Buona sera! Sono di corsa e sommersa di studio, perciò vi lascio velocemente a Yugi.
Buona lettura e buona Domenica a tutti!
We keep this love in a photograph, we make
these memories for
ourselves
Where our eyes are never closing, our hearts
were never broken
And times forever frozen still
12
Dicembre 2004, Domino
Caro
diario,
il
mese di ottobre è
trascorso placidamente, scevro di avvenimenti davvero
importanti ma con Atem che ogni giorno mi rivelava qualcosa di più
su di lui, un tassello in più
che si andava a incastrare nel puzzle della sua
personalità,
e avendolo sempre in casa con me non sono
davvero riuscito a trovare un momento per scrivere. È
stata un’impresa
anche trovare il tempo di lavorare
al suo problema ma per la fine del mese ero riuscito a rimediare al mio
errore
e adesso Atem può
finalmente mangiare. Ho controllato
minuziosamente se ci fossero altri incidenti, se il fatto che i suoi
ricordi
fossero alterati fosse dovuto a qualche malfunzionamento nel cervello,
o a un
guasto, ma tutto era a posto: Atem è
in
funzione
da quasi quattro mesi e non potrebbe essere più
vivo... no, più
umano
di così.
Se
non fosse per alcuni
suoi comportamenti che mi fanno preoccupare...
Un
giorno in novembre ad
esempio pioveva a dirotto, le grosse gocce si accumulavano sul
davanzale della
finestra e l’acqua
penetrava lentamente attraversavano
le fessure del vetro, bagnando il pavimento. Non era la prima volta che
Atem
vedeva la pioggia, ma da qualche giorno prestava attenzione alle cose
in
maniera diversa. L’ho
visto fissare le gocce, contandole con
lo sguardo a una a una, e quando sono rientrato in camera sua, due ore
dopo,
Atem era ancora lì
che le guardava.
Gli
ho chiesto come mai
fosse così
pensieroso, e lui mi ha detto di lasciar
perdere. Era la prima volta che rifiutava di confidarsi con me e la
cosa mi ha
colto alla sprovvista. Gli ho chiesto se avessi fatto qualcosa di
sbagliato, se
fosse arrabbiato con me, e cosa ancora più
strana, Atem non ha negato nessuna di queste cose. Si è
semplicemente girato verso di me, guardandomi con occhi
vuoti: era perso, c’era
risentimento nel suo viso, ma allo
stesso tempo passività,
apatia. Atem... sembrava una macchina.
Ero
spaventato, ma ho
fatto finta di niente. Probabilmente il cambio di stagione stava avendo
delle ripercussioni sulla personalità
di
Atem: succede a moltissima gente, non solo ai metereopatici. Da quel
giorno però,
Atem ha cominciato a chiudersi in sé
stesso: non evitava la mia compagnia ma piuttosto
cercava di passare più
tempo da solo, a pensare mi diceva. Era
come se avesse scoperto qualcosa, qualcosa che aveva bisogno di
processare
lentamente dentro di se e che non voleva assolutamente dirmi. E io ero
troppo
spaventato per provare a indovinare cosa fosse.
Così
ho evitato di disturbarlo e anche il mese di novembre è
trascorso con una certa tranquillità.
Ma mentre provava a isolarsi da me e cercare nella
solitudine le risposte ai suoi problemi,
ho
visto Atem aprirsi di più
con i mie amici: li cercava, li
frequentava, faceva loro domande... come se loro potessero fornirgli
delle
risposte che io non avevo o se si fidasse più
delle loro che delle mie. Eppure neanche loro sono sinceri nei suoi
confronti, io lo so: sono stato io a chiedere loro di mentire, ma forse
è
un diverso tipo di bugie, è
una
realtà
in cui Atem riesce ad accettarle. In particolare l’ho
visto cercare la compagnia di Ryou. Ryou veniva a
trovarci almeno une volta alla settimana e restavano a chiacchierare
per ore,
così
a lungo che mi sentivo escluso e finivo per uscire dalla
stanza e lasciarli da soli. Quando chiedevo ad Atem di cosa parlassero
di così
importante, mi rispondeva sempre in modo vago, come se
fosse un segreto, e lo stesso valeva per Ryou. Così
ho origliato le loro conversazioni e ho scoperto che
Ryou gli racconta del suo passato, di Bakura, di cosa volesse dire
trovarsi
imprigionato in un corpo che non ti rispondeva, un corpo finto... Gli
parlava
di cosa si provasse a essere controllato da qualcuno, a perdere il
senso di essere vivo. Gli ha raccontato perfino del suo
tentativo suicidio-
qualcosa di cui Ryou non parlava mai-
e gli ha confidato che non lo aveva fatto
nella speranza di poter fermare lo spirito, ma semplicemente perché
non ne poteva più
di
non essere padrone di se stesso.
Ryou
era consapevole del
peso che quelle parole potevano avere su di Atem, potevano scatenare in
lui un’epifania
o nuove domande... eppure non la smetteva.
Continuava a raccontare e Atem lo guardava rapito ogni volta, la mente
che
viaggiava a cento all’ora
e io che non riuscivo a seguirla o a
capire dove stesse andando.
Così
una volta li ho interrotti, sono entrato in salone
chiedendo ad Atem di aiutarmi a sistemare degli scatoloni in negozio,
proprio
nel bel mezzo della loro conversazione. Ryou non ha detto nulla, ma
Atem era
contrariato: mi ha chiesto se potevo aspettare che Ryou finisse di
parlare, o se poteva aiutarmi più
tardi.
Ryou aveva capito al volo, l’ho
guardato negli occhi cercando aiuto. Non
c’è problema, ha detto
rivolto ad Atem, possiamo
parlarne un’altra
volta, tanto dovevo tornare a casa a quest’ora. Ma Atem non è
stupido,
mentre sistemavamo gli scatoloni in negozio il silenzio era gelido. Non
mi ha rivolto la parola per tutto il resto della giornata.
Il
giorno dopo ho deciso
di parlare con Ryou: dovevo chiedergli di smetterla di raccontare ad
Atem di
Bakura, o per lo meno di non perdersi in troppi particolari.
«È
per lui... potrebbero
venirgli strane idee in mente...».
«Idee
corrette magari?».
La
sua risposta è
stata tagliente, qualcosa che non mi sarei aspettato a
questo punto, e faceva male. Perchè probabilmente
aveva ragione. Ma io stavo solo cercando di proteggere Atem, di
preservare la nostra routine, la nostra vita. Era troppo chiedere che
per una
volta le cose non terminassero nella solita tragedia?
«Anche
se fosse, non voglio che lui lo
sappia. Sono stato già
molto chiaro su questo».
«Yugi,
non puoi continuare a fare la parte
della madre protettiva. Guardalo!»
mi
ha detto «Non
è
l’altro
Yugi, non è
nemmeno la minima parte di quello che era l’altro
Yugi. Ammetto che all’inizio
eravamo tutti colpiti perché
sono identici e anche se io non ho mai visto Atem non ho
dubbi che lui e... il tuo robot siano uguali».
«Non
chiamarlo robot».
Aveva esitato: non aveva più
idea di come rivolgersi ad Atem.
«Perché,
cos’è
secondo te? È
ovvio che è
una macchina, perfino tu avevi detto che
doveva sapere di essere una macchina, e adesso vuoi cercare di
convincerti che
non è
così?
Non ci crede neanche lui, non riesci a
vederlo? Atem non ne può
più:
non ha un passato, non ha un futuro, non ha nemmeno un presente perché
tutto ciò
che sa sono solo bugie. Lo tieni
prigioniero: se tu dovessi sparire non avrebbe più
niente, te ne rendi conto?».
E
infatti era vero, perché
sono un ipocrita: avevo detto che lo avrei lasciato
libero di andarsene, invece ora Atem è
incatenato a me.
«Ma
lui è
felice con me...».
«Come
lo sai? Glielo hai chiesto? Gli hai
mai chiesto se è
felice? Magari all’inizio
lo era, ma era confuso, te lo ricordi. Il primo
mese è
stato tutto un portarlo avanti e indietro, lo trattavi
come un turista, e adesso che ha finito di vedere tutto quello che hai
da
mostrargli cosa pensi di fare? Atem si annoia, Yugi, credi che possa
provare
emozioni, ma la verità
è
che
l’unica
emozione che vedo io è
lo
sconforto. Non sa cosa fare non ha una direzione-».
«Non
puoi dire queste cose, non lo conosci
nemmeno!».
«E
perché
tu
lo conosci? Quanto tempo passate a parlare di voi due? Lo aiuti mai? Se
lui ti
fa una domanda gli rispondi?».
«Certo-».
«Quando
ti chiederà
se è
un essere umano tu cosa gli risponderai?».
Quando. Non se.
«Perché
dovrebbe chiedermi una cosa simile-».
«L’altro
giorno,»
Ryou ha sospirato passandosi una mano tra
i capelli «L'altro
giorno mi ha parlato di come si sente. Dice che a
volte ... riesce come a vedersi vivere: tocca le cose e non avverte
nessuna
sensazione, non ha mai fame, non ha mai sete. E tu sia perché,
Yugi. Ma lui no e mi ha chiesto se fosse colpa dell’amnesia,
se fosse possibile che l’incidente
gli avesse danneggiato il cervello fino a
questo punto. E ringrazia che non sappia granché
del
sistema legale o sanitario, altrimenti ti avrebbe chiesto di vedere
almeno una
cartella medica».
Vedersi
vivere. Quando ci
ripenso mi tremano ancora le mani.
«E
tu che gli hai detto?».
«E’
questo che ti preoccupa, vero? Ti è
mai
importato di Atem, invece?».
«Certo
che mi importa! Sono cinque anni che
mi importa di lui!».
«Di
lui o di te stesso Yugi? Chiedilo a lui quello che ci siamo detti, io
non voglio più
avere a che fare con questa faccenda».
«Che
cosa-».
«Sono
tuo amico, Yugi, e ti voglio bene. Ma
ne voglio anche ad Atem, per quanto sia strano, e non ce la faccio ad
andare
avanti... non è
giusto, non chiedermi di continuare a
mentire. Se Atem ritorna da me gli dirò
come stanno davvero le cose».
Ryou
aveva promesso di
aiutarmi, di reggermi il gioco, di non abbandonarmi. Anche gli altri lo
avevano
fatto, ma non avevano su di Atem lo stesso ascendente che chissà
perché
Ryou esercitava. Eppure adesso Ryou mi
aveva detto che non mi avrebbe più
aiutato. L’unica
cosa che potevo fare era limitare il
più
possibile gli incontri fra i due, evitare che si
parlassero e che la verità
saltasse fuori.
All’inizio
ho cominciato mettendomi in mezzo durante le loro
conversazioni. Con me presente Atem evitava di fare domande su certi
argomenti,
e io mi sentivo ancora più
distante. Non so se questo suo chiudersi
in se stesso significa che sospetti che la responsabilità
di ogni cosa è
mia, magari vuole solo proteggermi, ha paura che i suoi dubbi
potrebbero farmi
preoccupare... ma allora non sarebbe stato così
ostile
verso di me. Credevo che Atem mi amasse, ma per lui ormai sono un
qualcosa da
evitare.
Forse
Ryou ha ragione,
forse lo tengo in gabbia, ma la gabbia è
per
proteggerlo: se venisse a sapere come stanno davvero le cose ne sarebbe
sconvolto, potrebbe decidere di andarsene, di morire... potrebbe
rivoltarsi
contro di me, in fondo è
colpa mia... in quel caso non saprei cosa fare. Non posso combattere
Atem.
Piano
piano, sono passato
dall’intromettermi
fra i discorsi di Ryou e Atem all’impedirli
del tutto. Piano piano ho fatto in modo che si
vedessero sempre più
raramente e ho cercato di recuperare la
fiducia di mou hitori no boku. Mi sono dimostrato più
aperto, ho incoraggiato le sue domande, sono stato
attento ai suoi stati d’animo
e ai suoi bisogni. Ho cercato di
diventare io quello che Atem vedeva in Ryou e ho provato a seguire il
suo
consiglio. E Ryou aveva ragione.
Atem
è
cambiato, in un modo che mi rifiuto di accettare. E non
so se è
cambiato adesso o è
sempre stato così
e
io non sono mai riuscito a notarlo perché
troppo preso dall’euforia
di riaverlo a fianco. È
malinconico, è
distante, le battute e i sorrisi che mi regalava i primi giorni ci sono
ancora...
ma non sono veri. E io ho paura.
4
gennaio 2004, Domino
Caro
diario,
Da
quando non può
più
parlare con Ryou, Atem si è
chiuso ancora di più
in
se stesso. Eppure lo sento più
vicino perché
è
con me che ora passa la maggior parte del suo tempo,
anche se contro voglia, e io sono diventato di nuovo il suo punto di
riferimento.
A volte l’ho trovato a parlare anche con Anzu, via Skype. Forse preferirebbe la sua compagnia alla mia, ma la cosa non mi piace. Non si tratta di gelosia, ma non so come potrebbe reagire Anzu a un contatto così prolungato con Atem visto quello che provava per mou hitori no boku... non so se si accorgerebbe che lui e Atem non sono uguali, magari si illuderebbe che questa differenza non c’è. È quello che faccio anche io in fondo, e che dovrei smettere di fare. Per fortuna Anzu vive in America e ora che le feste di natale sono finite le occasioni per sentirci più spesso sono rare, e lo stesso vale per Ryou e gli altri.
Una
volta passata l’euforia
iniziale anche Jono e Honda hanno
cominciato ad allontanarsi, un po’
per
via del lavoro, un po’
per altri motivi. Da un parte mi dispiace
perché
è
come se Atem fosse privo di amici, ma dall’altra
è
l’unico
modo che ho per proteggerlo dalla verità.
Il
vuoto si sta aprendo anche intorno a me in fondo, e anche questa volta
sono io
ad alimentarlo. Forse avevano ragione quando dicevano che i vecchi
tempi non
sarebbero mai potuti tornare, ma adesso io ho Atem, e lui ha me. Ci
bastiamo.
Non ho bisogno degli altri.
Ora
che non ha più
Ryou, Atem ha cominciato a farmi delle domande più
mirate e per la prima volta da quando si è
svegliato mi ha chiesto del suo passato. Voleva sapere
chi era Bakura, il ruolo degli oggetti del millennio, chi era il
faraone. Chi
era lui. Ma sa che non è
un argomento di cui parlo volentieri e ha
preferito prenderlo alla lontana, permettendomi di girarci intorno. E
così
ho fatto.
«Perché,
tu
cosa ricordi?»
proprio come gli avevo chiesto quel giorno
di fine agosto, quando me lo sono ritrovato davanti per la prima volta.
Se
avessi saputo quanto della verità
potevo rivelare senza correre rischi sarebbe stato più
facile per entrambi.
Dopo
una pausa troppo
lunga si è
girato per guardarmi negli occhi, anche
oggi la pioggia cadeva fitta fuori dalla finestra, ma non con la stessa
irruenza di un paio di mesi fa. Era come se la pioggia e Atem
condividessero lo
stesso spirito, la stessa assenza di luce.
«Niente»
ha
scosso la testa. «Non
credo di ricordare più
niente. Invece di diventare più
chiari i ricordi stanno svanendo, perfino…».
Mi sono avvicinato a lui per stringergli la mano.
«Non
arrenderti, vorrà
dire che ne creerai di nuovi, ci sono io con te, ce la
faremo».
«Tu…»
ha
annuito distrattamente «Di
te mi ricordo invece…
ricordo la tua voce…
e
ricordo una stanza…».
«Una
stanza?».
La
stanza dell’anima?
La mia camera? Quella stanza?
«Non
è
da
molto che me ne ricordo, ma ho queste immagini di una stanza e...».
Ho aspettato che andasse avanti, ma Atem si era fermato
e non accennava a continuare. Erano ricordi preziosi? Non voleva
condividerli
forse? Oppure erano rischiosi e non voleva che io ne venissi a
conoscenza? Mi
sembrava di camminare su di un filo e il baratro era così
vicino, così
facile cadere giù.
Dondolavo paurosamente ma ormai non
potevo più
tornare indietro.
«E…
com’era
questa stanza?»
ho
deglutito. Avevo l’orribile
presentimento di conoscere la
risposta e anche se avrei preferito chiedermi come fosse possibile che
ricordasse la mia voce nel laboratorio perché
a
quei tempi era ancora spento non ci riuscivo, perché
l’angoscia
mi stringeva la gola come una
morsa e anche parlare diventava difficile. Se Atem avesse scoperto tutto…
io non avevo un piano di riserva, non avevo idea di cosa
fare. Vedevo solo il panico e un futuro privo di futuro.
«Non
lo so…
era
buio. Ma c’era
come un letto sotto di me, qualcosa che
faceva bip».
Ha ridacchiato sommessamente all’onomatopea.
«Forse
computer, probabilmente ce n’erano
parecchi. Era una stanza molto
piccola comunque. E spesso avevo…
un
lenzuolo, credo fosse un lenzuolo... addosso».
Buio. Certo. Atem aveva gli occhi chiusi. «Yugi,
stai bene?».
«Sì,
pensavo, scusa. E poi?».
«Te
l’ho
detto, non ricordo molto. Ma sono sicuro che fosse in questa casa perché
quando ho aperto gli occhi mi sono alzato e ho salito le
scale per entrare in camera tua. Ricordi quella sera vero?».
Ho annuito silenziosamente. «Ma…
quella stanza non può
essere qui perché
non
l’ho
mai vista. A meno che non sia quella che tu tieni
sempre chiusa a chiave, vicino al negozio. Ma non avrebbe senso no? Hai
detto
che è
solo un magazzino».
«Infatti,
ci sono solo ragnatele».
Sì,
probabilmente ce n’erano
parecchie ormai...
«Quindi
non ho davvero idea di cosa possa
essere…
forse ho sognato ma... era così
reale. Tu eri così
reale».
«E
io cosa dicevo?».
«Mi
confortavi, mi stavi vicino. Mi auguravi
la buona notte o il buon giorno. Ricordo che mi hai carezzato i capelli
una
volta, sussurrando che mi sarei svegliato...».
Da
quanto tempo Atem ricordava tutti quei particolari, quanto gli ci era
voluto
per trovare la forza di dirmeli? «Era
prima che mi riprendessi dal coma vero?».
«Già».
Ho
annuito ancora, ora capisco cosa provava Ryou: non ce la facevo nemmeno
io a
mentire più,
le bugie erano un macigno orribile, mi
tiravano giù,
dentro il baratro, il filo si spezzava
sotto il loro peso, ma non c’era
nient’altro
che potessi fare.
Pensavo
di provare a
sgomberare il laboratorio. Un giorno i flashback di Atem potrebbero
farsi più
frequenti, magari più
intensi, potrebbe davvero chiedermi di visitare il retro bottega, solo
per
curiosità,
e allora non potrei mostrargli tutto ciò
che nasconde. Perché,
ragnatele a parte, tutto è
ancora come era il giorno in cui Atem si è
svegliato. Sono stato così
stupido da non averlo mai sistemato. Forse potrei chiedere a
Jonouchi di
restare con Atem mentre io mi occupo della faccenda, ma ormai non mi
fido più
a lasciarlo da solo con i miei amici e io e Atem siamo
sempre insieme, se dovessi svuotare la stanza da solo o di notte se ne
accorgerebbe. Potrei farlo fare a Jonouchi, ma non credo accetterebbe.
Quando
gli ho parlato della nostra conversazione mi ha detto che secondo lui è
arrivato il momento che Atem scopra la verità,
qualcosa che io invece non sono ancora pronto a dirgli.
E probabilmente non lo sarò
mai.
Ci sono i miei computer nel laboratorio, e fogli su fogli di appunti e disegni, tutti gli strumenti di lavoro, i microscopi, i macchinari… cosa verrebbe in mente ad Atem se li vedesse? Sono oggetti ingombranti, non si possono portare via come se niente fosse, non li posso nascondere. Devo sperare che non mi chieda mai di entrare in quella stanza, che dopo un po’ si stanchi dei suoi nuovi ricordi e si convinca che sono solo sogni. Eppure Atem è sempre più malinconico. Lui crede a quelle immagini, anche se quando glielo chiedo dice che non è vero e che sono solo sciocchezze perché non dubiterebbe mai di me. Stiamo cadendo tutti e due, le bugie ci trascinano in basso, ci schianteremo e io non potrò più proteggerlo.
Lyrics
da Potograph
(Ed
Sheran)