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Autore: Anna Tentori    27/04/2015    2 recensioni
Eryn è un'adolescente chiusa in se stessa e tormentata interiormente. Soffre molto ma il suo orgoglio la porta a nascondere tutto dentro se stessa. Si sente sola e questo la spinge a rifugiarsi nella lettura e nei sogni ad occhi aperti.
Al culmine della sua sofferenza uno strano simbolo appare sul suo polso e apprenderà il suo destino, un destino che la porterà nella Terra di Mezzo e distruggere per sempre il male, come annunciato dalla profezia.
In questa fanfiction saranno presenti tutti i personaggi de Il Signore degli Anelli e gli avvenimenti saranno quasi del tutto gli stessi del romanzo.
Mi è venuto in mente di scrivere questa storia per impedire la morte di alcuni dei personaggi.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Boromir, Frodo, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 14:

Una nuova vita ( Parte 2 )

 

 

La luna stava cedendo lentamente il posto al sole; le stelle, incastonate nel roseo cielo, si spegnevano una ad una.

I primi raggi del nostro luminoso astro illuminavano il cielo scacciando via le tenebre della notte e creando tonalità rosate dolci, fonti di tranquillità e serenità. L’unico rumore che si udiva era il dolce canto delle cascate e il cinguettio degli uccelli ormai svegli.

Il terrore provato durante la notte mi stava finalmente abbandonando lasciando il posto a una certa serenità.

Erano ormai mesi che incubi e visioni non mi tormentavano, almeno fino a quella notte.

La sera prima ero andata a letto presto, stanca per la dura giornata all’insegna di spade e lance; subito mi ero addormentata.

Ero nuovamente caduta nella profonda e gelida oscurità e lingue di fuoco mi avevano circondato avvolgendosi al mio corpo e procurandomi un dolore accecante. Ogni centimetro della mia pelle bruciava trasformandosi in puro e nero carbone. Al culmine del dolore avevo sentito il mio corpo sbriciolarsi. Non vidi più niente fino a quando una voce terrificante pronunciò tre parole, tre semplici parole impregnate di malvagità: “Io ti vedo”

Quello che si era presentato poi davanti a me era una landa desolata, circondata da grandi catene montuose che si disperdevano all’orizzonte. Non vi era alcun cenno di vita, come se tutta la natura fosse stata bruciata, spazzata via. Una montagna vulcanica e una torre nera si stagliavano verso il cielo rosso sangue. Sopra la torre un grande occhio di fuoco sovrastava quelle terre. Mi osservava.

“Io ti vedo”

Un urlo terrificante nacque dentro di me e proruppe dalle mie labbra. Un terrore doloroso, una paura mai provata prima.

Successivamente mi ero svegliata sudata nel mio letto, ancora dominata da quell’orrore e nel buio continuavo a vedere quell’occhio infuocato. Ero poi uscita all’aria aperta, erano le prime ore del mattino.

Una dolce brezza accarezzò il mio viso. Quanto avrei voluto che Gandalf fosse lì con me. Erano ormai passati mesi da quando mi aveva lasciato in quel luogo incantato, senza tempo. Nessuna notizia ci era arrivata e questo più volte mi aveva intimorita; non sapevamo se stesse bene o se fosse in pericolo. Aveva detto di dover compiere importanti faccende, ma non ci aveva rivelato quali.

Sentivo un forte bisogno di averlo accanto, avevo un forte bisogno di non sentirmi più smarrita e in balia della paura. Lui per me rappresentava l’unico punto di riferimento in quel mondo sconosciuto, l’unico scoglio a cui appigliarmi.

Si, al mio fianco c’era Max, più vicino che mai, ma non era la stessa cosa. Massimilian rappresentava il mio rifugio, potevo contare su di lui, era sempre pronto ad aiutarmi ma non poteva darmi delle risposte. Anche lui si trovava nella mia situazione, un mondo sconosciuto, tra persone sconosciute. Ma lui non aveva bisogno di risposte, lui non aveva il peso del mio destino sulle spalle.

Gandalf era l’unico a poter placare i miei dubbi, le mie preoccupazioni. Neanche re Elrond ne aveva le capacità, solo lo Stregone aveva visto i miei avi per l’ultima volta ed era a lui che Iluvatar aveva rivelato i segreti del mio preannunciato fato. E lui non era lì accanto a me.

 

Voci cristalline si librarono nell’aria creando una meravigliosa sinfonia, gli elfi. Ispirai profondamente l’aria fresca e incontaminata di Imladris e, ormai in pace, ritornai nella mia stanza.

                                               

 

                                                                *

 

 

 

“Hmbriuctia”

Una lingua di fuoco simile a un bocciolo si materializzò sul palmo della mia mano. Emanava un calore piacevole e delicato. Il bocciolo di fuoco si librò nell’aria arrivando all’altezza dei miei occhi. Lentamente iniziai a compiere con le mani i movimenti indicati dall’arcaico libro. Realizzavo piccoli cerchi intorno alla fiamma che poco a poco si ingrandiva raggiungendo le dimensioni di una palla da pallavolo. Con l’indice sfiorai l’estremità superiore del bocciolo che si trasformò in un fiore infuocato. Quelli che assomigliavano a rossi petali si allungarono avvolgendo il mio corpo e sollevandomi dal terreno. Ero sospesa a pochi metri di altezza e con le braccia spalancate giravo su me stessa accarezzata dal dolce calore del fuoco. Ogni preoccupazione era svanita dalla mia mente, ciò che provavo era un senso di calma e sicurezza; mi sentivo al sicuro, a mio totale agio.

Continuai ad alzarmi fino a raggiungere l’altezza giusta per vedere tutta Imladris. Aprii gli occhi che fino a quel momento avevo tenuto chiusi. Il sole ardeva sulla mia testa sorridendomi. Sotto di me l’incantata foresta dalle centinaia sfumature di verde ricopriva l’intera valle mentre la roccia su cui sorgevano le case elfiche sovrastava tutto. Era una visione stupefacente, mistica, magica. Il cielo era di un azzurro intenso senza macchie, senza nuvole. Era da molto che non provavo quella sensazione di pace con il mondo intero, con me stessa. Nessuna preoccupazione, nessuna paura, nessuna ansia. La mia mente era libera, sgombera da qualsiasi cosa. Mi sentivo realmente me stessa.

Ma non potevo provare tutto ciò per sempre. Appena i miei piedi toccarono terra e il fuoco si fu estinto tutto ciò che in quei pochi minuti mi aveva abbandonato mi investì nuovamente, soffocandomi.

                                              

 

 

                                                               *

 

 

 

“Dai, dai Ery! Ce la puoi fare!”

Le urla di incitamento di mio fratello arrivavano deboli alle mie orecchie. Il rumore del cozzare della mia spada contro quella del maestoso elfo sovrastava ogni cosa. Il sudore rigava il mio volto affaticato mentre le mie braccia e le mie gambe lottavano contro il dolore. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato dall’inizio dell’incontro, l’unica cosa che sapevo era la forza del mio avversario. Era molto agile e veloce, schivava i miei colpi senza alcuna difficoltà. Era un elfo dai lineamenti duri e bellissimi, grandi occhi azzurri e capelli d’orati che scintillavano sotto i raggi del sole. Il suo corpo dimostrava venti anni ma i suoi occhi millenni.

Mi ero trovata in difficoltà fin dall’inizio, i miei movimenti non erano ancora del tutto fluidi e facevo fatica a schivare i suoi colpi.

Sei figlia degli Helvat, grandi guerrieri. Forza dimostralo!

Quelle parole si ripetevano nella mia mente. Sapevo che l’unica cosa che mi mancava era la convinzione, era la volontà, era la fiducia nelle mie capacità. Fino a quando non fossi stata sicura di me stessa sapevo che non avrei avuto alcuna possibilità di vincere.

“Eryn credici, solo quello ti divide dal trionfo” continuava a ripetermi Elladan.

E aveva ragione.

Caddi a terra a causa di un potente colpo subito, l’elfo mi aspettava in piedi pronto a ricominciare. Chiusi gli occhi per qualche secondo e provai a ripensare alle sensazioni che il fuoco mi aveva fatto provare. Pace, tranquillità, sicurezza. Improvvisamente una forza innaturale mi invase. Riaprii gli occhi come mai fatto prima. Percepivo l’aria di sfida che emanavano. Mi rialzai velocemente posizionandomi saldamente sulle gambe. Un grande ardore avvolse il mio cuore e il coraggio prese il sopravvento sul timore.

Mi scagliai contro l’avversario con tutta la grinta che avevo in corpo. Movimenti fluidi e veloci si rigettavano sul biondo elfo costringendolo ad indietreggiare. Nonostante la stanchezza continuavo ad attaccare, schivando agilmente ogni colpo inflitto da Dreinis. Dalle mie labbra sgorgavano parole nell’antico linguaggio helvico conferendomi ancora più farza.

 

“Jsei thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”

“Jsei thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”

“Jsei thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”

“Jsei thigleia Helvat. Dwimnojstalaio”

 

Prima che me ne fossi accorta il bell’elfo giaceva a terra, il mio piede sul suo perfetto petto, la sua spada a pochi metri dal suo braccio, la mia puntata al collo.

Ci ero riuscita, avevo dimostrato di essere figli di quei grandi guerrieri.

                                             

 

 

                                                             *

 

 

 

Io e Massimilian ridevamo con gusto alla vista dei due elfi gemelli che cercavano con scarso successo di capire come funzionassero i gesti della lingua italiana. Era ormai un’ora che cercavamo di spiegarli ai due principi che ci guardavano con aria smarrita ma molto incuriosita.

Max proponeva loro delle parole o frasi che dovevano riprodurre con gesti. Il risultato erano due elfi straordinariamente e stranamente impacciati che si impegnavano al massimo fallendo miseramente. Si lo so, è strano sentire le parole “Elfi” e “impacciati” nella stessa frase, ma credetemi sto dicendo la verità. Ovviamente impacciati è molto lontana dall’idea che si crea nella nostra mente. Erano comunque eleganti e solenni,ma meno del solito. Era una piccola differenza che naturalmente saltava subito all’occhio se eri abituato alla vista di tali regali creature.

Lo stomaco e la gola mi facevano male a causa delle risate. Da tempo non ridevo così.

                                            

 

 

                                                              *

 

 

 

Era ormai la terza volta che finivo di leggere l’antico testo. Ogni parola scritta era stampata nella mia mente, indimenticabile, al sicuro. Le mie capacità magiche erano migliorate notevolmente. Potevo controllare senza difficoltà ogni cosa formata da uno dei quattro elementi. Passavo intere giornate ad esercitarmi all’aria aperta, in una piccola radura al centro della valle. Mi tenevano compagnia le creature di quel bellissimo luogo e qualche volta uno o due elfi mi osservavano con interesse senza disturbarmi.

Nei momenti di noia mi divertivo a compiere piccoli scherzi a mio fratello che però non si arrabbiava, anzi, ne era entusiasta.

Non avevo ancora raggiungere l’apice dei miei poteri, ne ero consapevole, mancava qualcosa che nel libro non c’era. Certo, controllavo gli elementi ma non avevo ancora idea di come utilizzarli per difendermi e combattere. Più e più volte avevo provato a realizzare gli incantesimi di maggior livello riportati nel libro, ma con scarso successo. Qualcosa mancava, una conoscenza, una chiave. Avevo passato ore a cercarla, ma dentro di me sapevo che solo con l’arrivo di Gandalf l’avrei trovata.

Ma lui non arrivava, le settimane passavano velocemente tra allenamenti con ogni sorta di arma e intenso studio di quel mondo, tra incantesimi e scoperte.

Dalla notte in cui avevo sognato quel desolato luogo gli incubi continuavano a tormentarmi. Vedevo morte, distruzione, disperazione, terrore, sangue, lacrime, fuoco. Alla fine di ogni visione si materializzava davanti a me il mio volto, come se mi dicesse che se avessi fallito avrei causato tutto quello. La paura di non essere all’altezza del mio compito mi assillava. Ogni notte dopo essermi svegliata dagli incubi uscivo all’aria aperta ma nessuna pace mi abbracciava più. I miei occhi divennero sempre più stanchi, la mia anima sempre più fragile. Occhi preoccupati mi osservavano, ma senza sapere come fare. Massimilian cercava di starmi accanto silenziosamente il più possibile senza sapere cosa fare per aiutarmi. Apprezzavo questo anche se non mi dava alcun sollievo. Il polso aveva ricominciato a bruciarmi senza pace, aumentando sempre di più.

Ricordo che mi trovavo nella radura ad esercitarmi quando un dolore lacerante colpì il mio polso e la mia testa. Non capii più niente e caddi a terra priva di sensi. Successivamente mi ricordo di aver visto tutto quello che avevo sognato da quando avevo scoperto di appartenere a una razza estinta.

Quando aprii nuovamente gli occhi una luce bianca e accecante mi investì. Poco a poco l’ambiente circostante si delineò mostrandomi la mia stanza. Al mio fianco sedeva Massimilian addormentato, sul suo volto i segni di stanchezza causati dall’attesa del mio risveglio.

Lentamente cercai di mettermi seduta nonostante le forti fitte che provavo alla testa. Il mio polso era fasciato da una candida benda che però presentava una grossa macchia bluastra proprio nel punto in cui si trovava il marchio degli Helvat. Avevo la testa avvolta da un’altra fascia e pesanti coperte coprivano le mie gambe. Avevo passato interi giorni in coma senza dare alcun segno di vita. Arwen si era presa costantemente cura di me mentre Max non mi aveva abbandonato neanche per un attimo. Mi sentivo distrutta, come se un camion mi fosse passato sopra, cosa alquanto impossibile visto che ancora no esistevano.

Mi strofinai gli occhi e osservai più attentamente la mia stanza. Seduto davanti alla mia finestra c’era una grigia figura che osservava le cascate scintillanti. Un cappello a punta era poggiato a terra e del fumo usciva da una grande pipa.

“Gandalf…”

Lo dissi in un sussurro ma lo Stregone lo sentì e si giro verso di me sorridendomi, appariva molto stanco.

“Ciao Eryn, finalmente ti sei svegliata!”

 

 

 

 

Angolo dell’Autrice:

 

E finalmente Gandalf è tornato. Adesso inizia la vera e propria storia.

Spero che anche questo capitolo, anche se corto, vi sia piaciuto. Scusate la lunga attesa, cercherò di aggiornare più velocemente.

Fatemi sapere cosa pensate J

 

AnnaJ

   
 
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