Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Iridia    24/04/2015    0 recensioni
A volte mi piaceva ascoltare e basta.
Osservavo come chiudeva gli occhi e come la sua espressione diventava improvvisamente malinconica non appena la musica riempiva l'aria.
Lo guardavo seguire il ritmo dondolandosi con la melodia, studiavo i movimenti delle sue mani, pensando a come fossero potute nascere in una forma così perfetta senza che conoscessero quel pianoforte.

Un vecchio pianoforte, l'ora di pace in cui Armin ed Erwin suonano per l'ultima volta.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin, Arlart, Irvin, Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stanza del pianoforte



Ogni volta che, dopo il tramonto, mi era concesso di entrare nella stanza del pianoforte, un'immensa calma mi pervadeva. Ero felice di chiudere la porta alle mie spalle, perché con essa ero in grado di chiudere, per poco tempo, ogni mia relazione con il mondo esterno. Ogni sera, bussavo tre volte ed una voce profonda e cordiale mi dava il permesso di entrare.

Tenevo gli occhi bassi per la maggior parte del tempo, raggiungevo la panca e prendevo posizione. Spesso, quando aspettavo che il Comandante mi raggiungesse, facevo scorrere le dita sui tasti consunti e li accarezzavo come per suonarli, senza applicare pressione.

Preferivo togliere la giacca dell'uniforme, sia per il caldo, sia perché mi ricordava della guerra che stavamo combattendo, e quella non avrebbe dovuto gravare su di me, almeno, non nella stanza del pianoforte.

«Vuoi suonare qualcosa in particolare oggi?» mi chiedeva il Comandante, ed io, come sempre, rispondevo dicendogli che qualunque brano avesse scelto, sarei stato contento di impararlo.

Mi raggiungeva dal suo studio; la stanza del pianoforte era adiacente e comunicava con esso tramite una porta di legno massiccio che il Comandante, una volta finita la lezione, chiudeva scrupolosamente a chiave. Alle pareti erano presenti biblioteche cariche di volumi, fogli e mappe, ed una piccola finestra dai vetri impolverati a volte lasciava entrare gli ultimi bagliori del tramonto, illuminando una parte della tastiera. Il pianoforte si trovava al lato opposto dell'entrata. Non avrei potuto dire quanti anni avesse, ma ipotizzai fosse in quella stanza da molti più anni di quanti non ne avesse il Comandante. Nonostante la differenza di età, però, sembravano pezzi di uno stesso ingranaggio. Le lunghe dita del Comandante, pallide come il legno che suonavano, sapevano come muoversi, trovavano la loro posizione sulla tastiera come l'avrebbero trovata tra le dita della mano opposta, e la sua figura alta e robusta, sembrava stranamente proporzionata allo strumento.

A volte mi piaceva ascoltare e basta. Osservavo come chiudeva gli occhi e come la sua espressione diventava improvvisamente malinconica non appena la musica riempiva l'aria. Lo guardavo seguire il ritmo dondolandosi con la melodia, studiavo i movimenti delle sue mani pensando a come fossero potute nascere in una forma così perfetta senza che conoscessero quel pianoforte.


Anche quella sera, bussai tre volte ed attesi una risposta.

«Entra pure, Armin.»

Lo vidi seduto alla sua scrivania, un gomito sul bracciolo, in mano un documento che era impegnato a leggere con attenzione.

«Arrivo subito, accomodati pure» disse sorridendo. La sua voce quella sera era molto più stanca di quanto non fossi abituato a sentire.

Come sempre mi sedetti sulla panca ed assaporai la calma del silenzio che precedeva la nostra musica. Nei raggi rossastri, la polvere, come pagliuzze d'oro, danzava lenta. Avrei sentito la mancanza di quei momenti, pensai. Ne ero certo. Una volta partiti in missione, la stanza del pianoforte non sarebbe stata altro che un bellissimo ricordo che mi avrebbe accompagnato dolcemente fino alla morte, che fosse avvenuta appena oltrepassate le mura o dopo dieci, trent'anni, da allora.

Gli spartiti che avevamo suonato la sera precedente erano rimasti al loro posto, la carta era strappata in più punti, piegata ed ingiallita, ma le note, scritte a mano con inchiostro nero, si leggevano bene.

Erwin chiuse la porta alle sue spalle e venne a sedersi vicino a me.

«Sei pronto?» A cosa si riferisse la sua domanda non potei dirlo; ero pronto a suonare per l'ultima volta? Ero pronto a partire per la missione? A dimenticare la realtà per un'ora, l'ultima, nonostante il mio cuore e le mie viscere fossero strette dalla paura? La mia risposta sarebbe stata negativa in ogni caso, ma per lui sorrisi, ricambiando il favore fattomi poco prima, e con più decisione di quanta immaginavo potessi fingere gli risposi: «Sì, Comandante.»

La potevo vedere anche nel suo sguardo, potevo vedere la malinconica sensazione della fine nei suoi occhi azzurri. L'espressione era meno dura del solito, non che l'avesse durante le nostre ore di musica, ma non potei fare a meno di notare che quella sera, sul suo viso vi era una tavolozza di emozioni diverse, che probabilmente sarebbero state impercettibili lontano dal pianoforte.

Scelse uno spartito che non avevamo mai suonato e che, notai, non aveva titolo. Non lo trovai difficile.

Avevo imparato velocemente e le mie parti venivano sostenute dalla bravura del mio maestro, così ,la nostra musica, sebbene interrotta raramente da un qualche mio errore, non risultava spiacevole.

Provammo i passaggi più difficili, mi diede consigli, e mi sorrise più spesso di quanto non fossi abituato a vedere. Ero lusingato delle attenzioni che mi rivolgeva, ma non più come un soldato meritevole o come un bravo scolaro, bensì come un ragazzo sotto gli occhi del padre, e da ciò ero spinto a fare del mio meglio.

«Che ne dici di suonarla per un'ultima volta?» mi chiese quando ormai il cielo si era tinto di viola, e nella stanza solo una candela rischiarava lo spartito e la tastiera.

Accettai, quasi sussurrando la mia risposata, in un vano tentativo di nascondere il dolore che quelle parole mi provocavano.

Silenzio. Poi, la nostra musica riempì la piccola stanza del pianoforte.

Riempì i nostri cuori per un'ultima volta. La melodia seguiva i miei pensieri, ne esprimeva la sofferenza, la paura, ma anche l'infinita tristezza. Vedevo le mie mani, diafane e sottili, collaborare con quelle forti e sicure del Comandante, in una danza che inesorabilmente scandiva il nostro tempo. Rallentammo, e le note si fecero più delicate, come il suono dei petali colpiti dalla pioggia. Quelle più alte e dolci ricordavano il canto solitario degli uccelli all'alba, e le lunghe pause sembravano sottolineare che ormai anche quella nostra ora si stava sgretolando sotto il peso del tempo.

Le note di Erwin si fecero più deboli; la pioggia stava finendo, e poco a poco si spense, finché rimasi io soltanto a suonare.

Erano le mie ultime battute, quelle più lente e più struggenti.

Erano le parole d'addio che non avrei mai detto.

Erano le lacrime che non avevo versato, una preghiera per il futuro di tutti noi.

E così, finii anch'io, la mano a pochi centimetri dai tasti e lo sguardo fisso su di essa. Mi accorsi di tremare.

Erwin si alzò, ed il suo tocco sulla mia spalla mi riscosse. Mi voltai, inconsapevole di avere gli occhi lucidi.

«Sei stato bravo, Armin.» Il suo tono paterno mi riscaldò il cuore. «Suoneremo ancora.»

«Grazie Comandante, non vedo l'ora» dissi con il mio sorriso più sincero sulle labbra. Senza più toccare la tastiera, mi alzai.

Guardai un'ultima volta la stanza del pianoforte, e con il mio silenzio, la salutai.

Fui l'ultimo a varcare la soglia.



 

Nota dell'autore: 
Ultimamente il tempo è un tema ricorrente nei miei scritti. Il tempo che sgretola e distrugge, cambia e deforma, che infonde vita ed uccide. Trovavo pesante ed inutile spiegare come la situazione qui descritta si fosse venuta a creare. Penso sia un elemento abbastanza soggettivo, ma essendo io ad aver immaginato la scena forse non sono la persona adatta per dirlo. Se siete arrivati a leggere fin qui e vi ha fatto schifo, o se vi è piaciuta, o se il modo in cui scrivo non è di vostro gradimento oppure vi ha interessato, o non vi ha fatto nè caldo nè freddo, per favore lasciate un commento facendomi sapere il perchè. Non ho bisogno di grandi papiri, ma soltanto di critiche costruttive, un po' come tutti qui ^_^
Grazie ancora <3

   
 
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