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Autore: giamma21    26/04/2015    0 recensioni
Lavorare come investigatore privato può essere difficile, e Alexandra Mayer sta imparando velocemente che oltre la superficie della realtà si nasconde una fitta rete di inganni e bugie.
Genere: Azione, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alexandra Mayer stava camminando per andare al condominio dove si era tenuta la presentazione, non appena ebbe saputo di ciò che era successo, attratta dalla situazione e dalle domande che essa poneva, trovò il modo di farsi assegnare come investigatrice privata dalla famiglia Sullivan.
Dopotutto era il suo lavoro, e sapeva come giocare bene la carta del “si fidi di me, le ricerche della polizia sono banali, e l’unica cosa di banale che c’è nelle mie indagini è l’identità del criminale”.
Aveva appuntato i dettagli importanti e principali, come il nome delle vittime, il luogo dell’incidente, e via così.
 
Margareth Sullivan-vittima, viva e in ospedale.
Jane Brookes-assistente della Sullivan, morta.
Presentazione di un filo di perle prezioso per donazione.
Nessun testimone.
 
Se c’era una cosa che Alexandra si ripeteva sempre quando doveva indagare su una scena del crimine, era che per quanto si potesse essere minuziosi nella rimozione delle proprie tracce, sarebbe sempre rimasto anche un minimo dettaglio, che attraverso una rete di collegamenti, avrebbe portato all’identità del colpevole. Se così non fosse stato, probabilmente delle tracce si sarebbero ritrovate nei dintorni del luogo del delitto, come un’arma abbandonata nel bidone del parco, i vestiti insanguinati buttati nel water. Nel caso in cui le prove fossero state nascoste bene, o il colpevole sarebbe ceduto alla pressione, o non sarebbe mai più stato trovato.
La maggior parte degli omicidi o delle aggressioni che le erano state affidate, si erano rivelate opera di persone ordinarie che non avevano mai avuto a che fare con omicidi.
Altrettante volte, gli omicidi avvenivano involontariamente, per via di scatti d’ira o grilletti sensibili. 
Alexandra era una donna di 30 anni, e aveva ottenuto la licenza di investigatore privato all’età di 27. Qualcuno avrebbe potuto dire che era una novellina, ma i soli tre anni di servizio erano stati abbastanza da rendersi conto che la perfezione non apparteneva al mondo in cui viveva, e i suoi abitanti stavano impazzendo.
Era alta, in forma, andava quotidianamente in palestra e frequentava corsi di auto difesa.
Diventare suo amico era difficile, non impossibile, ma avrebbe scoraggiato da subito chi avrebbe voluto provarci. Restava distaccata dagli altri, e questo le aveva sempre permesso di non restare ferita.
Aveva totalmente perso la fiducia nelle persone, da quando sua madre scomparve nel nulla, e le ricerche per ritrovarla non furono abbastanza esaustive. Dopo meno di un mese, il suo caso fu archiviato. Alexandra non capì mai quella scomparsa improvvisa, e il vuoto che la madre le aveva lasciato non era mai stato colmato.
Il lavoro da investigatrice l’aveva aiutata a concentrarsi sui dettagli, a interrogarsi su ciò che la circondava, ma con il passare degli anni tutto ciò divenne inutile per trovare la madre. Era passato troppo tempo, e i ricordi sfocati erano andati persi e quelli rimasti erano confusi.
Alexandra però non era interessata a ricordare, né tantomeno a rimuginare sul passato. Doveva scoprire cos’era successo alla presentazione della collana di perle, e chi aveva attaccato la signora Sullivan, portando alla morte di Jane Brookes.
Entrando nell’edificio, la donna fu accolta dalla receptionist.
-Posso aiutarla, signora?- chiese agitata, molto probabilmente l’intero palazzo era in subbuglio per via degli eventi della sera prima.
-Sì, sono l’investigatrice privata Alexandra Mayer- disse Alex, come si faceva chiamare dagli amici intimi, alla ragazza dietro il bancone.
-Per ciò che è successo ieri? Ultimo piano, troverà la fila di persone che vanno e vengono…- replicò la receptionist, indicando l’ascensore.
-La ringrazio, buon lavoro- Alexandra prese l’ascensore e salì fino all’ultimo piano.
Mentre saliva, cominciava già a chiedersi come l’assalitore avesse potuto fuggire senza farsi vedere da nessuno.
Molto probabilmente aveva preso le scale, ad ogni modo lo avrebbe scoperto presto. Non doveva farsi riconoscere per entrare nella scena del crimine.
Arrivata nella sala, si ritrovò davanti numerosi agenti.
-Alexandra Mayer, guarda un po’ chi ci vuole soffiare il caso!- disse ad alta voce, dirigendosi verso lei, il detective Mark Lawrence, un uomo di 35 anni di origini messicane.
-Non è colpa mia se le mie ricerche sono più affidabili delle vostre- ribatté lei dirigendosi verso il retro del palcoscenico.
-E’ là dietro, giusto?- chiese guardando Mark.
-Frena, frena. Tu non puoi stare qui. Fai le tue indagini, le “ricerche”, ma lontana dal luogo in cui è avvenuto il crimine. Ricordi?- rispose lui fermandola.
-Come posso indagare senza nemmeno sapere cos’è successo?- disse lei guardandolo ironica.
-Non è un problema mio, o nostro- ribatté Mark indicando l’altro gruppo di agenti. E’ il lavoro degli investigatori privati, trovare vie alternative alle nostre, no? O il tuo lavoro…- chiese, beffardo.
-Hai ragione. Che ne dici, ti va di fare una scommessa?- chiese Alexandra, controllando l’orologio. Non aveva tempo da perdere.
-Che tipo di scommessa?- chiese Mark, incrociando le braccia.
-Scommetto che scoprirò il colpevole entro la fine di questa giornata. E no, non sono pazza né visionaria- disse Alexandra mantenendo saldo il contatto visivo.
-Tu, sei ridicola. Non hai una singola prova o qualche conoscenza riguardo al caso. Non puoi sapere niente, che noi non sappiamo già- replicò il detective Lawrence, con tono accusatorio.
-Ho saputo quanto mi basta per effettuare un identikit parziale dell’assalitore, dalla famiglia Sullivan. E la vita di una ragazza è stata strappata ingiustamente, quindi scoprirò da sola il responsabile di tutta questa faccenda. Farò quello che ho sempre fatto, e mentre voi siete qui a brancolare nel vuoto, là fuori c’è un uomo pericoloso che cammina tra le persone- commentò furiosa Alexandra.
-Uomo? Come fai a sapere che è un uomo, tenente Colombo?- chiese Lawrence ridacchiando.
-Quando una donna uccide, lo fa con freddezza, e finisce sempre ciò che ha iniziato. La signora Sullivan è stata attaccata e secondo ciò che ha riportato una volta risvegliata in ospedale, chi l’ha ferita sembrava indeciso e spaventato. Tipico atteggiamento di un uomo che si fa prendere dal panico e non sa cosa fare. Ma ovviamente quello che ti sto dicendo non ti è nuovo, no? Sono certa che saresti giunto anche tu a queste conclusioni, Mark- concluse, fiera di sé.
Mark ragionò sulle teorie di Alexandra, e pensò che non avesse tutti i torti.
-Non ho più tempo da perdere, fuori dalla scena del crimine, ora!- disse allontanandola.
Prima di andarsene, Alexandra attese alla porta dell’ascensore.
Il detective Lawrence andò a parlare con qualcuno nel centro della sala.
-Quella ficcanaso, santo cielo. Rita, avete già interrogato il marito della Brookes?- chiese, stirandosi le spalle.
-“Fidanzato”, Mark. E no, nessuno l’ha ancora interrogato- rispose Rita Harvez, controllando una scheda gialla.
Ora Alexandra aveva una pista, e la sua prima tappa per la scoperta del colpevole prevedeva una visita a casa del fidanzato di Jane Brookes.
Il tempo passava, e lei avrebbe vinto la scommessa fatta. Ne aveva tutte le intenzioni.
-
 
Tecnicamente la signora Sullivan era la colpevole del reato, perché aveva ucciso la sua assistente con un colpo di pistola, ma date le circostanze, la donna non poteva essere incolpata per essersi difesa da un assalitore.
La casa di Jane Brookes e di Michael Sutton si ergeva su due piani, collocata sopra una collina, nella zona di campagna della città. Era costruita fondamentalmente di legno costoso, e disponeva di un largo portico. Omaggio dal ricco padre di Jane, probabilmente.
Alexandra non aveva chiamato, e in tutta onestà rimpiangeva di non averlo fatto.
Quante erano le possibilità che Michael fosse rimasto solo a casa, in un giorno di lutto come quello?
Nel giardino era parcheggiata un’Audi A1 nera e grigia.
Bingo!
Alexandra si fermò vicino al cancello d’entrata, e scese dalla sua Jeep Cherokee nera. Tastò il piede sinistro, e sentì il piccolo contenitore di spray al peperoncino aderire contro la sua pelle, sotto gli stivaletti a tacco basso.
Il cancello di ferro era socchiuso, e lei l’oltrepassò senza preoccuparsi di suonare.
Giunta davanti alla porta d’ingresso, suonò il campanello, e ascoltò la sua melodia risuonare nella casa.
Dopo qualche istante un ragazzo in pigiama aprì la porta, il suo viso stanco e triste.
-Michael Sutton?- chiese Alexandra, con un tono rassicurante, alla vista del ragazzo che aveva visto in foto nel suo telefono un’ora prima. Sapeva che fosse lui, ma non voleva irritarlo ulteriormente.
-Sono io... è qui per Jane? E’ della polizia? Perché mi hanno chiamato dicendomi che sarebbero passati a farmi qualche domanda- disse lui, prendendo fiato ripetutamente. Probabilmente aveva pianto tutta la notte, e dava l’impressione di soffrire di mal di testa.
-Sono un’investigatrice privata, Alexandra Mayer. Mi ha chiamato la famiglia Sullivan per indagare su ciò che è successo ieri notte...- spiegò lei, mostrando il badge nel suo portafoglio al ragazzo.
-La signora Sullivan!- sospirò Michael, con un lieve tono di rabbia, -E’ colpa sua se Jane è morta. Le ha sparato, mentre lei cercava di aiutarla- continuò, affranto.
-Signor Sutton, possiamo sederci per parlarne, ho solo bisogno di chiederle qualche informazione sulla scorsa notte per restringere il campo dei sospettati- disse Alexandra, mantenendo la voce tranquilla e diretta.
 
 
-Lei conosceva Margareth Sullivan?- chiese la donna, sedendosi sul divano di pelle bianco del salotto. Prese il taccuino che le aveva regalato suo padre quando ottenne la licenza, e cominciò ad annotare le risposte.
-Non proprio, ma sapevo che tipo di persona era. Jane ne parlava di continuo...- rispose lui.
-E che tipo di persona era?-
-Egoista, superficiale. Il prodotto della società di cui faceva parte.-
Michael Sutton è veramente un uomo colto, diretto.
-L’aveva mai incontrata di persona, prima della scorsa serata?-
-Di rado, quando ero con Jane. Ma non capisco come possa aiutarla interrogare me, signora Mayer, quando è la signora Sullivan che è stata attaccata-
-La prego, mi chiami Alexandra. Ieri sera, in pochi erano rimasti nella sala, al termine della presentazione. Lei era lì, non è vero?- chiese Alexandra, raddrizzando la schiena.
-Sì, aspettavo Jane, doveva sistemare la collana nella cassaforte-
-Perfetto, ricorda di aver notato qualcosa di strano? Nel comportamento della signora Sullivan? Qualcuno di sospetto? Margareth ha spiegato di essere stata attaccata da qualcuno, quando si è risvegliata in ospedale-
-Sembrava tranquilla, e nella sala c’erano altre persone, poche. Non ricordo chi fossero-
Michael balbettava, e si massaggiava le mani nervosamente.
-Com’era la sua relazione con Jane, Michael?- chiese Alexandra, chiudendo il blocco appunti.
-Noi ci amavamo, avevamo avuto un periodo di crisi, come tutte le coppie d’altronde, no? Jane mi aveva sempre supportato nella scrittura...-
-E’ uno scrittore?- chiese nuovamente la donna, con un falso tono di sorpresa.
-Sì, scrivo libri gialli...- rispose Michael, asciugandosi gli occhi umidi con un fazzoletto.
Nei casi come questo, Alexandra doveva mantenersi il più parziale possibile. Affezionarsi a una persona comprometteva il suo giudizio, e lo svolgimento delle indagini. Alterava i punti di vista generali.
Michael Sutton sembrava sincero, almeno riguardo ai suoi sentimenti verso Jane. Tuttavia aveva un’ombra di misteriosità. Pareva un cucciolo indifeso, ora che era solo. Alexandra non poté non trattenere un briciolo di compassione per lui.
-Vedrà che tutto si risolverà, scopriremo in un modo o nell’altro il colpevole di questa vicenda. Forse troverà la pace in questo, Michael. Jane non vorrebbe vederla così- disse lei, stringendogli una mano.
-Lo pensa sul serio? Si risolverà tutto?- chiese lui, asciugandosi le lacrime agli occhi.
   
 
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