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Autore: Vale11    22/04/2015    1 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Di nuovo, ringraziate Kikigurr, la mia fornitrice personale di idee e prompt! 

E’ così raro sentire Girolamo anche solo alzare la voce che, quando rientra in casa con un paio di lettere enunciando ogni singolo insulto che gli viene in mente, Leonardo non può evitare di chiedersi cosa sia successo. Magari ha tamponato, gli è successo il mese scorso perché si era distratto mentre guidava. Niente di grave, ma non piace a nessuno dover ripagare il paraurti di qualcun altro.
Girolamo è in piedi nell’ingresso, le buste in una mano e l’altra alla ricerca spasmodica di qualcosa nelle tasche della giacca, trova il telefono, lo fissa, guarda una delle lettere, sbuffa, rimette il telefono in tasca e si dirige in camera a grandi passi con una faccia che non promette niente di buono. A Leonardo sembra di aver appena assistito a una scena di quelle telenovelas terrificanti che guarda Vanessa, ogni tanto. Di sicuro non ci ha capito niente. Si asciuga le mani sull’asciughino che ha appoggiato allo schienale della sedia, controlla che la cena non bruci e segue la scia di parolacce fino alla loro stanza. Vede Girolamo buttare le lettere sul letto, pescare di nuovo il telefono dalla tasca, fissarlo e buttare sul letto pore quello. Non l’ha nemmeno salutato, ancora. E’ quasi offeso.
“A-ehm”
Si schiarisce la gola, appoggiato allo stipite della porta. Non pretende che il suo ragazzo gli salti addosso appena lo vede, ma un ciao sarebbe carino. Magari anche solo con la mano. Girolamo lo guarda.
“Oh, Leo - gli dice, sedendosi sul letto con una busta stretta fra le dita - scusami, ero distratto”
Leonardo ride, poi si avvicina e si siede accanto a lui.
“L’avevo notato. Che c’è, splendore?”
Sta usando quel soprannome sempre più spesso. A lui piace e a Girolamo sta bene. Che il diretto interessato non ami molto i soprannomi non è una cosa che lo preoccupa, al momento. E poi, Dio santo, Giro suona così male.
Girolamo temporeggia, si guarda le mani, apre e chiude la busta e alla fine la passa a Leonardo, strofinandosi la faccia con le mani. A Leo sembra un grosso gatto intento a ripulirsi, ma si tiene il pensiero per sé. 
La busta è spessa, di carta pregiata, e il cartoncino che contiene è color panna con uno stemma di famiglia in filigrana dorata proprio al centro, in alto. E’ roba grossa, roba importante. Si chiede di chi sia quello stemma, quando capisce che è un invito al settantesimo compleanno di suo zio Francesco.
“Hai uno stemma di famiglia e non me l’hai mai detto?”
Girolamo lo guarda come se fosse stupido, e in effetti è così che si sente.
“E’ la prima cosa che ti viene in mente?”
Si, vorrebbe dirgli. E’ stata la prima cosa, in effetti. Si stringe nelle spalle mentre Girolamo esala un sospiro disperato.
“Non ho uno stemma di famiglia, Leo - gli spiega - sono un bastardo non riconosciuto. Finisci di leggere, per cortesia”.
Leo tira fuori del tutto il cartoncino e lo studia, sul retro c’è un messaggio di Lucrezia scritto con una stilografica.
Stai tranquillo, non succederà niente. Anche Leo è invitato.
“Che significa?”
Girolamo si morde le labbra, poi batte le mani con una smorfia e si passa i palmi sui pantaloni.
“Ci sarà anche Sisto”
“Stai scherzando?”
Lascia cadere il cartoncino sul copriletto come se bruciasse, si volta verso Girolamo e lo guarda con le sopracciglia all’attaccatura dei capelli. Girolamo si volta verso di lui scuotendo la testa.
“No”
“Pensi di andarci?”
Vede Girolamo stringersi nelle spalle. Vorrebbe urlargli di non azzardarsi a mettere piede in un posto, un posto qualsiasi, dove ci sia anche quel bastardo di suo padre, ma lo rispetta troppo per dirgli una cosa del genere. Non ha diritto di mettere dei veti, anche se servisse a risparmiargli uno shock, una serata terrificante e un gran mal di testa. Aspetta che apra bocca, terrorizzato.
“Vorrei, si”


Leonardo lo guarda come se gli avesse appena confidato il desiderio di fare bungee-jumping senza elastico, e in effetti la sensazione che si sente nello stomaco è quella.
“Sei sicuro? Con quel tizio in circolazione li, nella stessa stanza?”
Si stringe nelle spalle.
“Leo, questa è la prima volta in quasi dieci anni che la mia famiglia mi cerca - gli dice, raccogliendo il cartoncino e mostrandoglielo - non voglio bruciare subito ogni possibilità con loro. Certo - continua piegando un angolo dell’invito e raddrizzandolo subito dopo - non voglio vedere mio padre. Non voglio nemmeno sentirne l’odore da lontano, in realtà. Ma non lo vedo da anni, e magari ci lasceremo perdere a vicenda, e ci sarai tu, e ci sarà Lucrezia…ci sarai tu, vero?”


Girolamo lo guarda quasi pregandolo, letteralmente. Non può dire di no a quegli occhi, quando si spalancano così. Annuisce. Il suo ragazzo esala un sospiro sollevato.


Leonardo lo accompagnerà. Si sente già meglio. E la possibilità di far arrabbiare ancora di più Sisto gli sorride.
“Il fatto è che voglio andare, ma non voglio andare - guarda Leonardo con un sopracciglio sollevato - che ne pensi, sto diventando bipolare?”
Leo gli sorride, gli chiede se può abbracciarlo e lo avvicina a sé, stampandogli un bacio fra i capelli. Dopo qualche secondo gli passa una mano sulla schiena e si alza, dirigendosi di nuovo in cucina.
“Oh, Leo?”
La voce del suo ragazzo gli arriva dal corridoio.
“Si?”
“Il compleanno è a Roma”
Sente Leonardo tornare indietro correndo, un sorriso spaccafaccia e un grembiule in una mano.
“Mi porti a Roma?”
Annuisce.
“Sul serio?”
“Giuro”
Leo torna serio.
“Te la senti davvero?”
No, non lo sa se se la sente davvero, ma ormai ha deciso. Si stringe nelle spalle.
“Mi porti in giro, si? Ci fermiamo un fine settimana”
“Certo, come vuoi - gli risponde iniziando a vedere i risvolti positivi della cosa - ti farò da Cicerone e ti porterò in giro quanto ti pare”
“Ah, è da una vita che voglio andare a Roma con te!”
Leo gli corre incontro, lo bacia sulle labbra e torna in cucina di corsa.


E’ sicuro di aver messo tutto in valigia, ma sa benissimo che si accorgerà di aver lasciato indietro qualcosa solo quando sarà in albergo. Non sa bene come vestirsi, per una cosa del genere, quindi si è fatto accompagnare da Girolamo a comprare un abito scuro e una cravatta nuova. Si sente un cretino, vestito così, ma sa che se andasse a quella festa vestito come va in giro di solito si sentirebbe un cretino il doppio. E poi, non vuole dare a Sisto occasioni di infastidire Girolamo. Sarà il ragazzo perfetto, almeno per quella sera. 
Certo, per Sisto il problema è che Girolamo ha un ragazzo e non una ragazza, ma per quello può farci il giusto.
E’ incredibile, odiare così tanto una persona senza averla mai vista. 
Controlla di aver preso almeno un blocco da disegno e una bella scorta di matite, controlla di aver preso il caricabatterie della reflex e la reflex stessa, controlla di aver nascosto nella tasca interna del trolley una scorta di medicinali, perché sa che Girolamo, sotto stress, raccatta delle emicranie infernali. Controlla di aver preso il suo libro, gli occhiali da sole e almeno un paio di gommini. Aveva anche pensato di tagliarsi i capelli, ma appena l’ha accennato a Girolamo gli è stato fatto presente che se lo faceva per piacere di più a suo padre poteva anche risparmiarsi lo sforzo. A Sisto non sarebbe piaciuto a prescindere. Nessuno dei due gli sarebbe piaciuto, punto e basta. E poi, a Girolamo, i suoi capelli lunghi piacciono.


Leonardo deve praticamente strappare Girolamo dal bagno, buttargli la giacca sulle spalle e trascinarlo fino alla stazione dell’autobus; è imbambolato dalla sera prima, e anche il viaggio in bus fino alla stazione è immerso in un silenzio innaturale, almeno per loro: di solito hanno sempre qualcosa di cui parlare, oggi Girolamo sembra completamente perso nel suo mondo. Leo lo precede sul binario, si siede su una panchina di cemento e gli fa cenno di sedersi accanto a lui, ma il suo ragazzo resta in piedi a fissare le rotaie, le mani nelle tasche dei jeans neri, il maglione scuro legato in vita e una delle magliette di Leonardo addosso. Sono la sua coperta di Linus, se Girolamo ha addosso una delle sue magliette significa che ha bisogno di portarsi in giro un minimo di sicurezza e, considerando che si stanno per andare a infilare volontariamente nella tana del lupo, Leo non si stupisce affatto. Gli ha chiesto almeno venti volte se è sicuro di voler andare, e per venti volte Girolamo ha detto di si: a questo punto, davanti al treno che sta arrivando, è inutile chiederlo di nuovo. 
L’interno è asettico. L’odore è asettico. E uno di quei treni che ti portano da Firenze a Roma in un paio d’ore, forse meno. Leonardo è ancora abituato a quei cosi sferraglianti che fanno Firenze-Lucca in due ore, non Firenze-Roma: il cambio è positivo in termini di tempo, ma negativo in termini i personalità. 
Non lo sa, gli sembra di viaggiare dentro un ospedale.
Un ospedale molto comodo, certo.
Girolamo si trascina dietro il trolley, lo infila nella cappelliera (poi, perché cappelliera? Nessuno si porta più dietro le scatole per i cappelli, ormai. Nessuno si porta più dietro quei cappelli in generale), controlla la prenotazione e si accascia davanti a lui, allungando le gambe fino a infilarle sotto il suo sedile, incrociate all’altezza delle caviglie, la mano destra che penzola dal bracciolo e la sinistra a reggersi la testa. Si passa le dita su uno zigomo e poi, finalmente, si decide ad aprire bocca.
“Immagino sia troppo tardi per cambiare idea”
Quasi a farlo a posta, il treno decide di partire in quel momento. Leo abbozza un sorriso.
“Pare di si. Ma possiamo sempre andare a Roma e non andare alla festa di tuo zio”
Girolamo scuote la testa passandosi la mano sulle labbra, fissando il paesaggio che perde chiarezza fuori dal finestrino. E’ una giornata decisamente grigia. 
“Non tentarmi”
“Ti sembro il tipo?”
Gli arriva un calcio in uno stinco, ma finalmente Girolamo sorride.
“Si che mi sembri il tipo”


Tornare a Roma gli fa uno strano effetto, ma deve ancora decidere se sia positivo o meno: è felice, ed è terrorizzato. Gli è mancata, quella città, ma di sicuro non gli manca quello che gli è successo la dentro. Leo lo affianca subito quando scendono dal treno, togliendosi maglioni e giacche e godendosi il clima più che primaverile della capitale: guarda ovunque, Girolamo sa che sta prendendo appunti con gli occhi per buttare tutto su carta dopo. Hanno qualche ora prima di dover raggiungere Lucrezia e seguirla fino a casa di suo padre, quindi tanto vale portare le valige in albergo, recuperare un po’ di sonno perduto e iniziare a prepararsi. La stanza che hanno prenotato su Expedia non è lontano da Roma Termini, e si avviano in quella direzione scena troppa fretta, fermandosi a bere un caffè in un bar e scansando con un’abilità innata in chi vive nelle città d’arte branchi di turisti che si muovono a monoblocco e venditori di qualsiasi cosa: Girolamo nutre più simpatia per i secondi che per i primi ma no, di una bacchetta per farsi le foto da solo proprio non sa che farsene. I banchine che vendono frutta fresca iniziano ad apparire qua e la, a sottolineare l’arrivo della bella stagione; superano l’ingresso di una trattoria che promette vino dei Castelli e piatti tipici e si fermano davanti al loro bed&breakfast. Se suo padre sapesse che dorme in un bed&breakfast prenotato su Expedia gli verrebbe un accidente. Non vede l’ora che lo scopra. Clarissa e suo padre si erano offerti di ospitarli, ma hanno rifiutato: non vogliono sentirsi legati, non vogliono orari, non vogliono dover stare alla festa più dell’umanamente sopportabile. Se avessero accettato ci sarebbero stati ben pochi posti dove rifugiarsi, considerando che avrebbero dormito a casa del festeggiato. No, meglio un bed&breakfast vicino alla stazione da cui poter entrare e uscire quando vogliono. Quando arrivano al piano giusto vengono accolti da una signora corpulenta completamente vestita a righe, che li accoglie con un sorriso da mamma chioccia e li spinge verso la loro stanza, snocciolando orari, informazioni geografiche e offrendo loro un tè che entrambi, con ancora il sapore del caffè in bocca, rifiutano cortesemente. Girolamo apre subito il suo trolley, tirando fuori il vestito scuro e appendendolo a una delle maniglie dell’armadio per non fargli sgualcire; Leonardo lo copia come fosse a scuola, non abituato a trattare con abiti del genere: è roba che si metterebbe suo padre e, forse per questo, ha sempre provato un certo disagio nel vestirsi in quel modo. Certo, quella roba addosso a Girolamo fa la sua figura. Più probabilmente, addosso a Girolamo qualunque cosa fa la sua figura. Lui spera di non sembrare ridicolo, ma a giudicare da come Girolamo l’ha guardato, dopo essere uscito dal camerino di prova, deve aver fatto la sua figura pure lui. Viene distratto dalle sue paranoie gratuite da Girolamo che scalcia via gli stivali e si lancia sul letto, le mani intrecciate sotto la testa e, come sempre, le gambe incrociate all’altezza delle caviglie. Ha pure i calzini neri. E’ facilissimo fare il bucato, se i vestiti sono tutti suoi. Gli sorride e lo raggiunge, spedendo le Sneakers a far compagnia agli anfibi e decidendo di usarlo come suo cuscino personale, appoggiandogli la testa sul petto e infilandogli una mano sotto la maglietta. Gli piace anche solo poter toccare Girolamo in quel modo, ci è voluto così tanto per poterlo fare senza sentirlo tendersi o vederlo spaventarsi. Non è stato facile. Sposta la mano sulla peluria che gli sparisce nei boxer senza perderlo d’occhio un momento, pronto a fermarsi al minimo accenno di disagio da parte sua, ma Girolamo si limita ad aprire un occhio alzando un sopracciglio, regalandogli un sorriso sornione. Lo prende come un invito, tirandosi su su un gomito, chinandosi a baciarlo e lasciando scivolare la mano ancora più in giù. Girolamo inarca la schiena, gli scappa un oh, Dio sulle labbra di Leonardo. L’artista si stacca e lo osserva per qualche secondo: è bellissimo, con gli occhi chiusi, le labbra semiaperte e la maglietta tirata su in quel modo. E’ bellissimo, ed è suo. Resiste a malapena alla voglia di lasciargli qualche segno sul collo e lo bacia di nuovo quando lo sente mugolare qualcosa di non esattamente definito. Si chiede se sappia quanto sia bello, o se ancora non ci creda. 


Si svegliano un paio d’ore dopo, la testa di Leonardo di nuovo sul petto di Girolamo e il braccio di Girolamo intorno alle spalle di Leonardo, mentre il telefono di Girolamo spara una versione dal vivo di Mondi Sommersi dei Litfiba che ha come suoneria da sempre. Leo biascica qualcosa con un tono decisamente disperato, buttandosi un braccio sulla faccia e riuscendo nell’impresa difficilissima di spettinarsi ancora di più, mentre Girolamo si sporge verso il comodino per rispondere a sua cugina, gettando un’occhiata distratta all’orologio per controllare che ore siano. Sorride all’evidente imbarazzo ce sente nella voce di Lucrezia quando sente Leonardo lamentarsi della suoneria accanto a lui, rassicurandola sul fatto che non abbia interrotto niente, per lo meno in quel momento, e scoppia a ridere quando lei gli urla di non aver bisogno di tutti quei dettagli. Dio, quanto gli è mancata. Finisce di svegliare il bello addormentato steso accanto a lui con tutta la gentilezza di cui è capace, poi lo trascina sotto la doccia con lui: dopo un paio di minuti sotto l’acqua Leo è abbastanza in sé da decidere che vuole lavargli i capelli, e lo lascia fare ricambiando il favore subito dopo, poi decidono che sono stati in doccia abbastanza da rischiare di affogare e fanno lo sforzo di infilarsi dentro i vestiti che si sono portati dietro per l’occasione; Leo si lega i capelli in una crocchia sulla nuca e si sente particolarmente ridicolo, Girolamo si sistema la barba e comincia a sentire un grosso nodo fatto di tensione piantarglisi nello stomaco. 


Lucrezia è bellissima: lo sa da sempre, ma ogni volta che rivede sua cugina se ne stupisce sempre. E’ incredibile che una famiglia disastrata come la sua abbia una persona così luminosa fra le sue fila. La saluta con un sorriso di quelli veri, rari, mentre va loro incontro con addosso un paio di tacchi da capogiro, si lascia abbracciare e la guarda abbracciare anche Leonardo, poi Lucrezia si piazza in mezzo a loro prendendoli entrambi sottobraccio e fungendo da scorta verso il portone. La villa della sua famiglia non è cambiata molto, se non si conta l’avvicendarsi delle piante da giardino: un palazzotto ai Parioli con un discreto giardino intorno e un viale di ghiaia che accompagna fino all’entrata, ghiaia che farebbe demordere chiunque dall’indossare i tacchi, ma non Lucrezia. Li subissa di domande: come stanno, come va il lavoro di Leonardo, se Girolamo lavora ancora all’università, cos’hanno in ponte per le vacanze estive, quanto si tratterranno, dove dormono. Quando Girolamo le risponde che dormiranno in un bead&breakfast scoppia a ridere. Lo sa, che l’ha fatto a posta per far infuriare Sisto. E Girolamo e Leonardo sanno che hanno a un’alleata preziosa. 


Un cameriere in livrea allunga un vassoio verso di loro, e Leonardo sta attento a copiare al parossismo ogni gesto di Girolamo: prende il bicchiere dallo stelo come lui e ringrazia il cameriere con un cenno della testa, voltandosi verso il suo ragazzo con due occhi sgranati che sembrano dire: Girolamo, seriamente. Che accidenti ci faccio io qui? Girolamo gli sorride bevendo un sorso di prosecco e entrando nel salone alla ricerca di suo zio per porgergli i suoi auguri e presentargli il suo compagno. Non lo vede dalla sera dell’incidente, non vede nemmeno sua zia dalla sera dell’incidente. Non pensa nemmeno all’eventualità di sbattere in suo padre, in quel momento, vuole solo vedere quella piccola parte della sua famiglia che, forse, gli è rimasta. Si aggira fra un numero di invitati che sembra oscillare fra l’infinito teorico e effettivo finché non se li trova davanti. Sono invecchiati. Resta impalato sul posto, con Leonardo che gli va a sbattere contro la schiena quando si pianta all’improvviso e poi gli appoggia una mano sulla schiena per sostenerlo. Resta così, fermo, finchè Lucrezia non se ne accorge e gli sorride, indicandolo ai suoi genitori.
Non ci può riuscire, non è pronto. Non si sente nemmeno tanto bene, a farci caso. Forse dovrebbe uscire a prendere una boccata d’aria, ma si sente i piedi incollati a terra, il cuore nell’esofago e un picco d’ansia esplosiva nel cervello che la mano di Leo sulla schiena non riesce a mitigare. E intanto, Lucrezia e suo marito con i suoi zii gli sono praticamente davanti, e lui non sa che fare. Vede Leo sorridere e stringere mani, salutando Niccolò con un cenno della testa e facendo un inchino giocoso a Lucrezia. 
E lui sta li, come un palo, finché la mano di Leonardo non lo spinge leggermente in avanti. 
Silenzio in sala. O, per lo meno, silenzio fra quelle sei persone. Poi sua zia lo abbraccia e Girolamo sente ogni muscolo del suo corpo tendersi, prima di sciogliersi definitivamente. Non l’hanno mai saputo, loro, quello che ha combinato Sisto col suo cervello. Ma in quel momento si sente così sollevato che potrebbe mettersi a piangere. Dev’essere evidente sulla sua faccia, perché sua zia si allontana, lo guarda negli occhi con un sorriso un po’ tremolante e lo stringe di nuovo: quando lo lascia andare suo zio gli sorride e gli stringe la mano.
“Sei diventato più alto di me”
Scoppia a ridere: un decennio che non si vedono ed è la prima cosa che gli dice. E’ tutto così normale che gli fa male.
“Sono sempre stato più alto di te, zio”
Francesco gli sorride come fosse un figlio, più che un nipote, gli scompiglia i capelli e gli dice, come fosse la cosa più naturale del mondo: “Guarda, tuo padre sta venendo verso di noi”


Leonardo si blocca, congelato in una morsa di paura talmente forte da impedirgli di muoversi: ha paura per Girolamo, e ha paura di quello che potrebbe fare all’uomo che sta per vedere per la prima volta dopo averlo odiato per un bel pezzo. Sisto Della Rovere è decisamente gemello di Francesco, sorride nello stesso modo, con lo stesso viso. Fa quasi paura pensare a cosa sia capace di fare. Lucrezia guarda i suoi salutare Girolamo con un ultimo abbraccio prima di allontanarsi, e guarda suo cugino cercando di capire se la voglia li con lui o meno, ma è Leonardo a doverle rispondere: Girolamo fissa il pavimento come se dovesse vomitare.


Lucrezia lo guarda preoccupata, prima stringergli un polso e allontanarsi; guarda le sue scarpe ticchettare sul pavimento di marmo e sparire dal suo campo visivo, poi sente una mano su una spalla e una scarica elettrica gli schizza lungo la schiena. Non ha più paura. E’ infastidito. E vuole quella mano più lontana possibile da sé. 
Si volta con tutta l’eleganza che può riuscire a mettere in un gesto simile, un sorriso affettato sul viso e le nocche talmente tirate da essere diventate bianche, nelle tasche della giacca. Sa che Leonardo sta seguendo ogni suo minimo gesto, pronto a dargli una mano all’occorrenza, ma è deciso a non averne bisogno. Anche Sisto è invecchiato, negli anni in cui non l’ha visto. Non che questo cambi qualcosa.
“Padre”
Sul viso di uno dei politici più eminenti del paese passa un moto di stizza: quello è un figlio bastardo avuto con una prostituta, mai riconosciuto, che ha una relazione stabile con un altro uomo e che ha sempre fatto passare per un nipote. Se qualcuno l’ha sentito chiamarlo padre potrebbe essere un problema. 
Girolamo lo sa. 
E lo rifarà più che volentieri.
Sisto annuisce sena sorridere.
“Vedo che sei tornato”
“Solo fino a domenica - gli risponde, fingendo una tranquillità che sa di non avere - io e Leonardo rientriamo al lavoro lunedì”
“Oh, capisco. E quindi questo - sibila la parola questo come fosse un insulto, indicando Leo con una mano - sarebbe il famoso artista fiorentino che ti ha impedito di tornare a casa tutti quegli anni fa?”


Leonardo ha una voglia matta di intromettersi e urlare, far sapere a tutti, che Girolamo se n’è andato perché suo padre lo pestava come un sacco da boxe ad ogni occasione. Ma non lo fa. Lascia che sia il suo ragazzo a giocarsela come vuole.


Girolamo guarda in basso, sfoderando uno di quei sorrisi che gelerebbero il sangue a chiunque: “Sai perfettamente che non è andata così, padre - gode nel vederlo innervosirsi di nuovo - c’erano ben altri motivi che mi hanno tenuto lontano”
Vede Sisto sorridere, non gli piace affatto.
“Certo, come la tua responsabilità nella morte della figlia minore di Francesco?”
Gli si mozza il respiro in gola.


Leo vorrebbe ribattere al posto suo, ma si limita ad appoggiargli una mano fra le scapole e a lasciarla li, sulle cicatrici che la cintura di quel mostro gli ha lasciato addosso.
Ci sono. Lo sai che ci sono. Non vado da nessuna parte.


Non sa come rispondere. Anche dopo aver parlato con Lucrezia si sente addosso la colpa della morte di Amelia, ma non lascerà che suo padre se ne serva per farlo crollare proprio li, dove Amelia viveva.
Deglutisce, sentendo la mano di Leo sulle spalle: ne è grato, ma sa che il gesto non sfuggirà all’occhio di Sisto. 
“Non è stata colpa mia”
“No certo che no - Sisto sta quasi per mettersi a ridere, è fin troppo facile destabilizzare quel ragazzo - tu hai solo insistito perché Lucrezia ti venisse a prendere, e poi è successo quel che è successo”


Leo è al punto di non ritorno, ma prima che possa allungare la mano e strozzare Sisto con la sua stessa cravatta vede il braccio di Girolamo scattare e arpionare la camicia di suo padre. Sisto lancia un’occhiata a un energumeno vestito di nero che staziona in un angolo, evidentemente una guardia del corpo, e torna a fissare Girolamo.
“E’ brutto essere messi davanti alle nostre responsabilità, nipote?”


Girolamo ha la testa bassa, la mano destra incastrata nella camicia di suo padre, e sente tutte le cicatrici che gli ha lasciato addosso bruciare come fossero ancora fresche. Quella che segue è un’esplosione di proporzioni epiche.
“Se tu non mi avessi riempito di botte quella sera io non avrei telefonato a nessuno - gli urla addosso, attirando l’attenzione di gran parte della sala - ma sicuramente non ti sei posto il problema con un figlio bastardo nato da una prostituta, padre!”
E così, in cinque secondi netti, Sisto si è quasi sicuramente assicurato una prima pagina sui giornali il giorno dopo, che gli farà una pessima pubblicità, e Girolamo è stato atterrato piuttosto bruscamente da un gorilla in giacca e cravatta che non apprezza chi urla in faccia al suo datore di lavoro. Batte la testa sul marmo e resta a terra, mentre Leonardo cerca di togliergli quella bestia di dosso e Lucrezia e suo zio arrivano di gran carriera ordinando alla guardia del corpo di suo zio di lasciarlo andare.


Leo lo tira su, scosso quasi quanto lui ma decisamente più divertito. Lancia un’occhiata forzatamente innocente a Sisto, che sta realizzando solo in quel momento la botta che la sua reputazione come uomo integerrimo subirà a causa dei suo figlio e di quello che gli ha urlato addosso, e gli sorride: tutti sanno che Sisto ha un figlio illegittimo, adesso. Sanno com’è nato e sanno che faccia abbia quel figlio. Se a Girolamo, puta caso, succedesse qualcosa di strano, non ci metterebbero molto a fare due più due. Con quella sfuriata, involontariamente, Girolamo ha chiuso la sua sicurezza in cassaforte.
“Stai bene? - chiede al suo ragazzo, controllandogli le pupille per essere sicuro che la conseguenza del volo in terra sia solo un bernoccolo e niente di più serio. Lucrezia gli spolvera la giacca mentre Sisto e Francesco si allontanano - Hai sbattuto molto forte?”
Girolamo stringe le palpebre quando Leonardo trova il bozzo che ha vicino alla nuca, poi si stringe nelle spalle.
“Niente di grave, credo. Ma voglio andare via - si volta verso Lucrezia con una faccia così colpevole da farle venire voglia di abbracciarlo all’istante  - scusami, Lucrezia, ma devo andare via. Ho bisogno di andare via. Mi dispiace, non volevo fare una scenata, ma ho bisogno di…”
Non finisce la frase, perché Lucrezia gli butta le braccia al collo e gli sussurra che è stato bravissimo, che era quello che Sisto si è sempre meritato e che domani sera, se vorranno, li accompagnerà a prendere una pizza in centro insieme a Niccolò.


“Fermati. Leo, fermati”
Leonardo non fa in tempo a capire cosa sta succedendo, perché Girolamo fa tre passi fuori dal cancello di casa di Francesco Della Rovere e vomita l’anima in un angolo del marciapiede. Non ha mangiato niente, non sa cosa stia vomitando: probabilmente tensione, rabbia e anche un po’ di soddisfazione nell’aver rovinato così la reputazione di uno degli uomini più potenti d’Italia. Quando finisce Leo gli pulisce la bocca con un tovagliolo di carta preso dal buffet e gli toglie i capelli dagli occhi, controllando di nuovo che le pupille siano grandi uguali.
Lo sono.
Niente concussione, ma una bella vomitata psicologica. Girolamo resta piegato sulle ginocchia tossendo, poi inizia a ridere in un modo che rasenta l’isteria. Non sa bene cosa fare quando si volta e gli si aggrappa addosso con tutte le sue forze, con un tremito che gli parte dalla testa e gli arriva fino ai piedi. Lo sente respirare velocemente, troppo velocemente, poi inizia a singhiozzare con la faccia premuta contro la sua spalla. 
L’artista sospira, gli fa fare qualche passo per allontanarsi dalla chiazza di vomito e si china, portandolo giù con sè. Gli sostiene la testa con una mano sulla nuca, le dita fra i capelli neri, attento al bernoccolo che è sicuro sia già uscito fuori. Non dice niente, lascia che l’attacco di nervi passi da solo, limitandosi a tenerlo vicino, baciargli i capelli e mormorare un pezzo degli Anathema che gli è venuto in mente. Una canzone che parla di fulmini che dividono il cielo in due, pioggia che cade, vento, tempeste. Sa che a Girolamo la pioggia piace da impazzire. Lo culla per diversi minuti, finché non lo vede tirare sul la testa e asciugarsi gli occhi col dorso della mano. 
“Va meglio?”
Girolamo annuisce passandosi una mano sulla bocca, pescando un pacchetto di gomme dal taschino e iniziando subito a masticarne una.
“Devo cambiarmi. Non voglio stare vestito così, ho bisogno di cambiarmi”
“Ok, ok - Leonardo lo prende sottobraccio, incamminandosi verso la metro - andiamo in camera, ci cambiamo e poi andiamo a cercare qualcosa da mangiare. Ti va?”
Gli va.
Annuisce.


Il cambiamento è immediato: appena tolto l’abito scuro e infilati i suoi vestiti, fra cui la maglietta degli Skid Row di Leonardo, Girolamo sembra rinascere. E’ più tranquillo, ricomincia a parlare e molla pure qualche sorriso mentre scendono le scale del bed&breakfast per andare a infilarsi nelle stradine di Campo De’Fiori. Quando arrivano, la statua di Giordano Bruno li guarda dal suo piedistallo: Leo pensa che se potesse, scenderebbe e andrebbe a dare un cinque a Girolamo per il casino che ha piantato nella politica italiana con solo poche parole urlate durante un compleanno. Sa che ci saranno conseguenze, sa che probabilmente i giornali inizieranno a cercarlo, ma dal momento che Girolamo ha sempre saputo come cavarsela in quelle situazioni si preoccupa il giusto. I locali della piazza sono tutti aperti, con i loro funghi fra i tavolini all’esterno per riscaldare gli avventori e i camerieri che cercano di convincerti a sederti al loro locale, sicuramente il migliore fra tutti. Adora quel posto. E adora Girolamo per avercelo trascinato, anche se la passeggiata è stata piuttosto lunga.


Girolamo è al secondo spiriz e a metà della prima pizza quando scoppia a ridere da solo, pensando a chissà cosa. Il chissà cosa viene illustrato a Leonardo subito dopo.
“Ti prego, dimmi che hai visto che faccia ha fatto Sisto!”
Leo scoppia a ridere di rimando, giurandogli che se l’è impressa nella memoria. Vuole la conferma? Certo, può averla: prende un tovagliolo di carta, pesca una matita dai jeans e riproduce fedelmente la faccia del padre di Girolamo la sopra: gli occhi palancati, la bocca a disegnare una “o” talmente perfetta da essere comica e, in generale, un’espressione terrorizzata. Quando Girolamo vede il ritratto scoppia a ridere di nuovo, rischiando di strozzarsi con uno spicchio di margherita.
“Dio. Oh, Dio Leo - gli dice, cercando di smettere di ridere - è perfetto. Perfetto!”
  
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