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Autore: __aris__    25/04/2015    14 recensioni
toria scritta per la sfida: "Una idea, più storie". La consegna era:.storia ambientata in un orfanotrofio. Si deve spiegare come il bambino è arrivato lì, partendo da lui adolescente/adulto e risalendo fino al momento in cui è stato portato lì. La stessa consegna doveva essere sviluppata da altre due persone, in modo del tutto autonomo in modo da confrontare l'originalità e da vedere come le persone potessero scrivere storie diverse partendo dalla stessa idea. – spero vi piaccia e che mi lasciate un commento. Buona lettura
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Give me this moment -
This precious chance -
I'll gather up my past
And make some sense at last!
 


Chi non mi conosce pensa che la mia vita sia una sorta di favola moderna: un ragazzino orfano e povero, una specie di Oliver Twist per intenderci, che viene notato dal grande giocatore di scacchi Vassilji Ragunof, il quale lo adotta e lo tira fuori dalla miseria.
Dio solo sa se Ragunof ha mai fatto una buona azione disinteressata in tutta la sua vita!
Non fu Ragunof a notarmi. Fui io a sfidare lui, il grande campione di scacchi scappato dalla parte est del mondo. Raganof accettò solo perché mi riteneva troppo arrogante perché non avessi la lezione che meritavo e con sufficienza mi concesse la prima mossa. Allora io usai la sua, di prima mossa. Ricordo che mi guardò sorpreso: aveva giocato con centinaia di persone, ognuno con una strategia differente, ma nessuno lo aveva stupito quanto il Signor Nessuno davanti a lui. In quel momento smise di sottovalutarmi e giocò sul serio. Sfoderò tutte le sue strategie belliche, ma nessuna funzionò con me. Mi adottò solo perché sono stato l’unico capace di battere il grande campione e decise di plasmare il mio talento secondo il suo volere.
Prima della morte dei miei genitori avevo una vita normale: la scuola, gli amici e lo sport. Come più o meno tutti. A mio padre piacevano gli scacchi; mi aveva insegnato osservando le persone giocare a Central Park. Era un attento osservatore ma non aveva grandi doti pianificatorie, per cui non era un buon giocatore. Mia mamma era una normalissima casalinga, una donna tutta famiglia come se ne trovano tante per il mondo. Non eravamo ricchissimi ma eravamo felici.
Poi arrivò l’incidente in autostrada mentre andavamo in vacanza: un camion cisterna sbandò causando un tamponamento a catena. La parte anteriore della macchina fu travolta da un altro veicolo e si staccò dal resto. In Cielo qualcuno deve volermi molto bene perché non mi feci nemmeno un graffio mentre i miei si accartocciavano contro un pilone.
Dei giorni successivi non ricordo molto, solo la lunga fila di estranei che mi faceva le condoglianze e poi spariva. Prima ancora che il funerale fosse finito i servizi sociali mi avevano già trovato una nuova casa: l’edificio che ho davanti agli occhi adesso. Parenti? Nonni zii e cugini? Nessuno, oltre ad una zia con l’Alzheimer che non era capace nemmeno di badare a sé stessa.
L’orfanotrofio è anche più fatiscente di come lo ricordassi. Le macchie sui muri sono aumentate e le finestre mi sembrano ancora più sporche e rotte, viste da dove sono ora. Perfino il muro su cui mi appoggio è ricoperto di scritte fatte con la vernice spray. Se vent’anni fa faceva schifo, non oso pensare a come sia ridotto adesso.
A chi pensa che le scuole dei ghetti siano dei brutti posti consiglierei di farsi un giro tra gli orfanotrofi di periferia, così scoprirebbe che c’è anche di peggio. In uno spazio ristretto ci sono bambini, ragazzini ed adolescenti; tutti impegnati a fingersi più grandi di quello che sono, perché la consapevolezza di non avere più una famiglia ed una casa rischia di farli impazzire. Ed infatti molti impazziscono davvero. Le prospettive per il futuro non sono tanto più allegre: se sei fortunato, educato e bello verrai accolto in casa di due perfetti estranei che un giorno si renderanno conto che le tue sofferenze sono più di quanto possano sopportare, più di quanto la loro tranquilla routine possa sopportare, e ti rimanderanno da dove sei venuto. In fondo loro ci avevano provato a fare del bene! Ma era un ragazzo così difficile che proprio non sapevano come aiutarlo.
Stronzi.
Ho visto più persone rovinate per gente del genere che per aver visto morire i genitori.
Io non ero bello. Ero magro e parlavo poco. Passavo le giornate a fare partite a scacchi da solo quindi ero anche preso di mira dai soliti bulli che si ritengono i più duri degli altri mentre sono quelli che stanno peggio.
Un giorno venne a trovarci Vassilji Ragunof, un campione di scacchi che aveva preferito il benessere al comunismo e faceva beneficienza per pagare meno tasse. Un vero santo ve lo assicuro! Per tutti era un estraneo ben vestito che portava giocatoli nuovi; ma io sapevo esattamente chi era. Con mio padre avevo visto e commentato tutte le sue partite. Le conoscevo tutte a memoria, sapevo perfino come sarebbero finite se i suoi avversari avessero spostato la torre al posto del cavallo.
Lo sfidai: se avessi vinto mi avrebbe tirato fuori da lì. Lui non aveva nulla da perdere ed io tutto da guadagnare: nessuno mi avrebbe mai adottato e quella era la mia unica possibilità. Mi guardò con sufficienza ed accettò convinto di liquidarmi in fretta.
Con l’adozione ho avuto una camera da letto in cui dormire da solo, vestiti eleganti e potevo mangiare cose esotiche e rare. Ma Ragunof non mi aveva adottato per migliorarmi la vita. Mi affidò ad un precettore di fiducia, vista la poca considerazione che aveva delle scuole statunitensi. Mi furono insegnati il greco, il latino e poi studiai tutti i manuali bellici che vi possono venire in mente. Pensatene uno, vi garantisco di averlo letto ed imparato in ogni suo insegnamento prima dei quindici anni. Tutto perché il talento da solo non è sufficiente, bisogna pensare come i grandi generali del passato per entrare nella mente dell’avversario.
Qual era quel poeta che parlava di studio matto e disperatissimo? Credo Leopardi … doveva essere Leopardi. Diciamo che so perfettamente cosa quell’espressione voglia dire. Greco, latino, matematica avanzata, storia e filosofia; le mie giornate erano scandite da tutte quelle discipline che mi avrebbero potuto insegnare qualcosa per giocare a scacchi.
Tutto è stato fatto per questo giorno, per farmi giocare la finale del campionato del mondo. A molti potrà sembrare stupido che Ragunof abbia investito tanto per questo; che abbia dedicato tante risorse ad una persona di cui non gli importava nulla per fargli vincere un campionato di scacchi. Ma Ragunof non ha mai accettato nulla di meno che il primo posto, e se lo avessi deluso in qualsiasi momento mi avrebbe rispedito senza complimenti da dove venivo.
Tra noi c’è un accordo: se vinco avrò un assegno esorbitante e potrò fare ciò che vorrò della mia vita, ma se perdo non avrò più nulla. In pratica questo è il momento in cui mi gioco il mio destino.
Nervoso? No. Mi è stato insegnato anche come non esserlo.
Alla fine dei conti non devo niente a nessuno: Ragunof non mi ha regalato nulla. Ciò che ho me lo sono guadagnato con l’impegno e la dedizione. Senza potermi permettere una sola distrazione. E tra poche ore il mio avversario farà esattamente come Ragunof: non mi regalerà nulla ed aspetterà solo un mio passo falso per valicare le mie difese e mettermi in scacco. Nessuno mi aiuterà a vincere. Anche questa volta potrò contare solo su me stesso.
Ciò che mi serve è una partita perfetta, poi potrò decidere liberamente della mia vita.
So già anche cosa farò dopo: continuerò a giocare a scacchi. Ma non perché me lo impongono, solo perché lo voglio.
   
 
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