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Autore: EffieSamadhi    28/04/2015    4 recensioni
{Su Youtube è disponibile il trailer della storia: https://www.youtube.com/watch?v=RuY_VgECJKc}
Con i suoi colori caldi e rassicuranti, l'autunno ha portato l'amore. Con il suo gelo e la neve, l'inverno lo ha spazzato via. Ma come ogni anno torna la primavera, quella strana e straordinaria stagione in cui ogni cuore spezzato capisce di poter amare ancora.
Daria è cresciuta: ha visto la sua vita cambiare, si è scoperta più grande, più forte, più sicura di sé, e ha finalmente capito che la sola cosa importante è essere sinceri, sempre, anche a costo di finire bruciati. Per questo decide di prendere un aereo e volare a Los Angeles, per dire a Shannon tutto ciò che per mesi, o forse per una vita intera, ha sempre negato a se stessa.
Nella città degli angeli, Shannon è in piedi sull'orlo del baratro, restituisce il truce sguardo dell'abisso ed è sul punto di saltare, quando si rende conto che non può essere tutto qui, che la sua vita non può finire così, non senza combattere. E quando davanti ai suoi occhi stanchi, dopo molti mesi, torna a farsi vivo lo sguardo di Daria...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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La lunga strada verso casa - 1
Salve a tutte!
Vi chiedo scusa per aver tardato un po' con la pubblicazione di questo capitolo: avevo tutto pronto, ma non sono riuscita a trovare i dieci minuti necessari per litigare con il wi-fi e postare l'aggiornamento =) Comunque adesso li ho trovati, ed eccomi qui con la nuova puntata delle (dis)avventure di Shannon, Daria, Alice e Jared – sì, perché da questo momento abbiamo un'altra coppia di allegri svitati pronti a deliziarci con le loro paranoie =)
Come sempre, vi auguro buona lettura – e ancora una volta ringrazio katvil, Pirilla_Echelon e melany987, sempre pronte a dire la loro, con mia somma gioia.
EffieSamadhi






Per aspera ad astra






Capitolo nono
Tra due minuti è quasi giorno,
è quasi casa,
è quasi amore.1



Los Angeles, 13 marzo 2014


    «Sono stato tante volte sul punto di prendere un aereo per venire da te» dico infine, incapace di tacere oltre. Subito dopo vorrei prendermi a cazzotti, ma tutta la mia sicurezza e tutto il mio autocontrollo sembrano venir meno, quando mi trovo accanto a Daria. È come se la sua sola presenza mi spingesse a dire tutto ciò che mi passa per la testa, anche quando il buonsenso mi suggerisce di tenere la bocca chiusa, anche quando la situazione non invoglia in alcun modo a confidarsi. «Una volta mi sono anche ritrovato ad un passo dal prenotare un biglietto online» aggiungo, contravvenendo ancora una volta a quanto mi dice la testa. «Anche se mi avevi detto di non farlo, anche se sapevo che in questo modo avrei potuto perderti, io... io ho pensato di mandare tutto al diavolo e correre da te.»

    Recepisco la notizia in silenzio, pensando a quanto dolore ci saremmo potuti risparmiare entrambi se Shannon avesse seguito il proprio impulso – perché nonostante tutto quello che gli ho scritto nella lettera con cui l'ho lasciato, ormai mi è chiaro che non sarei mai riuscita a mandarlo via, se davvero l'avessi visto davanti alla mia porta. «Perché non l'hai fatto?» sussurro, senza trovare il coraggio di alzare lo sguardo su di lui.
    «Forse perché non sono quel grande uomo coraggioso che ho sempre pensato di essere» risponde, strappando un ciuffetto d'erba con le dita. «Ogni volta che mi trovavo ad un passo dal farlo, provavo... non lo so, il terrore che mi avresti cacciato via. Pensavo che se fosse successo mi sarei sentito peggio di quanto già stavo, e... non ci sono riuscito.» Volto di poco la testa e lo vedo stringere i fili d'erba nel pugno, come se persino adesso gli mancasse il coraggio. «Quando poi Jared si è presentato con quei biglietti e ho deciso di venire da te...»
    «...mi hai vista con un altro» concludo, sapendo che lui non avrebbe mai il coraggio di dirlo ad alta voce.
    «Mi sono sentito morire» sussurra, aprendo la mano per lasciare che l'erba voli via nella leggera brezza che si è alzata sulle colline. «Non mi era mai successo di sentirmi così, e... in quel momento ho capito di aver commesso un enorme errore, non venendo a cercarti subito dopo la tua partenza. Quando ti ho vista con lui, ho capito che... ho capito di averti persa per sempre. Peggio, mi sono convinto che probabilmente non eri mai stata mia.»

    Non udendo alcuna risposta, mi volto verso Daria, e anche se non mi sta guardando direttamente capisco che i suoi occhi sono lucidi di lacrime. «Se solo avessi alzato lo sguardo, quella sera...» sussurra, la voce incrinata da un accenno di pianto. «Se ti avessi visto, io... io non...»
    «Non pensarci» la interrompo, poggiandole una mano sul ginocchio. «Non si può cambiare il passato. Quel che è stato è stato, ormai.» Fisso lo sguardo sulle mie dita che le accarezzano i jeans, e uno strano sentimento sembra prendere il posto dell'odio: nonostante tutto, sembra che io non sia fisicamente in grado di detestare questa donna – per quanto ci provi, per quanto lo desideri, ogni volta che la guardo tutto ciò che ricordo sono i bei momenti, i sentimenti che provavo per lei, e tutto ciò che di buio e cupo ho nel cuore si scioglie come neve al sole. Ritraggo la mano, sicuro che l'assenza di contatto mi impedirà di lasciarmi vincere dai sentimentalismi.

    «Visto che abbiamo deciso di essere sinceri, immagino di dover confessare che anch'io ho pensato di cercarti» confesso, passandomi entrambe le mani sul volto per asciugare le poche lacrime che non sono riuscita a trattenere. Nel farlo, mi rendo conto di essere arrossita, e persino un'idiota capirebbe che è stata la carezza di Shannon a farmi questo effetto.
    «Quando?» sento domandare, e subito vorrei essere rimasta in silenzio, perché ora mi toccherà mettere sul piatto tutta la verità, nient'altro che la verità, e so che quello che dirò potrebbe condannarmi a perdere Shannon di nuovo, e questa volta davvero per sempre.
    «Intorno a Natale» rispondo. «Per fortuna avevo dato tutte le cose che mi ricordavano te ad Alice, compreso il tuo numero.»
    «Sul serio?» sorride. «Avevi paura di fare qualche telefonata imbarazzante?» Mi volto, sfoderando lo sguardo più serio del mio repertorio, e vedo ogni traccia di ilarità lasciare i suoi occhi. «Che cosa mi avresti detto, Daria?» domanda, comprendendo che il mio tono nasconde qualcosa di davvero importante.
    «Che pensavo di essere incinta» sputo fuori. Subito dopo sento il bisogno di alzarmi e iniziare a camminare, forse pensando che il movimento mi aiuterà a calmarmi. Un grandissimo errore, perché subito dopo mi sento come un maratoneta pronto alla gara.
    «Cosa?» esclama, balzando in piedi a sua volta. «Daria, per favore, fermati» aggiunge, prendendomi per le spalle e obbligandomi a guardarlo. «Potresti ripetere, per favore?»

    «Ho avuto un ritardo» riprende, ostentando una calma che sono certo stia soltanto fingendo. «Siccome non mi era mai successo, ho pensato che... era l'ipotesi più logica» conclude, mentre i suoi occhi si velano di nuovo di lacrime. «Ho passato delle settimane orribili» riprende, e la sua voce rotta dal pianto sarebbe capace di commuovere il più duro dei cuori. «Una parte di me cercava di convincersi che non fosse vero, e l'altra... ti avrei voluto con me in quel momento, ma ti avevo mandato via e non...» Le parole successive si confondono tra i singhiozzi, e a questo punto decido di seguire appieno il cuore, fregandomene della ragione e della decisione di tenermi lontano da lei: la stringo forte tra le braccia, lasciando che le sue lacrime mi inzuppino la maglietta e i suoi singhiozzi si infrangano contro il mio petto. Ci sono un milione di cose che vorrei dire, milioni di pensieri che schizzano da una parte all'altra della mia mente, ma dire qualunque cosa, in questo momento, non servirebbe a niente: tutto ciò di cui Daria ha bisogno è qualcuno che la stringa forte e la sostenga nel suo dolore, e per qualche motivo sento che la persona giusta, adesso e in ogni momento, sono io.

    Alice si sveglia di soprassalto, mettendosi a sedere con una rapidità che ha in sé dell'olimpionico. «Che ore sono?» borbotta, portandosi una mano tra i capelli scompigliati per riportarli in ordine.
    «Quasi le nove di sera» risponde Jared, distogliendo lo sguardo dal cellulare. «Di Daria ancora nessuna traccia, quindi o Shannon l'ha uccisa e sta seppellendo il suo corpo sulle colline, oppure...»
    «Devo chiamarla, sono preoccupata» lo interrompe lei, alzandosi per andare alla ricerca del telefono, che non riesce assolutamente a ricordare dove abbia riposto.
    «Io dico che dovremmo dar loro ancora un po' di tempo» replica lui, senza alzarsi dal divano.
    «Non trovo il telefono» ribatte lei, senza dar segno di averlo sentito. «Lo fai squillare, per favore?»
    A quel punto Jared si alza, sperando di raggiungerla prima che lei gli demolisca la casa. «Se stanno arrivando ad un chiarimento, io dico che dovremmo lasciarli fare» osserva senza perdere la calma.
    «Ma io sono preoccupata, perciò voglio chiamarla» lo rimbrotta lei. «Quando hai avuto quell'idea cretina di metterle in camera un cane non mi sono opposta, perciò adesso vorrei che ricambiassi il favore e mi lasciassi fare. Dai, dammi il telefono» aggiunge, allungando un braccio per prendere l'apparecchio.
    «Oh, quindi mi avresti fatto un favore?» scoppia a ridere lui, alzando la mano per portare il cellulare al di fuori della sua portata. «E io che credevo ti fossi arresa soltanto perché non potevi competere con il suo genio» aggiunge, ridendo ancor più sonoramente di fronte ai tentativi senza speranza di Alice di mettere le mani sul telefono.
    «E dai, adesso non fare il bambino!» protesta lei, continuando a saltellargli attorno cercando di arrivare alla preda designata.
    «Perché smettere? Mi sto divertendo un mondo!» ride ancora lui, finché, nel tentativo di vincere la sfida, la ragazza gli mette una mano sul petto, proprio all'altezza del cuore. In quel preciso istante Jared smette di ridere, sempre tenendo il braccio alzato, accorgendosi dell'assoluta bellezza e perfezione di quel momento. Gli occhi ridenti e il sorriso di Alice sono così vicini da oscurare tutto il resto, e il calore di quella mano affusolata premuta contro il suo petto gli fa desiderare di morire subito, in quel preciso istante, perché mai potrà esistere per lui un momento più perfetto. «Se non ti allontani da me in questo istante, non rispondo più delle mie azioni» sussurra, e a quelle parole Alice si blocca, senza però prendere le distanze. «Sul serio, Alice, se non ti sposti immediatamente, corri il rischio che...» Ma le parole successive non trovano la libertà agognata, perché la ragazza si solleva sulle punte per appoggiare le proprie labbra sulle sue, e per un istante Jared si sente davvero morire, perché l'emozione è così grande da rischiare di fermargli davvero il cuore.

    La brezza della sera ci ha convinti a risalire in macchina, anche se abbiamo deciso di rimanere ancora sulle colline, di nuovo in silenzio come all'inizio, quando l'imbarazzo era un muro che ci impediva persino di guardarci in faccia. «Inizio ad avere un po' di fame» dico infine, quando il silenzio inizia a diventare davvero insopportabile. «Non ho pranzato» specifico quando lo sguardo di Daria si posa confuso su di me. «A casa dovrei avere della pizza. So che offrire pizza ad un'italiana è una specie di insulto, ma se ti va...» Il lieve cenno che fa con la testa è facilmente fraintendibile, ma decido di prenderlo come una risposta positiva, perciò metto in moto e inizio a guidare verso casa.

    Il cellulare di Jared giace abbandonato sul ripiano della cucina, la casa è immersa in un silenzio rotto soltanto da qualche sospiro. Jared non riesce a fare a meno di stringere Alice tra le braccia con tutta la forza di cui è capace, sicuro che se allentasse la presa lei si allontanerebbe di nuovo. Fa risalire lentamente una mano dalla schiena della ragazza al collo, e di lì fino ai capelli, tra i quali le dita scivolano senza difficoltà. A quel contatto Alice reclina la testa all'indietro, come un gatto impegnato a fare le fusa. Jared apre gli occhi, la guarda, e nel suo collo così esposto vede un inconscio invito ad osare di più. Alice trema nel sentire quelle labbra sottili e calde posarsi nell'incavo tra il collo e la spalla, e mentre si chiede come facesse Jared a sapere che è proprio quello il suo punto più sensibile si rende conto che questa volta non lo respingerà – dovesse cascare il mondo, questa volta andranno fino in fondo.

    Una volta fermata la macchina mi volto verso Daria, trovandola profondamente addormentata. Allungo una mano per svegliarla, fermandomi dopo un istante: vedendola così mi è impossibile non ricordare tutti i nostri precedenti, su tutti la mattina in cui me ne sono andato da Torino dopo lo straordinario finesettimana trascorso in sua compagnia. Allora mi era parsa bellissima, con la faccia schiacciata contro lil cuscino e i capelli scarmgliati, e tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi chiusi mi rendo tristemente conto che quattro mesi non sono riusciti a cambiare le cose: per quanto possa mentirmi, per quanto possa tentare di imbrogliarmi, nulla mi distoglierà mai dal pensare che sia lei la ragazza più bella del mondo. «Va bene, Bruce, adesso dovremo fare molto, molto piano» sussurro all'indirizzo del mio cane, che subito abbassa le orecchie, quasi avesse capito le mie parole.

    Le carezze di Jared si fanno più audaci, e la sua bocca scende fino a lambire la scollatura della canotta di Alice, che a quel dolce e dannatamente sensuale contatto trema ancora, quasi fosse la prima volta che si lascia toccare da un uomo. Eppure non è la prima volta, non dovrebbe essere così – in fondo, Jared non è che un uomo, uno come tanti altri. Ma quando per un istante i loro sguardi si incrociano, Alice si rende conto che Jared non è tutti gli altri, che non lo è mai stato e mai lo sarà. Mentre lascia che le sue lunghe dita da musicista si infilino sotto la maglietta, risalendo lente fino al seno, Alice trattiene il respiro: c'è qualcosa che lo rende diverso da qualunque altro ragazzo che abbia mai conosciuto, e sicuramente diverso dal solo ragazzo che abbia mai amato – Alice non sa che cosa sia, non sa nemmeno se riuscirà mai a capirlo, ma è certa che quel certo non so che riesce letteralmente a farla impazzire.

    Non senza difficoltà ho tirato Daria fuori dalla macchina, ho aperto e richiuso la porta di casa e ho attraversato il salotto. Mi fermo sulla porta della camera degli ospiti, sempre tallonato dal fedele silenzio di Bruce, e qui ho un'esitazione: per qualche strana ragione che non riesco a comprendere né a far tacere, sento che metterla a dormire in una stanza così anonima sarebbe un enorme errore. Perciò faccio dietrofront e raggiungo la mia stanza, pulita e ordinata come mai prima d'ora. La adagio facendo attenzione a non svegliarla, e non appena si ritrova a contatto con il materasso la osservo cambiare posizione e voltarsi sul fianco destro, come tante volte le ho visto fare. Mi risveglio dallo stato quasi di trance in cui sono caduto, recupero una coperta dall'armadio e svelto la copro, sistemando ogni grinza come se non stessi mettendo a letto una donna adulta, ma una figlia. Resto a guardarla nella penombra ancora per qualche secondo, poi scuoto la testa, tornando in corridoio badando di chiudermi la porta alle spalle. Una volta fuori sospiro, sempre sotto lo sguardo vigile di Bruce, che mi osserva come se stesse cercando di chiedermi che diavolo sto facendo.

    Jared adagia Alice sul materasso, stendendosi delicatamente sopra di lei. Con le magliette dimenticate in cucina, ad ogni respiro il suo torace nudo sfiora il petto della ragazza, ancora seminascosto dalla biancheria, arrossato dal contatto con la sua barba. Guidato da una forza invisibile sulla quale non può e non vuole prendere il sopravvento, Jared inizia un lento percorso di caldi e appassionati baci, che dalla bocca scendono al collo, passando per l'incavo tra i suoi seni minuti, e senza alcun controllo giungono all'ombelico, sul quale si ferma per qualche secondo. Anche le sue mani scendono, scivolando sulla pelle morbida senza incontrare ostacoli, fino al bordo dei leggings. Sollevandosi da lei inizia a spogliarla anche di quell'indumento, mantenendo un incredibile contatto visivo che non fa altro che eccitarlo di più. Ma non è soltanto sesso, ne è sicuro: per il sesso ci sono tutte le altre ragazze del mondo. Quello che sta succedendo con Alice su quel letto è diverso, forse migliore: Jared non può dire che sia amore – sarebbe azzardato, insensato, prematuro. Ma non è soltanto sesso.

    Dopo essermi assicurato che anche Bruce prenda la strada verso il regno di Morfeo esco in giardino, portandomi dietro il cellulare. Wayne sembra impiegare una vita per rispondere, ma quando finalmente sento la sua voce all'altro capo del filo tiro un sospiro di sollievo, felice che il mio migliore amico conservi, nella sua frenetica vita di uomo normale, qualche minuto per me. «Ehi, fratello, che succede? Sappi che sono molto incazzato con te» aggiunge un istante dopo il saluto. «Sono il tuo migliore amico e l'ho dovuto sapere da Jared che ti hanno arrestato e che ti sei chiuso in un centro di recupero.»
    «Scusa, ti avrei dovuto avvertire, ma è successo tutto così in fretta che proprio non mi è passato per la testa di chiamarti. Comunque non era un centro di recupero, ma una clinica.»
    «Quale vuoi che sia la differenza?» Sto per dire che di differenze ce ne sono giusto un paio di decine, quando lui mi anticipa: «Perché dici era? Sei già uscito?»
    «Questo pomeriggio, sul presto. Adesso sono a casa. Avevo un po' di cose da risolvere, e non potevo farlo stando a Cedar Creek.»
    «Sei a casa e me lo dici soltanto adesso? Dammi mezz'ora, metto a letto Ryder, ti vengo a prendere e ci facciamo una birra. Non abbiamo ancora festeggiato il tuo compleanno!»
    Mi prendo per un istante la testa fra le mani: finora ero quasi riuscito a scordare di essere diventato a tutti gli effetti un quarantaquattrenne, ma come sempre Wayne ha la straordinaria capacità di riportare a galla ogni tipo di verità nascosta. «No, amico, non posso. C'è... c'è una persona qui con me.»
    «Fuori da mezza giornata e già hai rimorchiato? Non ci credo, questo batte ogni record.»
    «Non è una ragazza qualunque» ribatto. «Insomma, è... c'è Daria, qui.»
    Ci vuole qualche secondo affinché recepisca il messaggio, ma quando finalmente torna a parlare non fa nulla per celare il proprio stato d'animo. «Daria? Intendi la ragazza italiana che ti ha spezzato il cuore? La stupenda ragazza italiana che ti ha spezzato il cuore? No, tesoro, ti sbagli: ho detto orrenda ragazza italiana» lo sento aggiungere subito dopo all'indirizzo di una certamente gelosa Ashley, e la prospettiva di riuscire a scatenare una delle loro solite baruffe senza nemmeno essere nello stesso quartiere mi diverte immensamente. «Come sarebbe a dire che è a casa tua? No, aspetta: come sarebbe a dire che è in questo Paese?»
    «Sarebbe a dire che ha preso un aereo e ha attraversato mezzo mondo, e ora... beh, è qui.»
    «Parliamo della stessa che hai sorpreso a pomiciare con un altro dopo esserti sorbito otto ore di volo in classe economica per colpa della tirchieria di tuo fratello?»
    «Proprio lei.»
    «E... perché è qui?»
    «Perché è venuta a chiedermi scusa» rispondo, abbassando la voce sulle ultime due parole. «Questa mattina si è fatta accompagnare a Cedar Creek da Jared e mi ha chiesto scusa per il suo comportamento.»
    «Nessuna donna è mai tornata a chiedermi scusa per avermi lasciato.»
    «Beh, se è per questo è una novità anche per me. Non avevo idea di come comportarmi, perciò ho fatto la cosa più sensata che mi sia venuta in mente.»
    «L'hai presa a calci in culo?»
    «L'ho ascoltata» lo correggo. «Mi ha spiegato le sue ragioni, i motivi per cui mi ha lasciato, e mi ha anche raccontato di quel tipo con cui stava uscendo quando sono andata da lei. Cosa che, tra parentesi, ha scoperto da mio fratello. Ha detto che con quel tipo, che poi è anche il suo capo, è durata poco, e che ha troncato quando ha... quando ha capito che stava facendo del male a lui e anche a se stessa, e... beh, quando ha capito che probabilmente ne aveva fatto anche a me.»
    «Mi sfugge un punto, credo: come sei passato ad odiarla al portarla a casa tua?»

    Completamente nuda e alla mercè di Jared, per un istante Alice prova qualcosa di simile alla vergogna: stringe le gambe, nasconde il seno con un braccio e distoglie lo sguardo, sentendosi troppo imbarazzata per continuare quella cosa, di qualsiasi cosa si tratti. «Va tutto bene?» le domanda a bassa voce lui, accarezzandole una guancia con una dolcezza che non avrebbe mai creduto di poter dimostrare a qualcuno che conosce da così poco. «Se hai cambiato idea, io non... non voglio obbligarti a fare niente che tu non voglia» sussurra, e di nuovo non si riconosce in quel comportamento: non è mai stato così premuroso nei confronti di qualcuno, nemmeno nei rari casi in cui ha pensato di trovarsi di fronte ad una donna per cui valesse la pena spogliarsi, oltre che dei vestiti, di ogni maschera.
    «No, io non... non ho cambiato idea» sussurra lei, continuando a non guardarlo. «Non so che cosa mi prenda, scusa.»
    «Non ti devi scusare con me. Mai, va bene?» tenta di rassicurarla, continuando a sfiorarle il viso. «Hai gli occhi tristi» osserva subito dopo, più per rendersene conto egli stesso che per farlo notare a lei. Ogni volta che hanno parlato al telefono l'ha sentita felice, e Daria gliene ha sempre parlato come una ragazza estremamente solare: vederla così dimessa gli fa stringere il cuore, soprattutto se pensa che potrebbe essere lui la causa di quell'insolito stato d'animo.
    «Non sono triste» risponde lei, tornando a guardarlo con sguardo fiero, quasi volesse fargli capire che lei non è tipo da lasciarsi vincere dalla negatività. «Solo che non... non riesco a smettere di pensare. Mi sembro quasi Daria, accidenti» sorride, e Jared non riesce a non imitarla. «Sto solo... sto provando a capire che cosa stiamo facendo, e non... non riesco a darmi una risposta, e questo mi manda ai pazzi, perché praticamente ho sempre una risposta a tutto.»
    «So come ti senti, Alice» risponde, cercando di ignorare i propri istinti più turpi per stendersi al suo fianco. Si puntella la testa con un braccio, appoggiando il gomito sul cuscino, e quando i loro sguardi si incontrano di nuovo, nota che lei lo sta guardando con aria confusa. «Perché mi stai guardando così?»
    «Non mi chiami mai Alice» sussurra lei. «Non una sola volta da quando abbiamo iniziato a parlare mi hai chiamata Alice. Soltanto quando mi hai presentata a tua madre e a tuo fratello.»
    «Non posso chiamarti Gwen Stacy per sempre, no? E poi hai un bel nome, sarebbe un peccato non usarlo.» Tenta di sorriderle per allentare la tensione, ma dopo un istante desiste – ora è lui quello con gli occhi tristi, lo sa. «Se la cosa può esserti di conforto, nemmeno io so di preciso che cosa stiamo facendo. Beh, dal punto di vista tecnico penso di essere piuttosto erudito, ma... beh, se stai parlando di sentimenti, credo di essere confuso quanto te.»
    «Forse allora non dovremmo andare avanti.»
    «Forse no.»
    «O forse continuare è il solo modo per capire che cosa stiamo facendo.»
    «Non farò niente che non voglia fare anche tu» dice ancora lui, smettendo di sorreggersi la testa per accarezzarle i capelli. «Riconosco di essere un vero stronzo quando si parla di queste cose, ma con te... non posso. Pensavo che non sarei mai arrivato a dire una cosa del genere ad una ragazza, ma... con te è tutto diverso. Tu mi fai sentire diverso.»
    Alice sorride, distogliendo di nuovo lo sguardo. «Non credo di sentirmela, Jared» sussurra dopo un istante, tornando a puntare gli occhi chiari nei suoi. «Non sono ancora pronta per questo.»
    «E allora ci fermiamo qui. Comunque ti ho vista nuda, è già un bel successo» scherza, strappandole finalmente una risata. Vederla ridere gli gonfia il cuore di felicità, perché è questa la ragazza che ha imparato a conoscere: una bellissima ragazza dal viso sorridente che ride di cuore, con tutta la forza che possiede. La guarda mettersi a sedere e indossare la biancheria, provando una briciola di dispiacere per ogni centimetro di pelle che viene coperta. Quando lei si volta a guardarlo con un altro sorriso, sputa fuori le parole che gli vorticano in testa senza pensarci troppo su. «Dormiresti con me?»

    «Quindi non è successo niente? Insomma, si è addormentata in macchina e allora l'hai portata nel tuo letto?» Il tono di Wayne è sospeso tra l'incredulo e il fiero, come se fosse orgoglioso del mio comportamento cavalleresco e allo stesso tempo si stesse chiedendo se sia davvero al telefono con l'uomo che fino ad un anno fa non avrebbe permesso ad una donna di arrivare al suo letto con le mutande ancora addosso.
    «Beh, a parte il bacio che le ho dato quando eravamo ancora sulle colline» rispondo, pentendomi una volta di più dell'accaduto. «Ma è stato un errore. Un enorme, madornale errore.»
    «Errore o meno, comunque è successo. E non puoi nemmeno raccontare che eri ubriaco, o roba del genere. Lo hai fatto e basta.»
    «Lo so, lo so. So che non posso cancellare quel bacio con un colpo di spugna e sperare che tutto torni come prima.»
    «Credi che lei si sia fatta qualche strana idea in proposito? Insomma, che... abbia ricominciato a nutrire qualche speranza, o roba del genere?»
    «No, o almeno non credo. Te l'ho detto, è stata lei la prima a dire che sa che le cose tra di noi non si possono aggiustare così facilmente.»
    «Beh, se la mia opinione vale ancora qualcosa, io dico che ti ha detto una cazzata. So che inizierai ad odiarmi non appena avrò finito di parlare, ma... Shannon, le cose tra di voi si possono aggiustare in qualsiasi momento. Tu la ami ancora, e adesso credo sia abbastanza chiaro che anche lei ti ama ancora. Stabilito questo, non c'è altro da dire. Però per aggiustare qualcosa bisogna volerlo, e a questo punto bisogna soltanto capire se tu vuoi aggiustare le cose. Perché direi che prendendo quell'aereo lei le sue carte le ha messe in tavola.» In sottofondo sento la vocina di Ryder che chiama a gran voce il papà. «Oh, aspetta, qui c'è un ometto che ti vuole salutare. Vieni, tesoro. È lo zio Shannon. Salutalo, dai. Digli ciao.»
    «Bu-u-us! Bu-u-us!» esclama più volte il bambino, strappandomi una risata di cuore, la prima rista veramente sincera che mi sia concesso da tempo.
    «No, tesoro, non è Bruce» lo corregge suo padre. «Non è Bruce, è zio Shannon. Bruce sta facendo la nanna, come tutti i bravi cuccioletti. Il che significa che adesso andiamo a mettere a letto anche te. Scusa, fratello» riprende subito dopo, tornando a rivolgersi a me. «Adesso purtroppo devo andare a metterlo a dormire. Siamo un po' in subbuglio, qui. Dopodomani arrivano i genitori di Ashley da Seattle, e...»
    «Ma no, figurati, ho abusato anche troppo del tuo tempo. È solo che avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi fosse amico.»
    «E hai trovato un'altra persona pronta a farti la paternale» scherza, regalandomi un altro sorriso. «Scusa, ma sai che sono naturalmente portato a dire quello che penso.»
    «Non ti scusare» lo rassicuro. «Perché pensi che ti abbia scelto come amico?»

    La casa di Jared è di nuovo immersa nel silenzio. Nel buio della camera da letto, Jared e Alice si sono addormentati abbracciati sotto le coperte, stretti e quieti come una coppia ormai rodata. Nonostante il sonnellino sul divano, la ragazza è scivolata immediatamente nel sonno, mentre per Jared è stato più difficile: non è mai stato tipo da passare la notte con una donna dormendo, ed è così tanto che gli capita di stendersi in letti vuoti che all'inizio ha davvero faticato a chiudere gli occhi, sentendo una presenza accanto a sé. Ma quando Alice si è accoccolata contro di lui, strusciandogli i capelli contro il collo, qualcosa è cambiato, facendo sembrare quella situazione così inaspettata quasi normale.

    Chiuso nello studio passo un'eternità seduto sul seggiolino, scrutando ogni singolo tamburo come se non riuscissi più a riconoscermi in questo ambiente. Nel tentativo di distrarmi provo a rimettere in ordine alcuni scaffali, fermandomi quando, sfogliando un plico di spartiti, trovo i frammenti della canzone scritta da Jared, quella che non ho esistato a fare in pezzi. Mi chiedo come sia arrivata qui, ma è soltanto un momento: una volta recuperato un rotolo di scotch inizio a darmi da fare per rimetterla insieme, trovandolo facile come se non avessi fatto altro per il resto della vita. Una volta incollato l'ultimo pezzo mi lascio scivolare a terra con i fogli tra le mani, leggendo ogni parola come se la vedessi per la prima volta, eppure ho già visto queste note, ho già letto questi versi – ma la prima volta ero ancora troppo ferito e troppo adirato per capire davvero la bellezza di questo pezzo. Fisso lo sguardo sullo spazio in alto, di solito riservato al titolo, che in questo caso recita la dicitura Undefined. «Undefined» sussurro, lasciandomi scivolare ogni lettera sulla lingua come un sorso di caffè bollente. Undefined, che significa indefinito, che sta ad indicare qualcosa che non si riesce a descrivere a parole. Sorrido, pensando che nessuna parola meglio di questa sembra definire questa situazione. Forse è questo l'unico titolo possibile per questa canzone. Senza pensarci troppo, prendo una penna e ricalco con attenzione ogni tratto, fino a fissare quella parola sulla carta porosa come un tatuaggio sulla pelle. Poi leggo il primo verso, e il cuore manca un battito. «Jumped in unexpected and drove me off to paradise unknown2» leggo a bassa voce, e per la prima volta mi rendo conto che Jared è un vero poeta. Leggo il resto della canzone in silenzio, lasciando che ogni singolo verso mi entri sotto la pelle, lasciando che i miei occhi vedano, finalmente, ciò che mio fratello ha visto già mesi fa.
    Mezzanotte è passata da pochi minuti quando mi decido a staccare gli occhi da questo stupido pezzo di carta, che ormai ho quasi impresso a fuoco nella mia mente. Lo ripongo insieme agli altri spartiti, facendo attenzione a non sgualcirlo ulteriormente. Uscendo dallo studio spengo la luce, deciso a passare la notte sul divano o nella camera degli ospiti, ma proprio mentre me ne sto fermo al centro del corridoio cercando di prendere una decisione le gambe iniziano a muoversi da sole, conducendomi sulla soglia della mia camera da letto. Spingo lentamente la porta e guardo dentro, distinguendo chiaramente la figura addormentata di Daria nella poca luce che filtra dalle grandi vetrate. Non impiego molto a decidere il da farsi: mi sfilo lentamente le scarpe, chiudendo la porta, e sempre con estrema lentezza mi avvicino al letto, pronto ad allontanarmi al primo segno che possa indicare il risveglio di Daria. Ma lei continua a dormire con la serenità di una bambina, e non si muove nemmeno quando il materasso cede sotto il mio peso, nemmeno quando tiro un po' la coperta verso di me. Resto a guardarla a lungo, incapace di chiudere gli occhi e cedere alla stanchezza. La verità si fa sempre più chiara ad ogni minuto che passa: potrei sprecare una vita intera a cercare di convincermi che tra noi sia finita per sempre, ma un solo dei suoi sguardi sarà per sempre sufficiente a farmi innamorare di nuovo. Daria è e sarà sempre la mia debolezza, una malattia dalla quale non ho voglia di guarire, la sola dipendenza dalla quale non ho e non avrò mai intenzione di liberarmi.



*



Los Angeles, 14 marzo 2014


    Apro gli occhi, e la prima cosa che mi trovo davanti è lo sguardo limpido di Daria, ancora distesa accanto a me. «Buongiorno» sorrido, la voce ancora vagamente impastata dal sonno. «Hai dormito bene?»
    «Molto, grazie» replica, e dalla prontezza del suo tono mi chiedo da quanto tempo se ne stia sveglia a fissarmi. «Siamo a casa tua, vero?»
    «Precisamente. Quando siamo arrivati mi sono accorto che dormivi, ma eri così tranquilla che svegliarti mi sembrava un vero peccato.»
    «Quindi... siamo in camera tua
    «Sì.»
    «Nel tuo letto?
    «Sì.»
    «Perché?»
    «Beh, perché è la stanza più comoda. Volevo che dormissi bene.»
    «Non prenderla male, ma... perché ci sei anche tu?»
    «Perché volevo esserti vicino in caso avessi bisogno di qualcosa» mento, pentendomene dopo un istante. «No, è una bugia. La verità è che volevo starti vicino e basta.»
    «Perché?»
    «Perché non riesco a starti lontano» ammetto. «Ho provato in ogni modo a staccarmi da te, ad odiarti, a dimenticarmi come mi facevi sentire, ma per quanto mi sforzi è come... mi basta guardarti per un minuto, ed è come se dimenticassi tutto il dolore.» Contravvenendo agli avvertimenti della mente, alzo una mano per accarezzarle i capelli. «Quando ho detto che sei il primo posto in cui sia riuscito a ritrovarmi... era vero. È vero. Anche tra cinquant'anni, sarai sempre una delle persone più importanti della mia vita.» Restiamo a guardarci in silenzio per qualche secondo, poi la mia mano inizia a scendere lenta verso il suo collo, accarezzando la sua pelle con una delicatezza che non avrei più pensato di poter dimostrare. La osservo chiudere le palpebre, forse trattenendo una lacrima, e improvvisamente mi è chiaro che quel bacio sulle colline non è stato uno sbaglio: l'unico vero sbaglio è stato non correre da lei subito, lasciarla allontanare fino a convincermi che restare separati fosse l'unico futuro possibile. Respingendo ancora una volta le obiezioni della ragione, scivolo in avanti e la bacio ancora. Forse è un tremendo errore, forse è il modo più sbagliato per trovare una soluzione, ma non mi importa: il cuore mi dice che è la cosa più naturale, e in questo momento il cuore è la sola ragione che sia disposto ad ascoltare.

    «Daria non è tornata» esordisce Alice, strattonando Jared per costringerlo a svegliarsi. Lui apre gli occhi a fatica, sbuffando, incapace persino di capire dove si trovi, figurarsi recepire le parole della ragazza. «Hai capito quello che ho detto? Daria non è ancora tornata.»
    «Sono sicuro che sta bene» biascica lui, voltandosi dall'altra parte.
    «Jared, svegliati!» insiste ancora lei, strattonandolo così forte da farlo quasi rotolare giù dal letto. «Voglio andare a cercarla.»
    Ormai completamente sveglio, Jared si passa una mano sugli occhi. «Hai provato a chiamarla?»
    «Il cellulare è spento.»
    «Magari si è scaricato. Pensi che sia successo qualcosa?»
    «Penso che voglio sapere dov'è, e voglio sapere come sta.»
    «E non ti calmerai finché non avrai visto con i tuoi occhi che è viva e in salute?»
    «Esattamente.»
    «E va bene» sospira lui, calciando via le coperte. «Dammi dieci minuti. Faccio una doccia e andiamo a cercarla.»

    Nell'istante in cui le labbra di Shannon toccano le mie mi sfugge una lacrima, certa come sono che finirà come sulle colline, quando si è allontanato da me dicendo di aver commesso un errore. A fatica mi costringo a spingerlo via. «Me ne devo andare» sussurro, alzandomi subito dal letto. «Devo andare via» ripeto, più per convincere me stessa che per altro.
    «Daria, aspetta...»
    «No!» replico subito, alzando la voce senza volerlo. «No, Shannon, non ho alcuna intenzione di aspettare che ti allontani di nuovo» aggiungo, prendendo coraggio parola dopo parola. «Non ho intenzione di lasciarmi illudere un'altra volta, non ho intenzione di guardarti di nuovo andare via dicendo che è stato un errore. Hai tutto il diritto di avercela con me, ma non puoi farmela pagare prendendomi in giro. Questo non te lo permetto.»
    Lascio la camera a passo veloce, rischiando di inciampare in Bruce, che sentendomi alzare la voce è corso a presidiare la porta. Dal rumore che sento dietro di me capisco che Shannon si è alzato per corrermi dietro, ma non ho alcuna intenzione di fermarmi. Mi sento ferita, mi sento frustrata, e la sola cosa che voglio fare è tornare a casa di Jared, dovessi fare tutta la strada a piedi. «Non ti sto prendendo in giro, Daria!» lo sento dire. «Tutto quello che ho detto è vero!»
    «Non trattarmi da stupida, Shannon!» urlo, interrompendo la mia fuga. «Meno di ventiquattro ore fa hai detto che non sai se riuscirai mai a perdonarmi per il male che ti ho fatto, e ora vorresti farmi credere di aver cambiato idea? Questo è un insulto alla mia intelligenza, e non ho alcuna intenzione di accettarlo. Se vuoi passare il resto della vita odiandomi, va bene. Se vuoi ignorarmi finché entrambi avremo vita, va bene. Ma non prenderti gioco di me, per favore. Ho sbagliato, ti ho ferito, ti ho fatto del male, ma questo non lo merito. Non merito questo» ripeto, costringendomi a voltarmi verso la porta prima che le lacrime rendano meno efficace la mia rabbia.

    Riesco ad arrivarle alle spalle un istante prima che apra la porta, e il primo istinto è quello di cingerla con le braccia per impedirle di uscire. «Non te ne andare di nuovo» sussurro, trattenendola contro di me.
«Lasciami andare, Shannon» protesta debolmente, cercando di divincolarsi senza troppa convinzione dalla mia stretta.
    «Concedimi soltanto due minuti, ti prego» sussurro ancora. «Soltanto due minuti, per favore.»
    «Cos'è, non mi hai ancora umiliata abbastanza?»
    Sfrutto il vantaggio fisico per farla voltare verso di me, deciso a catturare la sua attenzione e a farmi ascoltare. «C'è una cosa che ti voglio mostrare, ma devi darmi ancora due minuti. Soltanto due minuti» ripeto, abbassando la voce. «Due minuti, poi ti lascerò andare.»



1Tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone Generale del cantautore romano Francesco De Gregori, contenuta nell'album De Gregori (1978).
2Jumped in unexpected and drove me off to paradise unknown. | Si tratta di un verso di mia invenzione tratto da una canzone altrettanto fasulla, buttata giù appositamente per questa fanfiction, dunque di mia esclusiva proprietà. La traduzione è pressappoco questa: “Sei saltata a bordo inaspettatamente e mi hai dirottato verso un paradiso sconosciuto”. Mi rendo conto che è una cosa scema, ma in La lunga strada verso casa ho parlato talmente tanto di questa canzone che proprio non potevo evitare di tirarla di nuovo in ballo.
   
 
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