Secondo
Capitolo.
-Mmh…-
qualcuno mi stava scuotendo con il solo scopo di svegliarmi. Quel
‘qualcuno’
era mio fratello Federico del quale percepivo la presenza al mio fianco
e mi
stava sussurrando dolci parole all’orecchio, parole che solo
un fratello poteva
dire. –Fede…altri cinque minuti.- dopo questa
richiesta sentii i suoi passi
allontanarsi e la porta essere chiusa.
Finalmente
un po’ di pace, ero stesa e sentivo ancora il fiato di Leon
sul mio collo. La
sera prima ci eravamo baciati per ore, fino a quando non aveva ricevuto
una
telefonata dai suoi ‘amici’, lo volevano con loro
per fare un lavoretto.
Ovviamente ero arrivata anche a capire di cosa si trattava, doveva
spacciare
droga in uno dai locali più importanti a Starling City. Ero
certa del fatto che
lui non volesse andarci, voleva migliorare per la sua famiglia e
guadagnare dei
soldi. Mi aveva raccontato che quando mio fratello gli aveva offerto
quel posto
di lavoro, lui pensava fosse una burla. Invece ora si ritrova con uno
stipendio
a cinque zeri e poteva comprarsi una macchina e una casa per vivere.
Ero
felicissima per lui, insomma si era impegnato molto per avere una vita
degna di
questo nome.
Avevo
richiuso gli occhi, e stavo per riprendere a dormire quando un cuscino
mi
colpii in faccia facendomi svegliare del tutto.
-Ma
sei scemo?!- gli urlai contro. Si sedette su di me e iniziò
a lanciarmi cuscini
sulla faccia. Dopo un momento di smarrimento, presi quello che stava
sotto la
mia testa e lo colpii in piena faccia facendogli perdere
l’equilibrio. Cadde
accanto a me e si stese passandomi sulle spalle un braccio.
-Com’è
andata ieri sera con il tuo ‘socio’?- inutile dire
che alla parola socio ci
aveva aggiunto uno sguardo e un tono maliziosi.
-Abbiamo
mangiato e basta.- e ci eravamo baciati fino allo sfinimento e ci
eravamo
rotolati tra le lenzuola per due ore. Ma non avevamo fatto sesso.
-E
quindi il rumore del letto…era la mia immaginazione?-
domandò squadrandomi. Il
mio letto non aveva fatto tanto rumore, quanto il suo.
-Sono
certa che Ludmilla ce lo saprà dire con
precisione…o possiamo chiedere al mio
‘socio’. Come lo chiami tu.- rimase interdetto per
un momento ma poi si alzò di
scatto e mi trascinò con sé in cucina.
-Sono
contenta del fatto che oggi mi accompagni tu a lavorare.- dissi
guardandolo
mentre guidava. Non avevo ricevuto nessuna telefonata da Leon,
né tantomeno un
messaggio. Avevo un brutto presentimento, ma non sapevo
perché. Forse gli era
successo qualcosa, anche se si sapeva difendere molto bene da quello
che mi
aveva raccontato Federico. Non sapevo cosa pensare in quel momento. O
forse si
era stancato di me? Di già?
-Vilu…siamo
arrivati.- mi guardai intorno e notai che era vero. Il Verdant era
ancora
spento, strano. Era mezzogiorno e di Leon neanche l’ombra,
forse si era
veramente già stancato di me, oppure su era ricreduto sulla
nostra amicizia.
Con
lo sguardo perso nel vuoto e con gli occhi tristi entrai nel locale e
aprii il
nostro ufficio. Mi sedetti alla mia scrivania e notai che
c’era un post-it
attaccato sul monitor del mio computer.
‘Buongiorno
Vilu, se stai leggendo questo foglietto significa che non sono arrivato
a
lavoro oggi. Oggi ci sarà la consegna dei cocktail e degli
stuzzichini per
stasera. Ti prego pensaci tu.
Ti
voglio bene, Leon.’
Rilessi
quel messaggio un centinaio di volte, o almeno fino a quando non sentii
una
presenza dietro di me. Mi voltai di scatto e vidi un ragazzo biondo,
sulla
ventina che mi guardava. Aveva in mano una console da DJ, dal quale
deducevo
fosse un dipendente del locale.
-Tu
devi essere Violetta Castillo.- disse baciandomi la mano destra, che
eravamo
nell’Ottocento?
-E
tu sei, invece?- chiesi focalizzandolo meglio. I capelli erano lunghi e
gli
occhi verdi, ma non aveva nulla a che vedere con Leon. Già
Leon, chissà dov’era
e con chi era.
-Sono
il DJ del locale, mi ha assunto Leon. Piacere.-
-Doveva
stare proprio male per assumerti. Comunque vai a fare il tuo lavoro e
non
importunarmi mai più.- sorrisi falsa e tornai a lavoro. Lui
uscì dall’ufficio e
si mise a provare delle canzoni per stasera.
Avevo
finito. Erano arrivati i fornitori e avevano scaricato il carico. Li
avevo
pagati ed erano
andati via. Ma di Leon
non c’era la minima traccia. Ogni volta che il mio cellulare
squillava speravo
fosse lui, e invece era mio fratello Federico. Guardavo fuori dalla
finestra e
speravo di vedere il suo SUV spuntare dell’angolo, ma
ciò non accadeva. Io e
quel DJ, del quale non avevo ancora capito il nome, stavamo per
tornarcene a
casa quando una macchina rossa si era avvicinata a noi e spenta poi.
Dal sedile
posteriore uscii Leon. Aveva la faccia livida, sembrava che
l’avessero preso a
pungi a lungo. Mi avvicinai a lui e lo poggiai a me.
-Leon.
Che ti è successo?- gli domandai portandolo nel locale.
Lo
feci sedere su uno sgabello e andai a prendere la valigetta del pronto
soccorso
dal piano di sopra. Ero confusa per quanto era appena accaduto, se
fossimo
andati via prima lui sarebbe rimasto solo qui in mezzo alla strada.
Ringrazio
quel ritardo nella consegna dei cocktail di oggi.
-Mi
spieghi come hai fatto?- chiesi medicandogli alcune delle ferite. La
sua faccia
era ancora livida, dal sopracciglio usciva del sangue e non si fermava.
Abbassai lo sguardo e notai che anche la maglietta era sporca.
-Leo.
Mi dici che succede?- sbuffò e smise di guardarmi negli
occhi.
-
Quando sono andato via da casa tua, non sono andato da loro. Sono
tornato a
casa però c’erano anche loro. Ho rifiutato di
andare con loro e mi hanno
picchiato, ho cercato di difendermi ma erano sei contro uno. Prima sono
andato
a casa tua però non c’eri allora sono venuto qui.-
lo ascoltai in silenzio
mentre continuavo a medicargli le varie ferite sulle braccia e sulle
mani.
Forse aveva cercato di dare dei pugni però non
c’era riuscito.
-Ce
ne sono anche sotto la maglia, ma…sono profonde-
-In
che senso sono profonde?- mi guardò e si alzò la
maglia.
-Me
le hanno fatte con un coltellino…ho bisogno dei punti.-
presi la borsa e lo
presi per mano. Uscimmo dal locale e lui iniziò a fare
domande.
-Andiamo
in ospedale.-
-Sei
fortunato ad avere un’amica come Violetta.- disse il medico
guardando Leon, lui
si girò verso di me e mi sorrise, forse riconoscente.
-Lo
so.- il dottore si
alzò dalla sua sedia
e si diresse verso il suo carello.
-Roy,
hai visto che…ma che ti prende? Leo?- lui guardava nella
direzione opposta.
Fissava la siringa che aveva in mano l’uomo dal camice
bianco.
-Non
capisco perché mi debba fare un’iniezione se
è solo un taglio superficiale.-
-Hai
paura di un piccolo ago…perché dai non
è possibile.- mi misi a ridere pensando
fosse solo uno scherzo, invece non era così. Quando il
dottore si avvicinò a
lui s’irrigidì subito. Non ci pensai due volte e
feci voltare la sua testa
verso la mia, la seconda volta in due giorni. Lo baciai e cercai di non
fargli
pensare al ago nella sua pelle.
-Fatto.-
disse il dottore, prese un batuffolo d’ovatta e glielo
sfregò su punto dove
aveva fatto la puntura. Lo ringraziammo e uscimmo dal suo studio.
-Hai
paura degli aghi?- domandai, non pensavo minimamente che una persona
come lui,
potesse avere un timore simile.
-Se
ti rispondo che si, cosa penserai di me?- rispose guardandomi di
sottecchi. Si
poggiò allo sportellino della macchina con cui eravamo
arrivati.
-Penserei
che sei un ragazzo che sta lavorando per avere un futuro e che sei
molto
coraggioso.- dissi fissandolo negli occhi. Rimanemmo in silenzio per
quelli che
mi sembravano anni infiniti, invece erano pochi secondi.
-Che
ne dici di andare a mangiare qualcosa a casa tua?-
scossi la testa sorridendo.
-Se
non ti conoscessi, direi che vuoi venire a rubare a casa mia, e fai
così per
conoscerla meglio.- entrammo in macchina, lui alla guida e io accanto a
lui.
-Chi
ti dice che non lo farò?- ci guardammo, di nuovo, e poi
scoppiammo a ridere
entrambi e insieme.
Una
volta a casa notammo che Federico era già arrivato e stava
cucinando, o meglio
Ludmilla lo stava facendo. Lasciai Leon con mio fratello a parlare di
calcio e
io raggiunsi la Lance in cucina, ma mi accorsi che c’era
anche Francesca.
-Ciao.-
dissi dando un bacio sulla guancia a testa, loro mi sorrisero e
risposero con
un –Ehi.- sincronizzato.
-Chi
è quel ragazzo?!- gridò, sottovoce, Ludmilla.
Guardai Francesca e ci mettemmo a
ridere.
-Si
chiama Leon ed è mio socio al Club.- risposi osservando in
sua direzione.
Vedevo come parlava agilmente con Federico e Diego, era presente anche
lui, il
ragazzo che mi piaceva fin da quando avevo una decina d’anni.
Lui e Fede sono
come fratelli e quindi passavano molto tempo in casa nostra; mi ricordo
di
quando mi nascondevo dietro la porta della loro stanza e spiavo
ciò che
facevano. Ritornando a Leon, si stava divertendo e se lo meritava dopo
quello
che aveva passato tra ieri e oggi.
-Ti
piace tanto vero?- sentii la voce di Francesca abbastanza vicina al mio
orecchio, mi voltai di scatto e le sorpresi ad osservarmi
insistentemente.
-E’
carino, ma è troppo presto per dire se me ne sono innamorata
o meno.- risposi
semplicemente, prendendo il primo piatto e portandolo in tavola. Ci
sedemmo
tutti quanti; io e Fede a capo-tavola, vicino a me Francesca e Leon, e
accanto
a lui Ludmilla e Diego. Le ragazze avevano preparato un antipasto di
noci,
ostriche e salmone crudi. Amavo tutto questo, ma preferivo cenare con
una pizza
o con un hamburger. Era calato un silenzio, interrotto solo dalla
suoneria del
cellulare di mio fratello, sempre lui; anche quando cenavamo con la
nostra
famiglia non lo spegneva mai e si prendeva molti rimproveri da German e
mamma,
quanto mi mancavano.
-Pronto…
si, domani mattina… riferirò… buona
serata anche a te.- chiuse la telefonata e
sbuffò sonoramente.
-Che
succede?- domandò Ludmilla prendendo una forchettata di
salmone, accompagnato
da un pezzo di pane.
-Cose
di lavoro.- liquidò velocemente il discorso facendo ricadere
il silenzio a
tavola.
Appena
finita la cena, io e Leon andammo a passeggiare in giardino per
lasciare gli
altri da soli a parlare di affari loro.
-Piaciuta
la cena?- scherzai mentre camminavamo mano nella mano. Sembravamo due
fidanzati, ma non lo eravamo; almeno non credevo che lo fossimo.
-Non
so come fai a sopravvivere. Ma dico seriamente.- sorrise.
-Io
e mio fratello non siamo amanti della vita mondana, ma quando dobbiamo
dare
feste o cose del genere siamo costretti.- feci spallucce e mi sedetti
sull’erba, invitandolo a fare lo stesso.
-Sai
mi piace molto questo giardino.- disse guardandosi intorno. Presa non
so da
quale istinto, poggiai la mia testa nell’incavo del suo
collo. Lui mi cinse le
spalle con il suo braccio e, rilassata, socchiusi gli occhi. Leon mi
lasciò un
tenero bacio sulla fronte e accostò la sua con la mia.
-Dove
vivi?- non so perché gli feci quella domanda, ma lo volevo
sapere ad ogni
costo. Lui era rimasto da me per una notte e sapeva dove abitavo, ma io
non
sapevo nulla su di lui e sulla sua storia.
-T’importa
così tanto?- chiese, quasi rude. Alzai di scatto la testa e
l’osservai, era
serio e aveva la mascella contratta.
-Stai
scherzando?! M’importa perché siamo amici e sai
tutto di me, mi pare ovvio
conoscere qualcosa di te.- mi alzai e mi pulii i jeans sporchi di
terreno, e
iniziai a camminare verso l’entrata della villa, velocemente.
Sentivo i suoi
passi dietro di me, speravo che non mi raggiungesse perché
non volevo che mi
vedesse piangere, non volevo pensasse che fosse diventato importante
per me nel
giro di due giorni.
-Fermati
Vilu! Non volevo offenderti!- con uno strattone mi tirò
all’indietro e mi fissò
attentamente. Forse notò che avevo gli occhi lucidi, o forse
no; ma fatto sta
che mi abbracciò e io mi sfogai sulla sua spalla.
-Non
volevo risponderti così, è solo che non parlo mai
di me. Con nessuno. Non
vorrei che tu andassi via. Una cosa te la posso dire, abito a The
Glades.- la
sua voce s’incrinò
nell’ultima frase e
fu lì che capii i non dover andare oltre, il resto poi
sarebbe venuto da se.
-Grazie.-
disse e a quel punto, dopo esserci sorrisi, rientrammo in casa.
Federico
e Diego erano seduti sul divano del grande salotto e stavano vedendo
una
partita di calcio; entrambi erano patiti di sport, li seguivano tutti,
dal
tennis al calcio. Io invece odiavo l’attività
sportiva e mi ricordo che quando frequentavo
la scuola superiore durante l’ora di educazione fisica andavo
in giro per la
scuola. Ludmilla e Francesca, invece, erano nella mia stanza, lo capii
dal
biglietto che mi avevano lasciato: ‘Parliamone! Nella tua
stanza.’ Sorrisi e le
raggiunsi. Mentre camminavo Leon mi prese per i fianchi e mi
baciò, un bacio
dolce e casto.
-Mi
mancavano le tue labbra.-
A
quel punto non potei fare altro che sorridere e ribaciarlo a mia volta.