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Autore: tixit    25/04/2015    8 recensioni
Oscar vuole chiede qualcosa ad André e lui le chiede se ci ha pensato bene, davvero bene.
Ha valutato tutte le possibilità?
Ambientato la sera in cui Oscar deve decidere se entrare nelle Guardie Reali o meno.
In parte OOC.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di chiunque possieda diritti su Lady Oscar, la serie televisiva, i Manga, il film e quant'altro. 
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note: è finalmente... la cucina!

E poi un po' di sano monologo interiore, sufficientemente disperato e delirante, come solo una adolescente può monologare e di cui si sentiva la mancanza.

Oscar, che come sempre, la fa più tragica di quello che è. Ma almeno, la prossima volta, ci pensa un po' di più a quello che le viene in mente di chiedere...

Faccio notare che lei, finalmente, sta ascoltando, ma, come sempre, non ascolta sempre tutto molto bene - avrà i suoi pensieri per la testa.

Un'ultima cosa: ho controllato solo dopo quando sono stati inventati i cerini, per scrupolo, e ... non ci siamo... i cerini non c'erano, c'erano bastoncini di zolfo e c'erano le prime misture di fosforo su bastoncino di zolfo - roba, che, da quel che ho letto, era pericolosa e poteva fare scoppi incalcolati... accetto suggerimenti per una modifica!
La candela no: per quanto lei speri di... concludere... ha capito che ha messo in moto un po' di meccanismi che non aveva valutato.

Note2: cerco di riscriverlo... mi è chiaro, dal commento di Ninfea che alcune cose funzionano male e non sono chiare... e ha ragione. Se qualcuno ti fa delle domande per cui serve una risposta lunga vuol dire che non l'hai scritto proprio :) Vedo di risistemarlo - resterà "strambo" con la descrizione della cucina in mezzo ai discorsi di André e ai pensieri di Oscar... resterà Ventosa la Dispettosa, sul cerino... hmmm... ora vediamo. L'idea era di quella fiammella che muore da se o che può fare un gran caos, a su cui la ragazza non sa esercitare un controllo - Oscar qui è tratti incline al tragico, scusate ma la storia mi è venuta così ;P
Se ci sono domande... non esitate (tanto so chi sono le lettrici di questa storia), così vedo come modificare,. o se proprio non so che fare piazzo una nota ;PPPPPPPPPP


Hai Valutato Tutte Le Possibilità?

Capitolo XI
Non è perché tu non mi vedi

 

Il palazzo dei Jarjayes era stato costruito su se stesso.
Le pietre spostate e dislocate dal capriccio di ogni suo proprietario, desideroso di imprimere la propria impronta alla propria casa, oltre che alle persone che lo abitavano, lo avevano composto e ricomposto ad ogni generazione, come un rompicapo mai perfettamente risolto.
Apparentemente lineare, visto dall’esterno, era in realtà, al suo interno, un insieme di vari stili, uno incrostato sull’altro, piano per piano e stanza per stanza, e di corridoi labirintici, e di scale e di nicchie – la gioia per dei bambini.

Oscar se lo ricordava bene: ci aveva giocato, per quelle scale, a nascondino con André e Danielle, mentre fuori pioveva, sperando di non essere trovata.
Sperando di trovarli, ma non trovarli complici contro di lei.
Sperando di essere trovata, ma non catturata - la corsa frenetica per le scale, lo schiaffo della mano sulla pietra, per la tana, contro lo stipite della cucina.

Guardò André che la guardava. 

Hai trovato quel pezzettino, quello di cui mi vergogno, forse il solo di cui mi vergogno davvero, quello che tenevo nascosto dietro la schiena e non ti volevo far vedere.

La cucina, in particolare, era un tuffo nel XV secolo: una enorme cripta in pietra bianca, con i soffitti ad arco, tempio della gola, come altare l’enorme camino, nel cui centro troneggiava il girarrosto, in cui si sarebbe potuto cuocere perfino un cervo. E in effetti a volte era capitato.

Grasso sulla leccarda, pane con le erbe da intingere di nascosto.

Non sei arrabbiato. Tu non sei arrabbiato. Eppure, per come la vedi tu, ho sputato sulla nostra amicizia, un parola che mi vergogno pure a pronunciare quando siamo soli tra di noi,  come se “cresciuti insieme” volesse solo dire che stavamo qui a rimpinzarci di lamponi ai lati opposti del tavolo, per un caso, lo stesso giorno e la stessa ora, e niente di più.


Accanto al camino, ben dodici forni per cuocere il pane, ognuno con il suo sportellino di ghisa nero, che ogni volta facevano venire in mente ad Oscar la storia di Hansel e Grethel, riscritta in una versione in cui le streghe erano dodici come i mesi dell’anno, ognuna padrona della sua porticina.
Con André e con Danielle, insieme, avevano inventato anche i nomi di tutte le streghe: Ventosa la Dispettosa, che spegneva gli stoppini, per esempio. A Danielle faceva paura.

Accendere il fuoco era una operazione divertente - erano in piedi così presto. Al Generale piaceva che la casa, almeno per loro, avesse i ritmi di un collegio militare: sveglia alle 6.00, lavarsi per bene con l'acqua gelata - il Generale credeva all'igiene -  tre volte alla settimana la Messa - il Generale credeva all'inferno - la colazione frugale sul tavolo accanto al camino - il Generale credeva alla sobrietà.

Danielle, quando c'era, arrivava con calma - quelle regole non erano per lei - un fagotto imperioso di scialli e nastrini, venuta solo per tenere compagnia. 

Il fuoco e la luce la loro prima incombenza.

L'acciarino per la scintilla, la scintilla sullo stoppino tuffato nell'olio in cima al bastoncino, lo stoppino sul legno o sugli stoppini delle lampade - serve luce in cucina.

Ventosa a volte soffiava sulla scintilla; spegneva lo stoppino, tra le dita ancora intirizzite.

Dispettosa. 

Come tutte le streghe.

Ma a Danielle non faceva paura la noia del gesto: temeva la fiamma.
Soffia per spegnere, diceva, e soffia sul fuoco per creare un incendo. Dispettosa e pericolosa. Come tutte le streghe.
A quel punto lei la prendeva sempre in giro.

André no, lui sorrideva un sorriso da gatto paziente e le allontanava cerimonioso la fiamma dalle mani. 


Oscar se lo chiese, se Ventosa l’avrebbe aiutata a spegnere quello stoppino prima che diventasse un incendio, che avrebbe bruciato tutta la loro noiosa consuetudine fino a non lasciare niente di niente, solo un altro po’ di altra rabbia da mettere nel mucchio, rabbia per tutto quello che non aveva pensato, e rancore e disagio e il ricordo di quello che era stato e non sarebbe più stato.

Lui glielo aveva detto, ma lei non aveva capito.
Pensava che tutto si potesse prendere, senza pagare un prezzo. Presuntuosa.


Ventosa, spegnimi questo stoppino, anche solo per farmi un dispetto.

“Te lo avevo detto che se ci fosse stato un altro a cui chiedere, forse non te lo avrei chiesto” tentò di spiegare.

“Lo so.”

No, non lo sai. Non lo sai perché io non penso come te, perché io non ho pensato affatto, non ho pensato a  te che avresti smontato le mie ragioni e m’avresti pesata, vedendo quanto valgo davvero, e cioè molto poco.

“Ma te l’ho detto, che se pure ci fosse stato un altro, avrei comunque chiesto a te”.

E non è solo per sbatterlo in faccia a qualcuno, ma perché le ragioni sono tante, tante quanti questi pezzettini di me, ma la costante di ogni frammento è che, per ogni cazzata che faccio, e per ogni cosa bella, non vorrei un complice diverso da te.

Nella cucina c’era anche l’acqua corrente, piccolo miracolo di ingegneria, capriccio di un fratello scapolo dell’ultimo Jarjayes, che non amava le fontane, ma prendere un bagno caldo e bere un bicchiere d’acqua fresca ogni volta che lo desiderava.

“Tu credi che la passeresti liscia?” le chiese André, corrugando la fronte, ”solo perché sei il solo figlio maschio che ha? Ti vuole bene e molto...”

Oscar scrollò le spalle. 
Tutti quelli che dicono di voler bene vogliono qualcosa che pagano solo con questa moneta: raccontare di volerti bene.

Raccontare.

Appunto.
 

Pure io però ho pensato che, siccome ero tua amica, ti potevo chiedere quello che volevo senza riconoscerti niente.
Solo perché io, quella che contava davvero tra noi due, ti facevo l'onore di esserti amica.
E' questo una amica?


Ventosa, fa’ la dispettosa, spegnimi quello stoppino.

“Ti vuole bene a modo suo, nel modo in cui è capace – non puoi chiedere a nessuno di darti più di quello che ha, lo sai, vero? Anche se quello che ha ti pare poco - ma prima di te c’è la sua Casata e le sue idee sull’Onore, la Tradizione, lo Stato ed il Re. Se tu infrangi le regole, se sputi su queste cose, lui, per amore di tutte queste cose, e pure per amore verso di te, non esiterebbe ad infrangere te. Non pensare di passarla liscia, solo perché gli servi.”

E sia! Paghiamo questo prezzo, scopriamo le carte, vediamo con che mazzo stiamo giocando, nella mia famiglia, una partita che non finisce mai e che io non posso vincere.

I rubinetti di rame, a froma di drago,  si affacciavano con le loro fauci semi-aperte su tre lavelli enormi di marmo rosso, lo stesso di certe chiese. Marmo Venezia.

 “E non credere che si fermerebbe alle frustate, a cui oramai sei abituata... sei minorenne per la legge, non sei donna per lui e non ti metterà mai in un convento a cantare in un coro e ascoltare Messe, per punizione. Troppo lusso. Ma ti potrebbe rinchiudere in posti ben peggiori, inadatti ad un uomo, figuriamoci ad una ragazzina.

I figli disobbedienti dei nobili si chiudono nei manicomi, lo sai? E tu non saresti la sua figlia svergognata, ma solo il figlio che sfida la sua autorità. O credi poterlo obbligare a vedere esattamente quello che vedi tu?”

Non me ne importa. E la mia rabbia allora? E io?

Incassato nel muro c’era anche un saliscendi portavivande.
Da piccola una volta ci si stava quasi ammazzando – André aveva bloccato la corda, fermandola appena in tempo, tutte le mani spellate, le macchie di sangue sul marmo - piccole per altro, non esageriamo. 

Vorrei fosse facile chiederti scusa, come quel pomeriggio.
Ho pensato che concederti di farlo con me, per te sarebbe stato il massimo. Non ho pensato, presuntuosa, che tu potessi essere abituato a qualcosa di meglio.

Ventosa, spegnimi questo stoppino. 

 “E tu mi stai chiedendo di collaborare allegramente ad una cosa così, come se non me ne importasse niente, e hai pure il coraggio di chiedermi se per caso il motivo per cui non ti dico sì e te lo lascio fare, è che l’ho già fatto... ma tu ti ascolti quando mi parli?”

Mi dispiace di avertelo chiesto anche per quel motivo. Mi dispiace. Mi spiace di averti sbattuto in faccia quello che scherzando ti dico ogni giorno: che sei un servo e che mio padre ti paga per essermi amico. Come se tutto quello che offri lo si potesse comprare. Tutto pagato, senza neanche un debito. Tutto dovuto, ci fosse anche un debito potrei non pagare e non importerebbe a nessuno.

“Ma tu pensi di valere meno di una curiosità per una scopata?”

“Io questo, non lo avevo pensato...” sbattè gli occhi cercando di metterlo a fuoco. 

A un certo punto ti arrabbierai, lo so, non resterai così calmo in eterno, e non resterà più niente.

Ventosa, per piacere, spegnimi questo stoppino
Io non lo so fare.

Alle pareti erano appesi i paioli di rame, lucidati ogni volta, dopo l’uso, in file ordinate, dal più piccolo al più grande.

“E tu pensi che per una curiosità su una cosa che non ho fatto, non ci penserei due volte ad essere ingiusto con te? Che giusto o ingiusto, per me, dipendano solo da quanto sono curioso? Ma come mi vedi?”

Lei chiuse gli occhi, stanca.

“E hai pensato alla mia vita? Te lo chiedo solo per curiosità, non sono arrabbiato,” il tono era così calmo, quasi divertito.

“Cosa sarebbe cambiato per te?” 
Il giorno dopo lo avresti dimenticato. Io ho pensato solo questo, che non ti avrei chiesto niente di più e che tu non ci avresti più pensato. Mai più. Nemmeno un pensiero distratto.
Come se tu fossi solo un animale un po’ scemo, da soddisfare con una mela.

Ventosa, spegnimi questo stoppino.

André scosse la testa “Io lavoro per tuo padre, non ho detto che non mi piaccia ogni cosa che fa, ma so di avere un debito con lui: mi ha accolto in casa sua, mi ha dato un lavoro che a me è piaciuto moltissimo, mi ha sempre pagato molto più del giusto, mi ha concesso una istruzione, che, ti farà ridere, ma per me non ha prezzo.
Non mi illudo che sia stato tutto per bontà di cuore, ma so che non era tutto dovuto, so che differenza c’è tra il tipo di vita che stavo facendo prima – e guarda che non rinnego niente e non mi vergogno di niente, so da dove vengo, chi sono stato e chi sono, mi piacciono le mie origini, ma so che ho un debito.
Ti sei chiesta se mi mettese a disagio fottergli la figlia, proprio all’uomo con cui ho un debito? E non per un Grande Amore, che è una cosa che ti fa ridere, lo so, perché nella tua testa è una cosa che non esiste, una roba da romanzo per una delle tue sorelle... ma solo per fatterglielo sbattere in faccia proprio questa sera? Credi che la lealtà non abbia nessun valore per me, solo perché sono un servo?”

Il pavimento era a scacchiera, in pietre bianche e nere, lisce per il gran camminare di generazioni di cuochi e di sguattere in quella cucina. E bambini e bambine in cerca di dolci e calore.

Lei scosse la testa. Si vergognava da morire. 
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno la lealtà. Aveva sputato su ogni volta che le aveva teso la mano. Aveva sputato su ogni volta che se l’era venuta a cercare, gatto selvatico senza padrone con le unghie estratte pronte a colpire.


“E hai pensato che io sarei rimasto comunque qui, dopo averlo fatto per fargli un dispetto stupido, come un cavallo scemo che dopo un giorno nemmeno si ricorda di cosa ha combinato? Che avrei mangiato il suo pane e il suo sale, bevuto il suo vino, cavalcato il suo cavallo, in pace con me stesso, ipocrita fino al midollo. E’ questo che vedi quando mi vedi?”

“Non lo avevo pensato. Te lo giuro.” 
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno l‘orgoglio della sincerità.

 

“Dopo aver capito cosa avevamo fatto io avrei dovuto andarmene. Poco male, il mondo è grande. Ma non mi parlare del fatto che siamo cresciuti insieme come di una cosa importante, se poi di questa consuetudine non esiti a liberartene, un bagaglio in eccesso, solo per il gusto di fare un dispetto”

“Non lo avevo pensato. Non ho valutato... credimi” 
Erano cresciuti insieme e, per come la vedeva lui, lei non gli riconosceva nemmeno il piacere della sua compagnia. Non aveva pensato che poi lui, orgoglioso, se ne sarebbe andato, più leale verso il Generale che verso di lei.

Ventosa, non fare la dispettosa, spegnimi questo stoppino. Qualcosina lasciamela, per piacere: non ne ho così tante a cui tengo davvero.

 

“Lo so!” non era arrabbiato, “e non ce l’ho con te. Ti dico un’ultima cosa... Io di frustate al posto tuo ne ho prese davvero poche, per causa tua invece davvero tante, tuo padre lo adora il suo frustino, e non mi sono pesate. Mai.
Ma la cosa che ho sempre apprezzato di te è che tu ogni volta eri sempre chiara, ti erano sempre chiare le conseguenze, per me e per te, e sei sempre stata trasparente sulle tue pazzie.
Stavolta no, non lo fai apposta, il guaio è quello, tu parli di rispetto, ma non ne concedi, tu stai pensando a questa cosa solo nel modo in cui riguarda te. Solo te.”

Si sentì morire. Aveva fatto un disastro, con una semplice richiesta.
Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia.
Non era giusto però. Accidenti! Lui voleva appiccicare troppe cose  a quella richiesta, cose che lei nemmeno aveva notato ci fossero!

“Oscar, ascoltami, non sono arrabbiato. Non sono arrabbiato con te... Non è successo niente di terribile.
Non ce l’ho con te, te l’ho detto, mi hai chiesto una cosa carina e non si cancella... tutto... solo per una sciocchezza, per un po' di imbarazzo, cosa credi? Non essere tragica... Ti sto solo chiedendo di guardare questa cosa con me, anche dal mio punto di vista. Di non tagliarmi fuori.” Le sorrise, gentile. Come sempre.

Ventosa, ti rigrazio, di aver spento quello stoppino. Che non mi hai regalato un incendio.

Da adesso la loro conversazione non poteva che essere in discesa. Non ci poteva essere niente peggio di quello che aveva appena scampato: dopo averla pesata avrebbe potuto comunicarle il suo peso esatto - meno di una piuma. Oppure soppesare tutto e decidere che, in fondo, non c'era proprio niente di autentico valore in tutta quella cucina.

Gli sorrise, dubbiosa “Va bene. Non ti taglio fuori. Ma non dare per scontato che io veda sempre le cose come le vedi tu. Io non sono te.”

André annuì.

“Cosa era l’esperimento che volevi fare?" chiese Oscar, cercando di cambiare argomento, "quello dei tre minuti?”

   
 
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