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Autore: Shaunee    27/04/2015    0 recensioni
Piccolo racconto di una ragazza con poteri particolari.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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Correre.
L'unico pensiero fisso nella mia testa era quello; correre, scappare il più velocemente possibile da li. Il terreno dissestato non aiutava di certo, rami secchi e trappole per gli orsi mi rendevano tutto più complicato, ma dovevo salvarmi, tutti dovevano sapere quello che era in realtà Jonh.
Svoltai intorno ad un albero ma andai a sbattere contro un muro di ghiaccio. Mi avevano trovata, era la fine; o forse..solo l'inizio di un incubo.
 
4 mesi prima.
 
pensai
La ragazza camminava allegramente verso l'altalena del parcogiochi della piccola cittadina di montagna. Ad attenderla c'era un ragazzo, piuttosto robusto, ben piazzato; non che la cosa mi turbasse, niente poteva battermi. Quello scricciolo di ragazza si tuffò tra le braccia di lui, creando una potente scossa di gelosia nel mio stomaco. Lui le posò le labbra sulla fronte, con fare protettivo.
Scesi dall'auto, sbuffando. Il mio impermeabile spazzò la terra vicino ai miei piedi, riproducendo quel suono magnifico simile allo sciabordio delle onde.
Sollevai la collottola per coprirmi meglio la nuca tatuata, simbolo troppo riconosibile per farlo notare, e mi avviai verso i cancelli. I due ragazzi chiacchieravano amabilmente sulle altalene, le teste quasi a sfiorarsi, le mani intrecciate.
Sputai a terra e aumentai vistosamente il rumore dei miei passi.
I due mi notarono ovviamente, quello era il mio intento, ma non badarono a me.
Il momento era vicino, c'ero quasi. A pochi centimetri dalla testa di lui alzai la mano e lasciai partire una saetta azzurra. Il ragazzo crollò a terra, morto.
La ragazza era immobile sulla sua altalena, guardava il ragazzo come pietrificata, con occhi sgranati.
Scavalcai il corpo del ragazzo e presi il suo posto sull'altalena. Gli occhi imperlati di lacrime della ragazza si spostarono su di me, riempendosi di terrore.
"Ciao dolcezza, ti sono mancato?"
Lei sapeva chi ero, glielo leggevo in fondo agli occhi, a quelle pupille verde chiaro che da tempo mi facevano impazzire, glielo leggevo dentro l'anima.
In pochi attimi lei si riprese, balzò in piedi e tentò di fuggire, ma la mia reazione fu più veloce. La afferrai x il gomito, attirandola contro il mio petto.
"Ah ah, non si scappa, non è buona educazione". Un ghigno malefico comparve sul mio volto; quanto amavo quella parte.
La ragazza si divincolò un po' per poi lasciar perdere ogni tentativo.
"Brava, cosi" Le disse accarezzandole i capelli.
"Non verrò con te James, scordatelo" disse lei a denti stretti.
Sbuffai. "Perchè devi rendere tutto più difficile Dora? sei una di noi, devi stare con noi!" strattonandola, la dirigendola verso l'uscita.
Da dietro un albero un fulmine giallo colpì il braccio con cui stringevo a me Alaisa; cogliendomi di sorpresa Alaisa mi diede una spinta, facendomi barcollare, e si materializzò in un attimo. Un grido selvaggio nacque dalla mia gola ed uscì dalla bocca. Corsi nella direzione da dove era partito il fulmine giallo, ma c'erano solo foglie morte; il mio sguardo fu catturato da qualcosa di bianco, poco più in la.
sembrava carta...era carta. Mi accucciai e la raccolsi. Una semplice parola.
-Dasvidania-
 
piazza rossa
Qui non potevano trovarmi. Ero circondata dalla neve e loro odiano il freddo, hanno bisogno di aria, luce e sopratutto sole; si avvizziscono al freddo, ed è la mia unica carta vincente. Stretta nel mio cappotto rosso, coperta da testa a piedi, camminai verso una viuzza non poco lontana dalla magnifica piazzq rossa.
In Russia, c'erano posti in cui una ragazza poteva tranquillamente passeggiare senza la paura di essere importunata, e altri che..era meglio evitare. Il problema è che a me non sono mai piaciute le distinzioni tra sessi, inoltre, non ero una ragazza indifesa. Praticavo ogni tipo di magia da circa 12 anni, ormai niente poteva farmi del male, se non loro, i Forger, i falsari della mente.
Nato come gruppo comandato dai 4 saggi, ora erano cani sciolti, un'organizzazione a se stante, che conduceva un'estenuante guerra contro di noi, i creatori di illusioni.
Il loro compito era quello di tenere i due gruppi separati. Le cose erano andate piuttosto bene, all'inizio; ognuno occupava un settore preciso e nessuno dava fastidio a nessuno. Con i campi di dirigenze, tutto era cambiato. Ernest Dreys, il capo dei Forger, sembrava avere  un grosso problema con il nostro gruppo, ci voleva tutti sotto terra. Dalla sua nomina, 1/3 dei nostri avevano fatto proprio quella fine; tutti gli altri erano perennemente perseguitati.
Come se le cose non fossero già abbastanza complicate, circa vent'anni prima un Forger e una illusionista ebbero la brillante idea di mettere al mondo una bambina dai capelli rosso fuoco, gli occhi verdi e di nome Alaisa. Io, per la precisione. Ero l'unica in grado di creare e distruggere illusioni, l'unica in grado di distorcere la realtà ma allo stesso tempo farne vedere il vero contenuto.
I miei genitori erano morti per salvarmi la vita e ora io, tentavo di restarci, con scarsi risultati però.
L'unico posto che al momento reputavo sicuro è il Black Moon, una bettola dove servivano sidro di mele caldo, e di proprietà dell'unica persona di cui ancora mi fidavo, Dimitri, un creatore di illusioni che mi aveva preso sotto la sua protezione dopo la morte dei miei genitori.
L'insegna del locale, un gatto smunto nero sopra una luna gialla ormai scolorita dalle interperie, si illuminava solo per metà, ma riuscivo a vederla già da in fondo alla via, grazie alle sue dimensioni. Le porte basculanti tipiche dei bar del Texas, davano un tocco originale al locale; quando nevicava la neve raggiungeva i primi due gradini interni al locale.
L'ambiente era caldo e accogliente, Il bancone, coperto sul davanti da un drappo di velluto blu, non restava mai vuoto e sopra di esso erano apparse da tempo le macchie che i vari bicchieri lasciavano per via della condensa. Dimitri e Irina, la ragazza bionda e formosa che probabilmente attirava piu cliente del bar stesso, non restavano mai senza clienti.
Entrando, una cappa di fumo di sigari mi colpì al volto; profumo di casa per me. Dirigendomi sul retro, salutai due o tre clienti abituali, assidui bevitori di Vodka.
Scostai la tendina di palline di vimini, trovando una scena che quasi mi mancava.
Irina, inginocchiata davanti alla patta di un bel ragazzo biondo, dalle guance rosse, ansimante; teneva le mani sulla testa di lei, come ad impedirle di staccarsi, cosa alquando improbabile per Irina. Mi appoggiai al bancone di fronte, presi una mela e mi schiarii la voce. Il ragazzo si accorse di me e tentò di spostare la bocca di Irina dal suo..fringuello, ma lei non dava segni di cedimento. Continuo il suo brillante lavoro fino a quando non ottenne ciò che voleva, poi si sollevò, si pulì la bocca e mi sorrise.
"Ben tornata cara".
Non degnò di nessuno sguardo in più il ragazzo che se ne stava andando, con occhi trasognanti.
Con un risolino bevvi un sorso del sidro di mele di Dimitri. "Irina non è ora che chiedi a Dimitri di crearti uno sgabuzzino apposta per i tuoi tete a tete?"
Irina aprì uno sportello della credenza, quello dove teneva i liquori forti, bevve un sorso di cognac e tornò a pulire le stoviglie, lanciandomi solamente uno sguardo smaliziato, senza degnarmi di una risposta.
Finii il mio sidro e tornai sul davanti, cercando Dimitri.
Lo trovai vicino ad un tavolo da poker, gli occhi persi nel vuoto. Gli poggiai la mano sul braccio, e lui voltò la testa verso di me, ma si vedeva che non era presente.
"Dimitri? tutto bene?".
Gli occhi scesero ad alzetta dei miei, e mi si gelò il sangue. Le iridi erano completamente rosse, le pupille bianche. Arretrai di qualche passo ma Dimitri mi bloccò tenendomi per il braccio. Mi divincolai, ma la sua stretta era troppo salda. Cercando di mantenere la calma, mi concentrai sulla sua mente, che casualmente era bloccata. Imprecai tra i denti e mi guardai intorno. Dovevo creare una semplice illusione per far si che io potessi fuggire, ma come..come!!
Irina spuntò fuori in quel momento. Non mi fermai nemmeno un secondo a riflettere se l'idea potesse funzionare o meno. Forzai la mente di Irina, ordinandole di chiedere un consiglio a Dimitri su un liquore nuovo che voleva servire, poi pregai.
Irina si parò davanti a noi e disse esattamente ciò che le avevo ordinato. A quel punto Dimitri non aveva scelta, doveva mollarmi e seguire Irina, se voleva mantenere la copertura.
E così accadde. Mollò abbastanza la presa da liberarmi con uno strattone e materializzarmi via, lontano dall'unico posto che chiamavo casa.
 
Ero su una scogliera piuttosto ripida, quando riaprii gli occhi. il mare in burrasca era uno spettacolo mozzafiato, le nubi nere e bianche mischiate tra loro creavan una cornice unica.
Non faceva poi così freddo, quindi non ero poi tanto a nord. Potevo essere in Francia o nel Regno Unito, bastava poco per scoprirlo. Captai un paio di pensieri degli abitanti non molto distanti conobbi la risposta: Cornovaglia, la terra dei folletti danzanti.
Sbuffai. La cornovaglia non era propriamente un territorio dei Forger, ma nemmeno dei creatori di illusioni, era...una specie di Svizzera durante le guerre mondiali.
Presi la via più breve per arrivare in paese. Trovai le prime case non molto lontano dalla spiaggia, ma erano dei cottage, probabilmente di persone benestanti che passavano li i weekend o le estati. Mano a mano che proseguivo, le case diventavano sempre più confortevoli e curate, fino ad arrivare ad una grande piazza circolare, con un'immensa fontana al centro. La struttura era immensa, suddivisa in più piani; l'acqua partiva da un bocciolo di marmo da cui fuoriusciva una cascata d'acqua, questa, si riversava lentamente in ognuno dei boccioli sottostanti che ad ogni piano aumentavano fino ad arrivare alla piscina che conteneva tutto. Rimasta incantata per qualche istante, non mi accorsi del tipo strano che mi si era affiancato.
"bella vero?"
Sobbalzai dallo spavento. L'uomo cercò di rimediare.
"Non volevo spaventarla, mi perdoni; l'ho vista qui ad ammirare la mia fontana, cosi.."
Lo guardai di soppiatto, sollevando un sopracciglio. "La..sua fontana dice?"
sogghignò. "La stavo solo prendendo in giro, ha ragione. Non l'ho costruita io; il fontanista in questione deduco sia già morto da un bel po' di anni. Noo..io l'ho restaurata di recente". Sembrava deciso a far colpo su di me. Lo assecondai.
"Ah lei sarebbe un restauratore? Deduco lei sappia quindi di quale periodo sia questo capolavoro".
L'uomo si grattò il mento, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.
"Non fare il fenomeno, Rufus; non sai nemmeno da che parte sei girato". La voce prorruppe da un angolo buio, da cui uscì un ragazzo molto alto, ben piazzato, dalla carnagione olivastra, gli occhi blu come il fondale marino, i capelli neri come l'oblio. Irradiava grandezza, si vedeva che era sicuro di se e della sua presenza. Mi affiancò, tendendo la mano.
"Piacere, John; e quello che tenta in tutti i modi di abbordarti, è mio fratello; e no, non è un restauratore, è il pagliaccio del villaggio".
Lo sguardo di Rufus si incupì e borbottò qualcosa tra se.
"Come mai da queste parti, signorina..."
Panico. Non potevo rivelare il mio vero nome a nessuno, potevano essere Forger sotto copertura, e avevo rischiato troopo x farmi incastrare come una principiante.
Così risposi : " Io Sono Elaisa, e sono qui come..studende di architettura; una ricerca per la mia tesi di Laurea, sulle..fontane." Era la scusa più stupida del mondo ma era la prima che mi era venuta in mente.
John mi scrutò. "Una laureanda nella nostra piccola cittadina? Interessante.."
Speravo vivamente di essere riuscita a dargliela a bere. Mi voltai verso Rufus.
"E quindi in cosa consiste essere il pagliaccio del villaggio?" Chiesi sorridendo.
"Beh in effetti è molto semplice..Elaisa" A rispondermi fu ancora John e la cosa mi diede parecchio fastidio.
"Scusa tuo fratello non ē in grado di sostenere una conversazione senza che tu intervenga ad ogni minima battuta?"
Sentii Rufus soffocare una risata. Trionfante, mi rivolsi di nuovo a Rufus.
"Sai dove posso trovare un posto dove dormire, Rufus?"
"Certo signorina, venga, la accompagno io" Allungò il braccio verso di me e io lo presi, lanciando uno sguardo languido a John, che sbuffò e girò su i tacchi, tornando da dov'era venuto.
Seguii Rufus tra le vie della piccola cittadina, fino a raggiungere un edificio in mattoni blu, con tetto spiovente e balconi ricolmi di fiori su ogni piano.
"Wow - dissi - molto..pittoresco".
Rufus sorrise, aprì il cancelletto d'entrata e lasciò la strada a me.
Il giardino antistante era di un eleganza pazzesca. Due ciliegi come alberi centrali, tutt'intorno aiuole di gigli e rose, formanti dei disegni, come il piccolo usignolo di rose gialle, o la fontanella di gigli rossi.
Salii due gradini e allungai la mano per aprire la porta, ma Rufus mi anticipò.
"Dopo di lei signorina".
Gli sorrisi ed entrai, restando a bocca aperta. Se l'esterno era elegante, l'interno era decisamente adatto ad accogliere la famiglia dello zar al completo. Piccole poltroncine bianche erano posizionate contro buona parte delle pareti. Lanterne soffuse si alternavano a candelabri blu di vetro soffiato. La reception, su un bancone di cristallo blu, era sulla destra, con una biondina dietro di se, in divisa bianca e rossa. Mi voltai per ringraziare Rufus ma questi era scomparso.
La biondina si schiarì la voce; tornai ad osservarla.
"Posso aiutarla signora?"
Tono di voce da gallina, bene; se prima potevo instaurare con lei un qualche rapporto cordiale, ora nemmeno quello.
Mi imposi un sorriso sulle labbra e mi avvicinai alla bomba sexy in bianco e rosso.
"Si cara avrei bisogno di una stanza per..qualche giorno".
Le sue unghie dipinte di almeno mezzo metro l'una iniziarono a tamburellare sui tasti del pc preistorico che aveva davanti al viso.
"È fortunata, si è giusto liberata una singola qualche ora fa; dovrã giusto attendere che il servizio di pulizia sistemi la camera per lei; se vuole, può attendere al bar, qualunque consumazione è offerta da noi".
Riproposi il sorriso finto di poco prima, la ringraziai e raggiunsi il bar.
 
James
 
Sbattei la portiera con violenza. Nessuno si prendeva gioco di me, tanto meno non poteva farlo una ragazzina inutile e stupida come Dora.
Percorsi a grandi falcate i pochi metri di distanza dal cancello di ferro battuto d'ingresso e avvicinai una mano alla piastra d'argento incastrata tra due archi. La piastra cambiò colore, divenendo prima blu e poi gialla; il cancello si aprì.
Il maniero era poco illuminato quella sera, probabilmente Serafina aveva spedito tutti nelle proprie stanze in fretta, sapendo del mio ritorno imminente con Dora.
Spalancai la porta con una manata e i due pastori tedeschi iniziarono ad abbaiare violentemente.
Sul tavolo, una tazza fumante di the al gelsomino tradiva la presenza di qualcuno, che non tardò a farsi vedere.
Feci un piccolo inchino. "Milady".
Serafina. Bella da impalare vivo chiunque, capelli corvini e occhi di ghiaccio, fisico provocante ma che nessuno aveva mai osto toccare se non dopo un lungo ed estenuante corteggiamento. Si dice che tutti i suoi amanti, dopo aver passato una notte con lei, sparivano misteriosamente, senza lasciare tracce di se. Al suo passaggio le candele tremarono un po', abbasando la poca luce presente nella stanza. Allungò la mano verso la tazza, la artigliò con le sue lunghe dita, se la portò alle labbra, che appoggiò sul bordo con delicatezza, come se fosse di cristallo.
I suoi occhi non si staccarono dai miei nemmeno un secondo, creandomi un brivido lungo la schiena.
"Ebbene?" la sua voce profonda mi scosse.
"Mi dispiace milady, la piccola Dora mi è sfuggita per un piccolo incidente".
Serafina storse il naso. "Non si era parlato di..incidenti" enfetizzando su quest'ultima parola.
Chinai la testa. "No appunto, me ne rammarico; qualcuno sapeva della mia presenza, mi aspettavano".
Serafina appoggiò la tazza nuovamente sul tavolo, lasciò scorrere l'indice della mano destra sulla lunga tavola, avvicinandosi lentamente a me; a pochi centimetri, il dito lasciò la tavola per finire sulla mia spalla; Serafina girò intorno al mio corpo immobile, posizionandosi dietro, appoggiando entrambe le mani sulle spalle.
"Quindi..James..hai fallito". Fece una lieve pressione sul muscoli con le sue splendide dita, dandomi un po' di piacere.
Sospirai. "Milady Io.."
La pressione si fece improvvisamente insopportabile, facendomi finire a terra in ginocchio, boccheggiando.
"E dimmi caro..con quale coraggio ti sei ripresentato qui, senza..quell piccola sciocca?!".
Il dolore aumentò fino a farmi quasi urlare, pregare di lasciarmi andare. Il dolore si intensificò per pochi secondi, poi iniziò a diminuire. Caddi a terra, respirando affannosamente.
"Stupido Idiota". Lasciò la stanza e me, li a terra. Ero stato molto molto fortunato; conoscendo la sua reputazione, milady si era trattenuta parecchio per non uccidermi.Evidentemente gli servivo ancora.
Lentamente, cercai di rialzarmi, raggiungere la mia stanza e buttarmi sul letto intatto.
 
Il gallo cantò all'alba.
Mi passai una mano sugli occhi, sentendo qualcosa di appiccicoso colarmi dalla testa; spostai la mano davanti agli occhi e saltai su dal letto in mezzo secondo. Sopra al mio cuscino c'era un ermellino squaiato, il sangue e le interiora colavano giù. A fianco un bigliettino, lo stesso del giorno precedente: < Dasvidania>.
Scesi le scale di corsa e prorruppi nelle cucine senza troppe cerimonie, provocando una serie di urletti femminili nella stanza. Volevo una sola persona e in quel momento stava lavando dei pentoloni di rame al lavabo. La presi per il gomito e la trascinai verso la corte.
"Ma che diavolo.." Selina si divincolò dalla mia presa e io la lasciai andare, così che finì a terra, in ginocchio.
"Devi fare una cosa per me Selina"
"Signore, non è mia prerogativa fare favori senza retribuzione, e lo dovrebbe sapere".
La sollevai per i capelli, quel groviglio di paglia amaranto e la sollevai un po'. "Non credere che essere l'unica segugio nella zona ti dia il diritto di sentirti superiore o indispensabile".
Lascia la presa e mi incamminai verso la scala esterna usata dai domestici che conduceva al secondo piano.
Selina mi seguì dopo pochi minuti, con lo sguardo basso. L'avrei ovviamente ripagata per i suoi favori, ma ciò non significa che non mi potevo divertire un po'.
La mia stanza era come l'avevo lasciata, l'ermellino era ancora la.
Selina storse il naso quando entrò, portandosi il grembiule al viso. La lascio passare, guardandola mentre si avvicina alla carne putrefatta dell'animale, sporge una mano e tocca con le dita i rivoli di sangue probabilmente ancora caldo, Poi passa il dorso sulla pelliccia, fino alla coda. Si allontana poco dopo, uscendo.
La seguo.
"È una donna, non è di queste parti, ma ha un conto in sospeso con lei signore, di molti anni fa; è tornata per vendicarsi".
Perplesso, congedai Selina, chiedendole di far venire qualcuno a pulire quello scempio, e vagai per il maniero.
Una vendetta protrattra nel tempo. Un po' improbabile vista la mia età, non potevo di certo ricordarmi tutto ciò che era successo in 700 anni di vita; inoltre dubito fortemente che qualcuno a cui io abbia fatto un torto sia ancora in vita.
Raggiunsi le scuderie senza rendermi conto. Il mio purosangue, stella nera, era probabilmente a fare qualche giro di pista.
Lo stalliere si sollevò dal suo lavoro e mi salutò. Aspettai che si voltasse e svoltai dietro un asse di legno che fungeva da separatore. In realtà era stata messa li semplicemente per nascondere il passaggio segreto a chiunque si fosse intrufolato nelle stalle.
Allungai la mano destra, tastando il muro finchè le dita non trovarono un punto liscio. Aprii la mano e la piastra si colorò di viola, provocando l'accensione di tutte le lanterne lungo la discesa.
Gli scalini ripidi portavano ad una stanza circolare, compketamente spoglia ad occhi umani. Ma non per i miei.
I lati della parete si illuminarono di rosso intenso, rivelando un pannello di vetro smerigliato. Su di esso apparvero 4 volti, uno per angolo.
due uomini e due donne, vestiti di rosso gli uomini e di azzurro le donne, con copricapi alti almeno mezzo metro di oro e argento puro.
Mi inchinai. "Miei signori".
"Cosa stai combinando James?" La donna in alto a destra, Cristinelle, sembrava piuttosto accigliata.
"Le chiedo scusa lady Cristibelle, ho avuto un piccolo contrattempo e la ragazza mi è sfuggita".
scossero tutti la testa."Quella ragazza è l'unica via di ripresa. Se non riusciamo a catturarla prima dell'imminente stermnio saremo tutti nei guai. Il supremo non attenderà ancora per molto James, hai i minuti contati!"
Annuii; non potevo fare altro.
"Devi convincere Dora a seguirti James, chiaro? Hai 48 ore da adesso".
I quattro volti scomparvero, lasciandomi solo.
Risalii le scale a due a due, oltrepassai il pannello scaraventandolo al suo posto, non curante degli sguardi dello stalliere, e tornai nella mia stanza. Per la strada, incontrai Milady. Mi schiacciai a terra in un profondo inchino.
"Dove vai così di fretta?"
"Milady, ho un compito importante da svolgere".
Lo sguardo sospettoso di Milady mi aumentò le palpitazioni; lei non doveva sapere nulla, altrimenti mi sarei rovinato.
"E quale sarebbe?"
Mi avvicinai per prenderle la mano e portarla alle labbra. "Quello che mi ha affidato lei, naturalmente. Quella stupida ragazzina non mi scapperà un'altra volta".
Il bellissimo sorriso malvagio che comparve sul viso di Milady mi tranquillizzò; evidentemente mentire mi veniva bene.
"Milady mi perdoni, devo scappare".
Le diedi l'ennesimo bacio sul dorso della mano e non mi fermai più fino alla stanza. La porta era socchiusa. Entrai sbattendo i battenti contro il muro. La ragazza che si stava occupando di ripulire la mia stanza era a carponi sul mio letto, in una posa molto provocante; I lunghi capelli biondi le scendevano annodati in una treccia lungo il fianco sinistro, Il lungo vestito lasciava scoperto una porzione di polpaccio bianco come il latte. Trasalì al colpo, cercando di ricomporsi in fretta. Scese dal letto e si sistemò l'abito, i seni abbondanti le stavano stretti in quella piccola scollatura. Furtivamente, mi avvicinai a lei. La ragazza indietreggia fino a toccare il muro. Ha il respiro accelerato, segno che non si aspettava il mio ritorno ne la mia reazione. Allungai la mano e le sfiorai la guancia con il pollice. Era morbidissima. Lasciai scorrere il dito lungo la linea del collo, sollevandole il mento, avvicinai le labbra al centro, la assaporai con calma, esplorando tutto il collo, fino alla morbida scollatura; sapeva di fiori ed era molto eccitante. Scossi la testa e la lasciai andare. La ragazza boccheggiò, il suo sguardo saettava da me alla porta.
"Ora non posso godere della tua compagnia, ma...al mio ritorno - Le passai una mano lungo e fianchi e la attirai a me senza troppe cerimonie - potremmo divertirci un po'".
La lasciai andare e lei corse subito fuori dalla porta. Sorrisi tra me e finii di preparare i bagagli.
Il mio cavallo era già sellato. Probabilmente milady aveva dato disposizioni mentre mi divertivo con quel dolce zuccherino in camera.
Con un balzo salii in sella, speronai il cavallo e partii.
 
La stanza era arredata con oggetti di speldide fatture. Il letto a baldacchino era la cosa che più balzava agli occhi. Essendo un residence, e non un vero e proprio albergo, c'era anche la cucina, fornita di ogni elettrodomestico. Abbandonai la giacca su una poltroncina bianca e mi affaccai alla vetrata. La stanza era al quarto piano; si poteva uscire dalla vetrata su una terrazza di marmo bianco, costellata di girasoli.
Perlustrai la zona in cerca di qualcosa che potesse mettermi in allarme, ma sembrava tutti tranquillo. Stavo per allontanarmi, quando vidi John parlottare animatamente con un uomo robusto e vari tatuaggi sulla pelle. Con fare disinvolto uscii sulla terrazza. La conversazione era portata via dal vento, per cui la mia presenza li era un po' inutile, ma dai gesti si capiva che c'era qualcosa di molto grosso in ballo.
Rientrai pochi minuti prima che i due si separassero, evitando di attirare uno dei due sguardi; richiusi le tende e mi avviai al bagno.
 
Il telefono squillò un paio di volte ma non risposi a nessuna delle due. Avevo solo voglia di silenzio. Una padella con delle uova strapazzate stava sfrigolando sul forno, il mestolo girava da solo, con un piccolo tocco magico.
Il pc davanti a me mostrava tutte le ultime novità del mondo, ma non c'erano notizie veramente importanti. Il mondo non era sempre stato così.
Da quando i Forger avevano preso possesso di buona parte dei governi delle nazioni mondiali, gli eventi catastrofici o incidentali erano notevolmente ridotti. La popolazione credeva che fosse semplicemente un caso, ma nulla era un caso quando c'erano di mezzo loro. Avevano esperti controllori del tempo, degli elementi, e persino della casualità. Se una persona stava per commettere un incidente loro intervenivamo bloccando il tempo e riuscendo ad evitare  l'evento e le eventuali conseguenze. Avevano...bloccato l'effetto farfalla di ogni evento.
Questo riguardava una parte del mondo. La parte che i Forger controllavano; tutti gli atri... tutti gli altri erano stati catapultati in un periodo privo di ogni modernità: niente tecnologia, energia elettrica auto o qualsiasi cosa che riguardasse il mondo moderno. Questa porzione era chiamata "la terra dei ricordi" e alle persone che vi abitano era stato cancellato qualsiasi ricordo della loro vita moderna. Alcuni di questi territori però conservava una piccola parte di tecnologia e modernità, esattamente come una buona parte della Cornovaglia, tra cui il paese dove mi ero fermata. Qui un ristretto gruppo di persone possedevano il dono del ricordo, quella piccola lampadina che i Forger avevano loro lasciato, senza un motivo apparente. La realtà era che quelli a cui non avevano cancellato i ricordi erano persone che servivano ai Forger, gente con potenzialità superiori a tutti gli altri; i forger non lasciano mai niente al caso.
Il manico del mestolo prese a tremare, segno che le uova erano pronte. Con semplici gesti spensi il fuoco, alzai la padella e rovescai il contenuto in un piatto, poi sollevai il piatto e lo portai fino al tavolo, tutto senza staccare gli occhi dalle notizie ne tanto meno alzarmi da dov'ero.
Con piccoli bocconi finii il piatto in pochi minuti. Mi spostai quindi sul divano della sala, posto di fronte alla vetrata, insieme al pc. Il cielo ormai era denso, scuro. Nemmeno una stella a illuminarlo, la luna era ridotta ad una piccola fetta oblunga. Sospirai.

Quella dolce voce familiare mi strappò un mezzo sorriso. "è tanto tempo che non ti fai vivo, Oreste; come mai questo onore?"

Scossi la testa. Oreste era con me da circa 15 anni. Una mattina di agosto sentii un colpo al petto, proprio sullo sterno; quando entrai in bagno e mi spogliai, cacciai un urlo spaventoso. Una pietra blu si era conficcata nella mia pelle, senza un motivo apparente. Corsi da Dimitri e lui mi stropicciò i capelli, dicendomi che quello non era altro che un marchio di appartenenza all'ordine degli illusionisti, un gruppo di persone speciali. Lui sorrideva, ma io vedevo molto bene il terrore nei suoi occhi. Da quel momento la mia vita sarebbe stata una corsa diretta all'inferno. Una sera di pochi giorni dopo, mentre ammiravo questo...cristallo piantato nella carne sentii un 'ps' vicino all'orecchio. Saltai su terrorizzata, ma mi raggiunse una risatina sprezzante, poi più nulla. Quando lo raccontai a Dimitri durante la cena, lui si limitò a dire di non temere quel bisbiglio, perchę non mi avrebbe fatto mai nulla di male.
Così, quando quella sera sentii di nuovo quel 'ps' stetti ad ascoltare molto attentamente, controllai ogni angolo della camera, non trovando nulla, Fino a quando non mi tolsi la camicia per indossare il pigiama; la pietra sullo sterno brillava e la risatina aleggiava nell'ambiente.
La toccai con un dito, scottandomi. Poi qualcuno parlò: < signorina se continua così non diventeremo mai amici sa?> Ad ogni parola la pietra mandava un segnale luminoso. Da quella sera Oreste mi fece compagnia molte volte; Quando dovetti iniziare a trasferirmi in giro per diverse località, Oreste mi faceva compagnia nei momenti più cupi.
"Triste e sconfitta eh? Diciamo più abbattuta; hanno preso Dimitri".
.
Sbuffai con la mente. "Oreste non mi serve la predica del genitore apprensivo; credo di essere più o meno al sicuro qui; devo solo..stare attenta".

Sollevai lo sguardo per controllare l'ora, notando solo in quel momento che la mezzanotte era già passata da un po'.
Appoggiai il pc sul tavolino, dirigendomi al letto. Mi addormentai pochi minuti dopo aver appoggiato la testa al cuscino.
 
Un rumore. Apro gli occhi. Un altro; proviene dalla porta della veranda. Passo la mano sotto al cuscino, trovando il manico del coltello presa dalla cucina per difesa, nel caso mi avessero attaccato mentre dormivo. Uno scatto; la porta è aperta. La tenda si solleva a causa del vento. Dei passi leggeri, lenti, nella mia direzione. Scendo dal letto e mi nascondo dietro la cassapanca vicino alla porta; un'ombra si affaccia alla porta, fa due passi verso l'interno, ma poi torna indietro. Perlustra tutte le stanze, poi ritorna nella mia; mi passa accanto, non notandomi. L'effetto a sorpresa è l'unico vantaggio che ho. Esco allo scoperto e gli punto il coltello alla nuca.
"Chi diavolo sei.."fatico a mantenere la calma.
L'intruso si volta, con un sorriso tirato. È un omino basso, forse nemmeno un essere umano, forse...un fascio di luce gli illumina il volto.
Tolgo subito il coltello che ormai gli punta alla gola.
"Eddy?" il folletto più fastidioso di tutti i tempi si trovava casualmente nella mia stanza. Che caso.
"Toglimi quell'affare dalla gola". Il suo comportamento era noto a tutti noi illusionisti; estremamente irritabike e poco socievole, Eddy era il fattorino degli illusionisti.
Spostai il coltello lungo il fianco, scrutando il folletto. Indossava una divisa con uno stemma araldico delle terre del nord, dove i quattro saggi risiedevano ormai da anni. Il suo naso oblungo e la sua zazzera ormai piangente di capelli verdi lo identificavano come un folletto Rasdy, il più basso dei ranghi, un folletto adatto a poche mansioni, una di queste era il fattorino.
Allungò una mano dentro la sacca più grande di lui e ne estrasse un pacco ed una lettera.
"Te li manda Erick, dal quartier generale su al nord".
"Grazie Eddy; e scusa per l'accoglienza".
Annuì poco convinto e uscì com'era entrato.
Rigirai tra le mani il pacchetto e la lettera, indecisa su cosa aprire prima. Spospirando, appoggiai la lettera sul letto e scartai il pacco. Era..un album di foto. La copertina rigida di color beiges aveva dei ricchi intrecci sul dorso formanti rose; sul frontespizio due iniziali: S. O.
sollevai la copertina e notai subito che la donna seduta sulla sedia a dondolo riccamente decorata, assomigliava molto a me. Incuriosita, feci scorrere le pagine zeppe di foto, la donna era spesso presente e anche un paio di uomini alti e con sguardi circospetti. Circa a metà comparvero due neonate. Il sorriso sul volto della donna mi addolci quanto basta; le bambine crescevano e qualcosa di famigliare iniziava ad insinuarsi nei miei ricordi, fino ad una foto. Due ragazzine di 7 anni, entrambe vestite con la veste cerimoniale del regno del nord, davanti ad uno spettacolare tramonto.
Alla fine dell'album, trovai un piccolo libricino di cuoio, chiuso con due nastri rossi. Sopraffatta da una serie di emozioni strane, appoggiai l'album sul letto e presi la lettera. Era di Erick.
"Alaisa, penso sia il caso che tu venga a conoscenza di questa cosa. Abbiamo trovato questo vecchio album negli archivi reali; come vedi queste...persone, ti somigliano molto. Abbiamo provato a fare diverse ricerche e..Alaisa tu hai una sorella. Si chiama Dora e al momento non sappiamo dove si trovi. Il libricino di cuoio che hai trovato in fondo all'album fotografico, non siamo stati in grado di abrirlo. Sul fiocco se non l'hai ancora notato ci sono delle macchie di sangue. Pare ci voglia un pegno di sangue per aprirlo. Abbiamo provato con alcuni di noi ma non funziona. Penso che li ci siano tutte le risposte che noi non siamo in grado di darti.
Alaisa ti preghiamo di fare attenzione".
Lasciai cadere la lettera sul pavimento, fissando un punto impreciso fuori dalla finestra. Una..sorella?
Imprecai tra me, cercando di prendere con mani tremanti il libricino di cuoio e un coltellino d'oro, un regalo di Dimitri.
raggiunsi la cucina, accendendo la luce on la forza del pensiero, trascinai una sedia e posizionai il libricino sul tavolo. Sollevai la manica della maglietta e posizionai il polso sul nodo del nastro. Con la punta del coltellino, stillai una goccia di sangue, che cadde sul fiocco. Una leggera brezza si alzo intorno al fiocco e come se ci fossro delle dita invisibili, il fiocco si slegò, lasciando aprire il libricino sulla prima pagina.
-Alle mie figlie Alaisa e Dora-
Feci qualche passo indietro e iniziai a boccheggiare. Mi allontanai dal tavolo ed uscii in terrazza.
Ero cresciuta con la consapevolezza che fossi orfana, senza genitori, senza fratelli o sorelle. La nuova scoperta metteva tutto in discussione. avevo..una sorella. Pregavo silenziosamente che non avesse ereditato nessuna delle arti magiche toccate a me, altrimenti sarebbe stata in pericolo quotidianamente, e non sarei riuscita a sopportarlo. Nemmeno dimitri sapeva di lei quindi; non me ne aveva mai parlato, quindi no ne sapeva nulla. Forse, però..tornai in casa e mi concentrai.
"Oreste?"
la sua voce risuonava nella mia mente limpida, senza filtri.
"Tu lo sapevi vero?"
Sentii un sospiro. .
Qualcosa si bloccò per qualche minuto nel mio petto, non sapevo distinguere se fosse il battito del cuore o il respiro.
"Cerca di scoprire dove si trova e.."
.
Tirai un sospiro di sollievo. "E.."
.
"Devo sapere altro?"
.
Aggrottai la fronte. "Cosa significa?".
.
 
Dora
 
Il freddo era estenuante. Non a caso avevo sempre scelto località calde e con tanto sole. La Polonia di certo non era in classidica per queste caratteristiche. Ma non avevo molte alternative. Chiunche mi stesse seguendo nel bene o nel male aveva meno possibilità di riuscita in un ambiente freddo. Qualcuno in quel parco mi aveva salvata. Una mezza idea ce l'avevo, ma l'ultima volta che ci eravamo incontrati aveva una spalla lussata e una spada magica quasi scarica. Gli avevo donato buona parte dei miei poteri e poi ero sparita con un semplice puff. Mi ero stabilita per un po' in Brasile, nascosta in una favelas maleodorante, a ricaricarmi. Avevo perso ogni contatto con l'organizzazione, era completamente sola. Solo desifi mi teneva compagnia, e era qualche tempo che mi indirizzava. Quando era finita in Italia, il destino aveva deciso che li avrei lasciato anche una parte del mio cuore e una vendetta da servire presto o tardi. James mi stava alle costole da troppo tempo ed era ora di affrontarlo.

"Desifi, cosa succede?"

Mi irrigidii. Ero su una strada poco trafficata, un viotto forse; speravo solo non fosse a fondo chiuso. Svoltai l'angolo e con la coda dell'occhio vidi una figura nera. Era alta, ben piazzata, ma completamente in ombra. Poteva essere una sola cosa: ombrimidi, uomini creati dai forger per fare il lavoro sporco. Erano incredibilmente forti e poco propensi a morire. Svoltai a sinistra e mi bloccai. Ne avevo uno davanti. Imprecai sottovoce e lentamente mi portai vicino al muro. Passai una mano sulle mattonelle, per prendere la forza dall'elemento e quando ancora non si aspettava che io potessi attaccare, alzai le mani al cielo e creai dal nulla due montagne di terra, che bloccavano il passaggio ai due inseguitori. avevo poco spazio e presto si sarebbero creati un passaggio, cosi spiccai un balzo verso l'alto e mi aggrappai alla balaustra di un balcone. L'edificio era vuoto, ma mi serviva solo per depistare gli ombrimidi. Tolsi la felpa e la nascosi in un angolo buio. Gli ombrimidi seguivano le scie lasciate dalle persone. Così facendo confondevo loro le idee e avevo più tempo per fuggire. Controllai giu e gli ombrimidi stavano per sbucar fuori dai cumuli. Chiamai a raccolta l'elemento acqua e le nuvole sopra la mia testa piansero goccioloni di acqua acida. Con le urla dei miei nemici che iniziavano a raggiungermi, perlustrai la parete esterna di quel edificio. Con un salto, raggiunsi il canale di scolo; proseguii verso l'alto, fino al tetto. Ero quasi arrivata, vedevo già i camini sgretolati dalle interperie, quando una mano mi prese per la caviglia, strattonandomi. Uno degli ombrimidi era riusciuto a raggiungermi, il suo volto, ormai sfigurato dall'acido, aveva assunto una smorfia raccapricciante. Non avevano l'uso della parola, quindi si limitò a tirare la mia caviglia verso il basso.
Staccando una mano dal tubo di rame, la rivolsi verso l'ombrimido, producendo un lampo verde che lo scagliò in mezzo alla terra da basso. raggiunsi il tetto e solo allora ripresi a respirare. Corsi fino all'altro lato e saltai sul tetto dell'altro edificio. scesi velocemente le scale di emergenza e mi trasfigurai lontano da li.
 
Cornovaglia. La terra dei folletti. Sbuffai. Odiavo i folletti. Camminai lungo la scogliera, pensando. Questa non era vita, non potevo continuare a scappare da tutto e da tutti. I forger andavano fermati e il loro capo ucciso. Era tutta colpa di quel megalomane. Lui e i suoi ideali di grandezza e unicità. Era la persona più insopportabile di questo mondo. Non che il mondo avesse un senso ormai. La popolazione mondiale era stata suddivisa e alcuni erano a conoscenza di cose e altri no. Questa distinzione era tremendamente orribile, dovremmo essere tutti uguali, avere tutti le stese conoscenze, invece i Forger avevano fatto solo casino. Persa nei miei pensieri andai a sbattere contro la schiena di qualcuno, o meglio, contro l'arco posizionato sulla schiena di qualcuno, per essere ancora piu precisi di un uomo. Sollevai lo sguardo sul suo e non potei far altro che sorridere. Sebastian. Gli appesi le braciq al collo e lui mi fece girare per qualche minuto.
"Dov'eri finita dolcezza? In mezzo a qualche altro casino immagino".
Lo spintonai senza nemmeno farlo barcollare. "Ho fatto fuori un paio di ombrimidi in Polonia. Non so perchę ma mi sono ritrovata qui. Era tanto che non ci venivo".
Sebastian mi cinse le spalle con un braccio e indiene iniziammo a camminare. "Questo posto è pieno di magia Dora, è la tua casa".
Feci una smorfia. " Lo so ma odio i folletti. È per questo che sto lontano da qui".
una risata cristallina uscì da quell'omone di due metri e grosso come un armadio. "Dove mi porti Seb?"
"Da me. È ora di fare una cosa".
Incuriosita, tentai di estorcergli qualcosa usando qualche trucco mentale, ma era schermato, come sempre.
La sua dimora si trovava a poche miglia dal mare. Dallo steccato della veranda nel retro, sospeso nel vuoto, riuscivi a vedere tutta la bellezza dell'oceano, le onde si infrangevano a pochissimi centimentri dalle tue dita se solo ti allungavi un po'. Mi piaceva passare le serate sul dondolo li vicino, a guardare le onde arrabbiate prendersela con la scogliera li sotto.
Seb mise subito su il bollitore del te, fqcendomi accomodare sul morbido divano rosso del salotto; il suo enorme micione, Sadeth, dormiva beatamente sullo scaffale piu alto della libreria. Sul tavolino insieme ai vari filtri del te, c'era una lettera. Non mi impicciavo degli affari altrui, ma ero curiosa di sapere il contenuto. Allungai lo spirito verso quella busta e ne assaporai i sentimenti nascosti tra le parole: indignazione, paura, sorpresa, preoccupazione. Ritrassi lo spirito pochi minukti prima dell'arrivo di Seb.
"allora Seb? perchè mi hai portata qui? cosa dovrei..fare?"
Sebastian si mise comodamente sulla poltrona, verso il te nelle tazze e aggiunse i filtri, uno al bergamotto e uno all'aloe vera. Dei pasticcini di frutta comparvero pochi istanti dopo di fianco alla teiera.
Appoggiatosi allo schienale, sospirò. "C'è una cosa che devi sapere, Dora".
Mi spostai sulla punta del divano, cosa che fin da piccola facevo quando un discorso mi interessava particolarmente.
"Tu..non sei esattamente chi pensi di essere".
Persi l'udito in quell'istante.
La voce perentoria di Desifi mi fece alzare di slancio dal mio posto, roveeciando il tavolino e con lui tutto ciò che c'era sopra.
Sebastian si accigliò. "Dora? che succede?"
Desifi era molto molto preoccupata.
Presi il polso di Sebastian e lo trascinai in veranda, pochi secondi prima che il campanello suonasse e con lui arrivasse un suono ovattato, come di quakcosa che cadeva su di un cuscino. Sadeth uscì di corsa e saltò in braccio al padrone. I miei occhi guardavano tutto con circospezione. Non sapevo cosa stesse succedendo, stavo entrando in panico. Desifi mi salvò.

"Che.."

Mi voltai guardando lo steccato e il vuoto subito sotto.
"Dobbiamo saltare Seb; ti spiefherò tutto dopo".
Era decisamente spaventato, ma non disse nulla. Si issò sulla balaustra e preso un profondo respiro, mi guardò. "non mi lascerai morire schiacciato contro una roccia vero?"
Desifi intervenì.
Mi tirai su, sorrisi a Seb e mi lancia nel vuoto.
 
 
 
  
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