XV
ESAMI
FINALI
“Torna
un po’ a spiegarmi perché lo fai”
parlò Reahu, osservando in silenzio il suo
allievo.
Ihanez
si stava preparando a partire. Il giorno del suo esame da stregone era
giunto.
Il signore del cielo, seduto al tavolo e reggendosi la testa con la
mano,
sigaretta di sbieco in bocca, attendeva una risposta.
L’allievo ci mise un po’.
“In
che senso? Che ti dovrei spiegare? Sono uno stregone, e mi sento in
grado di
affrontare l’ultimo esame della mia classe”.
“Sì,
ma perché? A che ti serve?”.
“Tu
perché non lo hai fatto?”.
“Perché
è anche per colpa degli stregoni se c’è
la guerra. Io non mi sento uno di
loro”.
“Io
sì, invece. L’ho promesso, al mio maestro e ad
Hennay. Ed ora lo farò”.
“E
cosa pensi di fare?”.
“Cosa
penso di fare?!”.
“Sì,
apprendista. L’esame finale del quinto livello non
è come quello di quarto. Lo
sai, o come sempre ti butti nelle cose senza rifletterci?”.
“Lo
so”.
“Ebbene:
cosa intendi fare? All’esame ti chiederanno di dimostrare le
tue capacità e
convincere i giudici presenti che sei degno di passare quella
prova”.
“Ho
qualche idea”.
“E
non mi spii niente?”.
“No,
ficcanaso”.
“Come
vuoi. Potevo darti qualche suggerimento”.
“Hei,
tu non lo hai fatto quell’esame! Non rompere!”.
“E
tu non esaltarti per niente. Quello è solo uno stupido
esamuccio per
stregoncini. Siamo noi la serie A, l’importante è
ciò che farai qui”.
“Lo
so. Quanto sei stressante!”.
Ihanez
era pronto a partire. Da tempo non indossava le vesti da stregone ed in
parte
gli erano mancate. Si osservò. Ai polsi gli si erano creati
strani disegni, lì
dove aveva visto apparire i pezzi dell’armatura di suo padre.
“Vai
da solo?” riprese Reahu.
“Ovvio,
ho passato l’età in cui devo andare in giro
accompagnato da un adulto”.
Il
signore del cielo non si mosse, mentre il suo allievo usciva dalla
stanza e si
incamminava per il corridoio. Scosse il capo e si alzò,
uscendo a sua volta
dalla camera del futuro signore della vita.
“Perché
disapprovi la sua scelta?” gli domandò Rashnu.
“Perché
è solo un’inutile perdita di tempo. Potrebbe
rimanere qui ad addestrarsi,
invece di buttare la giornata in simili cazzate”.
“Ma
lui ci tiene tanti. Dovresti pensare ai desideri del tuo
allievo”.
“Bah.
Fate quello che volete”.
Il
padrone di casa andò vicino a Ihanez, che era stato
circondato dai colleghi.
Volevano augurargli buona fortuna.
“Dove
si terrà l’esame?” volle sapere Rashnu.
“Alla
torre degli astri. Non è molto lontana da qui”.
“La
torre degli astri? Ci sono stato, tempo fa. Non è quella
grossa e cilindrica?”.
“Proprio
quella. Fin’ora l’ho vista solo da fuori.
Chissà com’è dentro. Lo
scoprirò
presto”.
“Affrettati.
È ora”.
Ihanez
rispose con un cenno del capo e si allontanò a passo svelto.
● ●
●
“Ricordate:
questo attacco sarà molto importante. Voglio vedere tutti
voi combattere con il
massimo delle forze. Sono stato chiaro?” parlò un
grosso soldato dall’aria
minacciosa.
“Sissignore”
risposero tutti.
Fra
loro, vi era Veda, poco convinta dall’idea di prendere parte
a quella guerra ma
non vedendovi alternative. A quanto pare, quello era il suo destino.
“Ad
ogni squadra di soldati, verrà assegnato un gruppo di
scienziati, che con i
loro strumenti e le loro tecnologie ci permetteranno di avere la meglio
con
ogni tipo di magia. Vostro è il compito di garantir loro
l’incolumità, per
quanto possibile. Mi avete capito?”.
“Sissignore”
gridarono di nuovo.
“Veda,
tu sarai a capo della squadra principale, con il maggior numero di
scienziati.
Te la senti?”.
“Certo,
signore”.
“Bene.
Dividetevi in base alle disposizioni che vi ho dato e state
pronti”.
Veda
sorrise, quando vide che fra gli scienziati assegnatale vi era Gudis,
che
sorrise a sua volta. Lui, divenuto uno dei massimi studiosi della magia
fra i
membri della sua classe, era stato scelto per quella missione speciale.
Non
aveva avuto scelta. O collaborava, o diveniva sacrificabile.
“Per
il grandioso Ogmios, state pronti!” incitò le
truppe il generale, sentendosi
rispondere con un grido altrettanto forte.
● ●
●
Reahu
fissò con curiosità Rashnu. Come mai era ancora
lì? E perché stava indossando i
pezzi rimastagli dell’armatura di suo padre?
“Che
succede?” volle sapere il signore del cielo.
“Niente.
Non ti preoccupare” mentì Rashnu.
“Non
mi imbrogli. Che stai facendo?”.
Rashnu
sospirò, capendo che non si sarebbe liberato facilmente di
quello scocciatore.
“Una
volta, anni fa, Veda aveva avuto una visione. Molte persone morivano,
in un
edificio cilindrico. Ne era molto spaventata”.
“Credi
che il luogo dell’esame finale sia il posto visto da
Veda?”.
“Sì”.
“Ed
hai intenzione di andarci da solo?”.
“Potrebbe
essere solo un falso allarme”.
“Potrebbe.
E se non lo fosse?”.
“Me
la saprò cavare”.
“Rashnu”
iniziò Reahu, inchinandosi leggermente “Forse non
consideri il mio potere
all’altezza, o forse senti di dover dimostrare
chissà cosa a chissà chi, ma
permettimi di farti da scorta. Se davvero accadrà qualcosa,
voglio combattere
al tuo fianco”.
Rashnu
lo fissò. Non se lo sarebbe mai aspettato.
“Come
vuoi” si limitò a dire, non trovando altre parole.
Reahu
salì nella sua stanza e, aprendo un piccolo cassetto, ne
estrasse due collane.
Due ciondoli, che ogni stregone aveva, diverso per ogni livello. Uno
era il suo
ed uno era quello di Alinn. Sapeva che solo con quelli al collo
sarebbero
potuti entrare nel luogo d’esame. Coperti da pesanti mantelli
per celarne i
tratti del viso, forse ancora ricercati, i due uscirono dalla casa, con
le
collane ben in vista. Reahu si voltò verso
l’uscio. Che strana sensazione
provava addosso…
● ●
●
Ihanez
era entrato nell’edificio circolare e si guardava attorno.
Gli uomini e le
donne che dovevano essere esaminati erano radunati nello spiazzo
circolare che
seguiva l’ingresso. Alzando la testa, mezzelune sporgenti
disposte tutt’attorno
contenevano gli stregoni che già avevano affrontato la prova
e che erano lì per
giudicarli. Quella più in alto di tutti ospitava il capo
supremo di quella
classe. Ihanez lo fissò. Lo vide alzarsi in piedi, sorretto
da un lungo
bastone. Aveva lunghissimi capelli bianchi ed uno strano sguardo,
assente.
Vestiva di blu scuro, come tutti gli altri, e fu il primo a parlare.
Indicò
Ihanez con il dito ossuto e gli fece segno di venire avanti, ponendosi
al
centro del cerchio formato dalla parete dell’edificio.
L’interpellato obbedì.
“Come
ti chiami, ragazzo?” domandò il capo degli
stregoni.
“Randoeku”.
“Quello
è il tuo nome da stregone. Pronuncia il tuo vero
nome”.
“Ihanez,
signore” rispose lui, chinando la testa in segno di rispetto.
“Ihanez”
ripeté, in modo quasi meccanico, l’anziano
“Non hai trentacinque anni, o
sbaglio?”.
“No,
signore. Non ho ancora l’età ritenuta giusta per
affrontare questo esame, ma mi
ritengo pronto. Per questo sono qui”.
“Ti
ritieni pronto? Chi ti ha addestrato?”.
“Sono
stati molti i miei maestri. Sarebbe ingiusto citarne solo qualcuno e
fare
l’intero elenco porterebbe via troppo tempo”.
“Sembri
molto sicuro di sé. Questa è una buona cosa. Ma
sai, spero, che questo esame si
può affrontare una volta soltanto, vero? Se fallirai, non
avrai una seconda
possibilità”.
“Lo
so. Non fallirò”.
“Bene,
ragazzo. Vediamo fin dove la tua determinazione è in grado
di portarti. In che
modo vuoi dimostrarci di essere degno del livello massimo?”.
“Lo
voglio dimostrare con una sfida”.
“Vuoi
sfidare uno di noi?”.
“Sì,
esatto. Non è contro le regole, mi sembra”.
“Non
lo è. Ma è un suicidio”.
“Beh,
in questo caso, se dev’essere un suicidio, voglio che sia il
più grandioso
della mia categoria. Sfido Voi, capo degli stregoni, se non
è un problema”.
La
torre si riempì di voci, di disapprovazione e rimprovero nei
confronti di quel
ragazzo sfacciato.
“Silenzio!”
li zittì lo stregone supremo “Ammiro il coraggio
di questo ragazzo, o la sua
follia, ed accetto la sua sfida”.
● ●
●
“Tarhunt!”
chiamò Clio, bussando leggermente alla porta del signore
degli eventi
atmosferici.
“Ciao,
Clio” la salutò lui, non aspettandosi di vederla
“Non sei con mio fratello?”.
“Per
questo sono qui. Lui e Rashnu sono andati via ed i loro sguardi non mi
han
trasmesso nulla di buono. Ti dispiacerebbe venire con me? Vorrei
raggiungerli”.
“Dove
sono andati?”.
“Credo
dove Ihanez farà l’esame finale, alla torre degli
astri. Li ho sentiti parlare
di persone in pericolo e cose simili e sotto i mantelli portavano le
armature”.
“Alla
torre degli astri? So dov’è. Credi gli possa
accadere qualcosa?”.
“Credo
di sì. Ho una brutta sensazione. Forse non è
niente…”.
“Beh,
io qui non ho molto da fare. Andar fin là non ci
costerà nulla”.
Anche
Tarhunt possedeva la collana degli stregoni, lui più grande
e complessa di
quella del fratello perché aveva affrontato
l’esame finale. La indossò ed uscì
dalla stanza. Clio sarebbe passata facilmente come sua allieva, non
ancora
graduata.
“Dove
andate?” volle sapere Tate.
“A
fare un giretto. Torna pure alle tue faccende”
tagliò corto Tarhunt.
“Ma,
maestro…”.
“Torneremo
per il tramonto, Tate. Fai il bravo”.
Tate
annuì e li vide andar via. Li accompagnò con una
lieve brezza e poi tornò ai
suoi compiti.
● ●
●
Il
più forte degli stregoni stava ora davanti a Ihanez. Aveva
tolto il mantello,
per facilitarsi i movimenti e, a quanto pare, non aveva bisogno del
bastone che
lo sorreggeva prima.
“Percepisco
in te una grande energia, Ihanez” disse.
Lo
stregone più giovane lo fissò. Quello sguardo
vuoto era molto strano. Che fosse
cieco? Non aveva importanza. Se era a capo degli stregoni, allora
doveva essere
molto forte, cieco o no.
“Prima
di iniziare, spiegami. Perché hai scelto di sfidare proprio
me?”.
“Perché
sono stanco di questa guerra e voglio prendermela con qualcuno. Voi,
come capo
di una categoria, di certo avete in qualche modo colpa in
ciò che sta
succedendo”.
“Ottima
motivazione. Sappi che non sarò delicato”.
“Nessuno
lo è mai stato con me”.
Lo
stregone capo ghignò e scattò in avanti,
mostrando un’incredibile velocità,
nonostante l’aspetto da anziano stanco. Ihanez non si fece
intimorire e schivò
quella mossa, contrattaccando subito e riuscendo a colpire il suo
obbiettivo,
che indietreggiò. Gli altri stregoni si ammutolirono. Il
capo provò un altro
attacco diretto ma pure quello non gli riuscì, e
subì un altro colpo. Sorrise,
come soddisfatto dal fatto che colui che aveva di fronte lo facesse
divertire
in quel modo. Si piegò in avanti, raccogliendo energia su
entrambe le mani, e
poi la liberò. Questa, luminosa, corse lungo le pareti e si
diresse verso
Ihanez, che non si fece cogliere di sorpresa. Schivò e
deviò entrambe le sfere
di magia, impedendo loro di colpire gli spettatori.
“Dovrai
fare meglio di così, vecchio, o non mi
sconfiggerai” parlò Ihanez, senza
mostrare alcun segno di stanchezza.
Provava
un tale odio nei confronti del suo avversario, che quasi era tentavo ad
agire
in modo impulsivo, uccidendolo all’istante.
Quell’essere permetteva la guerra,
non apriva in alcun modo trattative di pace con le altre classi. Colpa
sua e
degli altri capi se c’era la guerra e se tante persone erano
morte. Passò
all’attacco e, saltando, circondò lo stregone
anziano di sottili fili di magia,
che toccandolo gli trasmisero una potente scossa.
L’avversario cadde sulle
ginocchia, rialzandosi a fatica. Ora il suo sguardo era furioso.
Alzò entrambe
le braccia al cielo, creando fra di esse una grossa sfera fiammeggiante.
“Il
colpo di Reahu?” si stupì Ihanez, non sapendo bene
come schivarlo.
Si
concentrò. Non poteva permettere a quella fonte di magia di
colpire i presenti.
Gridando, richiamò a sé l’energia e,
alzando di colpo entrambe le braccia al
cielo, formò una barriera. La sfera si dissolse, colpendola,
anche se fece indietreggiare
Ihanez di parecchi metri prima di perdere forza. Il capo, nel
frattempo, era
già pronto a sferrare un altro colpo. L’esaminato
saltò, credendo di schivarlo.
In realtà, la magia deviò e lo colpì,
scaraventandolo contro la parete della
torre, che si sbriciolò. Ancora scosso, e volando a
mezz’aria, Ihanez ridiscese
rapido, senza accorgersi che il cielo stava acquisendo un inquietante
colore
scuro. Colpi violentemente il capo degli stregoni, riservandogli lo
stesso
trattamento che aveva subito in precedenza. Tossendo per la polvere
sollevata,
l’anziano non parlò. Rimase immobile a fissare lo
sfidante. I suoi occhi, così
inquietanti, sembravano biglie vuote. Una nube nera lo stava
avvolgendo,
sollevandone i capelli e rendendolo ancora più spaventoso.
Un lampo squarciò il
cielo, fino a qualche istante prima sereno.
● ●
●
“Sei
stato tu?” domandò Rashnu.
“A
far cosa?” lo fissò Reahu.
“Quel
lampo laggiù”.
“No,
io non ho colpa”.
“Allora
credo sia il caso di accelerare il passo”.
Reahu
capì ed imitò il figlio di Ogmios, alzandosi in
volo, dimostrandosi come sempre
il più veloce dei due.
● ●
●
“Noi
dobbiamo andare là? Ma dico, siamo pazzi?!”
esclamò Gudis, dopo aver udito un
tuono potente ed aver visto il lampo abbattersi sulla torre.
“Questi
sono gli ordini” tagliò corto la sorella.
“Suicidarsi
sono gli ordini? Lì ci sono i migliori stregoni del pianeta,
e noi li
attacchiamo?”.
“Questo
è il piano. Se riesce, la guerra sarà finita
perché sarà stata sconfitta la
razza nemica” rispose un soldato.
Veda
non pareva convinta di questo. Alzò gli occhi al cielo.
“Rashnu!”
esclamò, vedendolo passare.
● ●
●
Il
capo degli stregoni rise, in modo inquietante, facendo tremare le
pareti.
“Cos’hai
da ridere?” ringhiò Ihanez.
“Da
tempo non mi divertivo così” rispose lo stregone,
scattando in avanti per
colpire ancora.
Il
futuro signore della vita parò a fatica e saltò
all’indietro, sollevandosi.
Quella magia non era da semplice stregone. Chi aveva davanti, in
realtà? Decise
che era decisamente il momento di usare le maniere forti. Si
concentrò e
circondò l’avversario con luci colorate, che si
strinsero tutt’attorno fino a
divenire bianche. Il capo gridò.
“Ho
in mano la tua vita” esclamò Ihanez, richiamando a
sé quella luce, cambiando
posizione delle braccia ed illuminandosi a sua volta.
Si
stupì della cosa. Perché lui si stava
illuminando? Doveva farlo solo il suo
avversario! Con una mossa di scatto, tolse parte di quella luce bianca
al capo,
che finì sbalzato all’indietro, contro il muro.
Ihanez si fissò le mani.
stavano sanguinando. Cosa era successo? Era sceso di nuovo il silenzio.
L’anziano stregone giaceva immobile. Poi respirò,
profondamente, ed aprì gli
occhi. Non erano più come biglie vuote, ma profondi e scuri.
Ihanez gli si
avvicinò, non sentendosi in grado di colpire un uomo in
quello stato.
“Ihanez?”
lo chiamò il capo.
“Sì,
sono sempre io il Vostro avversario”.
“Vieni
vicino”.
Ihanez
obbedì, dubbioso. L’anziano lo afferrò
per la mano e lo fece abbassare, in modo
da potergli parlare all’orecchio.
“Sono
fiero di ciò che sei diventato, ma quello che
arriverà non è un avversario per
te. Vattene finché puoi, figlio mio”.
“Figlio?”.
“Maestro?”
esclamò Reahu, fermo a mezz’aria davanti al buco
provocato da Ihanez alla
parete della torre “Ipalnemoa?”.
Ipalnemoa
sorrise al suo allievo. Poi portò Ihanez ancora
più vicino, mettendogli un
braccio attorno al collo e guardandolo negli occhi.
“Prendi
il mio potere” disse, chiudendo gli occhi.
Il
futuro signore della vita, ancora confuso, sentì una forte
magia iniziare a
scorrere in lui.
“Attenti!”
gridò Reahu.
Un
velocissimo raggio di magia aveva attraversato il cielo. Neppure il
signore del
cielo era riuscito ad intercettarlo e fermarlo ed ora si dirigeva
veloce verso
padre e figlio. Ipalnemoa reagì e scostò Ihanez,
che ne fu ferito solo di
striscio. Il passato signore della vita, però, ne fu colpito
in pieno.
“Ti
faccio i miei vivi complimenti” parlò una voce, la
più profonda che Ihanez
avesse mai sentito.
Reahu
la riconobbe e sobbalzò.
“Rashnu!”
lo chiamò “Siamo nella…”.
“Taci!”
lo zittì Rashnu, fissando con rabbia l’uomo che
lentamente stava prendendo
forma al centro dello spiazzo circolare, fra la nebbia scura.
“I
complimenti per cosa? E tu chi sei?” ringhiò
Ihanez, toccandosi il braccio
ferito e cercando di far rinvenire il padre.
“Con
quel tuo colpo, sei riuscito a risvegliare tuo padre, la cui mente era
soggiogata
da me. E, allo stesso tempo, lo hai reso sufficientemente debole da
permettermi
di colpirlo mortalmente. Congratulazione Ihanez, figlio di Ipalnemoa,
signore
della vita, in pratica hai appena ucciso il tuo stesso padre”.
● ●
●
Mantus
sentì un forte tuono e lo riconobbe. Qualcosa stava
accadendo.
“Fratello”
mormorò, percependo l’energia di Ipalnemoa.
Chiamò
i suoi figli, che lo raggiunsero incuriositi. Che stava succedendo? Lo
sguardo
di Mantus era severo, preoccupato.
“Il
vostro momento è giusto, figli miei”
parlò, con tono solenne.
Nirriti
e Nirrita si fissarono, in silenzio, piuttosto stupiti. Mantus
camminò lento
fino ad un angolo della sua stanza, dove una lunga falce stava
appoggiata al
muro. Aveva una doppia lama, sui due lati del lungo bastone nero. I
gemelli lo
osservarono mentre l’afferrava.
“Non
c’è tempo per permettermi di trasmettere
gradatamente i miei poteri. Servite
voi, adesso, e con energia massima”.
“In
che senso?” domandò Nirrita.
“La
vostra battaglia è iniziata e voi dovete prendervene parte.
Ma non così. Devo
donarvi il mio intero potere”.
Senza
aggiungere altro, e muovendosi in modo talmente rapido da impedire ai
figli di
intervenire, Mantus si trafisse mortalmente con la falce.
“Padre!”
gridarono i gemelli.
Il
potere di colore scuro di Mantus lasciò il corpo del signore
della morte.
Lentamente, questi cadde in avanti, mentre la sua magia raggiungeva i
due
gemelli e li avvolgeva, divenendo parte di loro.
“La
torre degli astri. Andate a difendere il vostro destino” si
sentì la voce del
genitore per gli inferi.
I
gemelli, udendo quelle parole, si guardarono. Sentivano il potere della
morte
dentro di loro. Dovevano andare, in fretta, rimandando a più
tardi le lacrime
per il padre appena sacrificatosi per loro.
● ●
●
Io
ho ucciso mio padre? Pareva chiedersi Ihanez, rimanendo immobile,
fissando
quell’uomo che ormai si era quasi del tutto materializzato.
Era imponente e con
uno sguardo severo, aranciato.
“Hai
spezzato il sigillo che il signore della vita aveva creato attorno a
me. Devo
proprio ringraziarti. Ma non avrai il tuo premio. Il potere della vita
tornerà
nelle mie mani”.
Ihanez,
ferito ed ancora in terra, vide quell’uomo allungare la mano
verso di lui. Non
sapeva come reagire. Si sentiva debole e colui che aveva di fronte
aveva
attorno a sé un potere immenso. La luce che circondava
Ipalnemoa si stava
dirigendo verso la mano protesa.
“No!”
gridò Rashnu, intervenendo e colpendo l’uomo di
spalle, scoprendone il viso.
La
magia di Rashnu aveva scostato il cappuccio, mostrando ai presenti che i loro sguardi erano
uguali. I capelli
bianchi dell’uomo si liberarono e lui si voltò,
guardando con odio chi lo aveva
colpito. Poi gli sorrise, riconoscendolo.
“Credi
davvero di potermi fermare, Junior?” domandò.
“Lo
credo e lo farò. Il potere della vita spetta a Ihanez, non a
te”.
Reahu
scese e si fermò, in piedi, davanti al suo allievo.
“Stai
bene?” gli domandò, senza guardarlo.
“Più
o meno” rispose lo stregone.
“Tranquillo.
Rashnu farà in modo che il potere di tuo padre ti
appartenga”.
“Quell’uomo…è
Ogmios, vero?”.
Reahu
annuì. Era pronto a combatterlo ma Rashnu lo
fermò.
“Penso
io a lui” gli disse “Se non lo sconfiggo
personalmente, non riuscirò mai a
risvegliarmi del tutto. Fidati di me, Reahu”.
“Tranquillo”
sorrise Ogmios “Pure il tuo amico avrà qualcosa da
fare, mentre ti dimostro che
non sei in grado di prendere il mio posto”.
“Chiudi
la bocca!” ringhiò Rashnu “So cosa hai
fatto, e mi prenderò tutto il tuo potere
per questo”.
“Sei
melodrammatico. Ma se è uno scontro con me quello che vuoi,
lo avrai”.
Reahu,
a fatica, lasciò lo scontro al collega. Si girò
verso Ihanez, chinandosi.
“La
ferita non sembra troppo grave” lo tranquillizzò.
“Lo
so, ma è come se stesse assorbendo tutta la mia
energia”.
“Andiamocene
da qui. Rashnu non vuole il nostro intervento, e tu hai bisogno di
cure”.
Un’ombra
alle loro spalle fece capire subito al signore del cielo che non
sarebbe stato
facile. Si girò e spalancò gli occhi.
“Saxnot?”
disse “Tu sei senza poteri!”.
“Sbagliato,
figlio di Onyame. Ogmios mi ha ridato ogni capacità, con
anche qualcosa in più.
Sarò io il tuo avversario. Non vi farò uscire da
qui, come il mio signore ha
ordinato”.
“Levati
dai piedi, se non vuoi che te ne dia tante come mai ne hai prese in
vita tua!”
sbottò Reahu, preoccupato per le condizioni
dell’allievo.
“Io
non credo tu sia in grado di farlo. Ogmios mi ha concesso molta
più energia”.
Reahu
strinse i pugni e digrignò i denti.
“Ti
ridurrò in briciole, traditore. Alla fine sarai diviso in
talmente tanti pezzi
che l’unica cosa che ti resterà da fare
sarà gettarti nell’umido!” gli disse,
richiamando a sé tutta la sua energia.
Ogmios
non sembrava cattivo, osservandolo meglio. Semplicemente indifferente.
Fissava
suo figlio senza alcun entusiasmo, mentre questi gli girava attorno per
studiarlo.
“Sei
ancora in tempo, ragazzo. Puoi andartene”
sogghignò, notando lo sguardo non
proprio convinto di Rashnu.
“Non
mi tirerò indietro. Ti sconfiggerò”.
Ogmios
parve divertito dalla cosa ma palesemente distratto. L’unica
cosa che gli
interessava era il potere della vita, rimasto sospeso sul corpo di
Ipalnemoa,
essendo Ihanez troppo debole per raccoglierlo. Ogmios lo voleva quel
potere ed
allungò una mano per possederlo.
“No!”
sbottò Rashnu, tentando di fare la stessa cosa.
In
una strana lotta impari, padre e figlio si contendevano quella forza
con rabbia
e determinazione. Rashnu era consapevole che, se il padre fosse
riuscito ad
ottenere la vita, sarebbe stato impossibile batterlo. Viceversa, Ogmios
doveva
intuire che le forze del figlio erano notevolmente aumentate in quegli
anni e
non poteva permettergli di incrementarle ancora.
“Fatti
da parte!” gridò, spalancando gli occhi e
scaraventando Rashnu verso l’alto.
Questi
riuscì a fermarsi prima di impattare contro il soffitto e
tornò giù,
frapponendosi fra il padre e la luce bianca della vita.
“Non
l’avrai! Non te lo permetterò!”
esclamò.
“Vuoi
proprio che ti uccida? Perché è questo
ciò che accadrà. Sei troppo debole per
battermi”.
“E
sia. Se il mio destino è questo, lo affronterò.
Ma non senza combattere”.
“Pft.
Siete proprio una generazione senza cervello”.
“Vorrà
dire che difenderò ciò in cui credo senza
disturbare i miei pochi neuroni!”.
“Avanti,
Reahu. Fatti sotto” sfidò Saxnot.
“Tu
credi davvero di battermi?” si stupì il signore
del cielo.
Rialzandosi
lentamente, aveva richiamato a sé l’armatura del
padre ed ora brillava
intensamente, pulsando energia come mai prima d’ora. I veli
che la componevano
si muovevano mossi da un vortice inarrestabile.
“Tu,
misero essere dalla forza pressoché inesistente credi di
poter sconfiggere me,
fra le cui mani scorre tutta la potenza dell’universo? Ti
consiglio di sparire,
prima che sia troppo tardi”.
Saxnot
rimase un attimo indeciso sul da farsi. Gli occhi oro di Reahu lo
fissavano
minacciosi, circondati da capelli blu che si muovevano senza sosta ed
incastonati in quel viso sempre più nero e spaventoso,
furioso.
“Io
non mi tiro mai indietro, davanti ad una sfida” disse, dopo
un po’.
“Allora
verrai spazzato via!” esclamò Reahu, muovendo
solamente due dita e lanciando
Saxnot contro la parete che aveva di fronte.
“Sei
disarmato!” tossì l’avversario,
rialzandosi a fatica “Non mi fai paura”.
Scattò
in avanti, spada alla mano, e tentò un affondo. I veli
dell’armatura si
chiusero, respingendo la lama come se fossero fatti di un materiale
più duro di
essa. Saxnot non capì come questo fosse possibile ma non
ebbe il tempo di
pensarci troppo, perché si ritrovò di nuovo
contro il muro.
“Moscerino
fastidioso, finiscila di tormentarmi e sparisci dalla mia
vista” sbottò Reahu.
“Amor
mio!” chiamò Adraste, correndo a soccorrere il
marito ferito.
Assieme
a lei, una nube nera avvolse Saxnot, che si rialzò.
Guardò la compagna, che
parve intuire il suo pensiero.
“Hieros!”
gridarono in coro i due, fondendosi assieme.
Reahu
fissò la cosa, senza però provare particolare
timore. La nube nera che li
circondava lo preoccupava di certo più di quei due fusi
assieme.
“Ora
te la vedrai con noi!” parlò l’ibrido
Saxnot-Adraste, con voce mista.
“Se
la cosa vi diverte” fu la risposta, con espressione neutra.
Lo
Hieros li aveva resi più veloci e più forti, ma
Reahu riusciva comunque a
schivarne i colpi. I veli della sua armatura si chiudevano a
proteggerlo e si
riaprivano per permettergli di attaccare. Aveva fretta di togliersi di
dosso
quello scontro, per poter portare in salvo il suo allievo. La creatura
fusa
doveva aver capito che da sola non poteva riuscire nel suo intento,
perciò
comandò la nube nera che gli stava accanto e la
indirizzò verso l’esterno, dove
l’esercito di scienziati e guerrieri attendeva il momento
buono per attaccare.
Subito i combattenti si mossero ed irruppero nella torre.
“Che
fate? Fermi!” gridò Veda, mantenendo il controllo
di se stessa.
“E
questi chi sono?!” esclamò Reahu, costretto ad
atterrare per difendere Ihanez.
Veda
notò la cosa e corse verso quella direzione.
“Ci
penso io” parlò, sguainando la spada
“Fidati di me”.
Il
signore del cielo annuì. Doveva disfarsi al più
presto del suo avversario, che
nel frattempo si era caricato di energia ed era pronto ad attaccare.
Mosse le
braccia verso Reahu, indirizzandogli contro una pioggia di lame
affilate.
Questi se ne accorse appena in tempo. I veli dell’armatura si
serrarono,
lasciandolo incolume, ma facendolo gemere. Quell’essere
ibrido aveva in sé
parte del potere di Ogmios e lo stava usando sempre di più.
Doveva
sconfiggerlo, prima che aumentasse ulteriormente.
“Ora
ti mostrerò so che sa fare il signore del cielo”
gridò, spalancando le braccia.
“Clio!”
gridò Tarhunt difendendola dall’orda
di creature armate che aveva fatto il suo ingresso nella torre.
“Cosa
sta succedendo?” domandò la signora della memoria,
guardandosi attorno,
confusa.
“Non
ne ho idea. Queste persone sono come possedute da qualcosa”.
“Se
solo riuscissimo a farle smettere di combattere, liberandole da questa
possessione…”.
“Hai
qualche idea? Io no, sinceramente”.
Tarhunt
respinse un altro attacco e sollevò Clio da terra,
appollaiandosi su una delle
mezzelune in pietra. Vide suo fratello e, alle sue spalle, Veda che
difendeva
Ihanez ferito.
“Grazie”
mormorò Clio.
“E
di cosa? Il minimo che possa fare è salvare mia
cognata”.
“Non
sono tua cognata!”.
“Ma
lo sarai”.
La
signora della memoria arrossì. Si alzò in piedi,
accanto a Tarhunt. Che gran
confusione c’era in quella torre! Lanciò uno dei
suoi colpi, quelli che
simpaticamente Reahu definiva “attacchi di panico”,
creando un certo timore fra
i monoclasse. Non durò molto, perché la nube nera
che li possedeva diede
immediatamente ordine di ricominciare a combattere.
“Onyame?”
si stupì Ogmios, notando l’armatura su Reahu.
“Ti
sei distratto!” esclamò Rashnu, attaccando con una
raffica di scariche magiche.
Il
padre subì il colpo, e non parve gradire per niente.
“Adesso
mi hai davvero stancato!” esclamò “Ti
distruggerò!”.
“Al
mondo, nulla si crea e nulla si distrugge”.
“Vuoi
che ti dimostri il contrario?”.
Una
luce fortissima investì Rashnu, che non riuscì a
schivarla e venne colpito in
pieno. Volò in aria. Si aggrappò ad una delle
mezzelune, evitando di ricadere
di peso. Tossì, sputando sangue. Doveva contrattaccare, ma
in che modo? Era
evidente che il suo avversario possedeva ben più forza di
lui. Ma non si poteva
arrendere. Nonostante tutte quelle voci che continuavano a ripetere che
era
sbagliato attaccare l’unico dio, prese coraggio e si
issò sulla mezzaluna. Da
lì avrebbe potuto sferrare un attacco perfetto.
“Scusate
il ritardo!” esclamarono, in coro, Nirrita e Nirriti.
Entrambi,
fra le mani, stringevano una falce, ottenuta dalla divisione
dell’arma unica
del padre. Subito compresero la situazione. Roteando la propria arma,
riuscivano a spazzare via la nube dai mortali, anche se solo
temporaneamente.
“Clio!”
gridarono “Noi li liberiamo, tu li spaventi. Questo li
farà fuggire, e saranno
al sicuro”.
Clio
obbedì, mettendosi in piedi sulla mezzaluna e guardando
giù. Si concentrò.
Avrebbe dovuto usare un sacco di energia.
“Io
mi sforzerò di controllare la loro sete di
vendetta” parlò una voce giovane.
“Petbe?”
si stupì Tarhunt.
“Che
c’è? Dovevo lasciare tutto il divertimento a
voialtri? Io sono il signore della
vendetta, ruolo infame, ma quest’oggi lo userò a
nostro vantaggio. Senza sete
di vendetta, combatteranno con meno energia e voglia”.
Detto
questo, il giovane figlio di Saxnot ed Adraste si appropriò
di una mezzaluna ed
iniziò a diffondere il suo potere.
“Pensate
di scacciare così facilmente la mia forza?”
parlò la nube, acquisendo una
curiosa forma antropomorfa, che sarebbe risultata comica in un contesto
diverso.
“Sei
solo una palla di fumo!” ringhiò Nirrita
“Hieros!” gridò poi, fondendosi con il
gemello.
Uniti,
i due portavano l’armatura del genitore, segno che si erano
risvegliati
completamente. Era nera, composta da ossa avorio che spiccavano sulla
base
scura. La falce era tornata ad essere a doppia lama, riunendosi. Lo
spaventoso
sguardo del signore della morte fissò i presenti. Era tempo
di farsi notare!
Ihanez
non aveva mai assistito a quel tipo di unione. Non immaginava che due
creature
potessero unirsi in quel modo. Si sentiva inutile, in quel momento. La
sua
sorellina lo stava difendendo, che vergogna. E sopra la sua testa
vedeva
Rashnu, che combatteva per difendere il potere dalla vita. Se solo
avessi un
solo briciolo di energia in corpo, pensò, potrei reclamare
il potere che mi
spetta. Ma di energia non ne aveva, nemmeno un soffio.
“Morirete
tutti per mano del nostro signore Ogmios” parlò
l’ibrido Saxnot-Adraste.
“Hai
finito con le minchiate? Combatti e chiudi quella bocca!” lo
zittì Reahu,
muovendo un braccio ed investendo l’avversario con una
raffica di piccole
stelle brucianti.
“Tutto
qui quel che sai fare? Qualche bruciatura non ci
fermerà”.
“Oh,
madre terra, quanto sei stupido. Io mi trattengo perché non
voglio ucciderti,
essere fuso. E non ti consiglio di continuare a provocarmi”.
“Non
ho paura di te. So di poterti sconfiggere”.
“Solitamente
apprezzo le persone sicure di sé, ma non in questo
caso”.
L’unione
fra Saxnot ed Adraste si preparò ad attaccare, di nuovo, e
Reahu sospirò. Che
seccatura!
Rashnu
fissò il suo genitore, che pareva quasi divertito da quello
scontro.
“Ti
farò sparire quel ghigno dal viso”
mormorò, preparando la sua mossa.
Congiunse
i due bracciali, creando una luce fortissima e oro, che avvolse colui
che la
stava evocando. Lanciò un grido. Quello era il colpo
più forte che aveva.
Reahu
conosceva quella tecnica e sapeva quel che provocava.
Ribaltò le braccia
indietro, senza atterrare, scoprendosi in parte ma lasciando che i veli
dell’armatura proteggessero Veda e Ihanez.
“Ti
sei scoperto!” ghignò il suo avversario, che ne
approfittò per cercare di
colpirlo.
Il
signore del cielo nemmeno gli rispose. Si limitò ad alzare
le gambe e, sempre
mantenendo le braccia aperte a difesa di coloro che aveva dietro di
sé,
ricacciò indietro il nemico. Poi ignorò tutto il
resto. Il colpo di Rashnu
stava arrivando.
Tarhunt
notò la reazione del fratello e ordinò a Clio di
stare giù. Riuscì giusto in
tempo a farla abbassare, proteggendosi entrambi all’interno
della mezzaluna di
pietra. Il calore dell’energia li avvolse, così
come la sua luce. Serrarono gli
occhi, sperando che il loro rifugio non cedesse.
Rashnu
gridò, separando di colpo i bracciali ed aprendo le braccia.
Poi le protese in
avanti con uno scatto e da esse partirono due scariche di energia
potentissima,
che assunsero la forma di due piatti. I piatti della bilancia, la
giustizia che
Rashnu rappresentava. Ruotando velocemente, investirono di scariche
lucenti
l’intero edificio, per poi concentrarsi vero il loro
bersaglio. Ogmios
conosceva quella tecnica, era la stessa che usava lui, ma non
immaginava di
vedersela usare contro. Credeva che il figlio non fosse in grado di
padroneggiarla. I due dischi lo colpirono, uno per lato. Rimase in
piedi, ma
indietreggiò di parecchi metri. Convinto di essere stato
protetto
dall’armatura, notò con disgusto che in
realtà sanguinava. Parte di essa ora la
vedeva addosso al figlio. Doveva riuscire assolutamente ad
impossessarsi del
potere della vita! Quel moccioso non poteva comprendere le leggi del
mondo per
governarlo! Restò a fissare il suo erede per un lungo tempo.
“Ora
ti mostrerò come si usa davvero quel colpo”
commentò, dopo diversi minuti.
“Oh,
merda” non trovò altre parole Rashnu, e
probabilmente anche altri pensarono la
stessa cosa.
I
signori della morte stavano tentando in ogni modo di sconfiggere quella
nube
nera che portava alla follia i monoclasse. Era una cosa difficile,
più di
quanto credessero. Strinsero i denti. Non avrebbero deluso il padre,
che
appositamente era morto per permettergli di partecipare a quella
battaglia.
Lanciando la falce, che ruotando creava vortici per la sala e poi
tornava dai
suoi proprietari, impedivano che altre persone fossero soggiogate da
essa.
Questo però non rendeva meno pericolose le persone
già sotto il suo dominio.
Nemmeno la luce del colpo di Rashnu fermò quei soldati.
“Ma
dove siamo finiti? Nel regno dei pazzi?” sbottarono i
signori, ancora uniti
assieme in un unico corpo, sentendo che la gente ancora credeva
intensamente in
Ogmios.
“Devo
fare qualcosa” esclamò Clio “Se loro
ricordassero, se loro sapessero, ciò che è
successo ai predecessori, così come lo so io, sono certa che
cambierebbero
idea”.
“Cosa
ti serve?” domandò Tarhunt, respingendo altri
nemici con i fulmini.
“Molta
più energia”.
“Hai
idea di come prenderla?”.
Clio
si morse il labbro inferiore. Aveva un’idea, ma non sapeva se
potesse davvero
funzionare. Il signore del tempo atmosferico si guardò
attorno. Ihanez aveva
bisogno di vita, per potersi appropriare del tutto del ruolo che gli
spettava.
Vita. Perché non prendeva quella dei caduti? Tarhunt
capì da solo che non lo
faceva perché troppo debole. Serviva qualcuno che donasse la
propria esistenza.
“State
bene?” domandò Reahu, rivolto a Ihanez e Veda.
Ihanez
non poteva dire di stare benissimo, con quella ferita aperta, ma
annuì. Veda,
dai calci che tirava agli avversari, pareva proprio non aver subito
danni.
“Gudis!”
lo riconobbe il signore del cielo.
Lo
scienziato, soggiogato dall’ombra, rischiava di finir
letteralmente falciato
dai signori della morte. Usò la sua energia per proteggerlo,
ma facendo questo
si distrasse. L’unione fra Saxnot ed Adraste
guardò in su. Là, lo vedevano,
stavano Clio e Tarhunt, le creature più importanti per il
loro avversario.
Ghignando, decisero di lanciare contro di loro il prossimo attacco,
puntando
sulla distruzione psicologica di Reahu. Tarhunt, impegnato a respingere
i colpi
che ora pure gli stregoni gli lanciavano contro, si accorse tardi degli
intenti
di Saxnot-Adraste. L’unica cosa che riuscì a fare
fu pararsi davanti a Clio,
per proteggerla. Era lei la più importante fra i due e, lo
sentiva, avrebbe trovato
l’energia per trasmettere la memoria ai presenti. Il suo
potere non riuscì a
proteggerlo dai colpi inferti da una creatura in possesso di parte
della magia
di Ogmios. Trafitto, gemette e cadde in avanti, precipitando dalla
mezzaluna.
“Tarhunt!”
lo chiamò Clio, cercando invano di afferrarlo.
Petbe
lo vide e scattò, prendendolo al volo. Reahu, sentendo il
nome del fratello, si
girò e vide quanto accaduto. Ignorando qualsiasi altra cosa,
lo raggiunse.
“Tarhunt!”
lo chiamò, mentre Petbe lo metteva a terra.
I
signori della morte tennero lontane le creature che attaccavano.
Saxnot-Adraste
rideva divertito, sicuro di aver colpito il punto debole
dell’avversario.
Tarhunt
aprì lentamente gli occhi chiari.
“Ma
che fai?” mormorò al fratello “Torna a
combattere!”.
“Ma
che dici?!”.
“Ihanez.
Dona la mia vita a Ihanez. Tu lo puoi fare, sei uno dei pilastri del
mondo. Con
la mia vita, avrà di nuovo energia”.
“Tarhunt”
mormorò Clio “Non puoi morire per me!”.
“Non
muoio per te. Muoio per il mondo. Avrei preferito non farlo,
però…”.
Trovò
la forza di sorridere, stringendo la mano del fratello maggiore, che lo
fissava
senza parlare, chino su di lui.
“Dona
la mia vita a Ihanez. E non lasciare che Ogmios prenda il mio potere.
Io credo
in te, anche se non so cosa sia successo quella sera di cui tutti
parlate”.
Il
respiro di Tarhunt era sempre più affannoso e flebile.
“Io
non posso lasciarti morire” disse Reahu.
“Smettila
di fare il coglione. Non puoi salvarmi”.
“Ma
ho promesso…”.
“Che
ti saresti preso cura di me, e lo hai fatto. Ora fai ciò che
ti chiedo, per una
volta, e smettila di perdere tempo”.
Reahu,
sconcertato da queste parole, non sapeva cosa dire.
“Dai,
non guardatemi così!” si lagnò Tarhunt,
girando la testa “Ci rivedremo, prima o
poi”.
“Hai
ragione” si sforzo di sorridere Reahu “Ci
rivedremo”.
Tarhunt
parve soddisfatto da quelle parole. Era come un permesso per potersene
andare.
Si rilassò. Sperò, come ultima cosa, di non
essere morto inutilmente.
Ihanez
non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma la luce azzurra che
lo stava
avvolgendo aveva un’aria familiare.
“Prendi
la mia essenza” si sentì dire “Signore
della vita”.
“Tarhunt”
mormorò Ihanez, venendo sollevato da quella forza, che
lentamente entrava in
lui.
La
ferita infertagli in precedenza smise di sanguinare, rimarginandosi.
Sentiva di
nuovo la magia scorrere potente nelle proprie vene. Strinse i pugni.
Poco più
in alto, qualcuno stava cercando di appropriarsi di qualcosa che gli
apparteneva e sapeva cosa fare per riprendersela.
Anche
Reahu sapeva cosa fare. Ricacciando dentro le prime sue lacrime dopo
quasi
duecento anni, si voltò pieno di rabbia verso
Saxnot-Adraste. Petbe percepì il
forte sentimento che provava e rimase titubante
a fissarlo. L’avversario contro cui stava per
scagliarsi il signore del
cielo era l’unione dei suoi genitori. Sicuramente li avrebbe
disintegrati,
visto quanta rabbia il desiderio di vendetta gli stava provocando.
Guardò
quella creatura. Il suo sguardo era spento, vuoto. Quelli non erano
più i suoi
genitori, ma manichini controllati da qualcun altro. Non
c’era più nulla di
vero in loro. Non erano più coloro che aveva amato. Chiuse
gli occhi e lasciò
che la vendetta si impossessasse di Reahu, facendolo praticamente
esplodere.
Ogmios
si accorse che Ihanez era di nuovo in piedi e rimandò il
lancio del suo colpo.
Doveva impedire che quel ragazzino si prendesse ciò che
voleva. Il potere
assoluto della vita era lì, a pochi passi, ed era circondato
da pidocchi
fastidiosi che facevano di tutti per impedirgli di ottenerlo.
“Non
osare, moccioso!” gridò, rivolto a Ihanez, che ora
guardava il corpo senza vita
del padre.
“Oh,
ma fottiti!” rispose Ihanez, spalancando le braccia e
gridando.
Sapeva
che il potere della vita avrebbe scelto lui, sarebbe divenuto parte del
suo
essere, ignorando Ogmios. O almeno così sperava…
Reahu
gridò, mentre il cielo si oscurava. Lui, ormai del tutto
nero, manteneva lo
sguardo dorato fisso verso Saxnot-Adraste, che cominciò ad
intuire di non aver
fatto una cosa molto intelligente. Il signore del cielo si
scagliò contro il
suo nemico, urlando. Non richiamò la magia. Lo
afferrò e lo scagliò a terra,
contro il pavimento che si ruppe. Con quell’impatto, i due
uniti si divisero.
“Datemi
un solo motivo per non distruggervi in minuscole particelle”
ringhiò Reahu,
tenendoli fermi entrambi senza fatica.
“Oh,
suvvia, siamo colleghi da tempo” mormorò Adraste.
“Prima
Akerbeltz ed ora mio fratello. Se fossimo colleghi, non avresti
permesso la
loro morte”.
“E
Petbe? Non pensi a nostro figlio?” si aggiunse Saxnot.
“Che
mossa meschina” commentò proprio Petbe, in piedi a
pochi passi dalle teste dei
suoi genitori “Mio padre non l’avrebbe mai usata.
Voi due non avete più nulla
dei miei veri genitori, siete solo loro immagini comandate da
fuori”.
Petbe
fissò Reahu e mosse il capo, come a volergli dire che era
libero di agire come
meglio credeva. Il signore del cielo lo fissò a suo volta,
cercando di cogliere
qualche ripensamento. Non ci fu, e Reahu distrusse i loro corpi, in
migliaia di
piccole luci che gradatamente si spensero, svanendo.
“A
quanto pare, sono in grado di distruggere”
commentò, rialzandosi.
Ogmios
allungò un braccio verso Ihanez, con l’intento di
prendersi il potere della
vita, che brillava attorno al corpo di Ipalnemoa come
un’originale sarcofago.
Ihanez lo ignorò, immergendo le mani in quella luce bianca,
che immediatamente
lo riconobbe e reagì, risalendo lungo le braccia di chi la
richiamava. Salì in
fretta e, quando Ihanez si voltò verso Ogmios che tentava di
raggiungerlo, era
già sufficientemente forte da creare una barriera che
ricacciò indietro
l’assalitore. Rialzandosi, Ihanez era interamente avvolto
dalla luce bianca.
Ogmios ringhiò. Aveva perduto la forza della vita,
perciò per vincere non aveva
altre alternative: doveva uccidere Rashnu.
Una
volta che la luce si attenuò, il signore della vita si
mostrò per ciò che era
diventato. L’armatura era completa ora. Quattro enormi piume
dai magnifici
colori partivano dal grosso collare che sorreggeva il mantello candido,
così
come ne circondavano tutto il bordo. Piume colorate ne decoravano anche
la
corta veste ed i sandali intrecciati. Sul capo, fra i capelli arancio,
una
corona a forma di semidisco brillava, come un cristallo. Si era
risvegliato del
tutto, e la sua torre a casa si era completata, così come
quella di Reahu e dei
gemelli di Mantus.
Rashnu,
preso per il collo dal padre, trovò la cosa piuttosto
frustrante. Perché lui
era l’unico a non aver acquisito a pieno i suoi poteri?
Perché era l’unico fra
i pilastri che non ci riusciva? Si liberò dalla presa del
padre e saltellò
sulla mezzaluna più alta. La gente si ostinava a credere
nella bontà di quel
suo genitore ormai del tutto fuori di senno. E questo faceva
sì che la sua
energia ne risentisse parecchio. Doveva trovare un modo per far capire
le sue
ragioni al popolo, che lo considerava un mostro all’attacco
del loro unico dio.
Lo vide. Stava caricando il suo colpo più forte. Non aveva
scampo. Con quello,
sarebbe stato sconfitto. Chiuse gli occhi, amareggiato. Non voleva che
tutto
finisse così, ma era evidente la superiorità di
suo padre.
“Dobbiamo
fare qualcosa” commentò Clio, guardandosi attorno.
Ora
che vita e morte agivano assieme, la nube nera stava svanendo ma la
gente
rimaneva lì a pregare per Ogmios, augurandogli la vittoria.
Si concentrò.
Doveva provare a trasmettere loro i ricordi di quella sera. Doveva
riuscirci!
Richiamò tutta la sua energia.
“Clio!”
la chiamò Reahu, contribuendo a scacciare la nube nera
“Non usare in quel modo
il tuo potere. Chiedi troppo da te, ti farai solo del male.
Smettila!”.
“Lasciami
fare. È il solo modo!” esclamò lei.
“Finirai
con il consumarti del tutto e morire!”.
“Se
è questo ciò che devo fare, allora lo
farò!”.
Lei
continuò a concentrarsi, e lentamente assieme al suo potere
sentì lasciarla
anche l’energia vitale. Reahu reagì e la
raggiunse, avvolgendola all’interno
dei veli della sua armatura.
“Smettila!”
la supplico.
Poi
si fissarono negli occhi. Che pazza idea gli era passata per la mente!
Si
sorrisero.
“Hieros”
mormorarono “Gamos”.
Nessuno
di loro aveva mai sperimentato gli effetti di quell’unione ne
vi aveva
assistito, tranne Rashnu che però aveva altro a cui pensare.
L’onda d’urto
provocata dall’unione di cielo e memoria travolse tutti. Solo
vita e morte
riuscirono a rimanere in piedi. Clio si sentiva leggera, come se fosse
una
delle stelle, e Reahu era avvolto dalle immagini di tutti i tempi. Era
strano.
Il loro potere si espanse ed avvolse i presenti, che iniziarono a vedere ciò che
era successo. Tutto il mondo
iniziò a vedere e ricordare quella sera di quasi due secoli
prima.
L’ora
di cena era quasi giunta.
Ipalnemoa, già leggermente assonnato, se ne stava tranquillo
ad un angolo del
tavolo, aspettando che arrivassero gli altri per poter mangiare. Reahu
era in
camera sua, non dovendo mangiare, perso in pensieri che nemmeno lui
poteva
comprendere del tutto. Onyame, ancora debole dopo il salvataggio del
figlio,
era già andato a letto. Rashnu si era trattenuto da Mantus,
che gli stava
insegnando alcuni passaggi del suo futuro lavoro. Tarhunt,
l’ultimo arrivato
assieme ad Adraste, ancora non aveva trovato il coraggio di mangiare
assieme
gli altri, perciò se ne stava per conto suo. La sala
lentamente si riempì, in
attesa del padrone di casa. Ogmios si fece un po’ attendere
ma poi apparve alla
porta. Pareva di buon umore e sedette a capo del tavolo con entusiasmo,
sorridendo. Ipalnemoa rispose a quel sorriso. Era lieto di vedere il
collega
senza la solita espressione preoccupata per chissà cosa.
“Vedo
che manca un po’ di gente
all’appello” parlò, rivolto al signore
della vita “O mi sbaglio?”.
“Nessun
errore” gli rispose
Ipalnemoa “Rashnu è da Mantus, dovrebbe tornare a
momenti”.
“Ed
Onyame?”.
“Ha
preferito restare in stanza
questa sera”.
“Capisco.
In questo caso, possiamo
iniziare a mangiare. Buon appetito”.
I
presenti ringraziarono ed
iniziarono a cenare. Ogmios si soffermò ad osservarli, uno
dopo l’altro.
Ipalnemoa notò quello sguardo e lo trovò strano.
Che aveva in mente? Lasciò
perdere il cibo nel piatto e continuò a prestare attenzione
ad Ogmios.
“Tutto
bene?” gli domandò, dopo qualche
istante.
“Ti
pare di no?” fu la risposta del
padrone di casa.
“No,
mi pare di no. Per niente”.
“E,
chissà, forse hai ragione”.
Ogmios
si reggeva la testa con le
mani e guardava fuori dalla finestra, con aria pensierosa.
“Sai
cosa stanno facendo là fuori,
adesso, Ipal?”.
“Chi?”.
“Il
mondo. Sai che sta facendo? La
guerra, Ipal. Si sta facendo al guerra”.
“Ne
sono consapevole”.
“È
una cosa che non capisco.
Perché?”.
“Le
ragioni di una guerra possono
essere molte”.
“Lo
so questo, ma mi chiedo perché
rifiutino i miei doni in questo modo. La natura, la forza,
l’amore, la vita, il
cielo stellato e tutte le altre cose splendide che son state create,
rifiutate
in questo modo da loro”.
“Non
mi sembra che le stiano
rifiutando”.
“Se
accogliessero i doni che abbiamo
fatto loro, non avrebbe senso la guerra perché vivrebbero in
pace in un mondo
perfetto”.
“Perfetto?
Non esageriamo. Ad ogni
modo, è nostra facoltà intervenire, lo
sai?”.
“Intervenire?
E perché? Ho faticato
per loro, bruciando tempo ed energia che avrei potuto usare in ben
altro modo e
come vengo ripagato? Con odio e sangue”.
“Mica
odiano noi! Si odiano da
soli”.
“Fa
lo stesso. Ognuno di loro ha
una parte di noi, ed odiandosi fra loro a mio avviso è come
se odiassero me.
Perciò perché io dovrei continuare a dare loro
cose che poi rifiutano?”.
“Loro
ti venerano. Sei l’unico di
noi pilastri il cui culto è rimasto vivo nel mondo. Non ti
odiano, è solo una
tua impressione”.
“Mi
venerano e per venerarmi si
distruggono? Ma che razza di esseri ho creato?”.
“ABBIAMO
creato, ti correggo. Te lo
ripeto: possiamo intervenire. Una tua parola e sono certo che
tornerà tutto in
ordine”.
“Ne
vale la pena?”.
“Come?!”.
“Rispondi,
Ipalnemoa. Vale la pena
sprecare ancora tempo su delle creature simili?”.
“Certo
che sì. Ogni istante della
mia vita sarà dedicato a loro, anche se non credono
più in me e le mie parole
resteranno inascoltate dai loro cuori. Io sono la vita, Ogmios,
è ovvio che il
mio desiderio sia quello di farla proseguire”.
Ogmios
rimase in silenzio. Si
appoggiò allo schienale dell’imponente sedia dove
stava seduto e sospirò.
Pareva riflettere, o forse era deluso dalla risposta datagli da
Ipalnemoa.
“Non
è giusto che tutti questi
poteri vengano messi al servizio di creature tanto crudeli. Non li
meritano e
sono stanco di concederglieli” disse, poggiando entrambe le
mani sul tavolo.
Subito,
a quel tocco, una luce oro
iniziò ad espandersi, passando da un commensale ad un altro.
Ipalnemoa non capì
cosa stesse facendo ma ebbe la prontezza di alzarsi e non farsi
sfiorare da
quella luce. Gli altri presenti gridavano.
“Che
stai facendo?” urlò Ipalnemoa,
notando come nessuno riuscisse più a muoversi dal tavolo e
come la luce oro li
stesse circondando.
“Mi
riprendo ciò che è mio” si
limitò a dire Ogmios, poi chiudendo entrambi i pugni.
Quel
gesto arrestò lo scorrere
dell’energia oro e la stanza piombò nel buio. Il
signore della vita chiamò per
nome alcuni dei suoi colleghi, senza ricevere risposta. Ogmios aveva
assorbito
le loro capacità, lasciandoli del tutto privi di forze.
“E
adesso dove vai?” domandò
Ipalnemoa, vedendolo uscire dalla stanza.
“Anche
il cielo è roba mia” rispose
Ogmios, prendendo la via delle scale.
Prima
di far questo, si girò e
soffiò sulla mano, che ancora brillava d’oro. La
sala iniziò a bruciare, con il
signore della vita nel mezzo. Questi si guardò attorno,
spaventato. Doveva
riuscire a portare in salvo i suoi colleghi, anche se ormai privi di
capacità.
Ma il fuoco magico di Ogmios non era qualcosa che si poteva spegnere
tanto
facilmente e le sue scintille oro già toccavano molti dei
presenti. Tossendo,
spaccò una delle finestre. Le pareti stavano cedendo e
percepiva chiaramente le
vite attorno a sé spegnersi, una dopo l’altra.
“Che
succede?” domandò Tarhunt,
sentendo il baccano ed accorrendo in quella direzione.
Ipalnemoa
pensò in fretta. I due
che aveva di fronte, Tarhunt ed Adraste, avevano dentro di loro un
enorme
potenziale. Doveva fare una scelta e, se pur a malincuore, scelse di
salvare
loro due.
“Presto,
venite con me” parlò
saltando all’esterno.
“Dove?
Cosa succede?” domandò
Adraste.
“Non
c’è tempo per spiegare. Venite
con me. Fate presto”.
“Sì,
maestro” rispose Tarhunt “Ma
mio fratello? È al sicuro, vero?”.
“Reahu”
mormorò Ipalnemoa.
Lui,
insieme a Rashnu, era il
tassello più importante da preservare. Si girò
verso la casa. Onyame sarebbe
riuscito a cavarsela per il poco tempo che necessitava la vita per
salvare i
futuri signori. Li afferrò saldamente e guardò
verso l’alto. Una gran luce lo
avvolse ed apparve davanti al ponte di Cintvat. Chiamò suo
fratello, che lo
raggiunse in fretta.
“Cosa
ci fai qui? E chi sono questi
due?” chiese, appena apparve.
“Tieni
Rashnu qui, capito? Fino a
quando non te lo dirò io. E loro due restano qui”.
“Ma…che
c’è? La fine del mondo?”
parlò, confuso, Mantus.
“Non
lasciare che Rashnu torni a
casa, intesi? Per nessuna ragione. Fidati di me. e tieni anche questi
due
giovani al sicuro. Ora devo andare”.
“Che
catastrofe si sta creando,
fratello?”.
“Non
ho tempo per spiegare”.
Ipalnemoa
si dissolse, senza dire
altro, tornando a casa.
Nel
frattempo, Ogmios aveva
raggiunto la stanza di Onyame. Il signore del cielo aveva intuito
qualcosa dal
gran baccano che aveva sentito. Grida, urla, suppliche, ed ora suo
fratello
veniva verso di lui, carico di energia e con uno sguardo che mai gli
aveva
visto in volto prima d’ora. Non poteva scappare, non poteva
nascondersi. Che
senso aveva? Ogmios governava il mondo, lo avrebbe scovato ovunque.
Uscì dalla
camera di sua spontanea volontà, sperando che si
dimenticasse del suo unigenito
Reahu.
“Cosa
hai fatto?” domandò Onyame,
fingendo di non provare timore per colui che aveva di fronte.
“L’unica
cosa giusta. Questo mondo
non merita di continuare così”.
“Sono
d’accordo. Ma non credi ci
siano altri sistemi per riportarlo sulla strada giusta?”.
“Quando
qualcosa non funziona, ed
hai già tentato più volte di ripararla, allora
è tempo di gettarla via. Non
trovi, Onyame?”.
“Stai
parlando di vite umane, di
creature viventi, non di orologi a pendolo!”.
“Lo
sapevo che non avreste
compreso. Tu ed Ipalnemoa siete legati a questo mondo in un modo
innaturale,
quasi blasfemo per delle creature come noi”.
“Blasfemo?
Ma ti ascolti quando
parli?”.
“Tu
sei debole, Onyame. Hai dato
ascolto a quella stupida leggenda degli unigeniti ed hai dato al tuo
successore
molta più energia del dovuto, a mio avviso. Ora sei
scoperto, e lui non può
certo salvarti. Mi hai fatto un favore. Se avessi mantenuto tutta la
tua
energia, non avrei potuto ucciderti”.
“Uccidermi?!
Ogmios! Sono io, tuo
fratello! Perché vuoi uccidermi?”.
“Perché
voglio mettere fino a tutto
questo, e voialtri pilastri mi intralciate”.
“Ma
questo è sbagliato!”.
“Io
sono Ogmios, quello che faccio
è sempre giusto. Io sono la Giustizia”.
“Tu
sei pazzo. Pazzo e basta”.
“Appena
avrò finito con te, mi
occuperò del tuo caro figliolo e poi passerò a
Rashnu. Ad Ipalnemoa non resterà
un granché da fare e, per quel che mi riguarda, Mantus
può anche restare.
Quello non interferisce con la mia idea del futuro”.
“Ma
che ti è successo?”.
“Cosa
mi è successo? Ho visto
qualcosa di perfetto divenire meno di niente per colpa
dell’odio e della
guerra”.
“Ma
noi possiamo cambiare tutto
questo. Ogmios, noi possiamo…”.
“Non
possiamo niente! Sono io la
causa della guerra ed io la fermerò, a modo mio. Creature
che arrivano ad
uccidersi l’uno con l’altro per dimostrarmi di
essere gli unici degni del mio
amore è la cosa più insensata
dell’universo. Io li ho creati, ed io li
distruggerò. Tutti quanti”.
“Noi
li abbiamo creati, NOI! Non tu
da solo!”.
“Il
concetto non cambia”.
Stanco
di parlare, Ogmios allungò
una mano e scaraventò il fratello giù per le
scale. Onyame tentò di reagire, ma
i suoi poteri non erano sufficienti.
“Dovresti
amare ciò che hai creato”
mormorò il signore del cielo, rialzandosi a fatica.
“Ed
invece non è così. Provo
ribrezzo per quanto cammina per questo mondo”.
Senza
fare la minima fatica, lanciò
un altro attacco contro il fratello, che finì di nuovo a
terra.
“Morirai
questa notte, Onyame.
Rallegrati. Guarda che bella luna c’è nel
cielo”.
Onyame
la guardò. Si stava tingendo
di rosso sangue. Chiuse gli occhi. Era pronto a ricevere il colpo di
grazia.
“Fermati!”
gridò qualcuno,
dall’alto delle scale.
“Reahu!”
gemette, cercando in ogni
modo la forza per difenderlo.
“Ma
guarda un po’ chi c’è”
commentò
Ogmios, girandosi verso quella direzione.
“Perché
fai questo?” domandò il
futuro signore del cielo.
“Perché
è giusto così, ma non mi
aspetto che una pulce come te capisca”.
“Meglio
una pulce, piuttosto che un
viscido bastardo che tenta di uccidere il suo stesso
fratello”.
“Ma
quanto sei sfrontato, ragazzo.
Qualcuno dovrebbe proprio insegnarti a tenere la bocca chiusa. E quel
qualcuno
sono io. Te la farò chiudere per sempre”.
Reahu
indietreggiò. Quell’uomo, a
cui aveva giurato fedeltà, non era più lo stesso.
O forse era quella che mostrava
ora la sua vera natura? Ogmios sferrò il suo attacco,
lanciando un raggio oro
verso Reahu. Questi non ebbe altra alternativa se non correre, mentre
sotto di
sé il corridoio e le scale crollavano, colpite da quella
magia. Volò
nell’ultimo tratto, schivando per poco
quell’energia.
“Sei
veloce, ma questo non ti
basterà” commentò Ogmios, osservando
divertito Reahu, che nel frattempo si era
messo con i piedi contro il soffitto e guardava giù.
Era
leggermente rannicchiato,
pronto a saltare.
“E
sei pure testardo. Perché non ti
arrendi?” continuò il padrone di casa.
“Se
devo crepare, fammelo fare come
desidero” si limitò a dire Reahu.
Ogmios
caricò un altro colpo ma non
riuscì a sferrarlo, perché qualcosa di bianco ne
avvolse braccia e collo,
facendolo indietreggiare. Infastidito, mosse entrambe le braccia in
avanti ed
apparve Ipalnemoa all’altro capo di quei lunghi nastri
bianchi.
“Maestro”
mormorò Reahu, vedendolo.
Indossava
l’armatura della vita,
cosa che non aveva mai fatto prima. Tirò indietro le
braccia, indurendo quel
legami che strinsero forte le braccia di Ogmios.
“Che
roba è mai questa?!” sbottò il
padrone di casa.
“La
vita è frutto di un legame,
come sono queste mie corde”.
“La
vita è soffocante?” domandò
ancora Ogmios, notando come pure il suo collo fosse intrappolato.
“A
volte” si limitò a dire
Ipalnemoa, tirando ancora.
Ogmios
reagì ed Ipalnemoa fu
sbalzato in aria. Saltò e si rigirò, richiamando
a sé i nastri. Li allungava e
li stringeva a suo piacimento, ed in quel caso fu costretto a
stringerli per
non spezzarli.
“Cosa
credi di fare, Ipal?”.
“Tutto
il possibile per fermarti”
fu la risposta, accompagnata dallo schiocco di una frusta bianca.
Reahu
non sapeva cosa fare. I due
iniziarono ad affrontarsi e subito vide aprirsi ferite su di loro e li
sentì
gridare di dolore e rabbia. Nel frattempo, Onyame rimaneva immobile,
avvolto
dall’armatura di veli che lo stava proteggendo. Aveva gli
occhi chiusi e la
testa reclinata all’indietro. Che fosse morto? Reahu fece per
muoversi quando
vide, con sollievo, che Mantus era apparso sulla soglia di casa. Il
signore
della morte guardò con orrore ciò che era
successo in quel luogo, percependo le
anime di quelli che si erano spenti.
“Onyame!”
lo chiamò, chinandosi sul
collega ferito.
“Proteggi
mio figlio” mormorò il signore
del cielo, senza muoversi e senza aprire gli occhi.
Mantus
guardò in alto. Reahu era
rimasto sul soffitto. Brillava di luce azzurra. Onyame gli stava
trasmettendo i
poteri, e probabilmente il ragazzo nemmeno se ne accorgeva.
“No!”
gridò Ogmios, notando la cosa
e scagliando una sfera oro contro Reahu, che fu costretto ad
interrompere il
processo e saltellare altrove il più in fretta possibile.
“Non
preoccuparti, Onyame” parlò
Mantus “Non lascerò che sia lui a prendere il tuo
potere!”.
Reahu
era giovane ed inesperto,
troppo per ricevere tutta l’energia del padre, ma Ogmios non
doveva averla.
L’unico modo che conosceva Mantus per impedirlo era legare il
potere all’anima.
Onyame sorrise. Il suo sangue scorreva via, così come la sua
vita. Guardò per
un’ultima volta il suo prezioso figlio e poi si
lasciò morire, sicuro che
Mantus sapesse cosa fare. Il signore della morte chinò il
capo. Per un istante,
gli tornarono in mente cose a cui non pensava da tempo. Si
ricordò bambino, si
ricordò giovane. Guardò Ogmios. Come poteva
essere cambiato tanto? Gridò,
concentrando tutto il suo potere, permettendo all’anima di
Onyame di legarsi al
suo ruolo. Così facendo, solo lei avrebbe potuto cedere le
sue capacità, a chi
voleva, quando riteneva fosse giusto. Un giorno, Reahu sarebbe stato
degno di
ricevere interamente quel potere ed allora il signore del cielo glielo
avrebbe
donato. Il padrone di casa non gradì per niente quel gesto.
La magia del cielo
intrappolata in un’anima azzurra, con nessuna
possibilità di recuperarla?
“Mantus!”
gridò “Traditore!”.
Ipalnemoa
approfittò di quella
distrazione e tornò a legarlo stretto, questa volta con
ancora più nastri, che
si irrigidirono all’istante. Alcuni di essi iniziarono a
creare un disegno e
Mantus intuì cosa il fratello avesse in mente di fare.
Saltò, afferrando Reahu
e coprendolo dall’immensa luce che il signore della vita
creò. Avvolse ogni
cosa, con il suo bianco intenso. Reahu riuscì a guardare.
Ogmios lo indicò,
minaccioso.
“Se
parlerai di questo giorno, ti
strapperò con i miei stessi artigli la parte mancante della
tua misera anima”
ringhiò.
Mantus
coprì di più Reahu ed attese
che la luce si dissolvesse. Quando ciò avvenne, Ipalnemoa
era al centro della
stanza. Era stanco, lo si vedeva, e lasciava ricadere i nastri bianchi
in
terra, senza avere sufficiente forza per irrigidirli di nuovo. Si
guardò
attorno. La casa era intatta, senza alcun segno di lotta. Il signore
della vita
ebbe un attimo di confusione. Dovette concentrarsi per recuperare i
suoi
ricordi. Come ultimo gesto prima di venir sigillato da Ipalnemoa,
Ogmios aveva
tentato di cancellare quanto successo, riportando la casa
all’aspetto originale
ed interferendo con le memorie. Con la mente di vita e morte, quel
tentativo
fallì. E pure con Reahu, che con la sua parte di anima
mancante era immune da
certe macchinazioni. Si accorsero subito, però, che non era
stato per tutti
così. Tarhunt ed Adraste, che avevano visto la dimora in
fiamme ed i loro colleghi
morti, non avevano alcun ricordo di questo e, quando tornarono in quel
luogo,
si comportarono come se nulla fosse. Rashnu, che aveva udito il
racconto dei
due superstiti, lo aveva anch’egli dimenticato.
“Dove
sono tutti?” domandò, appena
arrivato “Dov’è mio padre?”.
Ipalnemoa
provò a spiegargli quanto
successo, ma qualcosa gli impediva di dire la verità.
“È
scomparso” riuscì solo a dire
“Siamo rimasti solo noi”.
Del
resto, anche se avesse potuto
parlare, come avrebbe potuto farsi capire? Come poteva pretendere che
Rashnu
credesse alle sue parole? Non vi erano corpi e la casa era intatta,
perfetta.
Perfino le sue ferite si erano rimarginate.
“Sparito?”
ripeté Rashnu, con
grandi occhi impauriti e tristi.
Reahu
provò un grande dolore per
quel ragazzo. Si vedeva che provava affetto assoluto per il suo
genitore, e
pareva smarrito senza di lui.
“Ed
Onyame? E gli altri?”.
Ipalnemoa
e Mantus scossero il
capo, senza sapere cosa dire. La verità erano
impossibilitati a raccontarla e
non trovavano altre spiegazioni, se non quello di dire che non lo
sapevano.
“Siamo
rimasti noi” parlò Mantus
“Noi soltanto. Ma non preoccuparti. Riusciremo ad occuparci
di tutto, insieme”.
“Solo
noi? Ce la faremo?”.
“Ma
certo, vedrai”.
“Finché
loro non torneranno,
giusto?”.
“Giusto”.
Rashnu
guardò Reahu, che rimaneva
impassibile ed apparentemente indifferente.
“A
quanto pare a te toccherà
occuparti del cielo prima del previsto” commentò
Rashnu.
Reahu
non parlo. Le stelle ancora
piangevano il loro signore e si stupì
dell’incapacità di Rashnu di notarlo. Si
limitò ad annuire.
“Dove
sono le anime?” domandò Mantus
al fratello, quando gli altri si furono sufficientemente allontananti.
“In
un posto sicuro, tranquillo”
rispose Ipalnemoa, senza incrociare il suo sguardo.
“Io
mi prenderò cura di questo
mondo” parlò Rashnu, rivolto all’ala ora
sigillata del padre “E di tutte le sue
creature, così come mi è stato
insegnato”.
Pareva
che il potere di Ogmios
rendesse accettabile quella situazione agli occhi del nuovo padrone di
casa, ed
i pochi consapevoli di ciò che era realmente accaduto non
sapevano come
cambiare la cosa. Forse era meglio così, conclusero.
“Hai
fatto quel che hai fatto
credendo alla storia degli unigeniti, vero?” parlò
ancora Mantus.
“Ho fiducia in
Rashnu” rispose Ipalnemoa “Così
come credo nel potere di Reahu”.
“Perciò
immagino che ora tocchi a
noi due passare alla generazione successiva”.
“Sapremo
quando sarà il momento”.
“Lo
credi davvero?”.
“Voglio
crederci”.
Ipalnemoa
se ne andò una sera
d’inverno, senza parlare al nuovo, piccolo, gruppo di
abitanti della casa.
C’era una creatura da cui però non riusciva mai a
nascondersi e quella creatura
era Reahu.
“Dove
ve ne andate con questo
freddo e con il buio?”domandò l’allievo.
“Non
ho alternative, Reahu” parlò
Ipalnemoa.
Con
i capelli arancio mossi dal
vento, si voltò verso il suo allievo e gli sorrise.
Assomigliava sempre di più
a Onyame.
“C’è
una persona che ha bisogno di
essere controllata più da vicino”spiegò.
“Ogmios?
È Ogmios, vero, colui che
devi controllare da vicino?”.
“Sì,
Reahu, e ti consiglio di
abbassare la voce”.
“Ma…”.
“Non
solo per lui. Per me è ora di
trovare la Madre. Un giorno mio figlio abiterà questa casa e
tu lo vedrai, mio
allievo”.
“Non
mi interessano i figli degli
altri. E non te ne puoi andare per un motivo del genere!”.
“Fidati
di me. Faccio la cosa
giusta e tornerò. Vivrò di nuovo in questa casa.
E, se non sarò io a farlo, ci
sarà qualcun altro che avvererà questa mia
promessa per me”.
Reahu
non disse altro. Lo vide
allontanarsi. Ufficialmente, per il resto della casa, era partito alla
ricerca
di Ogmios. Non sarebbe mai più tornato.
“Eccoti,
finalmente” ghignò Ogmios.
Dopo
più di un secolo di prigionia,
Ipalnemoa era stato costretto a raggiungerlo, per impedirgli di
fuggire. Il suo
potere era aumentato, a differenza di quello della vita che con la
guerra non
faceva che affievolirsi.
“Chiudi
la bocca” sbottò Ipal.
I
due si trovavano in una specie di
bolla, lontana dallo spazio e dal tempo, da cui ad Ogmios non aveva
modo di
uscire. Lo fissò, mantenendosi a distanza di sicurezza.
“In
te c’è qualcosa di diverso,
Ipalmenuccio. Hai forse donato parte del tuo potere?”.
Il
signore della vita storse il
naso. Come se n’era accorto? Il processo di passaggio era
appena iniziato, su
suo figlio che era solo un bambino. Una così lieve
variazione, come riusciva a
percepirla?
“Ti
sbagli” mentì la vita “Sono
solo stanco, per colpa di questa guerra di merda”.
“Ma
non eri tu quello che doveva
porvi fine?”.
“La
gente crede in te, pazzo
furioso, e modifica i suoi comportamenti solo in base a ciò
che dici tu. A me
nessuno dà ascolto. Ma, comunque, vedrai che
riuscirò nel mio intento. In un
modo o in un altro, questa guerra finirà”.
“Buona
fortuna”.
Ipalnemoa
lo ignorò, quando questi
scattò e lo afferrò saldamente per il collo.
“Sono
stato il tuo burattino per
troppo tempo, Ipal. Ora è giunto il tempo di scambiarci i
ruoli”.
Il
signore della vita lottò con
tutte le sue forze per non farsi soggiogare. La nube nera che avvolgeva
Ogmios
ora si stava espandendo e lo stava intrappolando. Quando lo
lasciò ricadere in
terra, Ipalnemoa aveva i capelli completamente bianchi e lo sguardo
vuoto.
Ogmios, non in grado di uscire da quello spazio, usò
Ipalnemoa come suo
tramite. Riuscì facilmente a farlo divenire signore degli
stregoni, prendendo
così fra le mani il futuro della guerra. Il signore della
vita, dal canto suo,
risparmiò le energie. Non si ribellò, si
lasciò soggiogare, mantenendo a tratti
quella poca lucidità necessaria a fargli trasmettere
gradatamente il potere
della vita al suo successore Ihanez, che cresceva ignaro di tutto.
Il
resto della storia i presenti al conoscevano. Ogmios aveva controllato
eserciti
e signori della guerra, sperando nello sterminio totale. Una volta che
Ipalnemoa si era spento, anche il sigillo si era spezzato ed era
riapparso al
mondo fisicamente. Reahu e Clio si guardarono, per un attimo con il
colore
degli occhi invertito l’uno con l’altro. Ora tutti
sapevano. Era sceso il
silenzio. I monoclasse, risvegliatasi con quelle visioni, erano
confusi.
“Dunque
è questa la realtà” parlò
Veda, interrompendo il mutismo della folla che si era
creato “Tutto questo è avvenuto perché
ci detesti”.
Si
rivolgeva direttamente ad Ogmios, cosa che lasciò
sconcertati molti dei
presenti.
“Io
non vi detesto” parve giustificarsi Ogmios “Ma
siete stati creati con la
possibilità di essere perfetti, collaborando fra di voi. Ed
invece guardatevi!
Siete tutti fratelli, eppure vi ammazzate a vicenda. Litigate di
continuo”.
“I
fratelli litigano, non lo sapete? Quando era piccola, mi capitava
spesso di
litigare con mio fratello Gudis ma, la sapete una cosa? Colei che ci
aveva
messi al mondo, che ci aveva creati, interveniva sempre. Ci faceva
smettere,
rimproverandoci e spiegandoci come risolvere la questione.
Può accadere che un
figlio smarrisca la strada e commetta degli errori, ma non per questo
un
genitore può permettersi di abbandonarlo”.
“La
questione è completamente diversa”.
“No,
non lo è”.
Calò
di nuovo il silenzio. Ogmios, dall’alto, guardò
tutti, come a chiedere cosa
avessero in mente di fare adesso.
“Un
dio è colui in cui la gente crede, Ogmios. E ora la gente ha
paura” parlò,
lentamente, Reahu.
“La
paura è un sentimento stupido, che rende deboli. Se provano
questo, sono la
prova che hanno bisogno di un dio. Hanno bisogno di me”
sbottò l’interpellato.
“Giusto”
annuì Rashnu “Hanno bisogno di un dio. Ma quel dio
non sei più tu”.
Ogmios
rise. Ancora quel ragazzo non aveva capito che le loro energie non
potevano
equipararsi. Protese un braccio verso il figlio e si udì un
fortissimo ululato.
I lupi più grossi di Rashnu, con quel gesto di Ogmios si
stavano preparando ad
attaccare il proprio padrone. Rashnu indietreggiò. Non
voleva fare male a
quelle bestie. Inutile sperare di saltellare fra le mezzelune,
perché lo
avrebbero seguito. Ed inutile tentare di alzarsi di nuovo in volo,
perché suo
padre aspettava proprio quell’atto, pronto a colpirlo. Con le
spalle al muro,
trovò disgustoso che proprio coloro che per secoli lo
avevano protetto stessero
per sbranarlo. Chiuse gli occhi ma poi, non udendo alcun suono se non
un
ringhiare minaccioso, li riaprì. La sua magnifica lupa
bianca lo stava
difendendo. Lei era libera dal controllo di Ogmios, perché
dentro di lei
risiedeva la forza della vita. Ihanez allungò le braccia,
evocando i lunghi
nastri bianchi della sua armatura, ed avvinghiò uno dei lupi
aggressivi. Rashnu
aveva ordinato di non intervenire allo scontro fra lui e suo padre e
quindi
quegli animali non rientravano in quell’ordine. Reahu
capì e si dedicò ad
un'altra di quelle bestie, usando allo stesso modo l’armatura
e richiamando a
sé il lupo prescelto. L’unione fra Nirriti e
Nirrita si dedicò all’ultimo lupo
rimasto, salendogli in groppa in un gesto decisamente temerario date le
notevoli dimensioni della creatura. Una volta catturati, i pilastri
usarono i
loro poteri per svincolarli dal controllo di Ogmios. Appena ne furono
liberi,
il loro pelo mutò di colore. Reahu fissò con
leggera ilarità il lupo blu che
ora lo fissava con affetto. Poi il suo sguardo incrociò
quello di Rashnu.
“Non
arrenderti” gli disse Ihanez, facendo allontanare il lupo
appena divenuto bianco.
“Non
lo farò” rispose Rashnu.
Ogmios
stava di nuovo caricando il suo colpo migliore. Il figlio lo
fissò. Benissimo.
Se era questo ciò che voleva, lo avrebbe avuto. Si
preparò a far lo stesso. Non
importava se suo padre aveva dimostrato di essere il più
forte. Non si sarebbe
lasciato uccidere tanto facilmente.
“Reahu!
Sai come trasmettere l’energia da uno di noi ad un
altro?” domandò Veda.
“Mentre
entrambi sono in vita, intendi?” rispose lui, fissando
preoccupato i due
sfidanti.
“Sì.
Sento una forza straordinaria dentro di me, come mai prima
d’ora. Ti prego,
trasmettila a Rashnu. Donala all’uomo che amo”.
Il
signore del cielo la guardò. In effetti, attorno a Veda, si
era creato un alone
di luce intensa, che si faceva sempre più forte. Che stava
succedendo? Cos’era
quella luce? Ad ogni modo, doveva trasmetterla a Rashnu. Da solo,
però, non
poteva farlo.
“Ihanez!
Figli di Mantus! Venite un po’ qua ad aiutarmi”
ordinò.
“Ma
io non ho mai fatto una cosa del genere!” protestò
Ihanez.
“Perché,
io sì? Non ti lamentare e datti da fare!”.
In
teoria, la cosa era semplice. Bastava prendere la magia di Veda e
spedirla a
Rashnu. Senza che Ogmios la intercetti, senza toglierne troppa da chi
l’aveva
dentro di sé per non ucciderla e senza disperderla. Il tutto
prima che i due
combattenti si scagliassero addosso quel colpo. Semplice.
I
tre si mossero all’unisono, così come si mosse
Rashnu. Fra i resti della torre
si alzò un grido unisono, di Rashnu, Ogmios, Veda, Ihanez,
Reahu e l’unione dei
figli di Mantus. Le campane dei pilastri suonarono nella loro dimora,
come
animate dall’energia dei loro padroni. Quella di Ogmios si
unì. Il loro suono
si udì per il mondo intero.
“La
tua campana la farò tacere!” gridò
Rashnu, percependo l’enorme energia di Veda
che lo avvolgeva, in un mescolarsi di luci e voci.
Era
la fede. Il credo di coloro che ora pregavano per l’unigenito
figlio di Ogmios,
il cui attaccò riuscì a respingere quello del
padre. Lo scontro fra i due colpi
creò un’onda d’urto gigantesca, che
distrusse completamente la torre,
lasciandone solo pochi sassi. Rashnu era avvolto da quella luce
energetica e,
quando si affievolì, mostrò a tutti che indossava
l’armatura completa di suo
padre.
La
terra tremava ancora un po’, la campana di Ogmios era caduta
e lui era rimaneva
immobile, incredulo, a fissare suo figlio. Entrambi a terra, senza
più volare,
rimasero fermi in silenzio mentre la polvere sollevata si diradava. Gli
altri
pilastri si erano concentrati per difendere tutti i presenti da
quell’onda
magica. Reahu si era alzato in volo, creando un’onda
contraria. Ihanez,
evocando una barriera di molti colori, aveva protetto chi aveva
accanto.
L’unione di Nirrita e Nirriti si era riparato dietro il
roteare della falce. Ma
quell’energia era molta e furono costretti a mandare tutti a
terra, per poterli
salvare. Ora solo Rashnu e Ogmios erano in piedi e si fissavano. La
luce del
figlio era accecante e la forza che emanava superava di parecchio
quella del
padre. Ogmios, incredulo, non trovava le parole. La sua armatura era
interamente
sul suo erede.
“Largo
alla nuova generazione” si limitò a dire Rashnu,
allungando le dita verso il
genitore.
Questi
nemmeno se ne accorse. Era debole, tutto ad un tratto. Cadde in avanti,
avvolto
dalla notte che ormai era calata. La corona, l’oggetto in oro
che lo
distingueva da ogni suo sottoposto, scivolò via dalla sua
capigliatura bianca e
rimbalzò più volte. Reahu, alzandosi, la raccolse
e la porse a Rashnu, con un
inchino. Questi scosse il capo, rifiutandola. Il signore del cielo non
capì e
lo fissò, mentre si riprendevano i monoclasse ed i colleghi
presenti.
“Non
ci saranno re nel mio mondo” spiegò Rashnu
“Non sarò il vostro capo. Saremo
principi. Insieme, alla pari, saremo i principi di questo
universo”.
Era
sfinito il figlio di Ogmios, così come erano stanchi tutti
gli altri. Nirriti e
Nirrita si divisero, ora che la battaglia pareva finita. Ihanez si
assicurò che
entrambi i suoi fratelli stessero bene. Clio corse ad abbracciare Reahu
e
Rashnu. Guardandosi attorno, però, si accorsero che i
monoclasse si fissavano
con odio, forse pronti ad affrontarsi di nuovo.
“Ma
che combinate?!” sbraitò Gudis, salendo su delle
macerie in pietra “Non posso
crederci! Nonostante tutto quello che avete visto e sentito, ancora
volete
combattervi?! Ma non vi è chiaro che la classe migliore non
risiede fra
stregoni, scienziati e guerrieri, ma fra coloro che ci hanno appena
salvati?
Questa guerra è nata per stabilire chi fra di noi fosse il
più potente ed il
più amato da Ogmios. Non trovate che sia assurdo adesso
combattere per
questo?”.
Nessuno
aveva il coraggio di ribattere a quelle parole.
“Parole
sagge le tue, Gudis” concordò Rashnu.
“Ma
come possiamo convivere?” protestò uno stregone.
“Lo
avete sempre fatto, che mi risulti, fino a duecento anni fa”
continuò il figlio
di Ogmios “Potete benissimo tornare a vivere come
all’ora. Siete stati creati
per completarvi a vicenda. Insieme, potete vivere in un mondo
splendido. Se
ogni classe usasse il massimo delle proprie capacità per il
bene comune e non
per ottenere la supremazia, allora sareste tutti più felici.
Non volete un
futuro di pace, per i vostri figli? È insensato combattere
per stabilire chi è
più forte, perché nessuna delle classi
è nata per prevalere sull’altra.
Perciò,
per favore, smettetela. Noi giuriamo di dare il meglio di noi, come
signori del
mondo, e vorrei davvero tanto che anche voi classi faceste lo
stesso”.
“Voi
avete sconfitto il nostro capo” si fece avanti uno stregone
anziano,
rivolgendosi ad Ihanez, che trattenne il fiato ripensandoci
“Perciò di fatto siete
voi ora che ci guidate. Che pensate di fare?”.
“Io
non posso essere il vostro capo” rispose il signore della
vita “Il mio ruolo
non è quello. Ma se posso io comandarvi di non fare
più la guerra, allora è ciò
che farò”.
Il
capo dei guerrieri, guida dei soldati entrati in quella torre, fece un
passo
verso lo stregone anziano, allungando la mano. Lo strano sguardo che si
scambiarono, lasciò perplesso Rashnu che intervenne. Prese
le mani di entrambi
e le fece congiungere. Un lampo di luce le circondò, per
qualche secondo, ed i
sue rappresentanti di classe si sorrisero. Ora mancava solamente il
consenso
del capo degli scienziati per avere la pace. Rashnu respirò
lentamente e,
socchiudendo gli occhi, si rilassò. Sarebbe intervenuto
personalmente, nel caso
ci fossero stati intoppi nelle trattative.
“Signore”
lo chiamò Petbe.
Rashnu
quasi si stupì nel vederlo lì.
“Signore,
ho un favore da chiedere, se è possibile”.
“Chiedi,
Petbe”.
“Io
non voglio più essere il signore della vendetta. Voglio
rinunciare al mio potere”.
“Rinunciarvi?
O preferiresti modificarlo?”.
“Lo
posso fare?”.
“Questo
mondo ha bisogno di speranza, Petbe. Vuoi tu essere il signore della
speranza?”.
Il
ragazzo non rispose subito, non aspettandosi una proposta simile. Poi
chinò il
capo, sorridendo, mentre la sua luce mutava per divenire da grigia a
verde.
“Andiamo”
riprese Rashnu “C’è ancora una faccenda
da sbrigare”.
Tutt’attorno
a lui ed ai suoi colleghi, le anime di coloro che erano caduti. Quella
di suo
padre tentava disperatamente di rimpossessarsi del suo corpo. Rashnu
chiamò i
suoi lupi.
“Non
lasciate traccia di lui” ordinò, sapendo che non
c’erano molti altri sistemi
per impedire alla volontà di Ogmios di tornare.
Lasciò
le creature al loro pasto, e richiamò con un gesto tutte le
anime a sé. Quella
di suo padre era enorme, argentea, e si dimenava infastidita. Ma Rashnu
la
tenne stretta. Insieme, circondati dai lupi, il gruppetto di abitanti
della
casa si diresse verso il regno dei morti. In silenzio, ognuno guardando
chi
aveva perso nello scontro, camminarono fino al ponte Cintvat. Tarhunt
lanciò
un’ultima occhiata al fratello, prima di attraversarlo,
assieme alle altre
anime. L’ultima fu quella di Ogmios, alla quale fu riservata
una zona apposita
degli inferi, per evitare problemi. Ihanez ed il padre si sorrisero ed il nuovo
signore della vita ebbe
un’idea. Si voltò verso Reahu per qualche secondo,
dirigendo anche verso di lui
un sorriso, e si diresse convinto verso il regno dei morti.
“Che
fai?” domandò Veda.
“Torno
subito” fu la risposta.
Reahu
e Rashnu si fissarono. Erano più avanti rispetto al resto
del gruppo. Nirriti e
Nirrita si erano congedati e stavano rientrando a casa. Clio, Veda e
Petbe
stavano più indietro, in silenzio. Ihanez riapparve dalle
tenebre con una forte
luce fra le mani. Era una sfera, che lentamente prendeva forma e si
affievoliva, man mano che il signore della vita avanzava.
“Reahu”
chiamò “Più volte mi sono chiesto come
ringraziarti di tutto ciò che hai fatto
per me in questi anni, come mio maestro, ed ora l’ho capito.
Vieni”.
Clio
sobbalzò. Che Ihanez avesse… Chinò il
capo. Era felice per Reahu, anche se
questo significava perderlo. Il signore della vita attese che il
signore del
cielo lo raggiungesse, sul confine fra i due mondi, per scostare la
mano e
svelare due enormi occhioni chiari. Reahu ricambiò lo
sguardo, perplesso, senza
capire del tutto. Quella piccola creaturina chi era? Con un ciuffo blu
che
ricadeva su quel nasino da neonato, incrociò gli occhi del
signore del cielo.
“È
una bambina” spiegò Ihanez “È
tua”.
“Mia?”.
“La
nuova vita che tu ed Alinn aspettavate. Non avendo mai avuto un corpo
nel mondo
dei vivi, ho potuto crearglielo io”.
Reahu
rimase momentaneamente senza fiato e poi sorrise. L’allievo
praticamente
obbligò il maestro a prendere in braccio la neonata. Nessuno
alle loro spalle
aveva capito quel che era successo. Il signore del cielo, avvolgendo la
piccola
nei veli dell’armatura e sempre stringendola a sé,
si girò e camminò verso i
colleghi. Passò oltre a Rashnu, che sorrise, intuendo
l’accaduto, e proseguì
verso Petbe, Veda e Clio. Si inginocchiò davanti a
quest’ultima, che sobbalzò
ed arrossì.
“Un
bambino?” mormorò, vedendo ciò che
Reahu stringeva fra le braccia.
“Bambina.
La mia. Ti piace?” sorrise lui.
“È
magnifica”.
“Ma
ha bisogno di una madre”.
“Già”.
“Clio,
mi faresti l’enorme onore di prenderti cura di noi due?
Abbiamo entrambi
bisogno di te, e sono certo che lei ti amerà tanto quanto io
ora amo te”.
Clio
rimase immobile, portandosi le mani alla bocca per lo stupore. Poi si
inginocchiò ed abbracciò il signore del cielo,
ripetendo “Sì” per almeno una
decina di volte.
“Grazie”
mormorò Reahu, sentendo il viso rigarsi di lacrime per la
prima volta dopo
quasi duecento anni, ripensando a tutto ciò che aveva perso
ed ottenuto.
Rashnu
guardò Ihanez, limitandosi a dargli un colpetto sulla
spalla. Era strana quella
notte. Non si sapeva se gioire o piangere, soffrire o ridere. Ognuno di
loro
aveva perso qualcuno, ognuno di loro aveva un motivo per star male. Ma
avevano
anche posto fine ad una guerra. Si guardarono fra loro. Non sapevano
bene come
reagire, ma sapevano dove guardare: alle loro spalle, il Sole del nuovo
mondo
stava sorgendo.