato, su suo figlio che era solo un bambino. Una così lieve variazione, come riusciva a percepirla?

“Ti sbagli” mentì la vita “Sono solo stanco, per colpa di questa guerra di merda”.

“Ma non eri tu quello che doveva porvi fine?”.

“La gente crede in te, pazzo furioso, e modifica i suoi comportamenti solo in base a ciò che dici tu. A me nessuno dà ascolto. Ma, comunque, vedrai che riuscirò nel mio intento. In un modo o in un altro, questa guerra finirà”.

“Buona fortuna”.

Ipalnemoa lo ignorò, quando questi scattò e lo afferrò saldamente per il collo.

“Sono stato il tuo burattino per troppo tempo, Ipal. Ora è giunto il tempo di scambiarci i ruoli”.

Il signore della vita lottò con tutte le sue forze per non farsi soggiogare. La nube nera che avvolgeva Ogmios ora si stava espandendo e lo stava intrappolando. Quando lo lasciò ricadere in terra, Ipalnemoa aveva i capelli completamente bianchi e lo sguardo vuoto. Ogmios, non in grado di uscire da quello spazio, usò Ipalnemoa come suo tramite. Riuscì facilmente a farlo divenire signore degli stregoni, prendendo così fra le mani il futuro della guerra. Il signore della vita, dal canto suo, risparmiò le energie. Non si ribellò, si lasciò soggiogare, mantenendo a tratti quella poca lucidità necessaria a fargli trasmettere gradatamente il potere della vita al suo successore Ihanez, che cresceva ignaro di tutto.

 

Il resto della storia i presenti al conoscevano. Ogmios aveva controllato eserciti e signori della guerra, sperando nello sterminio totale. Una volta che Ipalnemoa si era spento, anche il sigillo si era spezzato ed era riapparso al mondo fisicamente. Reahu e Clio si guardarono, per un attimo con il colore degli occhi invertito l’uno con l’altro. Ora tutti sapevano. Era sceso il silenzio. I monoclasse, risvegliatasi con quelle visioni, erano confusi.

“Dunque è questa la realtà” parlò Veda, interrompendo il mutismo della folla che si era creato “Tutto questo è avvenuto perché ci detesti”.

Si rivolgeva direttamente ad Ogmios, cosa che lasciò sconcertati molti dei presenti.

“Io non vi detesto” parve giustificarsi Ogmios “Ma siete stati creati con la possibilità di essere perfetti, collaborando fra di voi. Ed invece guardatevi! Siete tutti fratelli, eppure vi ammazzate a vicenda. Litigate di continuo”.

“I fratelli litigano, non lo sapete? Quando era piccola, mi capitava spesso di litigare con mio fratello Gudis ma, la sapete una cosa? Colei che ci aveva messi al mondo, che ci aveva creati, interveniva sempre. Ci faceva smettere, rimproverandoci e spiegandoci come risolvere la questione. Può accadere che un figlio smarrisca la strada e commetta degli errori, ma non per questo un genitore può permettersi di abbandonarlo”.

“La questione è completamente diversa”.

“No, non lo è”.

Calò di nuovo il silenzio. Ogmios, dall’alto, guardò tutti, come a chiedere cosa avessero in mente di fare adesso.

“Un dio è colui in cui la gente crede, Ogmios. E ora la gente ha paura” parlò, lentamente, Reahu.

“La paura è un sentimento stupido, che rende deboli. Se provano questo, sono la prova che hanno bisogno di un dio. Hanno bisogno di me” sbottò l’interpellato.

“Giusto” annuì Rashnu “Hanno bisogno di un dio. Ma quel dio non sei più tu”.

Ogmios rise. Ancora quel ragazzo non aveva capito che le loro energie non potevano equipararsi. Protese un braccio verso il figlio e si udì un fortissimo ululato. I lupi più grossi di Rashnu, con quel gesto di Ogmios si stavano preparando ad attaccare il proprio padrone. Rashnu indietreggiò. Non voleva fare male a quelle bestie. Inutile sperare di saltellare fra le mezzelune, perché lo avrebbero seguito. Ed inutile tentare di alzarsi di nuovo in volo, perché suo padre aspettava proprio quell’atto, pronto a colpirlo. Con le spalle al muro, trovò disgustoso che proprio coloro che per secoli lo avevano protetto stessero per sbranarlo. Chiuse gli occhi ma poi, non udendo alcun suono se non un ringhiare minaccioso, li riaprì. La sua magnifica lupa bianca lo stava difendendo. Lei era libera dal controllo di Ogmios, perché dentro di lei risiedeva la forza della vita. Ihanez allungò le braccia, evocando i lunghi nastri bianchi della sua armatura, ed avvinghiò uno dei lupi aggressivi. Rashnu aveva ordinato di non intervenire allo scontro fra lui e suo padre e quindi quegli animali non rientravano in quell’ordine. Reahu capì e si dedicò ad un'altra di quelle bestie, usando allo stesso modo l’armatura e richiamando a sé il lupo prescelto. L’unione fra Nirriti e Nirrita si dedicò all’ultimo lupo rimasto, salendogli in groppa in un gesto decisamente temerario date le notevoli dimensioni della creatura. Una volta catturati, i pilastri usarono i loro poteri per svincolarli dal controllo di Ogmios. Appena ne furono liberi, il loro pelo mutò di colore. Reahu fissò con leggera ilarità il lupo blu che ora lo fissava con affetto. Poi il suo sguardo incrociò quello di Rashnu.

“Non arrenderti” gli disse Ihanez, facendo allontanare il lupo appena divenuto bianco.

“Non lo farò” rispose Rashnu.

Ogmios stava di nuovo caricando il suo colpo migliore. Il figlio lo fissò. Benissimo. Se era questo ciò che voleva, lo avrebbe avuto. Si preparò a far lo stesso. Non importava se suo padre aveva dimostrato di essere il più forte. Non si sarebbe lasciato uccidere tanto facilmente.

 

“Reahu! Sai come trasmettere l’energia da uno di noi ad un altro?” domandò Veda.

“Mentre entrambi sono in vita, intendi?” rispose lui, fissando preoccupato i due sfidanti.

“Sì. Sento una forza straordinaria dentro di me, come mai prima d’ora. Ti prego, trasmettila a Rashnu. Donala all’uomo che amo”.

Il signore del cielo la guardò. In effetti, attorno a Veda, si era creato un alone di luce intensa, che si faceva sempre più forte. Che stava succedendo? Cos’era quella luce? Ad ogni modo, doveva trasmetterla a Rashnu. Da solo, però, non poteva farlo.

“Ihanez! Figli di Mantus! Venite un po’ qua ad aiutarmi” ordinò.

“Ma io non ho mai fatto una cosa del genere!” protestò Ihanez.

“Perché, io sì? Non ti lamentare e datti da fare!”.

In teoria, la cosa era semplice. Bastava prendere la magia di Veda e spedirla a Rashnu. Senza che Ogmios la intercetti, senza toglierne troppa da chi l’aveva dentro di sé per non ucciderla e senza disperderla. Il tutto prima che i due combattenti si scagliassero addosso quel colpo. Semplice.

I tre si mossero all’unisono, così come si mosse Rashnu. Fra i resti della torre si alzò un grido unisono, di Rashnu, Ogmios, Veda, Ihanez, Reahu e l’unione dei figli di Mantus. Le campane dei pilastri suonarono nella loro dimora, come animate dall’energia dei loro padroni. Quella di Ogmios si unì. Il loro suono si udì per il mondo intero.

“La tua campana la farò tacere!” gridò Rashnu, percependo l’enorme energia di Veda che lo avvolgeva, in un mescolarsi di luci e voci.

Era la fede. Il credo di coloro che ora pregavano per l’unigenito figlio di Ogmios, il cui attaccò riuscì a respingere quello del padre. Lo scontro fra i due colpi creò un’onda d’urto gigantesca, che distrusse completamente la torre, lasciandone solo pochi sassi. Rashnu era avvolto da quella luce energetica e, quando si affievolì, mostrò a tutti che indossava l’armatura completa di suo padre.

La terra tremava ancora un po’, la campana di Ogmios era caduta e lui era rimaneva immobile, incredulo, a fissare suo figlio. Entrambi a terra, senza più volare, rimasero fermi in silenzio mentre la polvere sollevata si diradava. Gli altri pilastri si erano concentrati per difendere tutti i presenti da quell’onda magica. Reahu si era alzato in volo, creando un’onda contraria. Ihanez, evocando una barriera di molti colori, aveva protetto chi aveva accanto. L’unione di Nirrita e Nirriti si era riparato dietro il roteare della falce. Ma quell’energia era molta e furono costretti a mandare tutti a terra, per poterli salvare. Ora solo Rashnu e Ogmios erano in piedi e si fissavano. La luce del figlio era accecante e la forza che emanava superava di parecchio quella del padre. Ogmios, incredulo, non trovava le parole. La sua armatura era interamente sul suo erede.

“Largo alla nuova generazione” si limitò a dire Rashnu, allungando le dita verso il genitore.

Questi nemmeno se ne accorse. Era debole, tutto ad un tratto. Cadde in avanti, avvolto dalla notte che ormai era calata. La corona, l’oggetto in oro che lo distingueva da ogni suo sottoposto, scivolò via dalla sua capigliatura bianca e rimbalzò più volte. Reahu, alzandosi, la raccolse e la porse a Rashnu, con un inchino. Questi scosse il capo, rifiutandola. Il signore del cielo non capì e lo fissò, mentre si riprendevano i monoclasse ed i colleghi presenti.

“Non ci saranno re nel mio mondo” spiegò Rashnu “Non sarò il vostro capo. Saremo principi. Insieme, alla pari, saremo i principi di questo universo”.

Era sfinito il figlio di Ogmios, così come erano stanchi tutti gli altri. Nirriti e Nirrita si divisero, ora che la battaglia pareva finita. Ihanez si assicurò che entrambi i suoi fratelli stessero bene. Clio corse ad abbracciare Reahu e Rashnu. Guardandosi attorno, però, si accorsero che i monoclasse si fissavano con odio, forse pronti ad affrontarsi di nuovo.

“Ma che combinate?!” sbraitò Gudis, salendo su delle macerie in pietra “Non posso crederci! Nonostante tutto quello che avete visto e sentito, ancora volete combattervi?! Ma non vi è chiaro che la classe migliore non risiede fra stregoni, scienziati e guerrieri, ma fra coloro che ci hanno appena salvati? Questa guerra è nata per stabilire chi fra di noi fosse il più potente ed il più amato da Ogmios. Non trovate che sia assurdo adesso combattere per questo?”.

Nessuno aveva il coraggio di ribattere a quelle parole.

“Parole sagge le tue, Gudis” concordò Rashnu.

“Ma come possiamo convivere?” protestò uno stregone.

“Lo avete sempre fatto, che mi risulti, fino a duecento anni fa” continuò il figlio di Ogmios “Potete benissimo tornare a vivere come all’ora. Siete stati creati per completarvi a vicenda. Insieme, potete vivere in un mondo splendido. Se ogni classe usasse il massimo delle proprie capacità per il bene comune e non per ottenere la supremazia, allora sareste tutti più felici. Non volete un futuro di pace, per i vostri figli? È insensato combattere per stabilire chi è più forte, perché nessuna delle classi è nata per prevalere sull’altra. Perciò, per favore, smettetela. Noi giuriamo di dare il meglio di noi, come signori del mondo, e vorrei davvero tanto che anche voi classi faceste lo stesso”.

“Voi avete sconfitto il nostro capo” si fece avanti uno stregone anziano, rivolgendosi ad Ihanez, che trattenne il fiato ripensandoci “Perciò di fatto siete voi ora che ci guidate. Che pensate di fare?”.

“Io non posso essere il vostro capo” rispose il signore della vita “Il mio ruolo non è quello. Ma se posso io comandarvi di non fare più la guerra, allora è ciò che farò”.

Il capo dei guerrieri, guida dei soldati entrati in quella torre, fece un passo verso lo stregone anziano, allungando la mano. Lo strano sguardo che si scambiarono, lasciò perplesso Rashnu che intervenne. Prese le mani di entrambi e le fece congiungere. Un lampo di luce le circondò, per qualche secondo, ed i sue rappresentanti di classe si sorrisero. Ora mancava solamente il consenso del capo degli scienziati per avere la pace. Rashnu respirò lentamente e, socchiudendo gli occhi, si rilassò. Sarebbe intervenuto personalmente, nel caso ci fossero stati intoppi nelle trattative.

“Signore” lo chiamò Petbe.

Rashnu quasi si stupì nel vederlo lì.

“Signore, ho un favore da chiedere, se è possibile”.

“Chiedi, Petbe”.

“Io non voglio più essere il signore della vendetta. Voglio rinunciare al mio potere”.

“Rinunciarvi? O preferiresti modificarlo?”.

“Lo posso fare?”.

“Questo mondo ha bisogno di speranza, Petbe. Vuoi tu essere il signore della speranza?”.

Il ragazzo non rispose subito, non aspettandosi una proposta simile. Poi chinò il capo, sorridendo, mentre la sua luce mutava per divenire da grigia a verde.

“Andiamo” riprese Rashnu “C’è ancora una faccenda da sbrigare”.

Tutt’attorno a lui ed ai suoi colleghi, le anime di coloro che erano caduti. Quella di suo padre tentava disperatamente di rimpossessarsi del suo corpo. Rashnu chiamò i suoi lupi.

“Non lasciate traccia di lui” ordinò, sapendo che non c’erano molti altri sistemi per impedire alla volontà di Ogmios di tornare.

Lasciò le creature al loro pasto, e richiamò con un gesto tutte le anime a sé. Quella di suo padre era enorme, argentea, e si dimenava infastidita. Ma Rashnu la tenne stretta. Insieme, circondati dai lupi, il gruppetto di abitanti della casa si diresse verso il regno dei morti. In silenzio, ognuno guardando chi aveva perso nello scontro, camminarono fino al ponte Cintvat. Tarhunt lanciò un’ultima occhiata al fratello, prima di attraversarlo, assieme alle altre anime. L’ultima fu quella di Ogmios, alla quale fu riservata una zona apposita degli inferi, per evitare problemi. Ihanez ed il padre si  sorrisero ed il nuovo signore della vita ebbe un’idea. Si voltò verso Reahu per qualche secondo, dirigendo anche verso di lui un sorriso, e si diresse convinto verso il regno dei morti.

“Che fai?” domandò Veda.

“Torno subito” fu la risposta.

Reahu e Rashnu si fissarono. Erano più avanti rispetto al resto del gruppo. Nirriti e Nirrita si erano congedati e stavano rientrando a casa. Clio, Veda e Petbe stavano più indietro, in silenzio. Ihanez riapparve dalle tenebre con una forte luce fra le mani. Era una sfera, che lentamente prendeva forma e si affievoliva, man mano che il signore della vita avanzava.

“Reahu” chiamò “Più volte mi sono chiesto come ringraziarti di tutto ciò che hai fatto per me in questi anni, come mio maestro, ed ora l’ho capito. Vieni”.

Clio sobbalzò. Che Ihanez avesse… Chinò il capo. Era felice per Reahu, anche se questo significava perderlo. Il signore della vita attese che il signore del cielo lo raggiungesse, sul confine fra i due mondi, per scostare la mano e svelare due enormi occhioni chiari. Reahu ricambiò lo sguardo, perplesso, senza capire del tutto. Quella piccola creaturina chi era? Con un ciuffo blu che ricadeva su quel nasino da neonato, incrociò gli occhi del signore del cielo.

“È una bambina” spiegò Ihanez “È tua”.

“Mia?”.

“La nuova vita che tu ed Alinn aspettavate. Non avendo mai avuto un corpo nel mondo dei vivi, ho potuto crearglielo io”.

Reahu rimase momentaneamente senza fiato e poi sorrise. L’allievo praticamente obbligò il maestro a prendere in braccio la neonata. Nessuno alle loro spalle aveva capito quel che era successo. Il signore del cielo, avvolgendo la piccola nei veli dell’armatura e sempre stringendola a sé, si girò e camminò verso i colleghi. Passò oltre a Rashnu, che sorrise, intuendo l’accaduto, e proseguì verso Petbe, Veda e Clio. Si inginocchiò davanti a quest’ultima, che sobbalzò ed arrossì.

“Un bambino?” mormorò, vedendo ciò che Reahu stringeva fra le braccia.

“Bambina. La mia. Ti piace?” sorrise lui.

“È magnifica”.

“Ma ha bisogno di una madre”.

“Già”.

“Clio, mi faresti l’enorme onore di prenderti cura di noi due? Abbiamo entrambi bisogno di te, e sono certo che lei ti amerà tanto quanto io ora amo te”.

Clio rimase immobile, portandosi le mani alla bocca per lo stupore. Poi si inginocchiò ed abbracciò il signore del cielo, ripetendo “Sì” per almeno una decina di volte.

“Grazie” mormorò Reahu, sentendo il viso rigarsi di lacrime per la prima volta dopo quasi duecento anni, ripensando a tutto ciò che aveva perso ed ottenuto.

Rashnu guardò Ihanez, limitandosi a dargli un colpetto sulla spalla. Era strana quella notte. Non si sapeva se gioire o piangere, soffrire o ridere. Ognuno di loro aveva perso qualcuno, ognuno di loro aveva un motivo per star male. Ma avevano anche posto fine ad una guerra. Si guardarono fra loro. Non sapevano bene come reagire, ma sapevano dove guardare: alle loro spalle, il Sole del nuovo mondo stava sorgendo.

   
 
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