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Autore: Fiamma Erin Gaunt    22/04/2015    1 recensioni
Dal capitolo 1:
- Una selvaggia della foresta? Guardala, razza d’idiota! – sbottò lo sceriffo, agguantandolo per il bavero della casacca di pelle, - Ti sembra che una ragazza come questa possa essere stata cresciuta da dei comuni bifolchi? –
La osservò con attenzione. Sotto i capelli arruffati e lo strato di sangue e sudore, due occhi color del ghiaccio mandavano lampi furiosi. I tratti del viso erano ricercati, delicati e al contempo affilati. Se coperta di cenci e ridotta in quello stato era bella, una volta ripulita e abbigliata in modo consono sarebbe stata da togliere il fiato.
Dal capitolo 2:
- Oh, il piccolo Gisby é intenerito dal bel faccino della ragazza? Per quanto mi riguarda, se la vuoi puoi prendertela. Usala come serva, prendila nel tuo letto, ma non fare di lei un’altra Marian. –
Sussultò.
Marian.
*
- Non ti é permesso girare per il castello da sola. I miei uomini … non vanno molto per il sottile. –
Inarcò un sopracciglio, beffarda: – Invece con te posso stare tranquilla, perché sei una persona tanto per bene. –
- Finchè starai al tuo posto non avrai nulla da temere da me. È una promessa. –
- E quanto vale una promessa di Guy di Gisborne? –
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Guy di Gisborne, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1

 

 

 

 

 

 

Eve era intenta a distribuire le ultime sacche di grano quando il rumore degli zoccoli giunse alle sue orecchie. Una decina, cavaliere più cavaliere meno, che galoppavano a tutto spiano lungo il ciottolato dell’ingresso del villaggio. Sullo stallone nero come il peccato, che apriva la colonna di uomini dello sceriffo, sedeva il nuovo signore di Locksley. Sir Guy di Gisborne, a quanto raccontavano gli abitanti sottoposti all’autorità di Nottingham e del principe Giovanni, era il braccio destro dello sceriffo e condivideva con lui il disprezzo nei confronti del popolo e delle loro necessità.

- Sarà meglio andare, Cat. –

La voce di Caleb, uno degli uomini che come lei apparteneva alla Fratellanza del Bosco, risuonò decisa dall’altro lato del cortile.

Tese una forma di formaggio di pecora alla donna più vicina, che teneva tra le braccia un infante frignante, e fischiò per richiamare il suo cavallo. Montò in sella al volo, seguendo Caleb e il resto del gruppo verso i boschi.

Una freccia le sibilò a un centimetro dal volto, costringendola a stendersi quanto più possibile sul collo dell’animale e a spronarlo in una folle corsa a zig zag tra gli alberi di Sherwood.

Con la coda dell’occhio vide lo stallone che annullava lentamente ma inesorabilmente il distacco.

- Forza, Danzatrice, forza. Forza. –

La cavalla nitrì, incespicando in una radice piuttosto spessa e rovinando a terra. Venne sbalzata via dalla sella, appallottolandosi per cercare di ridurre al minimo l’impatto con il terreno; il fogliame attutì un po’ la caduta, ma la lasciò comunque leggermente intontita e con la vista annebbiata. Il bruciore alle braccia e sui palmi delle mani le annunciò che doveva essersi graffiata a sangue. Cercò di rimettersi in piedi, ma le ginocchia tremarono e la fecero finire bocconi. La caduta era stata peggiore di quanto avesse creduto in un primo momento, ma sicuramente le sarebbe parsa nulla rispetto a ciò che gli uomini dello sceriffo avevano in programma di farle se l’avessero catturata. Serrò le dita intorno all’elsa della daga, pronta a combattere fino alla morte se necessario.

Sir Guy smontò con calma, ravviandosi i capelli corvini scompigliati nella foga dell’inseguimento, avvicinandolesi con l’andatura circospetta che si sarebbe usata in presenza di un animale feroce.

La spada sguainata luccicava sinistramente, illuminata dai raggi del sole che volgeva al tramonto e creavano l’illusione che il metallo fosse dello stesso colore del sangue.

- Lo sceriffo vi vuole a Nottingham, arrendetevi e non vi sarà bisogno di ricorrere a misure drastiche. –

Arrendersi; aveva voglia di scherzare quel damerino rivestito in pelle?

Sputò a terra, rabbiosa. Un gesto molto poco signorile, ne era consapevole, ma che rendeva bene l’idea. – Ecco cosa penso della vostra proposta e del vostro prezioso sceriffo. –

Gisborne sospirò, scuotendo la testa. – Voi selvaggi della foresta siete sempre così testardi. – Con la spada ben tesa davanti a sé, le puntò la lama contro.

Mosse la daga in avanti, cercando di bucare la guardia dell’uomo, rotolando da un lato e dall’altro per evitare i suoi fendenti. Era umiliante strisciare al suolo come un verme, ma la gamba ferita non le permetteva di stare in piedi senza appoggiarsi da qualche parte e lei aveva bisogno di entrambe le mani per fronteggiare il suo avversario.

Un colpo di taglio, sul polso, la disarmò e fece volare via la daga. Strinse le labbra per trattenere un gemito mentre la giuntura colpita cominciava a pulsare per il dolore e un paio di lacrime le bruciavano gli occhi. Avrebbe sofferto in silenzio, in modo stoico, pur di proteggere il resto della Fratellanza.

Un freccia atterrò vicino a Gisborne, bloccandolo nell’atto di chinarsi per tirarla su di peso. Il pennacchio era rosso, come quello che utilizzava Caleb. Uno sguardo rapido verso sinistra, la direzione da cui proveniva, le disse che l’amico era appoggiato contro il tronco di un albero particolarmente solido. Teneva l’arco tra le dita e lo maneggiava con esperienza. Stupido idiota, stava rischiando di lasciarci la pelle solo per assicurarsi che non la catturassero. L’affetto nei suoi confronti zampillò con forza.

- Sta’ lontano da lei. –

 - Ah, un altro dei tuoi amici selvaggi. Magari questo ti darà un incentivo a collaborare. – Fece un cenno verso uno degli arcieri, che scoccò poco lontano da lui.

O avevano una pessima mira oppure … era una trappola. Lo realizzò nell’istante in cui Gisborne lanciò un grosso pugnale nella direzione in cui Caleb si era spostato per evitare la freccia. La lama penetrò a fondo nella carne, mozzando il respiro del giovane uomo che cadde bocconi. Un fiotto di sangue proruppe da quelle labbra sottili, sporcando il volto pallido su cui risaltava qualche piccola efelide.

- Caleb! –

Si slanciò contro Gisborne con l’impeto che solo la furia e il dolore per la perdita di un caro amico potevano dare, incurante di essere completamente disarmata. Le unghie si scontrarono contro una guancia di quel viso dalla bellezza arrogante, artigliando la pelle. Un manrovescio potente la colpì sullo zigomo, facendole scattare la testa dall’altro lato e spaccandole il labbro. Il sapore metallico del sangue le riempì la bocca.

- Non provarci mai più, donna, o la prossima volta perderai la mano. –

Le guardie che accompagnavano Gisborne le furono alle spalle in un baleno, torcendole le braccia dietro alla schiena e assicurandole con corde e nodi robusti. L’altro capo della corda venne assicurato al campanello della sella di Gisborne e lei venne issata sulla sella insieme all’uomo come se non pesasse nulla.

Quando giunsero nei pressi delle mura di Nottingham entrambi i polsi erano arrossati e dolenti, le gambe addormentate per la scomoda posizione di monta all’amazzone in cui era stata costretta, e labbro e zigomo avevano cominciato a gonfiarsi.

- Aprite i cancelli, lo sceriffo desidera vedere immediatamente la prigioniera – ordinò con voce perentoria, spronando lo stallone tra la folla di mendicanti fuori dall’ingresso e fino al patio principale.

Smontò, tirandola giù con la delicatezza che sarebbe stata riservata a un sacco di patate. La presa di Gisborne sulla corda la accompagnò finchè non venne trascinata al cospetto dello sceriffo. Era un uomo basso, molto stempiato, che sembrava circondato da un’aura malevola sempre presente. Non era come se l’era immaginato, ma la cosa non aveva alcuna importanza.

- Dunque, dunque. Cosa abbiamo qui? –

Le girò intorno con aria rapace, un ghigno malevolo che metteva in mostra il vuoto causato da un dente mancante.

- Chi sei? –

- Cat. –

- È una di quei selvaggi della foresta che si fanno chiamare la Fratellanza del Bosco. –

- Una selvaggia della foresta? Guardala, razza d’idiota – sbottò lo sceriffo, agguantandolo per il bavero della casacca di pelle, - Ti sembra che una ragazza come questa possa essere stata cresciuta da dei comuni bifolchi? Un aiutino? No! –

Guy la osservò con attenzione. Sotto i capelli arruffati e lo strato di sangue e sudore, due occhi color del ghiaccio mandavano lampi furiosi. I tratti del viso erano ricercati, delicati e al contempo affilati. Se coperta di cenci e ridotta in quello stato era bella, una volta ripulita e abbigliata in modo consono sarebbe stata da togliere il fiato.

- Chi sei, ragazza? – insistè lo sceriffo.

Distolse lo sguardo ostentatamente, fissando il muro in mattoni come se non l’avesse affatto sentito.

Guy l’afferrò per un polso, con rudezza, - Lo sceriffo ti ha fatto una domanda, rispondi. –

- Ho già riposto. Che c’è, siete sordi? –

Un ceffone le colpì la guancia ferita. Digrignò i denti per impedire anche al più lieve dei gemiti di abbandonare le sue labbra.

– Una notte nelle segrete forse ti scioglierà la lingua. Gisborne, conduci la nostra ospite nella sua nuova stanza, la incontrerò domani mattina. –

Rapido così come era comparso, lo sceriffo voltò loro le spalle e li lasciò da soli. Eve venne scortata con malagrazia lungo il corridoio che portava ai sotterranei del castello e alle segrete. La puzza e l’umidità erano tremendi; se non l’avessero uccisa alla svelta, probabilmente sarebbe morta per la polmonite o qualche schifosa malattia causata dalla sporcizia o dai morsi dei topi.

- Complimenti, tu sì che sai come trattare una donna. –

- Fai silenzio. –

- Altrimenti? –

Forse, se l’avesse fatto arrabbiare abbastanza, le avrebbe donato una morte rapida e misericordiosa. O, nel più ottimistico dei casi, si sarebbe distratto quanto bastava da permetterle di disarmarlo e fuggire.

- Stai zitta, donna. –

- Dici donna come se fosse un’offesa. Non dirmi che hai paura di noi – lo derise.

Gisborne la voltò con rabbia, spingendola contro la parete e fissandola con occhi tanto furiosi che per un attimo credette davvero di essere in procinto di morire.

- Tu non sai nulla e, soprattutto, non sono tenuto ad ascoltare le tue inutili chiacchiere. – Si voltò verso l’angolo illuminato dalle torce: - Carceriere! –

Con un cigolio sinistro, il lucchetto di una delle celle venne aperto e lei fu scaraventata sul freddo mattonato.

Stava diventando un vizio quello di finire a terra, considerò amaramente mentre il lucchetto veniva richiuso e i passi decisi di Gisborne si allontanavano.

Tanti auguri, Eve, esprimi un desiderio.

Scosse la testa, allontanando quella vocetta sarcastica dalla sua mente.

Caleb era morto, lei era stata catturata e probabilmente sarebbe morta dopo una lenta e atroce tortura.

Se mai c’era stato a memoria d’uomo un compleanno peggiore di quello, di sicuro nessuno lo rammentava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con l’approdo in un nuovo fandom, tanto perché io non sono capace di starmene buona e tranquilla nei soliti millemila fandom in cui scrivo abitualmente. Allora, amo Guy (del tipo che l’amore per lui é talmente sconfinato da aver odiato la morte di Marian solo perché lui ne ha sofferto immensamente) così come mi piacciono un casino anche Allan e Carter quindi mi sono detta: scriviamoci una bella long e speriamo che alla gente piaccia. Ergo, fatemi sapere se i personaggi sono abbastanza IC, se vi piace Eve (la cui vera identità verrà svelata solo in seguito) e se vi ho incuriosita … magari con una bella recensinciona. Al prossimo aggiornamento (che presumo sarà molto presto visto che le idee per questa long mi hanno sommersa). Alla prossima.

Baci baci,

Fiamma Erin Gaunt

 

 

  
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