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Autore: Vale11    28/04/2015    1 recensioni
Una raccolta di drabble e one shots che girano intorno a Riario e Da Vinci. Possono essere ambientate nel rinascimento come ai giorni nostri, possono andare dal comico al romantico, fino al decisamente deprimente.
"C’è chi gli ha detto che è quando sorride che fa più paura. Lui sa che il suo sorriso continuo è una reazione anche alla sua, di paura. Di quando ne aveva, di quando ne ha avuta. Di quando ne ha. Sorridi in faccia a chi ti sta frustando la schiena, e vedrai che gli confonderai le idee. Almeno quello. Ha imparato a sorridere così bene. Un sorriso freddo, falso e senza grazia alcuna."
Occhio, spoiler di brutto!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un altro prompt di Kikigurr, ringraziatela! 
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Leonardo gli piace: non importa quanto gli sembri strano, è così. Certo, un padre che ti inculca che essere attratti da un altro uomo è peccato a suon cinghiate lascia qualche segno psicologico: ci ha messo mesi ad ammetterlo da quando l’ha conosciuto, e ha faticato parecchio ad ammetterlo anche a se stesso, con l’educazione malata che Sisto gli ha imposto, ma ora riesce a pensarlo senza sentirsi in colpa. Sa che Leo se n’è accorto, sa di non essergli indifferente, ma ci sono ancora troppe cose che Leonardo non sa sul suo conto e che preferisce tenere per sé. Almeno per ora. Ma Leonardo gli piace, punto. Brucia di un fuoco talmente vivo che si chiede se, a volte, non ci si sia bruciato anche lui. In ogni caso, è da qualche giorno che non lo vede in facoltà: sa che ha ricevuto il suo primo lavoro di una certa importanza, ancor prima di laurearsi; dev’essere una specie di record. Ha pensato di andare a trovarlo a casa, ma si ferma sempre all’ultimo: magari ha da fare, magari non vuole essere disturbato…magari se il suo telefono la piantasse di nascondersi nella tracolla riuscirebbe a rispondere.
Zoroastro?
Forse Leo è rimasto senza soldi nel cellulare e sta usando quello di Zoroastro, non sarebbe la prima volta. Risponde incastrando il telefono fra l’orecchio e la spalla, ributtando in borsa tutto quello che ha tirato fuori alla rinfusa per trovare il cellulare.
“Leo?”
“No, no. Sono io”
Girolamo sente le spalle irrigidirsi.
“Zoroastro? E’ successo qualcosa?”
“No, cioè. Si. - ci sono pochi secondi di silenzio, in cui Girolamo sente lo stomaco cadergli ai piedi - ascolta, Riario, vieni qui. Leo ha chiesto di te”
“Qui dove? - gli chiede sedendosi per evitare di spalmarsi sul marciapiede - che è successo?”
“Te lo spiego quando arrivi. Siamo a Careggi. Appena ci sei, chiamami”
Ecco, adesso si che gli viene da vomitare.


Zo risponde al primo squillo e gli dice di aspettarlo all’entrata del pronto soccorso: lo vede sbucare da un corridoio poco dopo, senza quel sorriso strafottente che sembra avergli preso residenza sulla faccia. Si tormenta le maniche della felpa come un ossesso e, quando lo vede, non fa nemmeno una battuta sarcastica: lo saluta con una mano e gli fa cenno di seguirlo senza aprire bocca. La stanza di Leonardo non è lontana ma, prima di entrare, Zoroastro lo bocca con un braccio e gli fa cenno di allontanarsi: solo qualche passo, lo lascerà entrare subito.
Lo vede fissare la porta divorandosi il labbro inferiore, poi sospira e si passa le mani sul viso. Ha la faccia di chi non dorme da un pezzo.
“Leo è andato in overdose”
La voglia di vomitare torna a tutta forza.
“Cosa? - si obbliga ad abbassare la voce quando vede Zoroastro mettersi un dito sulle labbra - Stai scherzando?”
“No. Ascolta, non lo conosci da tanto e immagino tu non lo sappia…”
“Overdose di cosa? - lo interrompe, cercando di ricordarsi se abbia mai visto segni sulle braccia di Leo - di cosa?”
“Metanfetamine. Speed, Crystal, quella roba. Riario, ascoltami - Zoroastro alza le mani, i palmi in avanti, per impedirgli di interromperlo di nuovo - Ascoltami. Gli hanno assegnato un terapista, lo obbligheranno ad andarci, e sai già che gli verrà un attacco di nervi e non gli dirà niente - si fissa i piedi, poi ricomincia - ho bisogno che Leo stia un po’ da te, lontano da quei quadri maledetti, la commissione, il lavoro e il casino che abbiamo sempre in casa. Si può fare?”
Girolamo lo guarda ad occhi spalancati, cercando di assimilare tutto insieme.
“Un terapista?”
“Un terapista, pensa te - Zoroastro annuisce - non ci parlerà nemmeno, ma magari lo farà con te. Io ci ho provato, ma…”
Non finisce la frase: sbuffa e si caccia le mani in fondo alle tasche. Il ritratto della frustrazione.
“D’accordo, può stare da me quanto vuoi - Girolamo annuisce, gli occhi sempre più grandi - ma mi spieghi che è successo?”
Zoroastro aspetta che un paio di infermiere siano passate, poi riprende la spiegazione.
“Lo sai, che lo hanno preso per un lavoro piuttosto grosso? Un privato, una famiglia piuttosto ricca, gli ha commissionato una serie di ritratti: gli hanno dato delle foto e si sta basando su quelli. Tu non hai idea - Zoroastro chiude gli occhi e si passa le mani sulle tempie - è sempre stato iperattivo, giuro, ma mai così. Ogni tanto prende qualcosa, ma non era mai successa una cosa simile…voglio dire, sono abituato a sentirlo lavorare, disegnare, fino a tarda notte…ma non dormiva da quasi settantadue ore. E non era stanco, mai. Ho pensato che si fosse fatto troppi caffè, ma non tornava comunque.”
Alza la testa, lo fissa. Girolamo è praticamente una statua, immobile sul posto.
“Poi ho trovato una pipa, tipo quelle da crack, sai - no, non lo sa. La dieta autodistruttiva di Girolamo si basa su un consumo stupefacente di alcool alternato a lunghi periodi di astemia completa. Ma è uguale - Ma non c’era puzzo di fumo ne di roba chimica, e ho capito che stava fumando quella roba. Gli ho detto di abbozzarla, ma mi ha risposto che ne aveva bisogno per lavorare. Me ne ero accorto, che ne aveva prese troppe. Non mangiava dal giorno prima, non aveva dormito un’ora in tre giorni, era sudato fradicio. Sono tutti effetti dell’abuso da speed. Gliel’ho detto, abbiamo iniziato a litigare. Non siamo arrivati a niente, sono uscito di casa incazzato come una bestia - gli viene da ridere - non dovevo, dopo dieci minuti Nico mi ha chiamato per dirmi che era rientrato e aveva trovato Leo collassato, con degli spasmi muscolari orribili, gli occhi ribaltati e non riscriva a calmarlo, non riusciva nemmeno a fargli bere un po’ di acqua e zucchero. Dio - ride di nuovo, ma è più una risata isterica che altro - meno male che Nico è tornato subito dopo”
Zoroastro si butta i capelli indietro, si siede e resta a fissare il pavimento per qualche secondo, Girolamo resta fermo, a masticare informazioni e nessuna risposta.
“L’abbiamo portato al pronto soccorso di volata, è venuto fuori che aveva quello schifo nel sangue, nei polmoni, si era riempito. In tre giorni aveva consumato una dose di speed da elefante, l’aveva fumata, l’aveva anche buttata giù come fosse aspirina - Zoroastro alza la testa per cercare Girolamo. E’ così silenzioso. Lo trova appoggiato al muro davanti a lui, una mano sulla bocca e gli occhi fissi sul muro - siamo arrivati in tempo per togliergli di dosso quella che aveva ingerito solo poco prima e gli hanno fatto la lavanda gastrica, una delle più lunghe che abbia mai visto fare. Mi hanno detto che è prassi. L’hanno tenuto intubato, ma adesso ha solo la mascherina per l’ossigeno. E devono costantemente controllarlo, perché quella roba alza la temperatura corporea e disidrata di brutto. Hanno fatto questa cosa strana con uno spray, gli hanno anestetizzato la gola, poi l’hanno intubato e hanno fatto passare il sondino dal naso. Era completamente andato, magari non se ne è nemmeno accorto”


Zo tira su la testa. Girolamo è più che pallido, è terreo. Se ne sta li, fermo immobile. E’ terrorizzato. Si alza e lo raggiunge.
“Ascoltami - gli prende gli avambracci con le mani, finché non è sicuro che Riario ci sia - ha ancora quella roba in circolazione, ci vorrà un po’ prima che se ne vada. Un paio di giorni, forse qualcosa di più. Deve stare in un posto tranquillo, silenzioso e senza troppi stimoli esterni. Ha rischiato di morire d’infarto, quando è svenuto. Il suo cuore stava praticamente per esplodere. Ti ha chiamato, a un certo punto - lo fissa, come se cercasse di capire se si merita tutta l’attenzione che il suo migliore amico continua a dedicargli - ti ha chiamato un sacco di volte. Quando ho potuto ti ho telefonato.”


Le ultime parole di Zoroastro gli rimbalzano in testa mentre aggira il letto alla ricerca della faccia di Leonardo.
Ha rischiato di morire d’infarto.
Ha rischiato di morire.
A quest’ora, Leo avrebbe potuto essere morto. Così, sparito. Solo l’idea è devastante. 
La stanza è tenuta in penombra perenne, è da solo, non ha la televisione, il rotolante è abbassato. E’ praticamente in isolamento sensoriale, e pare che vada bene così. Quando finalmente lo vede, non sa se mettersi a piangere o prenderlo a parolacce.
“Ehi”
Leo gli sorride, appallottolato su un fianco nel letto d’ospedale. Non ci sono fiori sul comodino, e Girolamo non ce li vedrebbe proprio. Che se ne farebbe, Leo, di fiori che al momento non può nemmeno disegnare? Ha un sorriso tirato, incerto. Non sa se gli arriverà una lavata di capo o cosa. Le mani sono percorse da tremori continui. Ha una voglia matta di stringerle e tenerle ferme, ma resta fermo a fissarle. Si schiarisce la gola.
“Come stai?”
Vede gli occhi chiari di Leonardo scivolare sulla flebo che ha infilata nella mano sinistra, seguirne la cannula e fare il giro della stanza, non gli sembra ancora molto in sé.
“Così. Sto - si schiarisce la voce - sto così. Mi stanno idratando - Conclude con un sorriso sghembo, tirando su il braccio della flebo. Sembra che anche quel minimo sforzo lo sfinisca - nemmeno fossi una pianta, mh?”
Zoroastro gli ha detto che l’hanno messo a Diazepam e Fentolamina: in sintesi, dentro Leonardo c’è più roba chimica che biologica al momento. Non gli piace. Si accovaccia davanti al letto, trovandosi col viso davanti a quello di quel matto che si è fatto ricoverare. 
Leo guarda ovunque. Fissa le coperte, guarda la flebo, il muro. Guarda qualsiasi cosa tranne Girolamo. 
“Artista, guardami - Girolamo gli prende una mano e inizia ad accarezzarne il dorso col pollice. Trema di continuo. E’ terrificante - Leo. Guardami”
“Mh?”
Leonardo alza gli occhi e lo fissa per pochi millesimi di secondo, poi inizia a fissare le loro mani unite.
“Vieni a stare da me per un po’”


Leonardo lo fissa, perplesso. Si aspettava una sfuriata, un mutismo incattivito, almeno un’occhiataccia. Invece ha davanti Girolamo, con un paio di occhi enormi, che lo informa che si trasferirà per un po’.
“Da te? - gli chiede, cercando di capire se sta ancora tremando oppure no - sei sicuro?”
Girolamo lo guarda, sembra ci sia rimasto male.
“Non vuoi venire? Se non ti va troviamo un’altra soluzione. Per ora l’unica alternativa è tuo padre”


“No!”
Girolamo schizza in piedi nello stesso momento in cui Leonardo schizza a sedere, le braccia protese verso di lui, la flebo pericolosamente tesa.
“No, per favore. Da te va benissimo, va benissimo - Leonardo annuisce freneticamente - non ti darò fastidio. Per favore?”
“Leo, Leo - Girolamo gli blocca le braccia prima che possa strappare via flebo, ago e compagnia bella - Leo, calmati. Puoi stare da me quanto vuoi. Stai fermo - lo spinge di nuovo a letto - stai fermo. Smonti tutto, qui. Stai… - Leo gli si butta letteralmente addosso, si ritrova con le braccia piene all’improvviso - merda. Leo, stai tremando”
“Lo so, è normale, sai - scoppia a ridere - poi passa”
“D’accordo, poi passa - non ha il coraggio di lasciarlo distendere di nuovo, non finché non si sarà calmato. Ha paura che se lo lascerà andare tremerà fino a distruggersi. Sa che non ha senso, lo sa, ma non ci può fare niente. Lo tiene su con una mano sulla schiena e una dietro la testa, la fronte su una spalla, e cerca di tranquillizzarlo in qualche modo. Trema di continuo - poi passa.”


Quando Zo esce dal taxi con lo zaino di Leonardo sulle spalle non riesce a concepire che Riario viva li, in borgo Albizi. Certo, è a due passi dal duomo (e dal suo pub irlandese preferito), ma pensava che uno come Riario vivesse in un posto un po’ più…costoso, ecco. Che si notasse di più. Più appariscente, tipo. Non commenta, però. Aiuta Leo a scendere dal taxi su un paio di gambe non ancora esattamente stabili e chiama Riario al cellulare; quando lo spilungone perennemente vestito di nero appare fuori dalla vecchia porta di legno Zo abbraccia Leonardo, gli prende il viso fra le mani giurandogli che nessuno toccherà i suoi colori, i pennelli e nemmeno gli farà perdere il filo a tutti i libri che ha lasciato in precario equilibrio in giro per la casa. Gli mancherà, però. Leo abbassa la testa.
Si vergogna.


Non c’è ascensore, da Girolamo: lui e Leo si arrampicano per le scale strette e semibuie fino al secondo piano, Girolamo porta lo zaino di Leonardo su una spalla e gli tiene un braccio dietro la schiena. Non lo tocca, ma è pronto a prenderlo al volo se dovesse cadere.
“Mi piace, qui” Gli dice l’artista guardandosi intorno.
“Non sei nemmeno entrato”
“Lo so - Leo gli appoggia la testa sulla spalla, Girolamo perde un paio di battiti - ma mi piace, qui”
La porta cigola sui cardini e si apre su un bilocale talmente tascabile da essere un monolocale sotto mentite spoglie, Girolamo spinge Leo verso il letto con una mano sulla schiena e gli dice di stendersi un po’, mentre lui fa il giro della stanza abbassando tutte le luci. Sa che a Leonardo quel buio continuo da fastidio, lo fa sentire un recluso, una specie di vampiro uscito di testa, ma ha bisogno di tranquillità assoluta ed è quello che avrà. Fra l’altro, Girolamo non ha mai avuto la televisione. Un problema in meno.


Leonardo fa scorrere lo sguardo sul monolocale dove vive Girolamo, e si ritrova circondato da libri: c’è di tutto. Prevalentemente storia dell’arte e manuali universitari, ma scova anche un bel po’ di romanzi storici e fantasy, e sulla scrivania c’è un bel numero di fumetti della Marvel. Non avrebbe mai pensato che Riario leggesse fumetti. C’è un portatile aperto sulla scrivania, un kit di pronto soccorso evidentemente usato da poco, a giudicare dal disordine della scatola, un poster di Escher, un puzzle mezzo costruito di cui non riesce a vedere bene il soggetto, uno stereo tascabile piazzato sul frigo accanto al cucinotto e uno scatolone e mezzo pieni di cd. Ecco, ora è curioso. Girolamo deve essersi accorto che li stava fissando, perché gli molla un mezzo sorriso e gli fa cenno di restare seduto, prima di raccogliere lo scatolone più leggero e appoggiarlo sul letto accanto a lui, poi gli si accovaccia vicino, appoggiando i gomiti sul materasso e facendogli cenno di rovistare la dentro. Non se lo fa ripetere due volte. 
Ama la musica, anche se è molto selettivo. A volte fin troppo, Zo glielo dice sempre.
Leo, giuro che sei adorabile. Ma te la tiri un po’ troppo.
Pare che Girolamo abbia una predilezione per la dark wave e la new wave. Pesca i Bauhaus, i Depeche Mode, Siouxie and the Banshees, Faith and the Muse,Joy division, Faun, Cruxshadows, Sister of mercy, Cure. Poi scova l’angolino italiano e tira fuori Neon, Litfiba e una serie di altre band di cui non ha mai sentito parlare. Alcune hanno un nome interessante.
Tipo: chi accidente sono i Nerorgasmo?
Tira fuori il disco, masterizzato, e lo guarda con un’espressione decisamente interrogativa.
“Hardcore punk italiano, anni ’80”
“Oh”
Lo appoggia sul letto, insieme a tutti gli altri, e trova i Moody Blues, Led Zeppelin, Raw Power, David Bowie, Styx, Guns n’roses. Non sa perché, ma non avrebbe mai detto che Girolamo potesse ascoltare i Guns n’roses. La dark wave è decisamente il suo genere. 
“Dio santo, Girolamo - gli dice, dando un’occhiata ai dischi ancora nello scatolone - sei un juke box”
Girolamo sorride, lo aiuta a mettere a posto i cd e non dice una parola.
Sono li da quasi un’ora, e Girolamo non ha detto altro che due frasi.
Tira fuori la tuta con cui dorme dallo zaino con le mani che tremano ancora un po’. Meno. Ma passerà, lo fa sempre. Si toglie jeans e maglietta, sotto lo sguardo perplesso di Girolamo, e si infila il pigiama improvvisato.
Lo guarda come a dire: sono qui, chiedi quello che devi chiedere.
Però Girolamo lo frega.
Lo vede sospirare e scuotere la testa, buttare stivali e jeans su una sedia e restare con le mani a mezz’aria, quasi senza sapere se togliersi la maglia oppure tenersela. Lancia un’occhiata veloce a Leonardo, si sposta nell’angolo più buio e finisce di cambiarsi. Leo ha la visione fugace di una schiena pallida con degli strani segni sopra. Sembrano cicatrici. E sono parecchie.
Glielo chiederà, ma non stasera. Non è il suo turno, con le domande.
Resta seduto a testa bassa, le dita delle mani unite e i capelli in disordine. Poi, tira su la testa.
“Ti da fastidio, se dormiamo insieme?”
“Fastidio?”
Girolamo lo guarda incuriosito mentre finisce di sistemarsi addosso una maglietta dei Clash piena di buchi. Non li ha trovati i Clash, prima. Saranno nell’altro scatolone.
“No, nessun fastidio - gli risponde avvicinandosi - perché?”
Leo si stringe nelle spalle, tiene gli occhi bassi.
“Si vede che sei a disagio, con me - spiega - non mi parli praticamente da quando sono arrivato. Se il fatto che sia qui ti da fastidio posso chiamare Zo, mi faccio portare da qualche altra parte”
“Leo, no - Girolamo si china di nuovo davanti a lui, appoggiandogli le braccia sulle ginocchia e prendendogli le mani - non pensarci nemmeno. Sono felice che tu sia qui, ok? Sono felice che tu sia qui, in generale”


Non ci riesce. Se non smette di parlare adesso, crollerà. Un po’ come il Jenga, si?


“In generale?”
Leo lo segue con lo sguardo mentre si avvicina alla cucina, riempie d’acqua del rubinetto due bicchieri e gliene porge uno.
Lo vede annuire, appoggiare il bicchiere mezzo pieno in terra e unire i polsi, tamburellare le dita.
“Sdraiamoci, ti va?”
“A-ha”
E’ perplesso. Girolamo non è una persona comunicativa, ma qui si sfocia nell’ermetismo. Si appropria del lato del letto accanto al muro e si volta verso il suo ospite, Girolamo chiude tutte le luci tranne una clip che tiene attaccata alla testiera del letto si passa una mano sugli occhi e si volta verso di lui. Lo fissa.
“Devi dormire”
Leo si morde le labbra.
“Sei sicuro che non ti disturbi?”
“Oh, Dio. Leonardo - Girolamo esala un sospiro esasperato - no, non mi disturbi affatto. Ma devi dormire, ne hai bisogno. Dormi, ok? E poi dove vorresti andare, da tuo padre?”
A Leo scappa un mezzo singhiozzo. Ecco, una figura di merda con tutti i crismi.


Oddio, aveva paura di crollare e ha fatto crollare Leonardo. E’ fragile, ora. Se lo deve ricordare. Non è il ragazzino che lo stressava al primo anno di università per conoscerlo a tutti i costi, è un amico che si è salvato per i capelli e non è a casa sua, nel suo ambiente. E lui si sta comportando da idiota. Gli passa un braccio dietro le spalle e se lo tira addosso: Leo è più basso, riesce a fargli appoggiare la testa sotto la sua senza troppa fatica. Lo tiene li con un braccio, mentre con l’altro cerca di sciogliergli i nodi che ha nei capelli. Li sta lasciando crescere. Non gli dispiace. 
Trema ancora un po’, ma non è niente in confronto agli spasmi muscolari che gli ha sentito addosso in ospedale.
“Ehi, ehi - gli dice, abbandonando i nodi al loro posto e usando la mano che ora ha libera per massaggiargli il collo - va tutto bene. Che succede?”
Leo scuote la testa, spedendo ciuffi ribelli a fargli il solletico.
“Non posso smettere di lavorare - gli risponde, quasi in iperventilazone - non valgo niente, se smetto di lavorare. Devo finire quei quadri, e cercare un altro incarico. Non so fare altro - deglutisce - non servo ad altro”
“Chi ti ha detto queste stupidaggini?”
Girolamo lo obbliga a tirare su la testa, anche se Leonardo non ne vuole sapere. Quando si ritrova a pochi centimetri dagli occhi del suo ospite fa di tutto per non guardarlo, di nuovo. 
“Leo guardami. Chi è stato? E’ stato Piero, è stato tuo padre?”


Ormai Girolamo gli sta tenendo il viso con le mani. Leo non può fare molto altro se non annuire e cacciare di nuovo la testa contro il suo petto.


“Non è vero, mi senti? Non è vero”
“Come lo sai?”
Girolamo alza gli occhi al soffitto. Sono una bella coppia di spostati danneggiati, fra tutti e due.
“Lo so perché ti conosco, mi senti? - gli dice, passandogli di nuovo le dita fra i capelli - ti conosco. E so che sei un genio, Leo. Vali moltissimo, molto di più di quanto tu stesso non creda. Non solo per il tuo lavoro”
Lascia che Leonardo si intrufoli contro il suo petto ancora di più, appoggiandogli il mento sulla testa. I capelli gli sono rimasti incastrati dietro una spalla, ma li sistemerà dopo. Prima Leo, adesso. Poi, tutto il resto. Dovrebbe legarli. Di solito li lega quando va a letto. Se ne è dimenticato.
“Non sei il tuo lavoro, Leo. Sei una persona e, a giudicare da quanta gente ti adora direi che tu sia un buon esempio di splendido essere umano.”
Niente, Leo continua a starsene rintanato fra il muro e il suo petto e a non dire una parola.
Sorride, spostandosi indietro di qualche centimetro per vederlo in faccia. Non ha mai visto un ventiduenne piantare un broncio così plateale.
“Mi senti, o sei svenuto?”
Leo alza gli occhi e incrocia i suoi per qualche secondo, poi torna a fissare il lenzuolo giallo.


Giallo.
Il letto di Girolamo è giallo e, non sa perché, ma gli fa un po’ specie. Si rende conto di averlo catalogato senza cercare abbastanza sfumature. Girolamo è Girolamo anche con un letto giallo e i dischi dei Guns n’roses, in fondo.


“Ecco, se mi senti batti un colpo.”
Leo gli appoggia una mano sul petto, la sente tremare di nuovo, la stringe con una delle sue. Pure le sue mani sono più grandi di quelle dell’artista. Ha le dita più magre, più lunghe. E’ più grande, in tutti i sensi. Se c’è bisogno di proteggere Leonardo, anche da se stesso, sa di essere il candidato ideale. Gli soffia via i capelli dagli occhi, riceve un’occhiata scocciata. 
“Sei quasi morto, Leo.”
Se possibile, lo vede accartocciarsi ancora di più.
“Lo so, non volevo. Sul serio. Volevo solo - Leonardo rimane a bocca aperta, come se si rendesse conto solo in quel momento di quello che sta per dire - lavorare di più. Finire il lavoro. Quel cavolo di terapista che mi hanno affibbiato mi ha rotto le palle tutta la sera con questa storia. Non ce l’ho con lui, fa il suo lavoro - si stringe nelle spalle - è solo che non ho voglia di parlarne. Va bene, secondo te?”
“Non saprei - Girolamo gli passa di nuovo un braccio dietro le spalle, incastrando di nuovo le dita in quel cespuglio castano che si sta coltivando in testa - visto che ci devi andare potresti approfittarne, magari ti fa bene”
“No. Non ci penso nemmeno. Non ne ho voglia. Posso parlare con te, però? Se non ti disturbo?”
Di nuovo.
“Non mi disturbi mai, cretino. Ma non farmi cambiare discorso così, quando ne hai voglia - il sorriso di Girolamo si diluisce in un’espressione terrorizzata, più che preoccupata - Leo, sei quasi morto. Ho rischiato di venirti a trovare al cimitero invece che all’ospedale. So che non volevi farlo - gli appoggia un dito sulle labbra quando vede che sta per interromperlo -  ma è stato terrificante. Solo l’idea è stata terribile. Non sono nemmeno riuscito a capire cosa avrebbe significato”
Scuote la testa, chiude gli occhi e si calma. Leo non ha bisogno di sentirsi più in colpa di quanto già si senta.
“Ma immagino che poi il diavolo si sia accorto che sei una piattola, e abbia deciso che non voleva saperne di te.”
Leo scoppia a ridere, poi gli si attacca di nuovo addosso. Lo sente tremare. Trema sempre, di continuo. Girolamo lo fissa per qualche secondo, si alza e riempie d’acqua una bottiglia di plastica vuota.


Leo ha un picco di paranoia quando vede Girolamo alzarsi ed andarsene.
Ecco, l’ho perso. Non vorrà più saperne, di qualcuno come me. Credo sia il tipo a cui piacciono quelli con le rotelle a posto.
Poi però Girolamo torna, lo obbliga a tirare giù un bicchiere d’acqua, senza ascoltare le lamentele e gli avvertimenti del tipo stanotte mi alzerò per pisciare almeno sei volte con tutta l’acqua che mi fate tirare giù, lo obbliga a distendersi e se lo tira addosso, fermandogli le mani con le sue. 
“Leo, tremi ancora”
“Lo so - la risposta è impastata di sonno - poi passa”
“D’accordo, poi passa. Dormi ora, artista”
Leonardo sorride, ancora preso fra il muro e la schiena di Girolamo.
“Sappi che se mi scapperà da pisciare farò in modo di calpestarti, spilungone”.

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Ho deciso che all'università Griolamo aveva i capelli lunghi. Così. 













 
  
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