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Autore: love_gold    23/04/2015    1 recensioni
Night Club.
Rating: Arancione
-Leon…deciditi.- lui si accigliò. –In che senso?- -Decidi…o me o questa stupida idea che hai in testa!-intorno a noi tutto taceva. Non c’era un minimo rumore, era come se tutto il mondo stava attendendo la sua risposta. Il foglio e la pietra che aveva in mano, e che gli avevo dato io, tremavano. Lui stava tremando.
Accadde tutto in un attimo, gli oggetti caddero al suolo e le sue labbra trovarono le mie. Le sue labbra calde contro le mie fredde. –Se dovrò decidere fra il vivere con te e il vivere senza te, sceglierò sempre la prima opzione. Ti amo Vilu.-
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo Capitolo.

-Mmh…- qualcuno mi stava scuotendo con il solo scopo di svegliarmi. Quel ‘qualcuno’ era mio fratello Federico del quale percepivo la presenza al mio fianco e mi stava sussurrando dolci parole all’orecchio, parole che solo un fratello poteva dire. –Fede…altri cinque minuti.- dopo questa richiesta sentii i suoi passi allontanarsi e la porta essere chiusa.

Finalmente un po’ di pace, ero stesa e sentivo ancora il fiato di Leon sul mio collo. La sera prima ci eravamo baciati per ore, fino a quando non aveva ricevuto una telefonata dai suoi ‘amici’, lo volevano con loro per fare un lavoretto. Ovviamente ero arrivata anche a capire di cosa si trattava, doveva spacciare droga in uno dai locali più importanti a Starling City. Ero certa del fatto che lui non volesse andarci, voleva migliorare per la sua famiglia e guadagnare dei soldi. Mi aveva raccontato che quando mio fratello gli aveva offerto quel posto di lavoro, lui pensava fosse una burla. Invece ora si ritrova con uno stipendio a cinque zeri e poteva comprarsi una macchina e una casa per vivere. Ero felicissima per lui, insomma si era impegnato molto per avere una vita degna di questo nome.

Avevo richiuso gli occhi, e stavo per riprendere a dormire quando un cuscino mi colpii in faccia facendomi svegliare del tutto.

-Ma sei scemo?!- gli urlai contro. Si sedette su di me e iniziò a lanciarmi cuscini sulla faccia. Dopo un momento di smarrimento, presi quello che stava sotto la mia testa e lo colpii in piena faccia facendogli perdere l’equilibrio. Cadde accanto a me e si stese passandomi sulle spalle un braccio.

-Com’è andata ieri sera con il tuo ‘socio’?- inutile dire che alla parola socio ci aveva aggiunto uno sguardo e un tono maliziosi.

-Abbiamo mangiato e basta.- e ci eravamo baciati fino allo sfinimento e ci eravamo rotolati tra le lenzuola per due ore. Ma non avevamo fatto sesso.

-E quindi il rumore del letto…era la mia immaginazione?- domandò squadrandomi. Il mio letto non aveva fatto tanto rumore, quanto il suo.

-Sono certa che Ludmilla ce lo saprà dire con precisione…o possiamo chiedere al mio ‘socio’. Come lo chiami tu.- rimase interdetto per un momento ma poi si alzò di scatto e mi trascinò con sé in cucina.

 

-Sono contenta del fatto che oggi mi accompagni tu a lavorare.- dissi guardandolo mentre guidava. Non avevo ricevuto nessuna telefonata da Leon, né tantomeno un messaggio. Avevo un brutto presentimento, ma non sapevo perché. Forse gli era successo qualcosa, anche se si sapeva difendere molto bene da quello che mi aveva raccontato Federico. Non sapevo cosa pensare in quel momento. O forse si era stancato di me? Di già?

-Vilu…siamo arrivati.- mi guardai intorno e notai che era vero. Il Verdant era ancora spento, strano. Era mezzogiorno e di Leon neanche l’ombra, forse si era veramente già stancato di me, oppure su era ricreduto sulla nostra amicizia.

Con lo sguardo perso nel vuoto e con gli occhi tristi entrai nel locale e aprii il nostro ufficio. Mi sedetti alla mia scrivania e notai che c’era un post-it attaccato sul monitor del mio computer.

‘Buongiorno Vilu, se stai leggendo questo foglietto significa che non sono arrivato a lavoro oggi. Oggi ci sarà la consegna dei cocktail e degli stuzzichini per stasera. Ti prego pensaci tu.

Ti voglio bene, Leon.’

Rilessi quel messaggio un centinaio di volte, o almeno fino a quando non sentii una presenza dietro di me. Mi voltai di scatto e vidi un ragazzo biondo, sulla ventina che mi guardava. Aveva in mano una console da DJ, dal quale deducevo fosse un dipendente del locale.

-Tu devi essere Violetta Castillo.- disse baciandomi la mano destra, che eravamo nell’Ottocento?

-E tu sei, invece?- chiesi focalizzandolo meglio. I capelli erano lunghi e gli occhi verdi, ma non aveva nulla a che vedere con Leon. Già Leon, chissà dov’era e con chi era.

-Sono il DJ del locale, mi ha assunto Leon. Piacere.-

-Doveva stare proprio male per assumerti. Comunque vai a fare il tuo lavoro e non importunarmi mai più.- sorrisi falsa e tornai a lavoro. Lui uscì dall’ufficio e si mise a provare delle canzoni per stasera.

 

Avevo finito. Erano arrivati i fornitori e avevano scaricato il carico. Li avevo pagati  ed erano andati via. Ma di Leon non c’era la minima traccia. Ogni volta che il mio cellulare squillava speravo fosse lui, e invece era mio fratello Federico. Guardavo fuori dalla finestra e speravo di vedere il suo SUV spuntare dell’angolo, ma ciò non accadeva. Io e quel DJ, del quale non avevo ancora capito il nome, stavamo per tornarcene a casa quando una macchina rossa si era avvicinata a noi e spenta poi. Dal sedile posteriore uscii Leon. Aveva la faccia livida, sembrava che l’avessero preso a pungi a lungo. Mi avvicinai a lui e lo poggiai a me.

-Leon. Che ti è successo?- gli domandai portandolo nel locale.

Lo feci sedere su uno sgabello e andai a prendere la valigetta del pronto soccorso dal piano di sopra. Ero confusa per quanto era appena accaduto, se fossimo andati via prima lui sarebbe rimasto solo qui in mezzo alla strada. Ringrazio quel ritardo nella consegna dei cocktail di oggi.

-Mi spieghi come hai fatto?- chiesi medicandogli alcune delle ferite. La sua faccia era ancora livida, dal sopracciglio usciva del sangue e non si fermava. Abbassai lo sguardo e notai che anche la maglietta era sporca.

-Leo. Mi dici che succede?- sbuffò e smise di guardarmi negli occhi.

- Quando sono andato via da casa tua, non sono andato da loro. Sono tornato a casa però c’erano anche loro. Ho rifiutato di andare con loro e mi hanno picchiato, ho cercato di difendermi ma erano sei contro uno. Prima sono andato a casa tua però non c’eri allora sono venuto qui.- lo ascoltai in silenzio mentre continuavo a medicargli le varie ferite sulle braccia e sulle mani. Forse aveva cercato di dare dei pugni però non c’era riuscito.

-Ce ne sono anche sotto la maglia, ma…sono profonde-

-In che senso sono profonde?- mi guardò e si alzò la maglia.

-Me le hanno fatte con un coltellino…ho bisogno dei punti.- presi la borsa e lo presi per mano. Uscimmo dal locale e lui iniziò a fare domande.

-Andiamo in ospedale.-

 

-Sei fortunato ad avere un’amica come Violetta.- disse il medico guardando Leon, lui si girò verso di me e mi sorrise, forse riconoscente.

-Lo so.-  il dottore si alzò dalla sua sedia e si diresse verso il suo carello.

-Roy, hai visto che…ma che ti prende? Leo?- lui guardava nella direzione opposta. Fissava la siringa che aveva in mano l’uomo dal camice bianco.

-Non capisco perché mi debba fare un’iniezione se è solo un taglio superficiale.-

-Hai paura di un piccolo ago…perché dai non è possibile.- mi misi a ridere pensando fosse solo uno scherzo, invece non era così. Quando il dottore si avvicinò a lui s’irrigidì subito. Non ci pensai due volte e feci voltare la sua testa verso la mia, la seconda volta in due giorni. Lo baciai e cercai di non fargli pensare al ago nella sua pelle.

-Fatto.- disse il dottore, prese un batuffolo d’ovatta e glielo sfregò su punto dove aveva fatto la puntura. Lo ringraziammo e uscimmo dal suo studio.

-Hai paura degli aghi?- domandai, non pensavo minimamente che una persona come lui, potesse avere un timore simile.

-Se ti rispondo che si, cosa penserai di me?- rispose guardandomi di sottecchi. Si poggiò allo sportellino della macchina con cui eravamo arrivati.

-Penserei che sei un ragazzo che sta lavorando per avere un futuro e che sei molto coraggioso.- dissi fissandolo negli occhi. Rimanemmo in silenzio per quelli che mi sembravano anni infiniti, invece erano pochi secondi.

-Che ne dici di andare a mangiare qualcosa a casa tua?-  scossi la testa sorridendo.

-Se non ti conoscessi, direi che vuoi venire a rubare a casa mia, e fai così per conoscerla meglio.- entrammo in macchina, lui alla guida e io accanto a lui.

-Chi ti dice che non lo farò?- ci guardammo, di nuovo, e poi scoppiammo a ridere entrambi e insieme.

 

Una volta a casa notammo che Federico era già arrivato e stava cucinando, o meglio Ludmilla lo stava facendo. Lasciai Leon con mio fratello a parlare di calcio e io raggiunsi la Lance in cucina, ma mi accorsi che c’era anche Francesca.

-Ciao.- dissi dando un bacio sulla guancia a testa, loro mi sorrisero e risposero con un –Ehi.- sincronizzato.

-Chi è quel ragazzo?!- gridò, sottovoce, Ludmilla. Guardai Francesca e ci mettemmo a ridere.

-Si chiama Leon ed è mio socio al Club.- risposi osservando in sua direzione. Vedevo come parlava agilmente con Federico e Diego, era presente anche lui, il ragazzo che mi piaceva fin da quando avevo una decina d’anni. Lui e Fede sono come fratelli e quindi passavano molto tempo in casa nostra; mi ricordo di quando mi nascondevo dietro la porta della loro stanza e spiavo ciò che facevano. Ritornando a Leon, si stava divertendo e se lo meritava dopo quello che aveva passato tra ieri e oggi.

-Ti piace tanto vero?- sentii la voce di Francesca abbastanza vicina al mio orecchio, mi voltai di scatto e le sorpresi ad osservarmi insistentemente.

-E’ carino, ma è troppo presto per dire se me ne sono innamorata o meno.- risposi semplicemente, prendendo il primo piatto e portandolo in tavola. Ci sedemmo tutti quanti; io e Fede a capo-tavola, vicino a me Francesca e Leon, e accanto a lui Ludmilla e Diego. Le ragazze avevano preparato un antipasto di noci, ostriche e salmone crudi. Amavo tutto questo, ma preferivo cenare con una pizza o con un hamburger. Era calato un silenzio, interrotto solo dalla suoneria del cellulare di mio fratello, sempre lui; anche quando cenavamo con la nostra famiglia non lo spegneva mai e si prendeva molti rimproveri da German e mamma, quanto mi mancavano.

-Pronto… si, domani mattina… riferirò… buona serata anche a te.- chiuse la telefonata e sbuffò sonoramente.

-Che succede?- domandò Ludmilla prendendo una forchettata di salmone, accompagnato da un pezzo di pane.

-Cose di lavoro.- liquidò velocemente il discorso facendo ricadere il silenzio a tavola.

 

Appena finita la cena, io e Leon andammo a passeggiare in giardino per lasciare gli altri da soli a parlare di affari loro.

-Piaciuta la cena?- scherzai mentre camminavamo mano nella mano. Sembravamo due fidanzati, ma non lo eravamo; almeno non credevo che lo fossimo.

-Non so come fai a sopravvivere. Ma dico seriamente.- sorrise.

-Io e mio fratello non siamo amanti della vita mondana, ma quando dobbiamo dare feste o cose del genere siamo costretti.- feci spallucce e mi sedetti sull’erba, invitandolo a fare lo stesso.

-Sai mi piace molto questo giardino.- disse guardandosi intorno. Presa non so da quale istinto, poggiai la mia testa nell’incavo del suo collo. Lui mi cinse le spalle con il suo braccio e, rilassata, socchiusi gli occhi. Leon mi lasciò un tenero bacio sulla fronte e accostò la sua con la mia.

-Dove vivi?- non so perché gli feci quella domanda, ma lo volevo sapere ad ogni costo. Lui era rimasto da me per una notte e sapeva dove abitavo, ma io non sapevo nulla su di lui e sulla sua storia.

-T’importa così tanto?- chiese, quasi rude. Alzai di scatto la testa e l’osservai, era serio e aveva la mascella contratta.

-Stai scherzando?! M’importa perché siamo amici e sai tutto di me, mi pare ovvio conoscere qualcosa di te.- mi alzai e mi pulii i jeans sporchi di terreno, e iniziai a camminare verso l’entrata della villa, velocemente. Sentivo i suoi passi dietro di me, speravo che non mi raggiungesse perché non volevo che mi vedesse piangere, non volevo pensasse che fosse diventato importante per me nel giro di due giorni.

-Fermati Vilu! Non volevo offenderti!- con uno strattone mi tirò all’indietro e mi fissò attentamente. Forse notò che avevo gli occhi lucidi, o forse no; ma fatto sta che mi abbracciò e io mi sfogai sulla sua spalla.

-Non volevo risponderti così, è solo che non parlo mai di me. Con nessuno. Non vorrei che tu andassi via. Una cosa te la posso dire, abito a The Glades.- la sua voce  s’incrinò nell’ultima frase e fu lì che capii i non dover andare oltre, il resto poi sarebbe venuto da se.

-Grazie.- disse e a quel punto, dopo esserci sorrisi, rientrammo in casa.

Federico e Diego erano seduti sul divano del grande salotto e stavano vedendo una partita di calcio; entrambi erano patiti di sport, li seguivano tutti, dal tennis al calcio. Io invece odiavo l’attività sportiva e mi ricordo che quando frequentavo la scuola superiore durante l’ora di educazione fisica andavo in giro per la scuola. Ludmilla e Francesca, invece, erano nella mia stanza, lo capii dal biglietto che mi avevano lasciato: ‘Parliamone! Nella tua stanza.’ Sorrisi e le raggiunsi. Mentre camminavo Leon mi prese per i fianchi e mi baciò, un bacio dolce e casto.

-Mi mancavano le tue labbra.-

A quel punto non potei fare altro che sorridere e ribaciarlo a mia volta.

   
 
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