Capitolo XLIII
L'amore che la luce e l'ombra provano l'una per l'altra è ciò che le rende complete.
Il padre di Kuroko si affiancò a Kagami e gli diede una pacca affettuosa sulla spalla; la madre, invece, scivolò lentamente fuori dalla stanza e passò in rassegna i presenti, rivolgendo loro un sorriso cordiale.
«È ancora molto debole, ma continua a chiedere di voi.»
«Torneremo fra un'oretta, lo lasciamo nelle vostre mani.» l'uomo si scostò da Kagami e attese che la moglie lo raggiungesse, per poi avvolgerle affettuosamente la vita con un braccio e avviarsi verso l'ascensore con lei, che li salutò con un rapido cenno della mano.
Il dottor Hiroshi lo aveva definito miracolo, e nessuno, - neppure Midorima, che ne era stato il vettore -, aveva osato dargli torto.
Alle tredici e quarantadue, Kuroko Tetsuya era stato dichiarato morto, ma alle tredici e quarantatré, sotto le pressioni esercitate dalle mani di Midorima, il suo cuore aveva ricominciato a battere.
Shintarou non aveva retto oltre e, esaurita la scarica di adrenalina che lo aveva spinto a tanto e resosi conto che aveva appena effettuato un massaggio cardiaco diretto, si era accasciato a terra in preda a capogiri inarrestabili, dunque il dottor Hiroshi e il professor Masayama avevano continuato ad operare senza di lui e circa un'ora dopo avevano potuto dichiarare l'operazione riuscita.
Appena l'ascensore si chiuse, Kagami raggiunse la porta oltre la quale riposava Kuroko, mentre Kise e Momoi gli saltellarono alle spalle, anche se solo per un istante, visto che una mano sbarrò loro la strada con un movimento repentino.
«Akashicchi...?» Kise mormorò sommessamente; Kagami, dal canto suo, si voltò e rivolse un'occhiata stranita ad Akashi, che ricambiò il suo sguardo e accondiscese con un rapido cenno del capo.
Kagami si sentì improvvisamente a disagio, soprattutto perché aveva desiderato segretamente che qualcuno intuisse la sua esigenza di vedere Kuroko in privato ma non aveva mai preso in considerazione la possibilità che a farlo sarebbe potuto essere proprio Akashi - che fosse già a conoscenza delle sue intenzioni? Ciò significava che gli stava concedendo la sua benedizione? -
Kagami passò in rassegna i volti di tutti i presenti e si rilassò solamente quando riuscì a cogliere il consenso in ogni sguardo, - perfino in quelli di Murasakibara e Aomine -, quindi tornò a rivolgere la propria attenzione alla porta e, schiuse le labbra per catturare una grossa boccata d'aria, strinse la maniglia fredda fra le dita tremanti.
La porta cigolò sommessamente, e Kagami mosse qualche passo titubante all'interno della stanza soltanto dopo essersela richiusa alle spalle con un movimento veloce della mano.
Tutto quel candore che come una grossa macchia di pittura pareva trasudare dal soffitto e colare lungo le pareti, fino a divorare il pavimento, lo accecò e lo fece tentennare, oscillare come una fragile barca nelle grinfie della tempesta, tuttavia arrestò i propri passi solamente quando fu abbastanza vicino al letto da poter scorgere il viso di Kuroko.
Restò a fissarlo con le labbra contratte e appena dischiuse, la fronte leggermente aggrottata, gli occhi ridotti a due fessure ardenti di lacrime, a separare le palpebre gonfie e tremanti, ancora scosse da dolorosi fremiti carichi di emozione.
Nonostante Kuroko avesse i capelli arruffati e il viso estremamente pallido, livido in alcuni tratti e solcato da graffi color rosso vivo, quella di Kagami fu una vera e propria contemplazione, come se avesse avuto di fronte a sé una creatura meravigliosa, l'essere più bello dell'universo - ma dopotutto, per lui, era proprio così che l'altro appariva ai suoi occhi -.
Tetsuya mosse lentamente la testa, i capelli frusciarono contro il cuscino e gli occhi, vitrei e stanchi, si posarono sulla figura di Taiga.
Appena le labbra screpolate e sottili di Kuroko si incresparono in un minuscolo e breve sorriso, Kagami sentì una forte scossa lungo le gambe e dovette resistere alla tentazione di inginocchiarsi un'altra volta a terra.
«Kagami-kun...» fu proprio la voce soave e gentile di Kuroko a impedirgli di cadere, anzi lo fece sorridere, e la gioia fu tale che le lacrime cominciarono ad accavallarsi sul bordo delle palpebre inferiori senza alcuno sforzo, per poi riversarsi copiose lungo il suo viso.
Al momento dell'incidente, un grosso frammento di vetro aveva trafitto Tetsuya poco più sotto il cuore e, spingendosi in profondità, aveva provocato un'emorragia interna e una copiosa perdita di sangue che, a lungo andare, avevano comportato un arresto cardiaco e, come conseguenza estrema, una morte che fortunatamente si era rivelata temporanea; per il resto, considerando che aveva solamente due costole rotte e una distorsione al polso sinistro, si poteva perfino dire che se la fosse cavata piuttosto discretamente.
«Io...» Kagami avanzò di un passo, poi indietreggiò e boccheggiò appena, con le dita delle mani divaricate e contratte: voleva stringerlo a sé per sentire il suo calore, per assicurarsi che quella fosse la realtà e non un bellissimo sogno, ma Kuroko aveva il viso stanco, era visibilmente debole e sconvolto e gli dava l'impressione che sarebbe bastato sfiorarlo con un dito per farlo cadere a pezzi, perciò se ne rimase pietrificato ai piedi del letto, indeciso sul da farsi e con le guance divorate dalle lacrime, le palpebre di un rosso così intenso da dare l'illusione che parte del suo volto fosse ormai spoglia della pelle.
Tetsuya non sembrava essere della sua stessa idea, perché continuò a fissarlo trepidante e mosse il braccio destro, libero dall'impiccio della flebo - al contrario del sinistro -, finché la mano non fece capolino da sotto le lenzuola e restò tesa verso di lui, come a supplicarlo di avvicinarsi e, di fatto, eliminare la distanza che impediva alle loro dita di trovarsi ed intrecciarsi come erano solite fare in ogni momento della giornata.
Kagami prese un respiro profondo e il petto gli tremò, scosso da uno spasmo - forse a causa del pianto o forse a causa della tensione che cominciava a pizzicargli i nervi -.
«Tetsuya...» la sensazione di avere il cuore in gola lo spinse a deglutire, ma si rivelò inutile e, addirittura, il battito si fece ancora più forte, così rapido e vigoroso da lasciarlo senza fiato.
Kagami afferrò lo schienale della sedia con una mano e la trascinò un poco più vicino al letto, allora si sistemò su di essa e adagiò, - con più delicatezza possibile -, la propria mano su quella di Kuroko, lasciando che quelle dita magre e affusolate si aggrappassero alle sue.
«Tetsuya, io ti devo chiedere una cosa.» ma appena avvertì i morbidi polpastrelli di Kuroko carezzargli il dorso della mano, Kagami non poté più trattenersi e decise di assecondare quell'intreccio, quindi ricambiò la sua stretta docile e affettuosa; infine, singhiozzando felice e imbarazzato, abbassò lo sguardo nel tentativo di fuggire da quello maledettamente disarmante dell'altro.
«Forse...» Kagami sollevò la mano sinistra e si tamponò gli occhi con la manica della maglietta, per poi sussultare, vittima di un altro singhiozzo «forse non è il momento più adatto, ma ci penso da un po'–»
In fin dei conti quell'incidente era stata l'ennesima conferma che lo amava più di tutto, che non lo avrebbe mai lasciato andare e che, piuttosto che restare al mondo senza di lui, vuoto e solo, avrebbe preferito morire.
Kagami inspirò profondamente e focalizzò la propria attenzione sul tremolio doloroso del proprio diaframma, infine schiuse le labbra ed emise uno sbuffo tremante, ripetendosi mentalmente che doveva calmarsi, che non c'era nulla di sbagliato in quello che stava per chiedergli.
Nonostante gli occhi fossero ancora ricoperti di un sottile velo acquoso e le guance imperlate di lacrime, Taiga si fece coraggio e sollevò il viso, quindi incontrò gli occhi di Kuroko, che gli sorrise di nuovo e, sciolto l'intreccio delle loro dita, gli accarezzò il viso con estrema delicatezza.
Kagami chiuse gli occhi e finalmente smise di singhiozzare, le lacrime si riversarono sul suo viso in un flusso costante e impetuoso, ma così silenzioso da sembrare una naturale ovvietà, una condizione necessaria per vivere come poteva esserlo il puro e semplice atto di respirare: Kuroko gli aveva sorriso con così tanta gentilezza e gli aveva accarezzato il viso con così tanta delicatezza che per un istante aveva dimenticato che si trovavano in una stanza di ospedale perché il suo fidanzato era stato investito, per un attimo aveva perfino pensato che le parole che gli ronzavano in testa da giorni, ormai, fossero le più facili da pronunciare.
«Kuroko, tu... mi vuoi sposare?»
La pressione che la mano di Kuroko esercitava sulla sua guancia si affievolì improvvisamente, le sue labbra sottili fremettero appena, il suo volto parve riacquistare colore e un azzurro intenso molto simile a quello di un cielo estivo si riversò nei suoi occhi, scacciando via quel vitreo grigiore che si era insinuato sotto le sue ciglia e aveva divorato la luce come le nubi piovose fanno con la luna piena nelle notti di tempesta.
«Ka-Kagami-kun...» Kuroko balbettò sommessamente e Kagami gli prese il viso fra le mani senza fiatare.
«Certo che ti voglio sposare–» Tetsuya boccheggiò, forse nel tentativo di dire qualcos'altro, ma il grande sorriso in cui si contrassero le sue labbra glielo impedì; Taiga, dal canto suo, adagiò la propria fronte contro la sua e poi chinò il viso per stampargli un bacio all'angolo della bocca.
«Credevo di averti perso per sempre...» la voce di Kagami tremò appena.
«No.» Kuroko, dal canto suo, chiuse gli occhi e lasciò che le dita della mano destra si intrecciassero ai capelli dell'altro.
«Ti amo–» Kagami gli singhiozzò nell'orecchio e poi gli stampò un bacio veloce sul collo «ti amo, Kuroko‑»
Kuroko protese il capo all'indietro, lasciando che le lacrime si riversassero agli angoli degli occhi e infine scivolassero fino al cuscino, per poi stringerlo il più possibile a sé e sussurrare con un filo di voce.
«Ti amo anche io, Taiga. Ti amo più di tutto.»
Midorima si pietrificò non appena avvertì la stretta vigorosa delle dita di Takao attorno al suo polso, quindi si voltò verso di lui, sentendosi mancare il respiro non appena questo gli rivolse un grande sorriso.
«Sono davvero fiero di te, Shin-chan!»
Shintarou deglutì appena, cercando di ignorare il forte pizzicore che all'improvviso si diffuse sulle sue guance, poi - seppur con un po' di fatica - ricambiò il suo sorriso, lasciandolo di stucco.
Takao allentò la presa, Midorima si scostò con una rapida falcata e varcò la soglia, ma continuò a sorreggere la porta con la mano e si rivolse nuovamente al compagno.
«Entri o no? Ci sono tutti.»
Takao spalancò gli occhi, per poi accennare una risata e balzargli accanto.
«Certo, Shin-chan!»
«Midorima-kun.» il quarto d'ora che Kuroko aveva trascorso con Kagami non era servito a fargli recuperare le forze - per quello ci sarebbero voluti almeno un paio di giorni -, tuttavia la sua voce pareva aver acquisito più vigore ed era molto più vigile, tanto che si mise sull'attenti non appena vide Midorima fare il suo ingresso nella stanza e lo chiamò immediatamente «Midorima-kun, volevo ringraziarti.»
«A questo penseremo una volta che avrai messo piede fuori di qui.» Shintarou sbottò, affrettandosi a rispondere mentre con un gesto veloce della mano si sistemò gli occhiali: se Tetsuya riteneva proprio necessario ringraziarlo, avrebbe preferito che lo facesse in privato, così da evitargli un certo imbarazzo derivante da una gloria che, in verità, sentiva di non meritare. Per come la vedeva lui, non c'era alcun bisogno di essergli grato, questo perché aveva agito in nome di un sincero affetto nei confronti di Tetsuya ed era sicuro che avrebbe fatto lo stesso anche se al posto suo ci fosse stato qualcun altro.
«Ehi! Ve ne siete accorti?» Kise esordì all'improvviso: lui e Momoi si trovavano così vicini al letto che quasi pareva avessero intenzione di sedersi da un momento all'altro; Kagami e Aomine, invece, non li perdevano di vista neppure per un attimo, proprio per impedire che l'entusiasmo li portasse a compiere qualche idiozia involontaria ai danni di Kuroko.
«Cosa?» Nijimura, con la schiena aderente alla parete e le mani conserte, lo esortò a continuare, e quando Kise schiuse le labbra per rispondere, la voce di Kuroko lo precedette.
«Siamo tutti insieme, finalmente.» Kuroko guardò alla sua destra e si rivolse a Kagami e Akashi, poi alla sua sinistra, soffermandosi in particolare su Kise, Aomine e Momoi.
«Visto, Shin-chan?»
«Cosa vuoi?»
«È colpa tua: non volevi muoverti dall'ospedale, e alla fine siamo dovuti venire noi qui da te!» Takao rise e Midorima lo fulminò con lo sguardo.
«Ha ragione.» Murasakibara, dal canto suo, borbottò sommessamente, per poi rivolgersi ad Himuro «Muro-chin, ho fa–»
«Ecco.» Himuro, che aveva già le mani nelle tasche della felpa, ne estrasse una merendina e gliela porse senza dargli neppure il tempo di finire la frase.
«Riko-chan, hai pianto?» all'improvviso, Satsuki distolse la propria attenzione da Tetsuya e la rivolse a Riko che, presa alla sprovvista, sobbalzò.
«I-io?! No! Certo che no!» l'ex allenatrice del Seirin sbottò, con le guance color porpora.
Dopo quel breve istante di tramestio, seguì poco meno di un minuto di silenzio durante il quale gli occhi di Kuroko e quelli di Akashi - rimasto in silenzio fino ad allora - si soffermarono su ogni volto, in attesa di qualcosa, come se fossero stati entrambi reduci di una intuizione.
«Io...» Aomine arretrò di un paio di passi e sospirò rumorosamente, per poi far aderire la schiena contro la parete «io voglio giocare a basket.»
Non che Daiki avesse concepito solo in quel momento il suo desiderio, ma quell'incidente aveva fatto scaturire qualcosa in lui, e da quel qualcosa erano venute le sue parole.
Sentiva di voler assecondare la sua passione il più possibile, forse perché aveva compreso quanto potesse essere imprevedibile la vita e aveva cominciato ad avere paura della morte, o forse aveva semplicemente deciso di prendere il coraggio a due mani e confessarsi al cospetto di quel clima di sincera e viscerale amicizia, perché sentiva, in cuor suo, che tutti loro erano legati da un destino comune, da un qualcosa che andava oltre il basket, una sorta di amore famigliare che nel corso degli anni avrebbe a poco a poco levigato anche le personalità più spigolose e li avrebbe uniti completamente, fusi in un'unica entità.
«Anche io.» Kise lo guardò e gli sorrise.
«Beh, anche io.» e anche Kagami lo guardò, ma al contrario di Kise sogghignò «altrimenti chi batterà il signor: “L'unico che può battermi sono io”?»
«O-ohi!» Daiki ringhiò, e la voce flebile di Tetsuya, che risuonò subito dopo, sedò i bollenti spiriti.
«Anche io voglio giocare a basket, con tutti voi. Magari qualcuno di noi prenderà una strada diversa, ma penso che nessuno avrà il coraggio di avanzare senza mai voltarsi indietro.»
Midorima, che desiderava diventare un dottore, fu il primo che, pur senza rendersene conto, annuì alle parole di Kuroko, e questo perché, in cuor suo, sapeva che non sarebbe mai riuscito ad abbandonare definitivamente il basket, era conscio del fatto che gli sarebbe rimasto sempre un briciolo di passione, di desiderio e che, molto probabilmente, si sarebbe lasciato trascinare al campetto da Takao ogni volta che si sarebbe presentata l'occasione.
Continuarono a parlare di basket finché un'infermiera non venne ad avvisarli che l'orario delle visite era terminato, quindi tutti salutarono Kuroko, promettendogli che sarebbero tornati a fargli compagnia l'indomani.
Kagami, però, su richiesta del futuro marito, si trattenne ancora un paio di minuti, e insieme decisero che si sarebbero sposati in luglio.
«Akashi, perché sorridi in quel modo?»
«Mi aspetto grandi cose da Ryouta e Daiki.»
«Cos'hai in mente?»
«Io? Niente in particolare. Lascio tutto nelle loro mani.»
Subito dopo aver inviato un sms a Kagami per augurargli la buona notte, Kuroko spense la luce, chiuse gli occhi e restò in ascolto dei rumori sommessi al di là della porta chiusa, almeno finché le voci degli altri non cominciarono a ronzargli in testa e a prendere, a poco a poco, l'aspetto di una melodia docile e raffinata.
Inspirò appena e increspò un sorriso non appena si rese conto che il bordo delle lenzuola era ancora impregnato del profumo di Kagami, e a poco a poco, con quella sinfonia di dodici voci nella testa, scivolò in un languido dormiveglia che lo fece piombare quasi immediatamente in un sonno profondo.
Loro dodici erano il basket, loro dodici, nonostante tutto, sapevano che dovunque la vita gli avrebbe portati, non si sarebbero separati mai per davvero.
Loro dodici erano i componenti di un universo nel quale ogni squarcio era stato ricucito ed ogni crepa riempita, erano i membri di un'unica, grande famiglia meglio conosciuta come Hall of Fame.
A volte, nel buio, si accende una luce.
And the world's gonna know your name,
cause you burn with the brightest flame,
And the world's gonna know your name,
and you'll be on the walls of the Hall of Fame.