Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Lily_and_the_Marauders    22/04/2015    1 recensioni
Larry
I piani creativi di Taylor e il supporto di Ed aiuteranno Harry ad organizzare una piccola fuga da LA in occasione della partita di beneficenza di Louis. Cosa comprende il piano? Un lungo viaggio, una spiccata abilità nel convincere le persone e, ovviamente, il giusto costume per passare inosservati.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Desclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo
 
Note dell’autrice: Ehilà, ne è passato di tempo dall’ultima volta che ho pubblicato qualcosa!
Premetto che questa OS è nata dai vari scleri che ci sono stati su Tumblr (chi segue molti blog Larry saprà a cosa mi riferisco). L’idea della mascotte mi era sembrata tanto carina e, siamo seri, è qualcosa che Harry farebbe, lol.
Avverto che c’è un altissimo contenuto di  Taylor Swift (con il tenero supporto di Ed Sheeran);  so che molti di voi hanno un’opinione critica su di lei ma, pls, datele una possibilità :) 
L’ultima cosa che volevo aggiungere è che, a differenza delle mie solite OS, in questa c’è leggermente più angst ma nulla di troppo preoccupante.
Spero che l’idea vi piaccia quanto è piaciuta a me, comunque. Buona lettura e buona fine della scuola!

 
 
 



 
 
HOW YOU GET THE BOY.
 
 
 
 
 Il sole di fine Aprile a Los Angeles scottava sulle spalle dei turisti e dei cittadini mentre si affrettavano ad attraversare la strada per raggiungere il lavoro o la scuola o casa di un amico.
Era proprio quello che stava facendo anche Harry.
Stare a Los Angeles era iniziata come una costrizione, un modo per allontanarlo da casa e dai suoi amici. Un modo per allontanarlo da Louis.
Cosa c’è di meglio che trasferirsi dall’altra parte del mondo per evitare una persona? I suoi superiori non si erano fatti molti problemi nel prenderlo e portarlo in America.
Con il tempo, però, Los Angeles era diventata accogliente, quasi una sorta di rifugio dalle pressioni costanti che un lavoro come il suo gli portava. Si era fatto degli amici, delle persone pronte a supportarlo, e aveva fatto in modo che dalla costrizione si passasse al piacere di trovarsi lì, anche se per pochi giorni.
In quel momento, mentre passeggiava apparentemente indisturbato per la strada, sentiva il calore del sole passargli attraverso il cappello a falda larga e scaldargli la nuca e il collo.
Lungo la spiaggia, l’umidità portata dalla prossimità del mare gli appiccicava la camicia alla pelle. Ormai ci aveva fatto l’abitudine e doveva ammettere che era una sensazione piuttosto piacevole.
La direzione che le sue gambe avevano preso, quasi come se non fossero state comandate dal cervello, lo stava portando in uno dei locali che frequentava spesso. A quell’ora del giorno non era mai particolarmente affollato e il lato positivo era che fosse off-limits per i paparazzi.
Era un posto piccolo, completamente costruito in legno, che si affacciava sul Pacifico.
Appena aprì la porticina, l’aria condizionata lo investì facendolo rabbrividire un po’. Salutò Jonathan, il proprietario, e si incamminò verso il suo posto preferito del locale: un divanetto davanti alla finestra.
Seduta lì, sempre in anticipo, c’era la persona a cui aveva dato appuntamento. Harry le sorrise e si avvicinò.
« Non ti fai sentire da settimane! » lo rimproverò l’altra persona, dandogli un colpetto sul braccio.
Harry mise il broncio. « Heeeey » trascinò la parola, giocoso. « Lo sai che siamo stati in Tour! » si giustificò.
Lei rise e lo abbracciò. Harry ricambiò l’abbraccio, poi si sedettero.
« Allora, come mai sei qui? Non dovresti essere a casa? »
Il sorriso che fino a poco prima aveva illuminato gli occhi verdi di Harry, ora era sparito. Guardò Taylor e scrollò le spalle. « Louis ha una partita, domani. Quindi starò qui per un po’. »
La ragazza annuì, portandosi nervosamente una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
La loro amicizia era qualcosa che Harry non sapeva come definire; tutto il teatrino a cui i loro managers li avevano costretti a partecipare, anni prima, era stato devastante per entrambi.
In ogni caso, lo stretto legame venutosi a creare in quelle settimane che avevano passato fianco a fianco era sopravvissuto contro ogni aspettativa e Harry poteva dichiararsi fortunato perché sapeva che c’era almeno una persona su cui poteva fare affidamento in quel continente.
« Mi dispiace per la cosa di Zayn » disse lei, poi, cercando di cambiare discorso.
« E’ tutto okay, del resto non era nulla che non sapevamo. Era stato programmato già da un po’ » Harry le rispose, con una nota amara nella voce. « Siamo rimasti in contatto, comunque » cercò di sorridere.
Taylor gli posò una mano sul braccio per confortarlo. « Il vostro Management è una vera merda, Harry, non so seriamente come fate a vivere così. »
Questa volta Harry rise. « Ci si fa l’abitudine. » Dopo una pausa, domandò: « Tua madre come sta? »
« Cerca di tirare avanti, non vuole farci pesare la cosa. »
« Uno di questi giorni andrò a trovarla, per te va bene? »
Taylor sorrise. « Certo. »
Ancora un pausa interrotta questa volta da una risatina. « Siamo persone così tristi, Harry. »
Lui rise a sua volta. « Già, siamo deprimenti. »
E dopo quel momento di confessioni a cuore aperto sugli ultimi avvenimenti nella loro vita, la conversazione tra i due si fece più leggera. Parlarono di musica, soprattutto, e di gatti e di Ed Sheeran. Cose belle.
« A proposito » fece Taylor. « Io e Ed ci vediamo a casa mia, più tardi, ti va di venire? Potrai ubriacarti, se vuoi » gli propose con un sorrisino.
Harry sbuffò, divertito. « Va bene »
 
Quando più tardi arrivò, erano le cinque e mezza e il sole ancora scottava.
Il tragitto in macchina fino alla casa di Taylor non fu molto lungo, a parte per la mezz’ora passata nel traffico di Beverly Hills.
Ad accoglierlo alla porta fu una delle sue persone preferite.
« Buona sera » lo salutò Ed con un pessimo accento italiano, sorridendo. Harry alzò gli occhi al cielo e lo abbracciò, si rese conto in quel momento che non si vedevano da svariati mesi.
« Un uccellino mi ha detto che sei piuttosto giù così mi sono fatto dare una doppia dose di birra » continuò il ragazzo facendo entrare Harry in casa. « Non so se mi va di bere » rispose.
« Ah, questa è seria! Quand’è l’ultima volta che ci siamo visti e non siamo finiti a vomitare in bagno a casa tua? » ridacchiò Ed.
« Quando eravamo ancora persone con una dignità » commentò Harry, ironico.
« Sì, beh , parla per te » ribattè allora l’altro.
Le loro conversazioni erano come quelle di due adolescenti  ma Harry le amava per questo; essere sempre seri e posati era difficile, con Ed poteva comportarsi da idiota.
Comunque, dopo un paio di corridoi raggiunsero il salone principale. La casa di Taylor era grande ma, in qualche modo, restava un posto accogliente e luminoso.
« Tay aveva un appuntamento di lavoro, dovrebbe tornare a minuti. »
Harry annuì e si sedette sul divano, Ed lo seguì.  Un gattino bianco fece capolino da sotto una delle coperte di pile, forse risvegliato dal rumore. Harry la riconobbe subito, si chiamava Olivia ed era una delle due bestioline di Taylor. Il ragazzo allungò una mano per grattarle le orecchie e quella subito fece le fusa, appollaiandosi poi sulle sue ginocchia.
Il respiro regolare del gattino ebbe una sorta di potere calmante su Harry.
« Allora, che si dice dalle tue parti? » gli chiese Ed che intanto aveva già fatto schioccare l’apertura della prima lattina di birra.
« Non hai già letto abbastanza articoli? » gli domandò di rimando Harry, retoricamente
« Non so a cosa credere, sinceramente. »
Harry scrollò le spalle. « La partenza di Zayn era premeditata, lo sai, solo che sarebbe dovuta avvenire alla fine di questo Tour. Quando ci ha detto che avrebbe lasciato la band, ci ha colti alla sprovvista, non sapevamo cosa fare. E’ partito per Londra senza permesso, per quella storia di Perrie – »
« Quindi è vero? »
Harry scosse la testa. « Io non lo so, non credo, non abbiamo avuto il tempo di parlarne e lo sai che è molto riservato quando si tratta della sua vita privata. Di solito ne parla con soprattutto con Louis ma quei due hanno una specie di patto d’amicizia o che so io quindi ho preferito non immischiarmi… So solamente che ci ha lasciati con l’acqua alla gola ed è stato un dono dal cielo essere riusciti a finire questa parte del Tour. Comunque, ha preso le sue decisioni e le rispettiamo, sapevamo che non si trovava più bene in questo ambiente e lo capisco perfettamente. »
Ed annuì, sapeva tutto di lui e Louis, ovviamente. All’inizio, quando il Management aveva imposto le proprie regole e Harry aveva passato dei mesi terribili, Ed era stato l’unico con cui si era sentito di parlarne, all’inizio. Neanche sua madre e Gemma avrebbero potuto capire a fondo la questione. Anzi, probabilmente se si fosse sfogato davanti a loro come aveva fatto davanti all’amico, probabilmente gli avrebbero proibito di rimanere all’interno di quell’accordo un minuto di più. Quindi si era limitato a rassicurarle che tutto sarebbe andato meglio, che lui e Louis sarebbero tornati alla normalità. Intanto erano passati quasi tre anni e Harry si trovava ancora ad un oceano di distanza dalla persona a cui aveva deciso di donare il suo cuore tempo prima che tutto si facesse così complicato e ingiusto.
Ne avevano passate così tante negli ultimi anni che il fatto di non poter partecipare alla partita di beneficenza che si sarebbe svolta l’indomani, a confronto, era un nonnulla. Eppure, Harry si ritrovò con gli occhi che bruciavano proprio lì, su quel divano a Beverly Hills. La verità è che quando lo stress si accumula, anche la cosa più idiota può farti scoppiare.
Ed, accanto a lui, non disse nulla. Ma non c’era molto da dire, in quei momenti; era successo così tante volte prima d’allora che quelle due parole usate prima come consolazione, ora non avevano nessun effetto.
Solo il tonfo di una borsa lasciata scivolare a terra fece rialzare lo sguardo a Harry che, velocemente, si passò una mano sugli occhi.
Taylor, sulla porta, lo stava guardando preoccupata.
Harry abbozzò un sorrisino e lei gli si avvicinò cautamente, spostò Olivia dalle sue gambe al divano e lo abbracciò con fare materno. « Okay, can I just say something crazy? » gli disse all’orecchio con una punta di divertimento nella voce.
Harry emise un risolino perché, ovvio, Frozen.
« I love crazy! » continuò Ed. Harry pregò che non si mettessero a cantare l’intero duetto perché, altrimenti, sarebbero potuti finire a mettere in scena l’intero film.
« No, seriamente » fece poi lei, rompendo l’abbraccio. « Ho in mente un piano. »
Ecco, quello fu l’inizio della fine.
 
Quattro ore, cinque pizze e sette lattine di birre dopo, tre adulti seri e rispettabili avevano tirato fuori un piano degno di un bambino di cinque anni.
« Quindi, ricapitolando, ti facciamo partire da qui senza che nessuno lo venga a sapere e sarai lì giusto qualche ora prima per prepararti. Ho già chiamato gli organizzatori e ti faranno avere il costume senza problemi. Ho anche chiesto di non divulgare la cosa a nessun membro del team e, per chiesto, intendo dire pagato profumatamente. »
Ed rise mentre Harry aveva le mani tra i capelli. « Questa è la cosa più assurda che io abbia mai sentito, neanche Niall sarebbe capace di inventarsi qualcosa di simile.»
«And that’s how it works, it’s how you get the boy, boy » continuò lei, canticchiando la strofa di una canzone cambiando di proposito il pronome.
Harry la fulminò con lo sguardo. «  Io non… non so se potrò farlo. »
Taylor scosse la testa in modo risoluto. « Lo farai e basta, nessuno saprà che sei lì. Ti vedranno tutti ma nessuno ti vedrà. La seconda parte del piano, ovviamente, prevede l’effetto sorpresa. »
« Potresti scrivere un libro, seriamente » commentò Ed, sempre ridendo.
Taylor si portò i capelli dietro le orecchi e sorrise compiaciuta. Il suo piano non aveva nessuna falla, era la migliore amica di sempre, avrebbero dovuto premiarla per questo.
Qualche ora più tardi, quando si salutarono, Taylor promise a Harry che tutto, eventualmente, sarebbe ritornato alla normalità e Harry decise di crederle.
 
Il giorno seguente Ed lo accompagnò a LAX. Taylor aveva fatto davvero bene il suo lavoro perché lo staff dell’aeroporto li fece passare dove nessuno avrebbe potuto vederli neanche da lontano.
I due amici si separarono lì, al Gate.
Dopo quasi tredici ore di aereo e altre cinque spese in auto per arrivare a Doncaster, la prima cosa che accolse Harry fu il costume da Mascotte dei Rovers che avrebbe dovuto indossare.
Taylor glielo avrebbe fatto ricordare fino alla morte, ci scommetteva tutto. Ma Harry lo stava facendo per Louis, perciò andava bene.
Prima di scendere in campo, gli venne data qualche dritta su come comportarsi. Quello fu il problema minore, a dire il vero.
La cosa che quasi lo fece scoprire fu il fatto che Louis gli passò accanto dandogli un pacca sulla spalla e Harry ebbe quasi la tentazione di afferrarlo per un braccio e portarlo via da lì, in un posto molto appartato.
Quei pantaloncini bianchi erano un’opera del signore, dannazione.
Fortunatamente, la ragione ebbe la meglio sull’istinto e Harry passò i seguenti novanta minuti saltellando a bordo campo. Ogni tanto faceva qualche mossa di cheerleading, altre volte esultava soltanto voltandosi verso la folla urlante sugli spalti.
Si godette ogni azione di Louis, ogni movimento. Non lo perse di vista nemmeno un secondo, un senso di puro orgoglio gli faceva svolazzare le famose farfalle nello stomaco. Quanto avrebbe voluto che quello stupido costume non ci fosse, sarebbe stato tutto così semplice. Ma doveva accontentarsi di quell’alternativa, per il momento.
Quando l’arbitro annunciò la fine della partita con un doppio fischio, Harry tirò un sospiro di sollievo. Quel costume iniziava a pizzicare. Giusto il tempo di fare una foto con qualche bambino tifoso della squadra e andò di corsa nella stanza dove si trovava prima della gara. Si sciacquò via velocemente il velo di sudore provocato dal calore all’interno del costume e si premurò di scrivere un biglietto di ringraziamento allo staff che era stato molto gentile ad aiutarlo. Anche se credeva che Taylor avesse già provveduto anche a quello.
Aspettò, poi, che lo stadio si svuotasse e che tutti i giocatori si cambiassero e si salutassero.
C’erano le fan, c’era la stampa e Harry sapeva che in quel momento Louis era circondato da centinaia di persone che volevano fargli domande o semplicemente complimentarsi con lui. Quindi attese, paziente.
Dalla finestrella posta nella tromba delle scale, spiò il campo da calcio. Erano ormai passati quaranta minuti e aveva l’impressione che nei paraggi fossero rimasti solo i familiari di Louis e il ragazzo stesso.
Piano, cercando di non farsi vedere, iniziò a farsi strada alla ricerca degli spogliatoi.
« Harry? »
Il ragazzo saltò per lo spavento, il cuore che gli batteva a mille. Taylor aveva promesso di ucciderlo se si fosse fatto beccare.
Ma la voce non apparteneva a nessuno del suo Team, era invece di Fizzy, una delle sorelle di Louis.
Si girò, quindi, e le sorrise con aria colpevole.
La ragazza non perse neanche un secondo e corse ad abbracciarlo.
« Da dove spunti fuori? » gli chiese mentre lui ricambiava affettuosamente la stretta.
« Se te lo dicessi probabilmente mi prenderesti per pazzo. »
Fizzy rise. « Preferisco non sapere, allora. Ma Louis sa che sei qui? »
« Ovvio che no, perché credi che mi stessi aggirando furtivamente all’interno del corridoio di uno stadio? »
« Beh, fattelo dire, le tue tecniche per passare inosservato non sono le migliori, Harry. »
Il ragazzo le scompigliò i capelli, ridendo. « Dov’è il resto della tua famiglia? »
« Sono già andati verso la macchina, io mi sono fermata per aiutare Lou a sistemare i palloni. Ora è andato a cambiarsi, puoi raggiungerlo se vuoi, Alberto non è nei paraggi. »
Harry le regalò un sorriso affettuoso. « Sei la miglior complice di sempre, Fiz » le disse, abbracciandola di nuovo.
« Mi eri mancato. Veramente manchi a tutti. Quando potrai tornare a trovarci? »
Lo stomaco di Harry si capovolse. « Spero presto. »
« Vedrai che andrà bene » lo rassicurò lei. « Ora devo andare, ci vediamo, okay? Se la mamma fosse qui ora mi direbbe di dirti che puoi venire a casa nostra quando ti pare, anche senza preavviso. »
« Grazie, tesoro » Harry le sorrise un’ultima volta e poi lei corse via.
Il ragazzo si incamminò allora lungo il corridoio, ora più tranquillo.
Avvicinandosi alle porte dello spogliatoio, Harry udì un fischiettio allegro e si ritrovò a sorridere.
Louis era di spalle e si stava cambiando quindi non notò subito la presenza dell’altro, cosa che permise ad Harry di fissare indisturbato la sua schiena nuda e i muscoli delle spalle che si contraevano mentre le mani armeggiavano con la maglia. Decise di rompere il silenzio, quindi tossicchiò.
Louis, come Harry poco prima, fece un balzo e si girò colto alla sprovvista. « Harry? » disse con lo stesso tono sorpreso della sorella. « Che ci fai qui? »
Harry sorrise. « Sorpresa! » esclamò avvicinandosi a lui. « Mi mancavi e non volevo perdermi anche questa partita, così ho organizzato una piccola fuga » spiegò senza mai perdere il sorriso.
Louis stava continuando a guardarlo esterrefatto ma, poco a poco, la sua espressione si addolcì. « Sanno che sei qui? »
« No, Taylor e Ed mi hanno dato una mano a scappare. » Raccontato così sembrava un chissà quale atto eroico degno delle più belle fiabe.
Louis ridacchiò.
« Ah, e Fizzy mi ha beccato mentre cercavo di sgattaiolare qui sotto ma tranquillo, è una complice affidabile. »
Louis scosse la testa. « Sei matto » disse affettuosamente e chiuse la distanza tra loro attirandolo in un abbraccio che fece girare un po’ la testa a Harry.
Era incredibile la quantità di sensazioni che, dopo così tanto tempo, Louis gli faceva ancora  provare solo con un abbraccio.
« Mi sei mancato anche te, comunque » mormorò Louis mentre affondava il viso nel collo di Harry; i capelli gli solleticarono il naso. « Da dove hai visto la partita? » gli domandò.
Harry sciolse l’abbraccio solo per guardarlo negli occhi. « Da bordo campo » rispose, serio.
Louis rimase un po’ interdetto e Harry poté giurare di vedere il punto di domanda nelle sue pupille che lentamente si trasformava in un punto esclamativo. « Non mi dire. »
Harry annuì mordicchiandosi un labbro per evitare di scoppiare a ridere. « Se dovessi mai fallire in campo musicale, potrei darmi al cheerleading. »
Louis nascose il viso nei palmi delle mani. « Oh, Harold. Riconfermo quello che ho detto prima, sei davvero fuori di testa. »
« L’ho fatto solo perché ti amo, Lou » gli disse Harry con la sincerità di un bambino.
Louis alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri stavano brillando. « Ti amo anche io » rispose, solamente. Non c’era bisogno di altro, il bacio che seguì fu abbastanza ricco di significato.
Harry si sentiva come se avesse potuto spiccare il volo da un momento all’altro.  L’ultima volta che si erano scambiati un vero bacio era stata la settimana prima, nell’unico minuto di relax dal lavoro.
Quando si separarono, entrambi erano a corto di fiato. Fronte a fronte, con i nasi che quasi si toccavano, Harry e Louis rimasero a guardarsi negli occhi per un tempo indefinito. Avevano passato anche mesi lontani l’uno dall’altro ma, in quell’ultimo periodo ricco di avvenimenti tutt’altro che piacevoli, stare insieme e supportarsi era per loro diventato necessario. Ma era proprio nel momento del bisogno che venivano brutalmente allontanati e allora Harry si rese conto che il lungo viaggio, il costume sudaticcio e l’attesa erano valsi la pena perché stare lì, con Louis, poterlo abbracciare e sentire il tocco rassicurante delle sue mani era tutto quello che ancora gli dava la forza di andare avanti. Se non fosse stato per il costante sostegno di Louis, Harry avrebbe mandato tutto all’aria anni prima. Era solo un ragazzino quando il suo Team lo aveva coinvolto nei suoi giochi sporchi. Solo un ragazzino di diciassette anni.
Strinse a sé Louis con più forza, allora. Se fosse dipeso da lui, non l’avrebbe mai più lasciato.
Louis gli stava accarezzando la schiena capendo probabilmente il vortice di pensieri che affollava la testa di Harry in quel preciso istante. « Abbiamo un paio d’ore, ancora, lo sai? Possiamo provare a tornare nel vecchio appartamento, ti suona bene l’idea? » gli stava sussurrando Louis all’orecchio.
Harry annuì. Louis continuò: « Possiamo farci portare qualcosa da mangiare da Fizzy e passare un po’ di tempo da soli, senza che i problemi esterni ci tocchino, mh? »
« Grazie » mormorò Harry, schiarendosi un poco la gola e respingendo indietro le lacrime.
Louis gli stampò un bacio leggero a fior di labbra e con un pollice asciugò due lacrime che erano riuscite a scendere malgrado gli sforzi.
« Oh, love » sospirò. « Sorridi, è tutto okay. Siamo qui, adesso. »
Harry annuì di nuovo, prese un respiro profondo e tentò un sorriso. Louis lo guardò con infinita tenerezza. Si cullarono l’uno nell’abbraccio dell’altro ancora per qualche secondo, poi Louis decise che era ora di andare via da lì.
« Forza » disse, si avvicinò per un ultimo bacio e questa volta il contatto fu più lungo di quello precedente e non bisognoso come il primo ma lento, dolce.
Harry intrecciò le sue dita alle dita di Louis mentre quest’ultimo spegneva l’interruttore della luce lasciando la stanza completamente al buio una volta che la porta si chiuse alle loro spalle.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Lily_and_the_Marauders