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Autore: Katie Who    25/04/2015    1 recensioni
[Seguito di: Promise me you'll come back]
La storia è ambientata nel post 4x10 di TVD e si sviluppa prendendo spunto dagli eventi di The Originals pur non seguendone esattamente l'ordine temporale.
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"L’ultima cosa che Kol vide prima di sentirsi andare in fiamme il cuore e tutto il resto, fu la faccia di suo fratello Nik, attonito, appena arrivato davanti alla porta dei Gilbert, ma ormai troppo tardi. Si chiese se suoi fratelli avrebbero sentito la sua mancanza o se lui avrebbe sentito la loro. In quanti atroci modi avrebbero distrutto le vite di Elena e Jeremy vendicando quello che gli avevano fatto?"
E se invece ci si trovasse costretti a guardare i propri fratelli vivere perfino meglio di prima? Chi può soccorrerti quando è il tuo stesso sangue a ripudiarti?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Klaus, Kol Mikaelson, Nuovo personaggio, Rebekah Mikaelson
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Family Don't End With Blood.'
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Capitolo 24 – Family don’t end with blood
 
 
 
 



 
"Le cose sono unite da legami invisibili; non puoi cogliere un fiore, senza turbare una stella"
Galileo Galilei.
 






Il mattino dopo Mattia si era svegliato come nulla fosse,  lui e Mia erano usciti a fare colazione tornando in tarda mattinata felici come due idioti.
«Non si è ancora svegliata?» - domandò il ragazzo vedendo Janelle ancora stesa nel letto.
«No, l’abbiamo nutrita per endovena, ma probabilmente si tratta della stessa roba che hanno dato a me e mi ha tenuto buono per un paio di giorni.» - gli rispose Andrev. Pulito, con la barba fatta, i capelli pettinati e dei vestiti nuovi, era tornato ad essere il solito ragazzo di sempre.
«Portiamola con noi.» - propose Mia. Voleva tornare a casa il prima possibile, la mancanza delle sue due piccole pesti iniziava a farsi sentire. - «Hai chiamato Fra?»
«No…»
- rispose il ragazzo assumendo la sua solita espressione beata al solo sentir nominare la ragazza. - «Probabilmente mi ucciderà.» - lei e Mattia risero, mentre Dimitri prendeva posto insieme a loro intorno al tavolo.
«Quindi adesso?» - chiese Mia.
«Adesso…» - le disse Kol. - «Ci prepariamo a partire.»
«Non era quello che intendevo!»
- lo riprese lei.
«Lo so.» - rispose lui sorridendo.
«Dimitri è riuscito a prendere gran parte dei documenti di Sebastian, prima che la casa crollasse.» - disse Andrev. - «Li farò esaminare al Consiglio e-»
«Cosa pensi di trovarci?»
- gli domandò Mattia.
«Sicuramente degli interessanti studi biologici e staremo a vedere che altro.» - Andrev si era alzato e si era infilato il suo giacchetto blu notte. Era il momento di andare finalmente. Kol sollevò Janelle ancora svenuta portandola alla macchina. Quando tutto fu sistemato finalmente poterono partire.
«E’ venuta solo per te.» - sussurrò Mia nell’orecchio di Kol.
«Suppongo di doverle essere grato.» - biascicò lui.
«Che hai?» - gli domandò Mia mentre Andrev si fece aggiornare da Dimitri su quanto successo al Consiglio.
«Niente.» - rispose Kol continuando a guardare dritto davanti a lui.
«Sei arrabbiato?» - lei era maledettamente insistente e lui sapeva mentire sempre peggio.
«No.» - ma continuava a provarci.
«Non è vero sei arrabbiato hai il tuo tono da “non rompetemi le palle!”» - disse lei accennando anche una sorta di imitazione della sua voce. Si girò nel sedile per guardarla, con un sorriso a metà fra lo stanco per tutta quell’insistenza ed il divertito.
«Allora non rompermi le palle.» - disse e la mano di Mia gli scivolò fra i capelli, scendo poi a pizzicargli la guancia.
«Se mio fratello fosse sveglio darei fastidio a lui…» - ed era sicuro che l’avesse detto di proposito per farglielo svegliare. La testa di Mattia ciondolava di lato finendo quasi con l’appoggiarsi alla spalla scoperta di Janelle.
«Allora sveglialo.» - disse lui tornando a sedersi composto sul sedile.
«Prima dimmi perché sei arrabbiato.» - e perché adesso lei si stava comportando come una bambina petulante? Perché gli passava le mani nei capelli, poi sul viso, scivolandogli sul collo, nel vano tentativo di fargli il solletico.
«Non sono arrabbiato! E tu sei fastidiosa!» - ribadì lui imprigionandole le mani, resistendo all’impulso di baciargliele. Le tenne bloccate nelle sue, in quell’abbraccio impedito dal sedile.
«Speravi che venisse Rebekah?» - aveva un talento nel leggere dentro alle persone. Kol sorrise, per fortuna Andrev e Dimitri erano presi dal loro discorso e non stavano ascoltando lo stillicidio a cui Mia aveva deciso di sottoporre Kol.
«Perché?» - domandò incuriosito da quale giro perverso avesse fatto la sua mente per arrivare a quella conclusione. Giusta, ma che lui non avrebbe mai ammesso.
«Perché se io venissi rapita, mi incazzerei se mio fratello non cercasse di aiutarmi.» - non era poi un ragionamento così complesso. Anzi, era per certi versi elementare. - «Inoltre sono sicura che tu saresti andato per lei.» - era un bene che lei fosse sul sedile dietro e lui su quello davanti perché almeno non lo guardava negli occhi. Se per lei era così facile muoversi all’interno del labirinto dei suoi pensieri, pur non guardandolo, temeva cosa avrebbe potuto scoprire se solo i loro occhi si fossero incontrati. 
«Credi che sia così ingenuo da pensare che uno qualunque di loro sarebbe venuto?» - si se lo aspettava e sentirlo ancora così rancoroso nei confronti dei suoi fratelli gliene dava conferma. - «Non funziona così nella mia famiglia. Non sono uno dei fratelli di serie A, nessuno viene a salvarmi.»
«Se tu guardassi Supernatural sapresti una cosa molto importante.»
- disse lei ritirando le mani da quelle di lui. - «La famiglia non finisce col sangue. Che nel tuo caso non significa che devi ammazzarli tutti, ma semplicemente che-»
«Ho capito, Mia. Ho capito.»
- non aveva la più pallida idea di cosa fosse Supernatural, ma aveva intuito che stava per dirgli qualcosa di profondo e che lui non avrebbe capito.
«No che non hai capito!» - continuò lei. Ed aveva di nuovo alzato la voce di un’ottava costringendo Dimitri ed Andrev a tacere. - «Non me ne sarei mai andata senza voi due.» - disse intercettando lo sguardo dell’amico al volante dallo specchietto retrovisore. - «Fate parte della famiglia che ho scelto. Quindi non hai il diritto di essere arrabbiato davanti a me!» - quello era il punto. Per qualche strana ragione in quel momento Mia non aveva voglia di vedere visi tristi o pensierosi, voleva vederli allegri. E lei doveva sempre controllare tutto, doveva far andare tutto come voleva. O forse lui stava sminuendo quello che aveva appena sentito, perché non era abituato a sentirsi importante, veramente, per qualcuno. Andrev aveva allungato la mano indietro accarezzandola in un gesto di una infinita dolcezza. Loro che insieme avevano pianto Thomas, che si erano allontanati e ritrovati, lui che aveva imparato a convivere in mezzo a quelle quattro ragazze così unite da sembrare un’unica persona ed allo stesso tempo così diverse l’una dall’altra. Lui che quella sua seconda occasione per vivere stava cercando di farla fruttare al meglio, che si era innamorato di una come Francesca, della creatura più buona che avesse mai incrociato il suo cammino, che lavava via con la sua luce le ombre del suo passato facendolo accettare e migliorare. Lui che come Kol non era mai stato parte di niente e si era ritrovato ad essere inglobato in un tutto asfissiante. Loro che lo avevano accettato in quelle vite, al punto da dargli il potere di distruggerle semplicemente mancando. Loro erano la sua famiglia, l’unica che avesse, Mia, Thomas, Lisa, Monica, Francesca, Veronika, ed Eric erano stati la sua vita e poteva solo immaginare quanto si fosse spaventata Mia sapendolo prigioniero. Perché lui avrebbe dato di matto.
Per Kol era diverso, lui continuava a tenerli a distanza, pur immergendosi in quel mare di affetto che la vita di quella ragazza portava con sé. Si lasciava toccare solo da lei, permetteva solo a lei di avere un ruolo ed un valore ai suoi occhi, non era stato abbastanza dentro quel mondo per affezionarcisi al punto da non volerlo lasciare. Forse Rebekah avrebbe saputo spiegarglielo meglio cosa significava essere parte di quella famiglia allargata. Significava esserci, esserci senza chiedere, senza dubitare. Era la fiducia di Monica e Francesca nel dare consigli a Mia intuendo che qualcosa non andava, era Lisa che continuava a chiamarlo ogni giorno anche se lui non le rispondeva. Era prendersi cura l’uno dell’altro anche quando non sai cosa fare. Era perdonarsi gli errori, come loro avevano fatto con lui, era non giudicare, come era stato fatto con Rebekah alla quale avevano aperto le porte delle loro vite per far crescere al sicuro la piccola Hope. Era una qualcosa di molto lontano dalla vita solitaria che sono condannati a vivere i vampiri e che avrebbe fatto veramente tanto bene a Kol, alla sua perenne convinzione di valere meno degli altri. E proprio per quello si rifiutava di soffermarcisi troppo. Perché c’erano secoli e secoli di esperienza a ricordargli che permettersi di tenere veramente a qualcosa, significava solo accelerare la sua distruzione. Quindi Kol non le rispose, continuò a starsene zitto, a voltarsi indietro solo per controllare se Janelle aveva ripreso conoscenza. E quando in lontananza videro Roma, tutto sembrò tornare a posto. Mia non vedeva l’ora di rivedere i bambini e le ragazze e tutta la sua attenzione si catalizzò su quel pensiero, lasciando finalmente Kol libero di avere l’aria cupa e girata che voleva.
«Ci lasciate a casa?» - disse Mattia a Dimitri.
«Si è di strada.» - rispose il ragazzo. Un suo braccio erano due di Kol, Mia lo stava notando adesso che si erano tutti tolti i maglioni a maniche lunghe restando con le braccia scoperte.
«La mia macchina dovrebbe essere ancora al Consiglio…» - si ricordò d’averla lasciata lì la mattina che era partita. - «Vado a prenderla e poi passo da mamma e papà a riprendere i bambini.» - disse al fratello che era sceso e si dirigeva verso il loro portone. Alzò lo sguardo verso la finestra della sua ex camera, la stessa che anche Kol ricordava bene, i bambini dovevano averli messi lì a dormire.
Arrivarono al palazzo del Consiglio alle sette e trentadue, l’orologio digitale attaccato alla parete nell’ingresso illuminava a giorno l’intera sala. Le guardie del piano terra aiutarono Dimitri a portare Janelle nell’infermeria ed Andrev dopo aver dato degli ordini ad un’altra squadra lì seguì. I primi piani non riportavano segni della visita di Ivan, quindi Mia non si accorse e non sospettò nulla. Se solo fosse salita su ed avesse visto il piano dell’ufficio di Andrev fatto a pezzi, forse si sarebbe fatta qualche domanda. Kol aveva tirato fuori dal porta bagagli lo scatolone in cui aveva infilato la testa di Clarissa.
«Mi dai uno strappo dalla Reggente?» - le disse seguendola nel parcheggio.
«Devi proprio farlo?» - gli domandò buttando un occhio in direzione del parcheggio di Monica, ma la ragazza non era ancora arrivata. Strano di solito era sempre lì prima delle otto.
«Mi piace mantenere la parola…» - disse divertito. - «Eccola lì.» - le indicò la sua macchina.
«Si quando ti pare a te!» - rispose lei facendo scattare l’allarme. - «Se lasci qui la scatola potresti accompagnarmi a riprendere Cloé e Liam dai miei e poi fare colazione con noi.» - l’idea di infastidire quel piccolo viziato di Liam non era male. Ma cosa poteva battere la faccia di una madre che si vedere recapitare la testa della figlia?
«No, grazie.» - rispose aprendo uno degli sportelli.
«Allora te ne vai a piedi.» - Mia usò la magia per richiudergli lo sportello ed allontanarlo dalla macchina. Per qualche ragione se l’era presa, non che avesse mai veramente creduto che uno come Kol potesse lasciar perdere quel sadico passatempo per un po’ di banale vita quotidiana., però…

►Mi sono presa cura di tuo fratello.

Inviò il messaggio a Rebekah mentre aspettava che sua madre le andasse ad aprire la porta. Mattia aveva in braccio Cloé mentre Liam se ne stava sul seggiolone a giocare con un pupazzo. L’unico a reagire quando la videro fu proprio il bambino che iniziò a piangere allungando le braccia verso di lei per farsi prendere in braccio.
«Amore mio, ti è mancata la mamma?» - disse sollevandolo con qualche fatica. Stava iniziando a diventare troppo pesante. - «Quella sciagurata di tua sorella nemmeno mi guarda se c’è lo zio.» - continuò baciando la guancia rosea, morbida e leggermente umida del piccolo.
«Resti per pranzo?» - le domandò sua madre.
«No!» - risposero in coro sia lei che Mattia.
«Dove vai?» - domandò poi lei al fratello.
«Pensavo di passare al Consiglio per vedere come sta quella ragazza.» - rispose lui lasciando andare la bambina sul tappeto.
«Non c’è niente da vedere, sarà incosciente per qualche giorno e poi puff come nuova.» - disse allungandosi sul divano fino a raggiungere con le gambe suo fratello.
«Da quanto sapevi che stava con qualcuna?» - improvvisamente il soggetto della loro conversazione era mutato, ma Mia aveva la netta sensazione che in realtà fosse sempre stato quello il punto che Mattia voleva raggiungere.
«Da New Orleans.» - rispose con gli occhi chiusi e la testa abbandonata sul bracciolo del divano.
«E’ una cosa seria allora…» - e lo disse senza preoccuparsi minimamente di nascondere il suo disappunto.
«E’ pericolosa Mat. E non è affatto una bella persona.» - disse sperando che questo bastasse a distogliere i pensieri del fratello dalla vampira.
«Non era di me che mi stavo preoccupando.» - si guardarono per qualche istante.
«Sei serio?» - chiese lei.
«E tu?» - li interruppe il pianto di Cloé che si era data in testa uno dei cofanetti di DVD appoggiati accanto alla televisione.  

Bekah: Grazie.

La risposta le era arrivata mentre cullava la bambina cercando di farle interrompere quel pianto dirotto.
«Allora io esco a fare un giro di spesa, ritrovo qualcuno quando torno?» - domandò la madre prendendo la borsa.
«Noi andiamo via adesso.» - disse lei salutandola.
«Tu chiudi la porta a chiave se esci, mi raccomando!» - aggiunse ancora la donna riferita a Mattia. Era bello essere tornati a casa. Mattia avrebbe dovuto cominciare a cercarsi un lavoro e Mosca, se mai gli fosse nuovamente capitato di doverci andare, l’avrebbe visitata come turista. Francesca avrebbe punito Andrev solo per poi farci pace, Lisa sarebbe tornata fra qualche settimana e così anche Veronika.
Se solo non le fosse mancato Eric come l’aria, probabilmente Mia avrebbe anche potuto essere veramente felice. Ma c’era ancora quella faccenda in sospeso, doveva e voleva farla pagare ai capo branco che si erano alleati con i vampiri per uccidere Eric. Sarebbe stata paziente, avrebbe lasciato ad Andrev  il tempo di esaminare i documenti di Sebastian, avrebbe continuato a sopravvivere con quel dolore nel frattempo. Perché tanto conosceva fin troppo bene il sapore della vendetta, è appagante e soddisfacente, ma incapace di darti ciò che veramente vuoi.
Del tutto randomicamente le venne in mente che non aveva più avuto notizie da Bonnie, non sapeva come avessero risolto i problemi con l’Altro Lato. Ogni volta che aveva provato a chiamarla non rispondeva mai c’era sempre la segreteria. Poteva significare tutto e niente, ma sicuramente non qualcosa di buono. Qualcosa doveva aver bloccato l’incantesimo dei Travelers per eliminare la magia, perché lei non aveva avuto alcun problema, ma Tessa era stata chiara, niente e nessuno avrebbe potuto salvare l’Altro Lato. Eric e Thomas erano in salvo nel Limbo insieme alle sue antenate, così come Cloé aveva voluto, forse anche Bonnie era finita lì? Perché non le venivano in mente altre opzioni, Bonnie era l’Ancora se l’Altro Lato era andato distrutto allora anche lei era stata inghiottita. Prese il telefono e controllò meccanicamente la lista dei contatti su tutte e diecimila le applicazioni per la messaggistica istantanea che aveva. Niente era cambiato, i profili di Bonnie era inquietantemente invariati. Il fatto era che se anche fosse riuscita ad entrare nel Limbo come avevano fatto Thomas ed Eric, adesso come poteva tirarli fuori? Aveva smesso di chiedersi se fosse sano continuare a restare così fortemente legata a qualcuno che ormai non c’era più. Aveva smesso di chiederselo l’esatto istante in cui Thomas era morto, perché sapeva che non avrebbe mai accettato quella perdita. Non era capace di accettarla, la vita ti predispone a veder venire meno le persone che ti precedono, i suoi nonni ad esempio, ma c’era troppo di incompiuto nella vita di Thomas per riuscire a lasciarlo andare. Ed era un discorso assurdo trattandosi di un vampiro, ma era così. Lo stesso valeva per Eric che se ne era andato senza poter veramente vivere la gioia della famiglia che aveva sempre desiderato, dopo aver fatto così tanto per lei. Aveva avuto paura di perdere anche Mattia durante quelle giornate a Mosca, ma era stata una paura trascurabile perché nella più totale delle follie e nella completa incontrollabilità Kol era la persona più sicura con cui potesse trovarsi in pericolo. E mentre sistemava i bambini nei box una volta arrivata a casa, lui portava ad una donna stanca e provata dagli anni e da una malattia che si faceva sempre più forte, la testa mozzata di una figlia che non vedeva da troppo tempo.
La Reggente era troppo saggia per prendere quel gesto come la mera provocazione che sembrava. Sapeva come Kol preferiva esprimersi, più che a parole con i fatti ed i suoi fatti solitamente erano minacce. Ciò che quella testa rappresentava era un avviso, un ultimatum. Le stava dicendo che se non era più in grado di tenere le streghe sotto controllo, doveva passare il testimone. Questo perché lui sarebbe rimasto lì, così come sua sorella e la loro nipotina ed allora quel luogo doveva essere il più sicuro possibile. Sua figlia non aveva mai avuto simpatia per Mia, dal suo punto di vista non era mai riuscita a comprenderne la ragione. L’aveva mandata a scuola con lei per otto anni e forse un ruolo fondamentale in quell’antipatia l’aveva giocato proprio lei. Chiedere troppo spesso di una compagna di classe, può suscitare una gelosia profonda in una bambina di appena sette o otto anni. Clarissa era sempre stata molto sveglia, fin troppo, per non accorgersi delle speciali attenzioni che sua madre e tutti gli altri genitori rivolgevano a quella bambina. La assecondò quando scelse di non frequentare lo stesso liceo di Mia, la assecondò meno quando decise di troncare i rapporti con quella ragazza, lasciando così che lei si facesse amicizie completamente estranee al loro giro di controllo. Quella ribellione adolescenziale era costata molto lavoro extra a diversi membri della congrega. Assicurarsi che Francesca prima e Lisa e Monica poi, non fossero in realtà un pericolo, richiese innumerevoli sforzi. Tutti evitabili se solo Clarissa avesse adempiuto al compito che le era stato affidato.
Oggi avrebbe potuto vederla felice, viva, intera, ed invece c’era la sua testa mozzata, con gli occhi bianchi ed i capelli scompigliati, appoggiata sul tavolino del salotto. Era la sua unica figlia, colei che avrebbe potuto ereditare il suo posto quando sarebbe giunto il momento ed invece con quell’atto di ribellione aveva firmato la sua condanna a morte, lasciando la strada spianata proprio alla ragazza che tanto le era antipatica.
Non era stato semplice vederla allontanarsi dalla comunità e stringere rapporti con i vampiri. Diede l’ordine di cattura, quando scoprirono che vendeva ai vampiri informazioni su Mia ed era stato uno dei giorni più brutti della sua vita. Forse anche lei aveva firmato la sua condanna quel giorno, perché quando dai la caccia ai tuoi stessi figli smetti d’essere un genitore, per diventare un mostro. Qualcosa che Kol capiva fin troppo bene e che lo aveva motivato ancora di più in quel gesto così tremendamente brutale ed irrispettoso. L’ultima volta che la Reggente aveva visto Clarissa risaliva a circa sette anni prima, ferita, sanguinante, sporca, simile a come la rivedeva oggi, ma allora c’era stato Sebastian a salvarla, a portargliela via ad impedirle di infliggere alla sua bambina il colpo di grazia. A tenerla al sicuro in quella fortezza inespugnabile, ad insegnarle chissà quale diavoleria, ad approfittarsi delle sue capacità. Ma nonostante tutto questo, infondo al cuore doveva ammettere che Sebastian era stato per sua figlia una figura molto più rassicurante di quanto non lo fosse mai stata lei. Perché Clarissa era la strega più dotata che quella comunità avesse mai ospitato fra le sue fila. Aveva sviluppato i suoi poteri in tenera età ed era riuscita a padroneggiarli senza alcuna difficoltà. Ad otto anni era già al livello avanzato di studio della magia, capace di affrontare e sostenere incantesimi che potevano mettere in seria difficoltà anche lo stregone più preparato ed esperto.
Se la profezia non fosse mai esistita, se Mia non avesse mai risvegliato i suoi poteri, se la loro missione non fosse mai stata quella di proteggerla, Clarissa sarebbe stata considerata un fenomeno. Purtroppo la storia aveva voluto che gli occhi e le aspettative di tutti fossero sempre concentrati sulla bambina che sedeva tre banchi dietro di lei. Il suo cuore di madre, la perdonava e comprendeva, ma come Reggente di quella comunità non avrebbe mai potuto lasciar correre il suo tradimento. Forse era davvero tempo di lasciare a qualcun altro quelle responsabilità, quel peso, quel fardello che lei aveva sostenuto sufficientemente a lungo. Forse ora che accarezzava il cranio della sua bambina perduta, poteva lasciarsi morire sperando di rincontrarla nell’al di là. Kol non aveva detto una parola quando aveva consegnato il pacco, aveva citofonato, aveva atteso che lo invitasse ad entrare, aveva  bevuto il tè ed infine aveva appoggiato quella scatola sul tavolo e se ne era andato. Non aveva avuto bisogno di dire nulla, erano sufficienti i suoi sguardi, i gesti decisi, l’aura intimidatoria, per far si che la minaccia scivolasse fuori. Come il migliore dei predatori non ha bisogno di grandi spettacoli per catturare la preda, Kol non doveva dire nulla per intimorire chiunque avesse davanti. Lei aveva appreso con riluttanza e sdegno la notizia del suo ritorno in vita, da qualunque angolazione si affrontasse la questione, per una qualunque comunità, di streghe, di lupi o di umani, era sempre meglio che vi fosse un Originario in meno piuttosto che uno in più. Fortunatamente quell’infausta notizia l’aveva raggiunta insieme a quella della prematura morte di Silas. Era stata proprio Mia a chiederle di sciogliere l’obbligo della comunità verso la sua famiglia, dal momento che Silas non rappresentava più un pericolo. Ed era aspramente ironico che fosse stata proprio lei ad insistere affinché nulla cambiasse. La ragazza per cui sua figlia aveva tradito la comunità, le aveva proposto di fare l’unica cosa che forse l’avrebbe convinta a tornare sui suoi passi e lei, sua madre, aveva rifiutato quella proposta. Per secoli centinaia e centinaia di streghe si erano unite nella comunità sulla spinta di quella profezia. Non era soltanto questo, lo dimostrava il fatto che nessuno, eccetto Mia, aveva mai avanzato o ventilato al possibilità di sciogliere quel tacito accordo. La profezia era diventata l’identità stessa di quella comunità, prescindeva da Mia e dai suoi desideri, quel patto legava insieme generazioni e generazioni di streghe, permeava le fondamenta di quella comunità, come una Costituzione quelle di uno Stato. E sempre lei, sempre quella bambina che non aveva mai dimostrato alcun talento nella magia, improvvisamente aveva trascinato davanti a lei un giovane vampiro e cominciato a parlare di Accordi. Quanta energia, entusiasmo e slancio metteva in quell’idea che avrebbe dovuto permettere a tutti loro di vivere in pace ed al sicuro. Era pronta a sciogliere il patto che aveva creato la comunità nella quale era cresciuta per stringerne un altro, rischioso, pericoloso ed avventato. Sino a quel momento le era sempre rimasto oscuro e nebbioso il motivo per cui avesse assecondato Mia, adesso invece le era fin troppo chiaro. Sin da quando ne aveva memoria, la nascita di quella bambina era stato tutto ciò che la comunità avesse mai desiderato, ed ora avevano bisogno di nuovi desideri. Avrebbe voluto che ci fosse stata sua figlia, davanti a lei quel giorno a proporle di stringere folli alleanze con razze da sempre loro nemiche, ma sua figlia la guardava adesso, con gli occhi della morte. Occhi nei quali si specchiava e nei quali leggeva la sua consapevolezza più profonda. Quella comunità doveva andare avanti, aveva bisogno di nuovi obbiettivi, doveva trovare nuovi risultati per restare unita e Mia aveva tanti sogni, tante aspettative, tante idee.
Come Reggente lei apparteneva ad un retaggio, ad una cultura, ad un modus vivendi, che andava abbandonato ormai; quella comunità aveva bisogno di qualcuno di nuovo, di dinamico, di giovane, di capace di lottare per il bene comune, non solo per quello di una singola persona. Mia in quello si era dimostrata capace, coraggiosa, spericolata, non aveva esitato un istante nell’incontrare il capo della fazione dei lupi per avanzare quelle proposte. Perché ci credeva veramente, perché stava lottando al fianco di un amico, quel vampiro per lei era semplicemente questo: un amico. Quel legame, quella fratellanza, quel sostenersi a vicenda erano il primo mattone per la costruzione di un qualcosa, che per lei era incomprensibile. Lei veniva dagli anni della repressione, della guerra, del terrore del Consiglio. I vampiri non erano amici, erano il pericolo, erano gli aguzzini di tutte le persone a cui lei avesse mai tenuto. Quel risentimento era il freno che rallentava un cavallo da corsa pronto a partire. Anche quando era tornata cambiata, nuova, fragile e più forte allo stesso tempo, quella ragazza aveva sempre spinto affinché quel progetto andasse in porto. Era il momento di togliere le briglie a quel cavallo, di lasciargli assaporare la corsa.
Molti anni prima suo padre, il precedente reggente della comunità, le aveva detto che lei avrebbe visto avverarsi la profezia, che ne era sicuro. Allora le aveva prese solo come le aspettative di un uomo che ha dedicato la sua intera vita alla costruzione di una comunità in attesa dell’avverarsi di un qualcosa di impossibile. Aveva continuato a pensarla così, fino a che quelle stesse responsabilità non erano ricadute su di lei ed allora aveva capito che c’era bisogno di credere in quella profezia per riuscire ad andare avanti. Con la stessa sicurezza e chiarezza con cui lui le aveva predetto l’avverarsi della profezia adesso lei vedeva avvicinarsi l’orizzonte del suo cammino. Il nodo di dolore alla bocca dello stomaco si stringeva ad ogni respiro di quell’odore pungente e sgradevole che il macabro regalo aveva iniziato a rilasciare da quando l’aveva tirato fuori. Era quello il degno coronamento della sua vita? Sicuramente era il giusto prezzo per aver dato la caccia alla sua stessa figlia. Secondo le regole della comunità il suo spirito non avrebbe dovuto riposare in pace con i suoi antenati. Sarebbe dovuta essere bruciata in un terreno sconsacrato, così che nel tempo se ne perdesse memoria. Ma quell’ultimo sgarbo non poteva permetterlo. Aveva ancora quell’unica ultima speranza di rincontrarla in un’altra vita, in un'altra realtà, di ricongiungersi a sua figlia e a tutti coloro che l’avevano preceduta. Sarebbe stata seppellita nella cappella di famiglia, avrebbe dato pace al suo spirito, l’avrebbe affidata alle cure di suo padre in attesa che finalmente anche la sua ora si decidesse ad arrivare.
 
Mia aveva finito di dare la cena ai bambini, fra poco avrebbero compiuto undici mesi ed ormai a lei sembravano già grandi. Liam se ne stava seduto a terra a premere i pulsanti del telecomando, doveva aver capito che era quello l’oggetto magico per far muovere le immagini nella tv, mentre Cloé era con lei sul divano a sentirla parlare. Non stava dicendo nulla di sensato per la verità, le parlava di tutto quello che c’era intorno, le diceva che il suo papà la stava sicuramente guardando. Era un discorso distratto, disturbato dal volume altalenante della tv che Liam ormai padroneggiava come il più navigato dei telefili. Era in quel salotto assumendo posizioni incredibili nel tentativo sia di non far cadere Cloé dal divano, si di cercare di sottrarre a Liam il telecomando con cui la stava facendo diventare pazza.
«Amma.» - fu peggio del colpo della strega, ma meglio di un cubetto di ghiaccio che scivola sulla schiena. Si voltò verso la bambina sorridente che aveva iniziato a mordersi le mani. La fissò per qualche istante, incerta di ciò che aveva appena sentito, forse era un suono che si era creato per caso.
«Amore…» - le disse con un filo di voce, attirandone l’attenzione mentre Liam cercava di arrampicarsi su una sua gamba per riprendersi lo scettro del potere ingiustamente sottrattogli. - «Cosa hai-?»
«AMMA!!!»
- stavolta lo urlò. Chiaro, deciso, divertito. L’aveva appena chiamata. La sua bambina aveva appena detto la sua prima parola. La prese in braccio cominciando a farla dondolare in aria.
«Ancora, amore, dillo ancora!» - guardava la sua piccola dritta nei grandi occhietti vispi e quella le sorrideva divertita da tutto quel movimento e rumore. Il fratello invece sembrava meno contento dell’improvvisa mancanza di attenzioni che la madre rivolgeva a lui e le osservava dal pavimento. - «Papà, dì p-a-p-à.»
«Ammà.»
- ed era bellissima in quel persistere. L’avrebbe voluta registrare ed inviare subito alle ragazze ed ai suoi. Perché era un suono bellissimo quello della sua voce. Era delicato, dolce, stridulo, un po’ snob per certi versi. Anzi in realtà non lo sapeva nemmeno lei come poteva descrivere quella vocina, perché non c’erano parole abbastanza dettagliate per farlo.
«Già rompevano prima pensa adesso che parlano!» - non lo aveva sentito arrivare, come accadeva quasi sempre. Kol era appoggiato alla porta finestra che dava sulla piscina, era un po’ una delle sue pose preferite, perché infondo lo doveva sapere che il riverbero freddo dell’acqua alle sue spalle in contrasto con quello caldo delle luci della casa, lo facevano apparire come un quadro ottocentesco, rendendolo decisamente affascinante.
«Quando sei arriv-» - era una sensazione nuova per lei venir interrotta da sua figlia.
«Ol.» - e questa volta fu peggio di un colpo della strega, di un cubetto di ghiaccio nella schiena, di una coltellata nello stomaco, di un ragno che si muove sulla parete della camera da letto nel cuore della notte di cui vedi solo l’ombra… No nulla è peggio di un ragno.
Non aveva ammutolito solo lei, ma anche lui. Lo fissò aspettando che facesse qualche battuta idiota, qualche cosa del tipo che lui le donne le conquista già da quando sono in fasce, ma invece se ne stava zitto esattamente come lei. Kol si era sentito chiamare in tanti modi nel corso dei secoli, il suo stesso nome era stato pronunciato da un’infinità di persone, con accenti e toni diversissimi fra loro. Ma non era mai stato la seconda parola di qualcuno. Non era stato mai fra i primi nomi che qualcuno avesse chiamato, non con quella tenerezza, non con quegli occhi puntati addosso a scavare in quel pozzo di oscurità con la loro ingenuità, non con quelle mani umide di saliva a  protendersi per venir prese proprio da lui. E cosa aveva fatto per meritarselo? Cosa permetteva a quella piccola, morbida e zuccherosa creatura di chiamarlo con così poco timore e pretendere da lui qualcosa? Si scambiò con Mia uno sguardo che nessuno dei due seppe interpretare, fatto sta che lei gli lasciò prendere la bambina.
«Devono dormire?» - le chiese con Cloé che sbadigliava proprio davanti alla sua faccia.
«Si.» - era ancora leggermente sotto shock, più per il fatto che Kol si astenesse dal fare commenti idioti che dal resto. D’altra parte sua figlia non poteva averlo veramente chiamato, non erano le sue prime parole, stava solo facendo suoni. Si, doveva per forza essere così. Ma era altrettanto ovvio che se Kol si lasciava sfuggire quell’occasione per fare del sarcasmo, c’era qualcosa di strano.
«Starò da Bekah stanotte.» - glielo disse mentre salivano al piano di sopra.
«Va bene.» - rispose entrando nella stanza dei bambini. - «La Reggente?»
«Fatto.»
- sorrise mentre le rispondeva. Il suo pessimo regalo doveva aver avuto sulla donna l’effetto che lui desiderava.
«Immagino che sarai soddisfatto della tua bravata.» - Liam era quello con più difficoltà nel prendere sonno, mentre Cloé era crollata fra le braccia di Kol senza neppure il minimo sforzo.
«Sbaglio o fra poco ci sarà la luna piena…» - doveva aver fatto pratica con Hope quando era piccola perché il modo in cui aveva steso Cloé nel lettino rimboccandole le coperte, sapeva di esperienza.
«Già, per qualche giorno sarò più intrattabile del solito.» - durante le notti di luna piena sentiva più forte che mai l’istinto a trasformarsi, per quello risultava essere più nervosa del normale, soprattutto se per qualunque ragione non poteva assecondarlo.
«Potrebbero esserci altri attacchi.» - le disse Kol. - «Ad Andrev ci vorrà del tempo per sistemare le cose.»
«E quindi? Vuoi che ti chieda di restare per proteggermi?»
- gli domandò invitandolo a seguirla nel corridoio mentre cullava Liam che non aveva alcuna intenzione di addormentarsi. - «Puoi andartene dove ti pare, fare ciò che vuoi, perché dovresti esaudire una mia richiesta?»
«Perché sembri volerlo veramente molto.»
- le rispose sicuro.
«Non tante persone hanno le libertà che hai tu...» - ammise a mezza bocca.
«Vorresti scappare?» - le domandò. Dovevano essere rari, ma esistevano i momenti in cui perfino Kol Mikaelson riusciva a leggere dentro le persone e ad essere serio senza rovinare tutto con la sua insopportabile sfacciataggine.
«Non lo vogliono tutti?» - domandò lei di rimando.
«Due bambini possono impedirti tante cose…» - aveva fatto pendere la testa da un lato e la guardava così, storto. - «Non ti ho mai sentita parlare di famiglia… Sai ai vecchi tempi, quando ci siamo conosciuti...»
«Dove vuoi arrivare?»
- chiese continuando a passeggiare intorno alla rampa delle scale.
«Com’è successo?» -aveva la sensazione che in realtà lui sapesse già, o avesse immaginato, chissà come, tutto. - «E non fare battute idiote perché sai cosa intendo.» - lui che lo diceva a lei era il colmo, però effettivamente l’idea di zittirlo con l’umorismo che di solito era lui ad usare come arma, l’aveva sfiorata.
«E’ successo e basta.» - rispose. - «Non era stato programmato o deciso, quindi se vuoi puoi anche pensare che in realtà non li volessimo…» - continuò guardando il piccolo Liam lentamente addormentarsi. - «Ma se così fosse stato, non sarebbero qui ora..»
«Li hai tenuti per Eric?» - Kol le faceva l’immensa cortesia di chiamarlo per nome e non cane, bestia o animale, stava veramente affrontando seriamente quel discorso.
«Sono i miei figli, li ho tenuti per me stessa prima che per chiunque altro. Sicuramente lui è stato più euforico di me all’idea, ma alla fine sono io che ho scelto di averli con noi.» - tante cose della sua vita non erano andate come le aveva immaginate. Kol, Thomas, Liam e Cloé, la morte di Eric, erano tutti avvenimenti che avevano scombussolato il perfetto programma che lei si era organizzata per la vita. Avrebbe finito l’università, fatto il master ed iniziato a lavorare, solo allora si sarebbe concessa il lusso di cercare una storia degna di questo nome. Niente figli prima dei trenta, anzi meglio ancora, trentatré anni, almeno così da aver stabilizzato un po’ la sua carriera professionale. Un matrimonio civile, semplice senza fronzoli o immense cerimonie. Avrebbe invitato giusto gli essenziali, non più di una trentina di persone in tutto. Eccola qui, riassunta in pochi istanti, tutta una vita immaginaria. Banale, si sicuramente, noiosa, altroché, monotona, ci puoi giurare, ma era per lei la perfezione. La perfezione perché era una vita che lei avrebbe saputo controllare e gestire, nella quale avrebbe affrontato solo sfide già preventivamente valutate. Ma poi aveva deciso di andare a quella maledetta festa di Halloween e tutto era cambiato per colpa di un ragazzo a cui non si poteva dire di no, soprattutto senza della verbena in corpo.
«Avanti Mia, non volevi questa vita, te lo si legge in faccia!» - e quella frase la feriva. La feriva profondamente perché se ci riusciva uno come Kol a leggerla con quella facilità, quanto doveva essere evidente per tutti gli altri? Lei ci stava provando a far girare le cose nel verso giusto, a riportarle sui binari tracciati, ma era come se fosse stata maledetta.
«E’ sempre un piacere parlare con te.» - Liam dormiva, poteva metterlo finalmente a letto ed andarci anche lei. Kol la aspettò fuori, attendendo con insolita pazienza che mettesse a letto il bambino, per poi bloccarla a pochi passi dalla stanza da letto, dove sapeva fin troppo bene di non essere autorizzato ad entrare per nessuna ragione.
«Cosa staresti facendo in questo momento nella tua vita ideale?» - e dal momento che avevano iniziato tanto valeva continuare a parlarne.
«Probabilmente sarei ancora al lavoro, magari su qualche caso importante.» - sorrise. - « Starei facendo sicuramente degli straordinari non pagati per ingraziarmi le simpatie dei superiori.» - questo era ciò che Kol si aspettava dalla ragazza che trovava in piedi nel cuore della notte a studiare libri incomprensibili. - «Poi sarei tornata a casa, forse non sarei neppure in Italia e magari non avrei neppure una vera casa, forse sarei semplicemente in affitto da qualche parte…» - era scesa di sotto per chiudere le porte e le finestre e stava bevendo un succo di frutta appoggiata al tavolo della cucina con Kol che la seguiva sorridendo. - «Avrei acceso il portatile e recuperato qualche episodio di qualche serie tv... Ed infine mi sarei addormentata.»
«Tutto qua?» - le domandò tirando fuori il whiskey che aveva comprato e lasciato nella dispensa.
«Ho dimenticato di dire che avrei uno stipendio notevole alla fine del mese e che comprerei almeno un paio di scarpe la settimana e due libri. O qualche cofanetto di DVD.» - c’era altro che potesse essere descritto come vita ideale? - «Una roba alla Sex and the City, solo che niente sex e nemmeno troppa City, giusto le uscite con le ragazze ogni tanto.»
«Sex and the City?»
- tra lui e Rebekah non sapeva chi la deprimesse di più quando non coglievano i suoi riferimenti culturali. Probabilmente Rebekah perché Kol almeno aveva dalla sua il fatto d’essere stato chiuso in una bara per un secolo e poi essere morto quasi subito dopo.
«Una serie tv… Comunque è più o meno tutto nel titolo.» - tagliò corto.
«Quindi niente figli, niente Eric, niente casa di famiglia, niente spesa il venerdì mattina, niente di tutto quello che hai adesso.» - c’era una vena di soddisfazione in quell’affermazione.
«Non è quello che sono gli ideali? Irraggiungibili ed intangibili?» - sorrise guardandolo mandare giù un altro po’ di alcool.
«Quando loro avranno la tua età tu dimostrerai grossomodo gli stessi anni di adesso, potresti fare comunque ogni cosa.» - le disse scrutandola con attenzione.
«In apparenza forse resterò la stessa, ma il tempo passa, a differenza tua maturerò.» - Kol annegò un sorriso nel bicchiere aspettando di sentire cos’altro aveva da rimproverargli. - «Inoltre avere sempre a che fare con apocalissi sovrannaturali, non aiuta...»
«Non è il sovrannaturale che ti tiene ferma qui, sono quei due…»
- continuò lui.
«Perché invece tu no?» - gli aveva risposto di getto, con un po’ di amarezza e rabbia.
«Perché alla fine è sempre colpa mia?» - doveva essere una delle costanti dell’universo.
«Perché alla fine è sempre tutta colpa tua.» - ribadì lei.
   
 
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