Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: karasu_chan    26/04/2015    1 recensioni
"I suoi occhi neri come la pece mi fissavano, incandescenti, come due fuochi ardenti, i capelli dello stesso colore della notte che ricadevano dolcemente sulla fronte, nascondendo la parte destra del volto. Il mento affilato scendeva in un collo affusolato, le spalle e il resto del corpo erano coperti dal mantello della divisa"
"-Sai da cosa l'ho capito?-, mormorò, avvicinandosi di più a me. Io ero immobile, incapace di parlare, di pensare, di qualsiasi cosa, gli occhi fissi solo su di lui. -Pupille dilatate. Rossore evidente. Battito accellerato. Balbettio. Segni di nervosismo... o qualcosa di più?-, parlava ma a me sembrava di stare in un sogno, un sogno troppo bello per star davvero accadendo"
"Non so quanto durò quello sguardo, un secondo, un'ora, un giorno. Ero totalmente avvolto in quell'oceano nero"
"C'era solo lui"
"Credo di essere innamorato di te, Eren Jeager".
Piccolo one-shot sugli Ereri, spero vi piaccia, e se vi va lasciate una recensione! :)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren, Jaeger, Jean, Kirshtein, Mikasa, Ackerman
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~THE TITAN'S HEART
Non era da molto tempo che ormai mi trovavo nella Legione Esplorativa. Il sogno della mia vita, sconfiggere, sterminare i giganti, ora era a portata delle mie mani, non era mia stato così vicino, così reale. Ma allo stesso tempo la scoperta di essere uno di loro, di poter trasformare la mia forma umana in uno di quei mostri che avevano ucciso la mia famiglia, che mi avevano tolto la libertà, la possibilità di essere chi ero, aveva scombussolato la mia vita. Ero diventato ciò che più odiavo al mondo. Come era potuto accadere? Ma la domanda che mi frullava di più in testa era... questo dono (o maledizione?) mi era stato dato per un motivo? C'era uno scopo finale? Oppure era soltanto un crudele gioco del destino per beffarsi di me? Ormai a malapena mi guardavo allo specchio, per paura di quello che potevo trovarci. Sempre di più mi  assaliva la paura di, una volta trasformato, non riuscire più a tornare indietro. Come sarebbe stato vivere come uno di loro, lontano dalla società, da Mikasa e Armin, da tutto ciò che mi apparteneva e a cui appartenevo, ricordato solo come l'Eren Jaeger, l'uomo titano? O ancora peggio, cosa sarebbe successo se una volta, durante una missione, avrei perso il controllo e avrei fatto del male ai miei compagni? Come mi sarei sentito una volta tornato umano, per sempre morto dentro, con il rimorso di aver ucciso dei miei simili, delle persone a cui ero legato? Ormai non dormivo più, assalito da incubi ricorrenti, e mangiavo a malapena, e solo la rabbia e la determinazione mi mandavano avanti.
Camminavo lungo la strada dell'accampamento, quello era il giorno libero dall'addestramento e tutti avevano il permesso di trascorrere la loro giornata come meglio volevano. Io ero immerso nei miei soliti pensieri, che ormai non potevo più togliermi dalla mente, scalciando distratto un sassolino. Il vento tirava forte quel giorno, e ne sentivo il tocco sul viso e sul collo, la schiena che rabbrividiva per il freddo, ma quasi non ci facevo caso. Mi arrivò alla mente il pensiero del capitano Rivaille che, insieme al comandante Erwin Smith, avevano contribuito alla mia salvezza dal corpo di Gendarmeria, profondamente convinto del pericolo che portavo per l'umanità e quindi deciso a farmi fuori. Sentii subito le guance colorarsi di un lieve rosso e il battito del cuore accelerare, per poi ricompormi immediatamente alla vista di Jean, che arrivava dalla direzione opposta alla mia.
-Eren, qual buon vento-, disse con la sua voce profonda, una volta strafottente e con una sfumatura di sfida, ma da qualche tempo ormai solo malinconica e nostalgica, con una vena di disprezzo.
-Jean! Io non pensavo di trovarti qui-, ribattei, con la voce che tremava leggermente, quel viso ancora stampato in testa. Menomale che non poteva leggermi la mente...
-Hai un'aria decisamente agitata. Dio, neanche ti avessi beccato a sporcare in giro! In quel caso sarei andato subito a dirlo al capitano Rivaille-, mi provocò, con una risata di scherno notando sicuramente le mie guance arrossire ancora di più, -O forse ti avrebbe fatto piacere?-, sussurrò avvicinandosi al mio orecchio, per poi ricominciare a ridere.
Lo spintonai con una manata sul petto, per allontanarlo da me. Capiva sempre troppo, quel dannato. Era meglio se gli facevo cambiare idea.
-Non ti illudere, Faccia di Cavallo. Io non ho nessuna intenzione di stare ai tuoi giochetti. Vai a prendere in giro Connie, tanto lui non le capisce mai le tue battutine squallide-, sputai a denti stretti, con lo sguardo puntato nei suoi occhi nocciola.
-Di sicuro Connie non è divertente come te,ragazzino. Tu ti agiti sempre per qualunque cosa, ed è divertente vederti così tremendamente imbarazzato. Soprattutto se parliamo di.. Tu sai chi-, vaneggiò, facendomi l'occhiolino in segno di intesa, mostrandomi nuovamente il suo sorriso rude, di chi lo fa ma non ne sente davvero il bisogno.
-Come te quando nominiamo Marco-, risposi sprezzante, con lo sguardo ancora fisso nei suoi occhi.
La tonalità chiara che rispecchiava due occhi sereni, mostrò quanto in realtà nascondessero dolore sotto la patina di vanità: un castano scuro divorò il nocciola, come nubi temporalesche che inglobano il sole. Vidi i suoi muscoli tendersi e irrigidirsi al suono di quel nome e le sue mani, prima leggere posate sui fianchi, stringersi in due pugni, e la sua postura cambiare per diventare rigida e minacciosa. Increspò le sopracciglia, e con una voce meno scherzosa e più arrabbiata di prima esclamò: -Non nominarlo. Tutto questo non ti riguarda, moccioso. Tu hai tanta voglia di morire, non è così? Vuoi diventare un eroe, vuoi sterminare i giganti. Ma lascia che ti dica una cosa. Non tutti dovevano essere lì quel giorno. Non tutti volevano combattere, e tutti avevano paura di morire. Lui se n'è andato. Solo come un cane, senza nessuno. Senza che io fossi lì con lui. Qui non si tratta di te, Eren, per una volta. Non siamo tutti degli eroi. Non tutti verremo ricordati. Io... io vorrei solo averlo potuto proteggere-, e con queste parole accusatrici mi voltò la schiena.
Era stato un errore tirare in ballo Marco, era un tasto debole e ancora una ferita aperta per Jean, ma era stato efficace per fargli dimenticare per cosa mi stava prendendo in giro. Per tutti la sua morte era stata un colpo duro, ma, anche se nessuno sapeva il perchè, Jean l'aveva presa peggio di tutti. Continuai a camminare finchè non arrivai davanti alla mensa. Sentii lo stomaco brontolare e pensai che magari avrei potuto trovare qualcosa da mettere sotto i denti avanzato dalla colazione, sempre che non fosse passata prima Sasha. Aprii la porta ed entrai, davanti a me la grande sala dove i soldati, cadetti e veterani, mangiavano. Non sapevo nemmeno se era permesso prendere cibo fuori dai pasti prestabiliti, ma visto che era il giorno libero per tutti forse non ci avrebbero fatto caso. Entrai in quella angusta sala piena di panche e tavoli, fiochemente illuminata dalla luce che traspariva dalle finestre. I miei passi sembravano risuonare come campane all'interno di quelle mura.
Sobbalzai al sentire di una voce familiare:-Jeager, cosa ci fai qui?-. Non potevo non riconoscerla. Era la voce del mio capitano, Levi Rivaille, l'ultima che mi sarei aspettato di sentire. Subito le ginocchia mi divennero molli e desiderai di essere in qualunque altro posto tranne quello. Essere da solo in una stanza con lui... Bè, potevo considerarlo insieme il mio peggiore incubo e il mio più bel sogno. Non potevo controllare le mie emozioni sentendolo così vicino...
-Capitano! Io.. ehm.. ecco, non stavo facendo niente di male, davvero, passavo solo di qua e.. sì, mi chiedevo se... era avanzato qualcosa dalla colazione..-, la voce era arrivata da dietro di me, dove con tutte le probabilità si trovava lui, e stavo seriamente cercando di trovare il coraggio di voltarmi, senza però trovarlo. Possibile che quell'omino alto 1,60m potesse farmi sentire quanto il più piccolo dei vermicelli?
-Sai bene che non sono permessi pasti fuori da quelli prestabiliti-, risuonò ancora la sua voce, stavolta, almeno per quello che mi sembrava, più vicina a me. Ancora non riuscivo a girarmi. Era profonda, severa, sembrava quella di un uomo senza di cuore... oppure di qualcuno che faceva finta di non averlo.
-Lo so capitano, ma visto che era il nostro giorno libero, pensavo di poter fare uno scarto alle regole..-, mormorai, la voce più flebile e insicura di quanto volessi. Non volevo che capisse quanto effetto potesse fare su di me. Eppure, se l'aveva capito Jean, doveva averlo capito anche lui... no, no, non poteva. Insomma, lui...
-Eren Jeager, sempre alla ricerca di nuovi metodi per rompere le regole eh? Non ti sazi mai-, continuò. Avrei potuto continuare ad ascoltare quella voce per ore.. ed ore..
-Jeager, stai dormendo? Perchè non ti giri e mi guardi in faccia, invece di mostrarmi la tua bella schiena?-, "pensa che ho una bella schiena!" "era solo sarcasmo idiota", le vocine nella mia testa mi stavano facendo impazzire.
Sentivo tutta la tensione nei muscoli dovuta alla sua presenza, il battito accelerato, il respiro irregolare e la faccia decisamente in fiamme. In più, ormai mi sentivo solido quanto una gelatina alla frutta. Ormai lui doveva aver notato tutto, ma speravo soltanto che lo attribuisse a una specie di timore che provavo per lui, non a... qualcos'altro. Mi voltai, lentamente, indietreggiando leggermente, per potermi sorreggere alla panca. I suoi occhi neri come la pece mi fissavano, incandescenti, come due fuochi ardenti, i capelli dello stesso colore della notte che ricadevano dolcemente sulla fronte, nascondendo la parte destra del volto. Il mento affilato scendeva in un collo affusolato, le spalle e il resto del corpo erano coperti dal mantello della divisa. Solo il suo viso era in grado di farmi venire un infarto, almeno aveva il corpo coperto. Sentii gocce di sudore imperlarmi la fronte. Deglutii rumorosamente, e lui si avvicinò ancora un po' a me, ormai eravamo a pochi centimetri di distanza, e non sapevo quanto il mio cuore avrebbe retto. Mi addossai di più alla panca, stringendovi così forte le dita che ebbi paura di spaccare il legno. Lui si tolse agevolmente il mantello, mostrando la tenuta da soldato, e poggiandolo sul tavolo accanto. A quel punto trattenni in respiro per non rischiare di andare in iperventilazione. I suoi occhi erano ancora puntati su di me, ed eravamo così vicini che potevo sentire il suo profumo...   
-EHI VOI DUE! PER CASO AVETE VISTO IL COMANDANTE ERWIN?-, esclamò una voce che veniva dall'ingresso.
Levi immediatamente si allontanò da me e si girò in direzione della voce. A quanto pare si trattava di Petra che ultimamente (ormai mi veniva difficile attribuire questi avvenimenti al caso) ogni volta che io e Rivaille per qualche motivo parlavamo o ci ritrovavamo insieme, doveva intromettersi e interrompere. Non sapevo se ringraziarla oppure odiarla, in ogni caso probabilmente mi aveva appena salvato la vita da un attacco cardiaco. Il capitano Rivaille era come suo solito composto e freddo, anche lo sguardo incerto di Petra vedendoci soli in una mensa buia e isolata non lo aveva minimamente toccato.
-Scusate ho.. interrotto qualcosa?-, mormorò imbarazzata e, in modo piuttosto evidente, innervosita.
-No, Petra, aspettami lì arrivo immediatamente-, scandì Levi con voce decisa e ferma, e la ragazza non contestò e uscì, probabilmente con la testa appoggiata alla porta per origliare.
Il capitano quindi si voltò verso di me. -Dove eravamo rimasti... ah sì-, in un attimo che mi sembrò un millesimo di secondo fu accanto a me, il mento che sfiorava il mio collo e le sue labbra vicinissime al mio orecchio e un sussurro lieve che vi usciva dicendomi: -Vedi di non farti scoprire-.
E nello stesso lasso di tempo prese il mantello che con un movimento fluido finì sulle sue spalle magre ma muscolose, come una bandiera che segnava il suo passaggio, e il profumo del suo respiro ancora nelle narici.

Certo che la prima volta che avevo visto il capitano Rivaille, quella in cui mi trovavo rinchiuso in una cella e loro erano venuti da me intenzionati ad aiutarmi, mi aveva subito colpito. La sua esile figura in confronto a quella del comandante Smith poteva sembrare quella di un adolescente, ma tutti sapevamo che lui era il nostro miglior soldato, la più grande speranza per l'umanità. Tutto in lui, la postura, il fisico così minuto ma così elegante, e lo sguardo mi avevano lasciato nella mente e nel cuore una strana sensazione. Il tempo passato in una stanza buia incatenato di certo mi dava il tempo di pensare: e non potevo smettere di rimandarmi al ricordo di quell'omino tanto cupo ma così misterioso e affascinante che mi faceva sentire a disagio. L'attesa di poter rivedere quello sguardo mi faceva quasi star male, anche se non ne comprendevo il motivo. Il giorno del giudizio poi, l'ansia mi aveva quasi fatto dimenticare che era lo stesso giorno in cui lo avrei riincontrato.  Il processo era stato esaustivo, e credevo ciecamente nella Legione Esplorativa, sapevo che non mi avrebbero lasciato nelle mani della Gendarmeria. Certo non mi aspettavo tutte quelle botte (anche se devo ammettere che il contatto fisico con lui funzionava quasi da anestetico) e il solo fatto che mi avesse detto che credesse in me mi faceva sentire rinnovato di speranza. Ripensavo spesso al nostro primo incontro, e mi capitava spesso di chiedermi quale importanza avevo per lui. Non mi illudevo e sapevo chiaramente che non poteva ricambiare ciò che provavo io, ma chissà che opinione aveva di me. Tutti avevano la convinzione che lui non provasse sentimenti per nessuno e che solo combattere gli faceva davvero provare qualche emozione. Eppure io sentivo la stramaledetta sensazione che non fosse così. Percepivo qualcosa ogni volta che quello sguardo color pece calava nei miei occhi. Solo che non sapevo cosa. Entrare nella Legione mi aveva dato l'occasione di conoscere il miglior soldato dell'umanità. E io avevo tutta l'intenzione di scoprire i suoi segreti.
-Eren! Ma dove ti eri cacciato? è tutta la mattina che ti cerco!-, questa era la voce limpida di Mikasa, che mi chiamava con il solito tono di rimprovero.
-Di solito tu non vai a fare la tua corsa mattutina prima di colazione? Non ti ho vista pensavo fossi ancora impegnata-, le risposi con il tono di voce più neutrale possibile. Di certo non volevo che sapesse del mio incontro con il capitano Rivaille.
-Certo, dillo che sei andato a cacciarti in qualche altro guaio. Hai la faccia di chi è appena sfuggito a un uragano-, mi criticò ridendo sommessamente.
-Io non mi caccio mai nei guai! E ora perdonami ma ho una fame da lupi vado a vedere se Sasha ha rubato qualcosa dalla dispensa, in mensa non c'è niente-, conclusi, facendo finta di non notare il suo sopracciglio che si alzava quando pronunciai la parola "mensa".
Mi incamminai verso il padiglione di addestramento, l'unico posto all'aperto che fosse minimamente utilizzabile. Presto trovai Sasha ma... a quanto pare, non era da sola. Sembrava fosse vivamente presa in una conversazione con Connie che la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, come se stesse parlando in cinese. Il tempo di un battito di ciglia e lei era rotolata a terra sopra di lui in una specie di lotta all'ultimo sangue chein realtà sembrava più uno scontro tra due bambini, sentivo le loro risate fin dall'altra parte del campo e interromperli per una questione idiota come il cibo (anche se per Sasha il cibo era al primo posto delle priorità) non mi sembrava decisamente il caso. Per cui girai sui tacchi e me ne andai. Sbuffai, la giornata cominciava ad essere davvero pesante. Un rossore mi infuocò il viso  quando ripensai a quelle labbra che erano a un tocco dalle mie... Scossi la testa per togliermi quel pensiero. "Cosa vuoi credere? Che lui sia interessato a una nullità come te? Solo perchè ti trasformi in titano non significa che lui.." Ma i miei pensieri furono interrotti da uno scontro piuttosto duro che mi rimediò un dolore acuto alla testa e un sedere per terra.
-Ma chi... Jeager ancora tu!-, sbottò una voce decisamente incazzata. Una voce decisamente familiare e poco consona al momento.
-Capitano!-, esclamai, ancora seduto a terra con il suo sguardo che mi dominava dall'alto. Credo che in quel momento mi reputasse una specie di maledizione. Era solo, anche se poco prima avrebbe dovuto andare con Petra dal comandante Erwin. -Lei non dovrebbe essere dal comandante Erwin?-.
-Petra aveva solo bisogno di un chiarimento, se è quello che intendi. La domanda che bisogna fare è: perchè cavolo mi segui da tutto il giorno?-, borbottò, una sottile ruga che gli passava tra le sopracciglia e la solita espressione apatica. Ma quegli occhi...
-No signore! Io non la sto seguendo, io... ecco...-, perchè dovevo sempre balbettare come un idiota? -Io stavo passando di qua e c'era lei, pensavo fosse con Petra io non... non farei nulla del genere...-, e dopo altri farfuglii senza senso (in cui io eroancora sdraiato a terra e non mi rendevo conto della mia posizione assolutamente ridicola) mi interruppe, piegando le ginocchia per avere il viso all'altezza del mio. I capelli gli scesero lungo lo zigomo enfatizzando la curva del viso e facendomi palpitare il cuore.
-Sei uno sciocco. Completamente rimbecillito, neanche fossi caduto e avessi sbattuto la testa. Davvero pensi che mi interessi stare con lei?-, sussurrò.
Io ero così incredulo del solo fatto che gli stessi parlando da solo per la seconda volta in un giorno che a malapena riuscivo a respirare normalmente. Se avessi superato quella giornata indenne mi sarei autoproclamato soldato della settimana. Quella domanda però aveva un che di doppio senso, ma per evitare di rispondere e farmi scoprire preferii tacere. Lui sbuffò e abbassò la testa con un cenno di esasperazione.
-Sei così ingenuo-, mormorò, così piano che pensai di essermelo immaginato. Poi si alzò e mi ordinò di seguirlo. Pensavo di aver ufficialmente perso la sensibilità delle gambe ma a quanto pare ero ancora in grado di camminare e più velocemente di quanto pensassi mi tirai su e seguii la sua sagoma leggiadra.
-Scusi se lo chiedo ma... dove stiamo andando esattamente?-, chiesi. Nessuna risposta, fantastico. Svoltammo diverse volte, finchè non ci ritrovammo davanti... al suo alloggio. Voglio dire... l'alloggio del capitano. L'alloggio del capitano Rivaille. Non riuscivo a connettere. Nessuno nessuno nella maniera più assoluta andava nel suo alloggio. Perchè eravamo lì?
-Capitano...-, farfugliai, ma lui proseguì ignorandomi, quasi non fossi lì con lui finchè non arrivò alla porta. Qui poi aprì ed entrò. Io rimasi un attimo nella soglia impalato come un salame, prima che una mano spuntata dall'interno mi afferrò e mi trascinò dentro. All'interno era tutto ordinato e pulito, un ambiente semplice e senza fronzoli, ma accogliente, una caratteristica che certo non mi sarei aspettato. Consisteva in una camera piuttosto ampia, con un letto, un armadio e un comodino. Il letto era sorprendentemente grande...
-Allora, Jeager-, disse, riportandomi alla realtà. Si trovava proprio davanti a me, e si era appena tolto il mantello, che ora era posato al fondo del letto. La vista della tenuta attillata (molto attillata) mi fece salire una strana sensazione allo stomaco. Mi sentivo esplodere al punto che quasi mi lacrimavano gli occhi.
-Sai da cosa l'ho capito?-, mormorò, avvicinandosi di più a me. Io ero immobile, incapace di parlare, di pensare, di qualsiasi cosa, gli occhi fissi solo su di lui. -Pupille dilatate. Rossore evidente. Battito accellerato. Balbettio. Segni di nervosismo... o qualcosa di più?-, parlava ma a me sembrava di stare in un sogno, un sogno troppo bello per star davvero accadendo. Indietreggiai lentamente, ma dietro di me trovai la parete, a cui mi appoggiai per non cadere a terra come un sacco di patate.
-Capitano...-, mormorai. Lui non rispose, portò le mani ai lati del mio corpo, appoggiandole al muro e bloccandomi. Con la mano destra mi tirai un pizzicotto alla gamba, per vedere se tutto ciò non era altro che un sogno.
-No, Jeager, sono reale, per tua grande sfortuna-, mi fece notare lui, con uno sguardo malizioso e un mezzo sorriso (sì, sorriso, non sto scherzando) sulle labbra sottili. Chiusi gli occhi e trassi un forte respiro, alzando leggermente il mento. Il suo volto si poggiò sulla mia clavicola, incastrandosi perfettamente, e il suo profumo intenso mi pervase le narici. Poi sentì come un'esplosione nel mio stomaco: la sua bocca toccava il mio collo, delicata come un petalo. Il capitano Rivaille mi stava baciando il collo. Non riuscivo a muovere un solo muscolo, come se il suo tocco mi paralizzasse, come un dolce veleno che mi entrava nel sangue. Lentamente lui risalì, coprendo di piccoli baci la clavicola, il collo, fino ad arrivare alla mascella, e al mento. Fu solo allora che aprii gli occhi, perchè sentivo i suoi fissi nei miei, pieni di una forza martellante che mi faceva sentire vivo. Non so quanto durò quello sguardo, un secondo, un'ora, un giorno. Ero totalmente avvolto in quell'oceano nero. Sentii poi le sue dita sulla nuca, tra i capelli, e io mossi le mie in direzione dei suoi fianchi, perchè sapevo esattamente, per la prima volta da sempre, quello che lui voleva, ciò che io volevo. In un battito di ciglia le nostre labbra furono attaccate, e sentii come un fuoco che bruciava dentro al petto, in gola, che mi mandava in estasi, il cervello completamente fuori uso, come se l'intera realtà avesse perso forma e senso. C'era solo lui, era il mio mondo, il mio tutto. Mentre la sua bocca si muoveva insieme alla mia era come cantare una canzone che era stata taciuta per troppo tempo, come finalmente trovare un posto da chiamare casa. Le sue braccia mi strinsero più forte, il suo petto si avvicinò ancora di più al mio, i respiri che si intrecciavano come note di una sola melodia. Mi sentivo rinascere, non ero più Eren, non ero più l'uomo gigante, ero solo insieme a lui, e niente importava. Mi afferrò per la divisa e mi staccò quasi violentemente dal muro, mi trascinò fino al bordo del suo letto per poi buttarmici sopra, e senza staccare le sue labbra dalle mie, cadde insieme a me,come due corpi intrecciati in uno solo.
Era ormai sera quando uscii dall'alloggio del capitano, e non mi ero mai sentito più leggero. Probabilmente volteggiavo in aria cavalcando unicorni su arcobaleni e nuvole di zucchero  filato, o almeno così mi sentivo. Sotto quella gioia esplosiva però, avevo anche il timore che qualcuno potesse averci scoperto... e se qualcuno mi avesse visto entrare insieme al capitano Rivaille? Magari Petra ci stava spiando. Se l'avesse detto ad Erwin, mi avrebbe cacciato? Scossi la testa, non potevo farmi prendere da quei pensieri, non in quel momento. Ora dovevo solo metabolizzare il tutto (perchè ancora non mi sembrava vero) le conseguenze sarebbero arrivate dopo, ma non me ne importava. Mentre mi dirigevo nel dormitorio, privo di forze e molto assonnato dopo la giornata decisamente ricca di forti emozioni, ebbi la fortuna, o per meglio dire, sfortuna, di riincontrare per la seconda volta Jean.
-Ecco qui il ragazzino che vuole morire! Ma non dovresti essere già a letto? Bisogna avere le forze se vuoi sterminare tutti i giganti, Jeager-, esclamò strafottente.
-Sei sempre molto simpatico. Mi stavo giusto dirigendo lì se lo vuoi sapere-, risposi, abbassando lo sguardo per non fargli capire quanto fossi imbarazzato. Se avesse capito quello che era successo...
-Hai di nuovo quella faccia da "nascondo qualcosa, e quel qualcosa riguarda Tu sai chi"-, mormorò, lo sguardo subito interessato a penetrare i miei segreti.
-Non ho niente da nascondere! E ora scusami ma dovrei proprio andare!-, dissi quasi implorandolo con lo sguardo, quella situazione doveva finire.
Mi bloccò un braccio prima che potessi proseguire, e mi sussurrò: -Non agitarti Jeager, il tuo segreto è al sicuro con me. Potrò sembrare anche uno stronzo, ma alla fine mi stai simpatico-. Detto questo mi lasciò andare il braccio e se ne andò. Non sapevo se essere arrabbiato, sorpreso, o sollevato per quel piccolo dialogo che avevamo avuto. In ogni caso continuai ad andare per la mia strada, finchè non raggiunsi il mio letto. E mentre chiudevo gli occhi, rividi di nuovo il viso del capitano che mi sussurrava "Credo di essere innamorato di te, Eren Jeager". Alla fine quindi, mi aveva dimostrato che non era ciò che mostrava agli altri, una macchina da guerra senz'anima: lui non aveva il cuore di un titano.


ANGOLO AUTRICE:
Spero la storia vi sia piaciuta, è il primo one shot che scrivo e chiedo perdono per eventuali errori, sarei felice se me  li faceste notare con una recensione:) grazie mille per aver letto!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: karasu_chan