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Autore: Blue Sunshine    27/04/2015    3 recensioni
Si era inginocchiato, Harry. L’aveva guardata con le lacrime a nascondersi fra la pioggia, proprio come anche lei stava tentando di camuffarle. Si era passato le mani fra i capelli, tirandoli all’indietro e rendendole tutto più difficile: il viso di Harry era esposto, con ogni ferita che lei gli stava infierendo con le sue parole e motivazioni inesistenti. I suoi occhi le chiedevano di rimanere, di non abbandonarlo come accadeva nei suoi incubi mai svelati, di picchiarlo per qualsiasi cosa fosse stata a ferirla; l’importante era che fosse tornata a casa con lui.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The sun loved the moon so much 

he died every night to let her breathe. 

 

I can’t stop thinking about yesterday. 

 

C'erano passati oramai tante volte e a nessuno dei due importava dei piatti sporchi nel lavandino, delle madri deluse dai propri figli né dei panni che si ammucchiavano sulla sedia della scrivania; Harry e Sam si erano urlati contro il loro reciproco odio ma entrambi avrebbero voluto riaverlo. Harry era steso sul suo letto disfatto a guardare il soffitto, cercando di non pensare al fatto che lei probabilmente stesse facendo lo stesso. Voleva muoversi anche solo per fingere di non sapere quanto in realtà fossero uguali. 
“Gli opposti si attraggono” si diceva; ma loro non erano questo. Loro erano uguali: stessa inadeguatezza, stessa paura di non trovare il loro posto nel mondo, stessa diversità. Lui pieno di tatuaggi, lei con i capelli verdi o blu o rosa. Lui con il giacchetto di pelle sulle magliette aderenti, lei con i jeans neri e strappati. Lui con le labbra in mezzo ai denti, lei a bagnarle con la lingua. Harry e Sam erano due specchi che si riflettono : stessi intensi occhi verdi, rossi quando il sabato sera si ubriacavano, vuoti quando fumavano troppo; eppure sempre intensi, ipnotici, irraggiungibili per chiunque. E quando i loro sapori si erano uniti quel lontano sabato di sette mesi prima, si fusero a tal punto che, da soli, non avevano più la stessa intensità ed elettricità. 
“Prima o poi ti innamorerai anche tu”, era la frase che i loro amici pronunciavano spesso. Ma Harry e Sam non ci credevano; non credevano nell’esistenza dell’amore. Perché mai desiderare di avere una sola persona nella vita quando si poteva sperimentare qualcosa di nuovo ogni volta? E questo si consideravano l’uno per l’altra: un esperimento. Condividevano molte cose, persino il pianerottolo di casa. Perché non condividere una notte di sesso sfrenato? Ma una notte divennero poi due, tre, quattro notti. E la voglia di sperimentare svaniva fra le spinte sempre più profonde di Harry e gli ansimi di Sam, fra gli scontri delle loro labbra impazienti, fra le mani di lui sul suo corpo e quelle di lei a stringere i ricci di Harry. 
“Ho voglia di sperimentare solo con te” fu il ti amo di Harry che Sam non si aspettava. I loro corpi nudi, ancora sudati, erano intrecciati e fu proprio in quel momento che Harry capì che poteva e doveva essere solo lei, allo stesso modo in cui Sam capì che se proprio l’amore doveva esistere, allora era proprio ciò che provava per lui. 
“Ci proviamo?” Sam lo aveva guardato negli occhi lucidi, non per l’alcool o il fumo, ma per i sentimenti che non riusciva a gestire e allora, lo aveva baciato dolcemente: fu il loro primo vero bacio, non selvaggio né lussurioso. 
“Lo stiamo già facendo” e Harry la strinse al petto perché l’idea di non averla più sua gli procurava, forse, un po’ di dolore al cuore. Entrambi non riuscivano a gestire quel bisogno viscerale che avevano di toccarsi; bisogno che li torturava, li scuoteva nell’intimo e li portava a provare dolore fisico se stavano lontani anche per poche ore. Allora, confusi, si ritrovavano a bussare alla porta delle loro case anche alle tre di notte con la voglia di guardarsi negli occhi e cibarsi di quell’intensa alchimia che condividevano. I due amanti della solitudine d’un tratto odiavano gli ostacoli che talvolta li separavano, mentre le labbra si abituavano a quello specifico tocco e sapore, le mani a quella sola e unica pelle e gli occhi a quegli sguardi e sorrisi che si concedevano solo all’alba dei loro respiri. Harry si completava con Sam e Sam lo amava. 
“Ti amo Harry”
“Fanculo, ti amo anche io”, e all’improvviso la vita si scriveva con i loro nomi che insieme erano melodia e sapeva di spazi minuscoli dove stringersi con più forza, come se non ci fosse un domani. 

C'era stato un giorno, però, in cui gli occhi sfuggenti di Harry avevano rincorso per la prima volta dopo mesi quel mondo che entrambi avevano dimenticato, in cui i giorni scorrevano lenti e identici, scanditi da sorrisi falsi, sguardi vuoti e, perché no, sbronze di prima mattina. 

“E’ tutto troppo perfetto, Sam” 
“Che vuoi dire?”
“Che ho paura”
“Mi stai lasciando?"
“Sì.” Sam non aveva pianto, perché sentiva che sarebbe tornato. E aveva ragione. Harry era tornato con un bacio disperato, le mani ad accarezzarle ogni lembo di pelle e gli occhi che si cibavano ancora di lei. 
“Mi vuoi?” 
“Sempre, Sam”, perché si erano trovati. Ma il per sempre è proprio delle favole e non esistono principi con i tatuaggi e principesse con i capelli viola. 

Quel giorno la pioggia scrosciava, bagnandoli, mentre lei lo spingeva via. Quella volta piangeva, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo: per questo motivo urlarono sotto la pioggia battente, affinché essa nascondesse le loro lacrime. 
“Ti odio Harry!”
“Fanculo, ti odio anche io!” e rovinarono tutto perché il loro non era odio, ma eccessivo amore. O forse eccessiva paura di essere troppo sbagliati. 

*

Sam era rannicchiata fra le lenzuola, le ginocchia al petto e gli occhi rossi. Aveva smesso di tremare solo poco prima, cercando di zittire la voce nella sua mente che le ripeteva le parole che Harry le aveva urlato in faccia. I suoi occhi non riuscivano a vedere altro che le guance arrossate di lui, le mani che gesticolavano davanti al suo viso e le labbra martoriate dai denti mentre gli diceva che non potevano continuare a stare insieme.
“Sappiamo entrambi che tornerai. Come io sono tornato da te, tu anche farai lo stesso”;  ma lui non sapeva. Non sapeva della grande paura che Sam provava nel guardarlo, così bello e perfetto. Quella sera avrebbe voluto sorridere e dargli ragione, buttandoglisi contro per stringerlo forte. Ma quella volta era diverso, doveva esserlo per forza. Si era inginocchiato, Harry. L’aveva guardata con le lacrime a nascondersi fra la pioggia, proprio come anche lei aveva tentato di camuffarle. Si era passato le mani fra i capelli, tirandoli all’indietro e rendendole tutto più difficile: il viso di Harry era esposto, con ogni ferita che lei gli stava infierendo con le sue parole e motivazioni inesistenti. I suoi occhi le chiedevano di rimanere, di non abbandonarlo come accadeva nei suoi incubi mai svelati, di picchiarlo per qualsiasi cosa fosse stata a ferirla; l’importante era che fosse tornata a casa con lui. 
“Siamo sempre stati abituati a cavarcela da soli, Sam. Io e te siamo talmente uguali che vivo con la fottuta ansia che un giorno di questi mia madre o tua madre ci svelino che in realtà siamo fratelli o in qualche modo imparentati. Sai benissimo che non potrò vivere senza di te, perché anche tu non ne sarai capace.”
“E’ sempre stato un gioco, Harry. Io e te, noi, questi mesi. E’ stato l’ennesimo esperimento per entrambi e lo sai anche tu” e quelle parole avevano fatto male, lei lo sapeva, e lo avevano colpito in pieno petto tanto che lui si era ripiegato su sé stesso. 
“Non lo stai dicendo davvero …” Sam non pensava che potesse crederle davvero, così facilmente. Ma glielo aveva letto sul viso : la sconfitta che zampillava da quegli occhi verdi e tormentati le dicevano che le credeva. Se la situazione fosse stata inversa, lei sarebbe scoppiata a ridere. Tutti quei mesi passati a ridere insieme, abbracciati nel letto dopo aver fatto l’amore, a cercarsi anche nelle folle più numerose, ad appoggiarsi all’altro per ogni minima cosa, a telefonarsi nel cuore della notte o a vedersi sul pianerottolo di casa perché non potevano aspettare la mattina seguente per baciarsi non erano stati solo un esperimento. Piuttosto amore, il sentimento che tanto avevano rifiutato per la sua stupidità. E anche dopo mesi di felicità sia Sam che Harry credevano ancora che l’amore fosse stupido. E questo perché esso si costruiva su elementi banali: come la risata confortante di Sam quando i ricci di Harry diventavano troppo lunghi e indomabili o il suo sorriso davanti a una bomba alla crema o ancora Harry che si mordeva il labbro alla vista di lei nuda, ogni volta come se la vedesse per la prima volta, come se potesse trasmettergli un dettaglio in più di lei. Erano stati più di un esperimento all’amore e tutti e due lo sanno. Ma Harry aveva imparato a credere solo in lei e Sam per la prima volta aveva desiderato che non fosse così. Se lui fosse stato meno spaventato, ma più attento agli occhi della donna che diceva di amare, avrebbe capito tutto e la pioggia non avrebbe inzuppato i resti di quei due cuori così tanto stanchi. Ma quelle ferite così evidenti nei suoi occhi vacui avevano fatto capire a Sam che nessuno dei due era pronto. Non lo era Harry e soprattutto non lo era lei. Evitare la verità era rimasta l'unica via da percorrere e anche se aveva fatto male, faceva più male il pensiero che Harry, un domani, l'abbandonasse per sempre. 
“Harry guardaci: tu con i tatuaggi ovunque e io con questi dannatissimi capelli colorati. Guarda come siamo diversi dal mondo” ed era crollato, ancora. Aveva abbassato la testa e stretto i pugni contro le ginocchia doloranti sull’asfalto. 
“Alzati e vai via, Harry. Siamo troppo sbagliati” 
“Credevo che insieme potessimo aggiustarci- aveva sibilato- ma sai cosa, Sam? Non mi hai aggiustato, mi hai reso ancora più difettoso di prima”  
“Ti odio Harry!”
“Fanculo, ti odio anche io!” 

Sam rabbrividì per quella che sembrava essere la centesima volta e si alzò finalmente dal letto, stiracchiando i muscoli indolenziti. Era stata immobile per due giorni e l’idea di riprendere la sua vita, la vita prima di lui, le faceva venire voglia di rannicchiarsi di nuovo fra le lenzuola che profumano di lui e passare il resto della vita così, nel ricordarlo. La sua stupida coscienza le sussurrò che tutto questo dolore non era che colpa sua, che Harry non l’avrebbe mai lasciata se non lo avesse praticamente costretto. In fondo era stata troppo codarda e non era riuscita a lasciarlo veramente; aveva preferito farsi odiare piuttosto che balbettargli altre bugie come il fatto che non era mai stato ciò che voleva: perché non era vero. Harry era ciò che lei cercava, bravata, voleva vivere; ed era stato proprio lui a provarglielo, modellando la loro vita con quelle mani grandi, dandole la speranza di un futuro. Un futuro con lui, i suoi tatuaggi e le sue sigarette fumate quando beveva troppo perché, di base, Harry odiava il fumo. Quasi sentì di nuovo gli occhi inumidirsi e prima che crollasse di nuovo in un pianto disperato si spogliò e andò nella doccia, cercando di non sfiorare con la propria pelle il muro che la divideva da lui. 


Harry lasciò scorrere l’acqua calda sul proprio corpo indebolito, la testa abbassata proprio come quella notte. Si morse il labbro inferiore così forte che il gusto del sangue inondò la sua bocca e spense l’acqua, ringhiando. Gli mancava terribilmente e avrebbe voluto tanto tornare alla sensazione di vuoto che l’aveva invaso dopo essere rientrato, da solo, in casa e che lo aveva portato a rimanere immobile sul letto per due lunghissimi giorni. Ma poi erano arrivate le immagini, i ricordi, i suoni ed erano tornate anche le emozioni nate insieme all’amore per lei: Sam che si legava i lunghi capelli rosa mentre i suoi occhi lucidi lo cercavano e lo trovavano a fissarla; le guance arrossate di lei dopo aver fatto l’amore o il profumo della sua pelle dopo una notte passata insieme; i loro odori insieme, i loro ansimi e i loro ti amo. Harry picchiò il muro con il pugno, desiderando di poterlo abbattere per vederla anche solo per un istante. Ma lei non lo voleva, no? Era troppo sbagliato per lei. 
“Anche tu sei sbagliata per me” urlò alla parete, scivolando nella vasca con le mani tremanti e un pianto silenzioso disegnato sul viso contratto. Bugiardo … Lei non era sbagliata, era perfetta. Imperfettamente perfetta. E la amava tantissimo. 
Uscì fuori dalla doccia che il gelo esteriore non poteva nulla contro quello che sentiva dentro: percepiva chiaramente l’innalzarsi della lastra di ghiaccio che lo aveva sempre isolato dal resto del mondo, lastra che Sam aveva abbattuto con i suoi sorrisi sghembi e le linguacce. Lui la amava e non riusciva a pensare ad altro. Se solo non fosse stata lei a rifiutarlo, sarebbe corso alla casa accanto e l’avrebbe racchiusa fra il muro e il suo corpo, costringendola a guardarlo negli occhi e a leggere la sofferenza provata quei giorni senza lei. Entrò nella sua stanza  e si avvicinò al comodino, osservando il cellulare. Lo sbloccò e guardò con occhi lucidi la foto di Sam con il naso sporco di panna mentre il sorriso le illuminava il volto magro. Altre lacrime premevano contro la sua iride e Harry non si era mai sentito così debole. Nemmeno quando il padre gli aveva urlato contro quanto fosse sbagliato per la sua famiglia con tutti quei tatuaggi e le sbronze del sabato sera. Harry era capace di provare sentimenti umani solo quando si trattava di Sam. Per il resto del mondo, non era diverso da un robot. E si lasciò andare contro il pavimento freddo, ancora nudo. Chiuse gli occhi sperando che a fermare il suo tremito giungesse Sam, l’unico sole che avesse mai accettato nella sua grigia esistenza. 

 

Sam ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio solo al terzo giorno dalla rottura con lui. Si posizionò davanti al suo riflesso e osservò attentamente: la ricrescita era appena visibile sulla nuca, andando a sfumarsi in boccoli violacei; gli occhi verdi erano leggermente gonfi e le lunga ciglia scure erano imbrattate ancora da un po’ di mascara non tolto. Le labbra graffiate e il colorito pallido. Con un sospiro Sam si toccò il ventre piatto e lentamente alzò la maglietta, girandosi a lato. La sua figura slanciata la illuse che fosse tutto uno sbaglio, una stupidissima menzogna: lì dentro non poteva esserci davvero un bambino. Il loro bambino. Un bambino che magari avrebbe avuto le somiglianze del padre … Altre lacrime scesero lungo le sue guance e Sam cadde a terra stringendosi le braccia alla pancia. Lei non lo voleva, non voleva un figlio in quel momento. Era tutto sbagliato, lei era sbagliata e anche Harry. E poi, non sarebbero stati in grado di crescere un bambino; insieme, lo avrebbero rovinato perché a essere rovinati erano proprio loro. Dovevano imparare ancora molte cose del mondo, dovevano imparare a proteggere l’altro dal male; come potevano anche solo immaginare di farcela a proteggere un terzo elemento, più debole e indifeso di loro? Si massaggiò ancora la pancia, odiando la vita che stava nascendo e crescendo in lei. O forse, lo odiava perché la amava da quando il dottore le aveva confermato la gravidanza. Harry l’aveva marchiata come nessuno aveva mai fatto, concedendole sensazioni impareggiabili e segni sul corpo che amava rivedere la mattina alla luce del sole, con la sua testa al petto e le braccia intrecciate alla sua vita. Ma questo … Questo era troppo, anche se nel profondo sapeva che un figlio lo avrebbe voluto solo da lui. 
“Oh Harry …” alzò lo sguardo al muro della sua stanza, avvicinandosi lentamente e con il cuore in subbuglio. Si fermò a pochi millimetri dalla parete, guardandola come se questa potesse diventare trasparente e permetterle di vederlo ancora una volta. Come stava? Come me, perché siamo uguali. Sussultò, portando una mano in avanti e toccando il forte ostacolo che c’era fra di loro. E se non fosse stata sconvolta, avrebbe capito che il calore provato sul palmo era dovuto a un’ altra mano alzata, dall’altra parte del muro. La mano di Harry che, come sempre, rispondeva alla chiamata e combaciava alla sua. 

 

Harry credeva davvero che Sam sarebbe tornata, prima o poi. Sapeva che anche lei sentiva il cuore diviso a metà, il respiro pesante, gli occhi stanchi. Sapeva che viveva dei ricordi loro, non della vita che noiosamente stava scorrendo loro intorno. Sembrava quasi che il  mondo viaggiasse più velocemente o forse, era lui a essersi fermato. Uscì di casa dopo cinque giorni; indossò gli occhiali da sole che Sam gli aveva regalato, celando la guerra nei suoi occhi. Esitò solo pochi secondi ad osservare la porta di fronte quella di casa sua, ma poi corse giù per le scale prima che l’immagine del suo volto solare potesse abbattere le patetiche difese innalzate. Se quello era davvero l’amore, aveva sempre sbagliato a crederlo stupido: l’amore era subdolo, ipocrita, distruttore, insensato, inutile, assassino. Lo aveva ucciso in tutte le sue parti. Quando l’aria fresca gli pizzicò il viso, si sentì meglio. Il dolore procurato dal vento gelido sulla sua pelle irritata lo distrasse dalla tortura che infestava il suo stomaco. Una stilettata al petto lo portò ad alzare gli occhi verso la sua finestra ma riabbassò subito lo sguardo, incamminandosi con le mani in tasca. Sentiva che lo stava osservando, e non voleva farsi vedere debole. 

*

Quando le luci la colpirono negli occhi capì di aver fatto uno sbaglio enorme ad andare in quel posto. Ma sebbene la sua coscienza sapesse quanto tutto quello fosse sbagliato, il suo cuore e la sua mente avevano bisogno proprio di cibarsi di quello sbaglio che la sua vita era sempre stata. Quando una forza superiore spinse il suo corpo fra la marea di ragazzi ubriachi in pista, ebbe l’irrefrenabile istinto di proteggersi. O meglio, di proteggerlo. 
“Sam, era parecchio che non ti facevi viva! Fatti un drink” Sapeva che avrebbe dovuto rifiutare e dentro la sua testa, lo fece davvero. Per questo non seppe mai come si ritrovò a ballare, ubriaca, in mezzo alla folla. Il suo corpo sembrava muoversi da solo, mentre il suo cervello le lanciava allarmi che deliberatamente evitava. Quando sentì una fitta allo stomaco, impallidì ed ebbe paura. Ricordò che tutto era diverso, lei era diversa. Harry le aveva tolto la possibilità di ritornare a quel mondo fatto di sbronze, fumo, inadeguatezza e precarietà. E diavolo, lo amava per questo; l’aveva salvata in fondo, portandola a conoscere anfratti del suo cuore che non sapeva di possedere. O meglio, Harry le aveva provato che effettivamente lei avesse un cuore. Lo aveva trovato sepolto fra cicatrici di ogni sorta e, stupito delle sue condizioni, lo aveva preso fra le sue mani sempre gelide: impolverato sì, ma funzionante e totalmente pronto per amarlo. Vi era entrato senza permesso e senza un perché e ancora lo occupava, graffiando in profondità per veder zampillare il suo sangue. 
Si piegò sul water del bagno e la tremenda puzza di quel posto le stimolò di nuovo lo stomaco. Vomitò forse tutto l’alcool assorbito e quando ebbe la forza di alzarsi per bagnarsi il volto sudato, si sentì vuota e sola. Come se in quel gabinetto avesse rigettato la sua intera esistenza. Scivolò a terra, mentre delle nocche bussavano contro la porta  e rischiavano di farle collassare la poca ragione rimasta. Si massaggiò dolcemente la pancia scoperta, sorridendo. 
“Lo sai che proprio in questo bagno ho conosciuto tuo padre? Stavo vomitando anche quella volta. Sono proprio disgustosa“ridacchiò Sam, continuando a muovere la mano contro il suo ventre. Il bussare si fece più forte, ma lei aveva occhi solo per ciò che nascondeva in sé. 
“E’ arrivato in un momento della mia vita in cui non mi importava di nessuno, nemmeno di me stessa. Mi ha presa senza che potessi rifiutarmi e mi ha fatto sua. Credevo fosse solo uno stupido gioco, una fottutissima tresca che sarebbe finita con una sana scopata in un bagno come questo e poi addio, ognuno per le proprie incasinatissime strade. Come avrei immaginato che dopo essere stata sua, non avrei voluto essere di nessun altro? Come avrei potuto capire che una volta uniti i nostri destini, sarebbe stato impossibile dividerli? Guarda cosa ne è nato … “ e si rannicchiò di più, mentre nuove lacrime inondavano forse l’unica cosa giusta della sua vita. Ed era così bella sentirla dentro, che la stava facendo marcire lentamente con il resto del suo corpo. 
“E’ così bello tuo padre … L’idea che tu possa assomigliargli non mi permette di salvarti da me. Per una volta, voglio essere egoista e pensare al mio bene”
“Sam, apri questa porta! Adesso!” 
"Mi sembra di sentirlo, sai?” un rumore e un’improvvisa luce inondò il corpo svenuto e spossato della ragazza, appoggiato al muro fetido dietro di lei. Prima di chiudere gli occhi riuscì a vedere l'ombra di uno sguardo che conosceva bene. 
“Sam, mi senti? Ora ti porto a casa, va bene? Ti riporto a casa tua”, la prese fra le braccia e immediatamente il peso nel suo petto scomparve. La musica non esisteva come neanche le urla dei ragazzi ubriachi o la puzza di alcool e fumo. Esistevano solo le mani di Harry che la tenevano salda e al sicuro, il suo petto che si alzava e si abbassava sotto la sua guancia bagnata e le sue labbra che talvolta sentiva fra i capelli e sulla fronte sudata.
“Fra poco starai bene, Sam. Hai passato sbronze peggiori. A casa tua ti riprenderai”, continuò a sussurrare istericamente. La faceva quasi sorridere l'ansia con cui Harry la teneva stretta, che sentiva serpeggiare sulla sua pelle nuda. Ma, si sapeva, loro non avrebbero mai fatto ciò che doveva essere fatto: strinse a pugno la maglietta di lui e lo guardò, sebbene la sua figura apparisse sfocata. 
“Non a casa mia, Harry. A casa tua, portami a casa tua.” Se davvero doveva essere infelice per il resto della vita, meglio dirgli per l’ultima volta addio. 

 

Accarezzando la pelle nuda di Sam, Harry sentì ogni pezzo del suo animo incollarsi nuovamente. La notte era trascorsa troppo velocemente, fra i ringraziamenti strascicati da Sam e le carezze di Harry. Lei si era addormentata quasi subito e Harry si era tolto la maglietta e le si era sdraiato accanto, sfiorandola volutamente. Aveva passato la notte a guardare la luna sfilare lentamente sul suo corpo pallido, risaltando la sua pelle liscia e ancora sudaticcia. Aveva giocato con i boccoli viola che le ricadono sul piccolo seno, talvolta sfiorandolo con la nocca graffiata. Aveva osservato le sue palpebre tremanti, il profilo del naso, le sopracciglia curate, le labbra schiuse. E per quanto la sua mente gli diceva di non farlo, alle 4:50 si era sporto e l’aveva baciata. L’ aveva gustata per l’ultima volta, stringendo delicatamente la sua mano e gioendo nel conoscerla talmente a fondo da sapere che il suo sonno dopo una sbronza era fin troppo pesante per essere turbato dai suoi disperati bisogni. 
“Ti amo, Sam” aveva detto alle prime luci dell’alba e poi non si era più mosso, continuando a guardarla come se ne dipendesse la sua vita. E odiava anche quei millesimi di secondi in cui le palpebre si chiudevano, negandogli il suo dannato paradiso, tanto che provò a tenere gli occhi aperti e fermi procurandosi bruciore e lacrime sulle guance. Gli piaceva credere che le lacrime fossero per la sua stupida voglia di non chiudere gli occhi piuttosto che per la gioia che provava nell’averla di nuovo nella sua camera, sul suo letto. E non si sarebbe mai più addormentato se avesse avuto la certezza che lei non sarebbe mai andata più via. 
“Harry” mugolò lei, stiracchiandosi. Harry si morse il labbro inferiore, non perdendosi nemmeno un secondo del suo risveglio. Sapeva che lei avrebbe stiracchiato prima le braccia e poi le gambe e, di conseguenza, le avrebbe intrecciate alle sue. Avrebbe strofinato i piedi freddi contro i suoi polpacci per poi affondare il viso al suo collo. Avrebbe sbuffato per tre volte prima di puntare il mento al suo petto e sussurrargli il buongiorno con ancora gli occhi chiusi. Lui le avrebbe scompigliato i capelli e le avrebbe baciato la fronte e solo allora, Sam avrebbe aperto gli occhi. Rimase immobile mentre le gambe magre di Sam si intrecciavano alle sue e mentre sfregava i piedi contro i suoi polpacci, Harry arrivò a pensare che forse gli ultimi sette giorni erano stati solo un incubo. Che non si era mai più svegliato dal sabato precedente e che, fortunatamente, Sam era ancora sua. Quando però la sentì irrigidirsi e scendere velocemente dal letto, coprendosi il corpo esposto con una sua felpa trovata sulla sedia, il mondo gli franò addosso e sentì il respiro corto.
“Dove sono i miei vestiti?”
“Sono nella vasca. Puzzavano di alcool e fumo, quindi li ho lavati.” Il suo viso era anche più bello alle prime luci del giorno. E se pensava che fino a poco tempo prima era stata solo sua Harry avrebbe voluto correre indietro per tenerla ancora più stretta a sé. 
“Posso darmi una lavata?”
“Certo che puoi, Sam” 
“Poi me ne andrò”
“Sam …” ma la voce roca di Harry si infranse contro la porta di legno sbattuta. Sentì gli occhi inumidirsi e il cuore cadere pezzo dopo pezzo, ancora. E questo gli ricordò il motivo per cui odiava l’unica persona al mondo per cui provasse anche amore. Nascose il viso sul cuscino, aspirando avidamente il profumo che i suoi capelli avevano lasciato e cercò di soffocare la stretta al petto che provava nel pensare che quando sarebbe uscita dalla doccia, il profumo che avrebbe avuto addosso sarebbe stato il suo. Il fatto che lui fosse presente ancora sulla sua pelle riusciva a farlo stare un po’ meglio. 
“Puoi prestarmi dei vestiti? Te li farò avere da mia madre” Harry silenziosamente andò verso il suo armadio e prese dei pantaloni di una tuta, porgendoglieli poi. E fece finta di non curarsi dell’occhiata di Sam al suo petto nudo e all’elastico dei pantaloni posizionato troppo in basso sui suoi fianchi. 
“Harry? Io e te … Questa notte …” 
“Stai tranquilla Sam, non abbiamo fatto sesso. Non l’avrei mai permesso”disse rudemente Harry, girandosi di nuovo a guardarla. Lei sembrò ferita ma poi sorrise e quel sorriso, seppur falso e tirato, ebbe la capacità di far accelerare il battito del suo cuore. Quando la porta si chiuse di nuovo, si diede dello stupido. Erano mesi oramai che non usava più la parola “sesso” per descrivere il loro rapporto intimo: era più un fondersi di necessità e voglia di completarsi e completare l’altro. Facevano l’amore? Sì, forse era quello il termine più giusto. 
Sam uscì dal bagno struccata e profumata, perfetta nella sua semplicità. Un tempo Harry amava osservarla la mattina dopo una sbronza: gli occhi un po’ arrossati per via del trucco, il collo segnato dal suo passaggio, le labbra gonfie e gli occhi luccicanti. Ma poi aveva scoperto quanto fosse più bella osservarla la mattina dopo che si era semplicemente concessa a lui e segretamente Harry aveva fatto in modo che ogni notte fosse sua, solo per guardarla poi. Si guardarono per pochi secondi e Sam si tirò i capelli in una coda disordinata, senza lasciare i suoi occhi. 
“Cosa ci facevi lì dentro? Avevamo promesso che non ci saremmo più stati”
“Anche tu eri lì, mi sembra”
“C’ero solo per te” e Sam lesse la verità nei suoi occhi. Doveva andarsene, doveva lasciarlo vivere senza quel fardello. Quei due fardelli. 
“Grazie Harry. Credo tu mi abbia salvato per la centesima volta” raccolse i suoi vestiti ancora bagnati e si affrettò alla porta ma seppe ancor prima di sentire la mano gelida di Harry afferrarla dal polso che non l’avrebbe lasciata andare. Non quella volta. 
“Sai che io ti salvo sempre, Sam. Anche quando pensi che ti stia affondando, in realtà lotto perché tu sia felice”
“Lasciami, Harry. Ti prego”
“Dimmi che mi odi, Sam” la portò con le spalle al muro, intrappolandola fra il suo petto nudo e la parete dietro di sé. Le accarezzò la mascella con il naso, solleticandole il collo con i suoi dannatissimi ricci.
“Harry io …”
“Guardami negli occhi e dimmi che mi odi. Dimmi che sono sbagliato, inadeguato, inappropriato. Dimmi che questi mesi sono serviti solo a farti capire che non mi vuoi nella tua vita e io ti lascerò stare” le sussurrò sulle labbra, sfiorandole ma non toccandole mai. 
“Dimmi le stesse parole che mi hai detto sabato scorso. Solo, non nascondendoti al mio sguardo” e quando Sam alzò i suoi occhi contro quelli di Harry sapeva che lui non l'avrebbe mai lasciata. Harry aveva imparato a farsi amare, ma anche ad amare. E non era giusto privarlo della possibilità di scegliere: prendere o lasciare. Viversela o abbandonare tutto. Non l’avrebbe biasimato, né incolpato. Avrebbe continuato ad amarlo anche se lui non l’avesse più accettata con il grembo gonfio e, successivamente, con loro figlio in braccio. Avrebbe continuato a seguire l’ombra di quell Harry sorridente  mentre le prepara il caffè o la prende in giro per i suoi maglioni troppo larghi. Harry aspettava e lei si rese conto che non poteva fare ciò che gli stava chiedendo. Perché non era ciò che sentiva, perché loro non erano destinati per forza a non funzionare. Due difetti, se messi insieme,  avrebbero potuto far nascere qualcosa di buono. E forse, lo avevano già fatto. 
“Sono incinta”
“Cosa?”
“Sono incinta, Harry” e le iridi verdi di lui si scurirono, facendola tremare. 
“Sam … Il bambino. E’…”
“Tuo Harry. Solo tuo” e finalmente i loro respiri si fusero nuovamente, in un bacio troppo disperato e che fece rinascere gli animi di entrambi. Quando si staccarono Harry l’attrasse a sé, cercando di nascondere le sue lacrime. 
“Ti ho amato da quel sabato sera, Sam. Te l’ho mai detto che eri bellissima con quel vestito? Credevo di non aver mai visto qualcosa di più bello ma sempre tu, mi hai fatto ricredere. Perché, dio, niente è più bello di te che fai l’amore insieme a me, con i capelli sparsi sul cuscino, gli occhi fissi nei miei e pieni di quello che ti do, le labbra fra i denti e le mani a tracciare tatuaggi invisibili fra quelli già disegnati sulla mia pelle. Ed è la tua voce quella che voglio sentire alle mie orecchie ogni secondo della mia patetica vita. Sposami Sam, non lasciarmi” e lei lo baciò ancora, stringendo forte i ricci alle sue mani e premendo il suo corpo contro quello di Harry. 
“Sì”, ebbe solo la forza di rispondere mentre i raggi del sole illuminarono la stanza e Harry la prese per mano e dolcemente la posizionò davanti a sé.
“Guardaci” disse solo, indicandole il loro riflesso allo specchio. E Sam lo fece, provando enorme gioia nell’accarezzare le braccia del suo uomo contro il suo corpo e nell’osservare i loro occhi, identici, nella gioia del momento. Lentamente Harry si sporse verso di lei, alzandole la maglietta e racchiudendo il suo ventre con la sua mano. Le vene pulsarono contro la sua pelle e lui cercò i suoi occhi nello specchio, amando quel piccolo particolare che avrebbe di certo stravolto le loro vite. 
“Se questo è l’inferno, voglio essere dannato per sempre”
“Ti amo, Harry”
“Vi amo anche io.” 

 

Angolo autrice:
Mentre lavoro sul prossimo capitolo di Murderess, ho ripescato questa os vecchia e ho deciso di pubblicarla. Non so il motivo, ma Sam e Harry sono molto importanti per me. Rappresentano, forse, l'ultima briciola di speranza in me riguardante l'amore. Ho scritto di loro come se stessi scrivendo di me: con le mie paure, i miei pensieri e i miei demoni. Certo, mi manca un ragazzo come Harry accanto ma chissà, magari arriverà quando meno me lo aspetto. 
Dedico questa a os a tutte quelle persone che, come me, sono in attesa del loro dolce Harry. Un bacio,

Sonia. 

  
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