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Autore: _browneyes    28/04/2015    4 recensioni
“Le paure superficiali sono facili, la paura del buio che hai quando sei bambino, solo perché temi che un mostro salti fuori dal tuo armadio, è facile.
Sai quando arriva il difficile?
Quando le tue fobie sono radicate dentro di te, quando la tua mente continua a farti rivivere le cose peggiori che ti sono capitate e ti tormenti, perché temi che possano succederti di nuovo, quelle cose.
E forse tu non lo capisci, ma è dannatamente difficile vivere in un mondo che ti sbatte in faccia le tue paure peggiori in continuazione, senza che tu possa fare nulla per impedirlo.
Vivere in questo mondo è come vivere in un incubo e il problema è che non puoi svegliarti."
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo Tre.
 
Rabbia.
 
 
 
Euphemia sta ridendo da almeno cinque minuti buoni, tanto che ormai comincia davvero a mancarle quasi il fiato, è che non riesce a smettere. Nonostante le sue aspettative, Michael è totalmente il contrario del padre e, non sa nemmeno lei come, la mette davvero di buon umore.
Alla fine, all’una e mezza, non avevano per niente voglia di mettersi a cercare qualche posto carino in cui mangiare, così si sono ritrovati in una pizzeria microscopica proprio a due passi dallo studio, ma infondo non gli è nemmeno andata troppo male. Nel locale ci sono giusto altre tre persone oltre loro due, un ragazzo che lavora al computer e una coppia sulla cinquantina che li guarda male ogni volta che Euphemia prorompe in una nuova rumorosa risata.
«Non può essere successo davvero», riesce lei a dire fra una risata e l’altra mentre scuote la testa, cercando poi di riprendere contegno ‘chè ha notato le occhiatacce degli altri. Michael non può far altro, a quella visione, se non alzare appena le spalle esibendo un sorriso luminoso, «Ti assicuro che è vero».
«Per colpa tua non sarò mai più in grado di guardare tuo padre in faccia senza scoppiare a ridere», calma qualche attimo le risate causate dall’aneddoto raccontato dal ragazzo e cerca di esibire un’espressione più seria e quasi di rimprovero, che viene subito spazzata via però da una nuova risata, che questa volta è solo un riflesso spontaneo a quella melodica di Michael, «Allora è una fortuna che parta, non gli piacciono quelli che gli ridono in faccia. O che ridono e basta». Euphemia, finalmente, riesce a calmare le sue risate, incuriosita dalle parole quasi amare del ragazzo, «Dai, non può essere davvero così tremendo come sembra». Michael la guarda scettico, «Tu non ne hai idea, è anche peggio di come appare. Almeno con te è gentile», poi alza le spalle, Michael, rivolgendo lo sguardo altrove con la netta sensazione di essersi aperto fin troppo mentre la castana lo guarda incuriosita, «Perché, con te non lo è?». Questa volta è Michael ad esibire una finta risata, amara, mentre scuote la testa, «La cosa più carina che mio padre mi ha detto negli ultimi anni è stato “non deludermi di nuovo” o “spero che il tuo meglio sia abbastanza”»; sospira, quasi frustrato ‘chè comunque questo non è un argomento che gli piace affrontare, e abbassa lo sguardo, pur sentendo quello di Euphemia bruciare contro la sua pelle. «Sei serio?», Michael annuisce sollevando nuovamente lo sguardo sulla ragazza, «Non tutti possiamo avere un padre a cui importa di noi e che ci tiene davvero»; alza lievemente le spalle mentre Euphemia abbassa lo sguardo nel sentire le sue parole, «Si, lo so bene, nemmeno il mio è una cima come padre». Quando risolleva lo sguardo, gli occhi di Michael, di cui in realtà Euphemia ancora non ha capito il colore, la stanno guardano in un misto fra stupore e curiosità, «Davvero?»; lei fa cenno di si con la testa, gli occhi improvvisamente vacui e un peso sul petto, «Non è una cosa di cui mi piace parlare, in realtà». Il ragazzo annuisce per poi chiamare con un gesto il cameriere per farsi portare il conto e paga, senza nemmeno lasciare il tempo ad Euphemia di farci su una discussione. «Non avresti dovuto pagare tutto tu», sbuffa infatti lei una volta usciti dalla pizzeria, mentre camminano di nuovo verso lo studio, dove Michael deve tornare a lavoro. «Non ti avrei mai lasciato pagare, niente discussioni», lui le sorride e lei non può fare altro se non ricambiare il sorriso di rimando, senza però cedere; «La prossima volta però pagherò io», lo ammonisce incrociando le braccia sotto il seno e cercando di esibire la più seria e la più severa delle espressioni. Michael, in risposta, non può che allargare il sorriso, incurante del fatto che probabilmente è di nuovo in ritardo e che quindi suo padre deve essere incazzato da morire, «Ci sarà una prossima volta?»; Euphemia alza leggermente le spalle, con un piccolo sorriso quasi accennato, «Se te l’ho detto, è probabile». Si fermano davanti alla fermata della metro, poco distante dallo studio, e Michael le fa un cenno di saluto con la mano, «Allora a domani, Euphemia, è stato un piacere conoscerti». Lei si alza sulle punte dei piedi per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia sinistra a mo’ di saluto, «A domani, Michael». Gli rivolge un ultimo sorriso prima di scendere le scale della fermata, lasciandolo lì, fermo.
 
Seth non è ancora tornato e Amethyst, in realtà, si preoccupa da morire tutte le volte che fa ritardo o non risponde ad una chiamata. Il fatto è che lui non frequenta certo quartieri tranquilli e anche i suoi amici non scherzano, e lei trema tutte le volte che se lo immagina lì con quei soggetti. È che lei di persone importanti ne ha perse fin troppe e Seth è uno degli unici che le rimangono e, si, il pensiero di poterlo perdere la terrorizza, anche se a lui comunque non lo direbbe mai.
Appena sente la chiave scattare nella serratura, tira un sospiro di sollievo, anche se non gli farebbe mai notare tutta la sua preoccupazione, «Sei tornato finalmente, stavo per andare da sola dagli Scott». Sente i suoi passi strascicati percorrere il corridoio fino a camera sua, il rumore dell’anta dell’armadio che sbatte, «Dammi cinque minuti il tempo di cambiarmi e arrivo»; lei rimane in silenzio, voltandosi verso lo specchio per rifinire il rossetto scuro che fa contrasto con la pelle diafana, su cui spiccano anche gli occhi cristallini.
«Chi c’è stasera?», la voce di Seth la richiama, distogliendola dalla sua immagine riflessa. «Siamo io, te, Euphemia, Nate, il loro nuovo coinquilino di cui non mi ricordo il nome, Ashton, Colleen e Luke, se ci ritiene degni della sua presenza», grida quasi per farsi sentire dall’altra stanza e sente i passi del ragazzo farsi più vicini, «Non avevano litigato, Ashton ed Euphemia?», Amethyst alza le spalle, lei si è subito tirata fuori da quella faccenda e comunque meno ne sa, meglio è.
«Come ti sei conciata?», il castano la riprende appena entra in salotto e la vede seduta sul divano con il cellulare in mano. Lei alza le spalle, «Come mi vesto sempre», sbuffa alzandosi, pronta ad andare anche se Seth non mostra la minima intenzione di muoversi.
«Seriamente, come ti sei conciata?», ripete, quasi scocciato dal dover sempre trattare Amethyst come una bambina, ‘chè ha sempre la costante sensazione di doverla proteggere, anche se non ne avrebbe bisogno. «Smettila Seth, mi vesto come mi pare e comunque non ho nulla di male», si volta verso lo specchio dell’ingresso per ricontrollarsi, non ha niente di strano, solo un paio di shorts di jeans a vita alta e un crop top nero un po’ scollato, ma niente di che, le sembra. E comunque, Seth, non ha alcun diritto di dirle come deve vestirsi, manco fosse il suo ragazzo. Lui alza gli occhi al cielo, «Sembri pronta ad andare sulla tangenziale», lo dice senza nemmeno pensarci, ma ormai è troppo tardi per rimangiarsi tutto. Amethyst si sente avvampare per la rabbia a quelle parole e lo guarda, arrabbiata da morire, «Mi stai dando della puttana?», sbotta con la voce velata dalla rabbia profonda. Lui alza le mani, «Ora non mettermi in bocca parole non mie, ho detto che sei conciata come una puttana, non che lo sei». Lei alza gli occhi al cielo, «Ma sta’ zitto, coglione», senza nemmeno pensarci fa un passo di troppo verso di lui e la sua mano si stampa contro la guancia del ragazzo, che non fa una piega però. «Tu non hai il diritto di farmi la paternale, né tanto meno di dirmi come vestirmi soprattutto quando tu sei il primo che ha cose di cui farsi rimproverare», sbotta tutto di botto, quasi fuori di se per la troppa rabbia. Lui la guarda, senza capire, «Ma di che stai parlando, ‘Meth?». Amethyst ricambia lo sguardo, sempre più furiosa, nemmeno lei sa in realtà perché se la stia prendendo così tanto, «Non fare il finto tonto con me, pensi che non sappia dove vai tutto il giorno e cosa fai? Pensi davvero che mi beva la cazzata dell’università? Guarda che lo so che te ne vai in giro con i drogati, a fare chissà che, ma non ti dico niente, sono cazzi tuoi e io non mi intrometto». Lui sospira, buttandosi sul divano, tanto sa che questa cosa potrebbe andare avanti per le lunghe, «Ma io so badare a me stesso, tu no Amethyst».
«Non mi trattare come se fossi una bambina, so badare a me stessa», sbuffa incrociando le braccia e con sempre più rabbia in corpo; «Sei tu che ti comporti da bambina», Seth cerca di mantenere la calma, lo fa sempre, anche se oggi gli riesce sempre più difficile e sente che a brave potrebbe esplodere.
«Smettila di dire stronzate e comunque non devi badare a me, non sei mio padre», sbotta mentre si china ad allacciarsi le scarpe, ‘chè non ha intenzione di andare avanti per molto. «Se non bado io a te, non lo fa nessuno e sono la cosa più vicina ad un padre che hai, lo faccio per te», lui sbatte un pugno contro lo schienale del divano preso dalla frustrazione.  «Non sei mio padre, Seth», alza il tono lei quasi urlando, arrabbiata come mai prima.
«Tuo padre è morto, Amethyst e io sono la cosa che più gli si possa avvicinare», sbotta lui preso da un impeto di rabbia, rendendosi conto troppo tardi di quello che ha appena detto. Lei resta in silenzio, assottigliando lo sguardo, ferita e presa dall’odio, «Non scomodarti a venire dagli Scott o a cercarmi quando stasera non tornerò a casa, non voglio vederti più». E lui non fa in tempo a rispondere, che lei si è già sbattuta la porta di casa alle spalle.
 
Nirvana non sopporta più gli insistenti messaggi di Hayden, che in realtà dicono tutti pressappoco la stessa cosa: vuole che torni. Più che chiederlo, lui glielo ordina, aspettandosi che lei ubbidisca, ma questa non è certo una novità, non le ha mai chiesto nulla; in realtà la colpa è sempre stata sua, che ha continuato ad assecondarlo per troppo tempo, stupida lei che credeva sarebbe cambiato.
Comunque, non ha la minima intenzione di tornare a Los Angeles, ‘chè la rabbia ed il dolore sono ancora troppo forti e i ricordi di tutto quello che lui ha fatto, che le ha fatto continuano a tormentarla; non può tornare, non può e soprattutto non vuole. Ha lasciato il telefono a casa, giusto per concedersi un po’ di tempo per riflettere, non sa cosa fare, non sa come liberarsi da certi pensieri che inevitabilmente continuano a tornare a galla, a cercare di farla riaffondare nel passato, che vorrebbe solamente dimenticare.
Al parco, che si trova proprio sotto casa, nonostante ci sia ancora luce, ormai c’è poca gente, ma le va bene, non è venuta mica per stare in compagnia. E poi lo vede.
È strano il caso, ‘chè a stento ci aveva parlato quando erano compagni di scuola e adesso, invece, si trova a passare con lui più tempo di quanto avrebbe mai potuto immaginare, più tempo che con chiunque altro.
È seduto a terra, con la schiena poggiata contro un albero e lo sguardo perso davanti a sé, una chitarra fra le mani e gli auricolari nelle orecchie. E, per la prima volta, Nirvana non può fare a meno di notare quanto Luke Hemmings sia bello. Non sa come abbia fatto a non accorgersene ai tempi della scuola, anche se forse era solo troppo concentrata su sé stessa e su Hayden per poter notare tutti gli altri. Certo, uno come lui, non dovrebbe mai riuscire a passare inosservato.
Prima che possa pensarci e trattenersi, muove qualche passo verso di lui e si poggia con la schiena contro l’albero, non vuole disturbarlo mentre suona. Lui però si accorge della sua presenza e si toglie gli auricolari smettendo subito di suonare, increspando le labbra in un sorriso quasi radiosa appena si accorge che è lei. «Nirvana», la saluta e la fa cenno con la testa di sedersi accanto a lui, lei lo asseconda; «Ciao Luke, ti disturbo?». Il biondo scuote la testa e sente quella strana sensazione farsi largo nel suo stomaco, anche se, ormai, un po’ c’è abituato, «Ma no figurati, anzi mi fa piacere un po’ di compagnia». Poggia la chitarra accanto a sé, sotto gli occhi attenti della ragazza, che oggi sono tendenti al verde, lui lo nota sempre.
«Cosa suonavi?», Luke alza leggermente le spalle a quella domanda, ficcandosi velocemente in tasca un foglio stropicciato, «Niente di che, sto solo buttando giù qualcosa».
Nirvana lo ascolta, interessata, «Posso sentire?»; lui alza leggermente le spalle, quasi in imbarazzo, «Non aspettarti chissà che».
E quando lui inizia a suonare, con tanto trasporto, con tanta passione, Nirvana si sente così leggera, per la prima volta dopo tanto tempo.
 
«Nathaniel James Scott!», la voce arrabbiata di sua sorella lo richiama, distraendolo dalla conversazione con Colleen, che comunque si stava solo lamentando del comportamento di Luke, che continua ad essere sempre più distante, a voler stare con chiunque, tranne che con lei.
«Cosa c’è ‘Mia?», le sorride amabilmente, cercando di addolcirla ‘chè le sue sfuriate sono sempre le peggiori, soprattutto quando gli occhi le fiammeggiano in quel modo. «Perché Ashton è qui?», quasi urla presa dalla frustrazione e, si, lo sa che è un comportamento un po’ infantile, ma comunque non può farci niente. Ma trovarsi Ashton Irwin davanti la porta di casa è stato uno shock terribile, dopo quello che è successo, tanto che quasi a stento ha notato Amethyst e i suoi occhi lucidi dietro di lui. Nate si limita ad alzare le spalle, sa che quando fa così, l’arma migliore è l’indifferenza, «Perché l’ho invitato io».
E prima che lei possa dire nulla, proprio Ashton si intromette nella loro conversazione, «Euphemia, se hai qualche problema con me, è con me che dovresti parlarne e magari possiamo risolvere». Lei gli scocca un’occhiataccia che quasi lo fulmina, sempre più infastidita, «Non ho niente da dirti più di quanto ti abbia già detto e sai benissimo che non voglio risolvere». Ashton sbuffa, mentre Nate decide di allontanarsi con una scusa, tra loro tira propria una brutta aria e lui non vuole trovarsi proprio nell’occhio del ciclone.
«Ancora non capisco perché ce l’hai tanto con me, dovrei essere io quello arrabbiato», sbotta lui ‘chè ormai sta perdendo la pazienza anche lui, non ce la fa più, vorrebbe solo che cose tornassero alla normalità. Euphemia alza gli occhi al cielo, stanca, «E allora perché non ti arrabbi e mi lasci in pace?». Ashton scuote la testa, quasi rassegnato, lei tanto rimarrà sempre sfuggente e lui non capirà mai perché, «Almeno una spiegazione puoi darmela?». Lei rimane in silenzio, evitando accuratamente il contatto visivo con i suoi occhi cangianti, oggi tendenti al castano, «Perché mi hai lasciato, Euphemia? Voglio solo sapere questo, poi ti lascerò in pace». Lei deglutisce e si gira, camminando a grandi passi verso la cucina e lasciandolo lì come un idiota, per l’ennesima volta senza una risposta.
 
Quando Calum esce in balcone, ‘chè una sigaretta in solitudine ci sta proprio, con il salotto è pieno di gente, fin troppa per i suoi gusti, certo non si sarebbe aspettato di trovare qualcuno anche lì. E invece c’è una ragazza, che non ha visto quella sera, ‘chè appena entrata in casa è subito sparita in bagno; sta raggomitolata su una delle poltroncine giallo canarino e tiene lo sguardo fisso sul cielo ormai notturno. Non si volta sentandolo arrivare, si limita a sospirare, «Va’ via, Ashton», e Calum sente una qualche familiarità in quella voce e le lacrime soppresse che la riempiono. Non sa cosa dovrebbe fare, in realtà, e poi si sente ancor meno a suo agio con tutto quel buio attorno a loro, «Non sono Ashton», si limita a dire. Cerca con la mano destra l’interruttore della luce, illuminando così pochi attimi dopo il balcone e si sente subito un po’ meglio. Lo detesta e lo teme anche, il buio, sin da quando era un bambino e non può farci nulla.
Amethyst si volta di scatto a guardarlo, non riconoscendo quella voce, «Calum», mormora sorpresa; certo non si aspettava mica che avrebbe rincontrato il ragazzo di quella mattina. Rimane a fissarlo qualche istante in silenzio, tornando poi a rivolgere lo sguardo verso le stelle. Vuole solo stare da sola, adesso.
«Amethyst, è successo qualcosa?», mormora lui, avvicinandosi piano, quasi come temesse di spaventarla, mentre la osserva apprensivo. Lei si gira di nuovo verso di lui, tirando un sorriso forzato, «Io te l’avevo detto che la vita è una gran bastarda». Rimangono di nuovo in silenzio ‘chè lui non sa proprio che dire, non vuole certo intromettersi nella sua vita privata, ma non può nemmeno lasciarla lì in quello stato da sola, «Posso fare qualcosa per te?».
Lei lo guarda e scuote la testa, nessuno potrebbe esserle davvero d’aiuto in quel momento, nessuno potrebbe riparare quella faccenda. Però, in realtà, lei ce l’ha un bisogno che le preme nel petto, «Potresti darmi un abbraccio», mormora semplicemente, alzandosi.
Calum annuisce leggermente e, senza farselo ripetere due volte, si china verso di lei, circondando i suoi fianchi sottili con le braccia, stringendola a sé. In realtà non sa come si cura un cuore spezzato, non s’è mai trovato in certe situazioni, ma al momento non ha scelta se non provarci. Amethyst a quel contatto non può fare a meno di buttargli le braccia al collo, ‘chè di quell’abbraccio ne aveva proprio bisogno. Affonda la testa nella spalla di Calum e soffoca un singhiozzo, sperando che lui non se ne accorga; non sa nemmeno perché gli ha chiesto di starle così vicino, non lo conosce neppure, ma forse è questo che le ha permesso di aprirsi tanto ‘chè certo non l’avrebbe fatto con chiunque.
Calum si accorge dei suoi singhiozzi e, di nuovo, non sa cosa fare, così si limita a stringerla di più a sé, accarezzando con una mano i suoi capelli color pece e spera che il dolore passi presto.
 
 
 
Writer’s wall.
Eccomi di nuovo qui, ad aggiornare.
Capitolo abbastanza intenso direi, eh? È stato anche abbastanza difficile da scrivere, spero sia decente.
Iniziamo con l’uscita di Michael ed Euphemia, che ancora si stanno appena iniziando a conoscere ma sembra che fra loro le cose vadano bene.
Poi abbiamo un litigio anche abbastanza pesante fra Amethyst e Seth in cui veniamo a scoprire qualcosa in più sul carattere di lei, anche se è ancora poco.
C’è un piccolo momento fra Nirvana e Luke, sono così carini, anche se lei a quanto pare ha i suoi tormenti ma, chissà, le cose potrebbero cambiare; c’è anche un momentino fra Calum e Amethyst, che sono tutti e due così complicati che non so quasi che dire su di loro.
Infine abbiamo una piccola discussione fra Ashton ed Euphemia, in cui scopriamo che sono stati insieme e lei l’ha lasciato, ma perché?
Detto ciò, vi lascio, pubblicherò il nuovo capitolo, che è quasi finito, giovedì o venerdì.
Grazie di aver letto fin qui, un bacio
-Mars
  
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