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Autore: So I could be lovely    28/04/2015    5 recensioni
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“Che cosa hai detto Roger, ripetilo un’altra volta!”
Mello non poteva credere a ciò che stava sentendo. L, il più abile detective che il XX secolo avesse mai conosciuto, colui che era più vicino a ciò che voleva diventare, era morto.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matt, Mello, Near, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un giovane ragazzo correva a perdifiato per i corridoi vuoti di un istituto. Da quando era arrivato in quel posto, la Wammy’s House, quella sera stessa, si era scordato di chiedere all’anziano signore che l’aveva accompagnato-Watari era il suo nome-dove fosse ubicata la mensa, così ora si trovava a sfrecciare come un ladro per quella landa desolata nella quale si era trasformato l’orfanotrofio. Stava morendo di fame! Se non si fosse sbrigato sarebbe rimasto a stomaco vuoto, ma ormai tutti gli studenti erano nella sala comune, avrebbe potuto sperare solo in un ritardatario. I suoi desideri si concretizzarono dinnanzi ai suoi occhi quando vide una giovane ragazza di media altezza, esile e bionda. Subito si mosse verso di lei e le sfioro la spalle, ad avvisarla della sua presenza.

-Scusa piccola, mi sapresti dire dove si trova la mensa?-

Spalancò gli occhi quando si girò, perché quella non era una lei ma…un lui. Il ragazzo in questione, probabilmente cinque o sei anni più piccolo di lui, che era diciassettenne, gli regalò un’occhiataccia con i suoi occhi color ghiaccio, che rendevano il suo sguardo ancor più profondo ed inquietante. Evidentemente era abituato a terrorizzare chi gli stava davanti in quel modo, così, quando il ragazzo più grande rimase fermo a guardarlo, per niente intimorito, il biondo si lasciò andare ad un sospiro infastidito.

-Che diamine vuoi?-

Proprio un tipetto simpatico no? Il più grande lo squadrò, riflettendo su quanto somigliasse davvero ad una ragazzina: troppo basso e gracile, i capelli biondi, lunghi fino alle spalle, tenuti in caschetto ordinato, che cadevano sul viso dai lineamenti delicati, il tutto completato da un paio di occhi azzurro ghiaccio; doveva essere nordico, magari mezzo tedesco come lui: sembrava in tutto e per tutto una bambolina di porcellana.

-Che diavolo, mi stai ascoltando?- si riscosse dai suoi pensieri, quindi rispose al biondo, portandosi una mano dietro la testa e esprimendo i propri pensieri con un gran sorrisone- Oh, ehm scusa se ho pensato che fossi una femminuccia, ricominciamo da capo: il mio nome è Fair ho 17 anni, sono nuovo di qui e sto cercando disperatamente la sala mensa! E tu che ci fai qui a quest’ora?-

Il biondo rimase sorpreso, accorgendosi che le parole del ragazzo erano pronunciate con bonaria sincerità, quindi gli rispose a sua volta.

-Tsz, si riconoscono subito, i novellini. E poi che te ne fai di sapere quello che stavo facendo? E non seguirmi!- ringhiò il biondo, accorgendosi che il tipo chiamato Fair lo stava seguendo da perfetto pedinatore. Lo sentì di nuovo scoppiare a ridere. Lo trovava tanto divertente? Perché non se la cercava da solo quella stramaledetta sala mensa? Sospirò. Doveva calmarsi e placare gli istinti omicidi; alla fine decise di parlargli civilmente.

-Mi chiamo Mello. Tienilo a mente, perché non te lo ripeterò più di una volta-

Fair sorrise: d'altronde non era così male il ragazzino. Finalmente rallentato il passo, tra i due si creò il silenzio, mentre continuavano a camminare per i corridoi della Wammy’s House. Già, la Wammy’s, come ci era arrivato lì?

 

Il giovane ragazzo era fermo, con le mani poggiate sul terreno, una gamba allungata all’indietro e l’altra raccolto vicino al petto, piegata. Sul polso del braccio sinistro vi era un piccolo oggetto, un orologio, no, un cronometro. Pigiò il piccolo pulsante poi scattò in piedi, iniziando a correre verso i cento metri che gli si stagliavano davanti. Superò il traguardo e premette nuovamente il piccolo pulsante con ancor più rapidità. Sembro sobbalzare di gioia quando lesse il risultato: 10’’56. Si passò una mano nei capelli ramati, madidi di sudore, sbattè appena gli occhi, verdi con spruzzate di azzurro, si stiracchiò e si lasciò andare ad uno sbadiglio: d’altronde erano appena le 6:45 di mattina.

-E questo è l’ultimo.-

Il quattordicenne corse verso casa, pronto per una doccia: sarebbe stata un’altra impegnativa mattinata scolastica, dopo di essa avrebbe continuato gli allenamenti; essi si concentravano non solo sulla corsa, ma sulle più svariate discipline: sarebbe diventato un campione di decathlon, continuando ad allenarsi duramente ce l’avrebbe fatta. E infatti i suoi desideri furono coronati 4 anni prima, quando, ancora da piccolo bambino, fu ammesso in una squadra agonistica. E i compiti? Beh quelli li avrebbe fatti di sera, giusto un’oretta prima di andare a dormire: grazie alla sua memoria fotografica, era in grado di memorizzare le lezioni scolastiche in pochissimo tempo e, nonostante si dedicasse poco all’apprendimento, il suo rendimento era notevole, tanto da essere uno dei migliore nel proprio istituto. Si recò a scuola, ma la sua mente era da tutt’altra parte: quel pomeriggio avrebbe gareggiato in una gara di atletica tra squadre regionali, la cui vittoria avrebbe portato la sua squadra alle nazionali tedesche: egli viveva infatti in Germania, più precisamente a Berlino con la propria famiglia, ma non era totalmente tedesco, bensì anche per metà spagnolo.

Si trovava nello stadio, migliaia di persone attorno a loro. Il ramato scrutava agitatamente l’intera folla, alla ricerca delle rassicuranti figure dei suoi genitori, che non era riuscito a vedere: non sarebbero mai mancati, per nessun motivo al mondo. All' assordante rumore dell’altoparlante, da cui proveniva il nome di una squadra, il giovane si rilassò e distese i nervi: era il loro turno.

Qualcuno bussò alla porta di casa. Il ramato, con occhi spenti e vuoti si avvicinò alla porta.

-Buongiorno, lei è Francisco Krause?

Erano arrivati, gli assistenti sociali. Quel pomeriggio, che avrebbe dovuto rappresentare un momento indimenticabile per la sua vita, lo divenne per davvero: fu quel pomeriggio che i suoi genitori, mentre si recavano al palazzetto per assistere alla sua gara, furono investiti da un camion. Al ritorno dalla competizione vinta, Francisco ricevette la nefasta notizia, si recò a casa dove sfogò la propria rabbia e tristezza ed ora gli assistenti sociali erano pronti a portarlo in un orfanotrofio. Fu negli orfanotrofi che trascorse tre anni della propria esistenza: forse il periodo più triste della propria vita, passato nella solitudine, ma d’altra parte fu in quel periodo che imparò a fortificare il proprio carattere nel migliore dei modi: il vuoto nella sua anima e nel suo sguardo furono sostituiti da un animo allegro, giocherellone; forse era tutta una finzione, di certo lo era, ma quelli immagine era maggiormente gradita sia lui che agli altri: talvolta si sentiva un attore nel bel mezzo della propria esibizione. Il ramato non smise mai di allenarsi, dentro di se sperava sempre di poter tornare a praticare agonisticamente la propria passione, d’altronde il suo allenatore gli aveva confessato che, per la sua innata capacità nella attività sportiva unita alla sua passione, dai 17 anni in poi sarebbe riuscito a gareggiare insieme a squadre internazionali. Fu proprio in quell’età che arrivò alla Wammy’s House, poiché l’orfanotrofio in cui aveva trascorso 3 anni si era incendiato a causa di una candela: modo banale per distruggere un' imponente costruzione. Il suo arrivo fu rapido: fu prelevato da un giovane anziano, che aveva detto di chiamarsi Watari. Lo condusse a Winchester, gli spiegò lo scopo dell’istituto, gli chiese di scegliere uno pseudonimo e non rivelare mai il proprio vero nome. Lui gli rispose che si sarebbe chiamato Fair. Arrivati davanti alla Wammy’s intorno alle 7:00, Watari scomparve tanto velocemente quanto era comparso, lasciandolo con lo stomaco vuoto e senza alcun indizio sul luogo nel quale recarsi per rifocillarsi.

 

-Ehi, ci sei? Che diamine mia chiesto di venire con te se stai nel tuo piccolo cazzo di mondo di mondo immaginario!-

Mello si era evidente accorto del suo aspetto, che doveva parere quello di una persona dormiente, forse gli aveva anche parlato, ma lui non ci avrebbe mai fatto caso e il biondo glielo aveva fatto notare con quello che aveva imparato in questi pochi minuti essere il suo forbito vocabolario. Quindi quel biondino era anche un megalomane con carenza di attenzione? Fair diede un sorrisone, poi gli rispose a tono.

-Certo bambolina, qui solo per te!- disse il ramato, accennando ad piccolo inchino verso il più giovane.

Al ringhio di Mello, Fair scoppiò a ridere sonoramente; non lo aveva mai fatto così sinceramente dall’incidente. Sorrise convinto: ne era certo, quella sarebbe stata la nascita di una bella amicizia.

 

Angolo della pseudo autrice

Ah, ehm, pardon per il ritardo. Ho aggiornato un po' tarduccio però l'ho fatto XD Oggi ho dovuto affrontare l'incubo di tutti gli studenti: i colloqui scuola-famiglia @.@. Come tutti avranno notato, c'è un ritorno di fiamma da parte di Mello XD. Non lo faccio apposta, era necessario per questo capitolo. Spero che apprezziate il personaggio di Fair, perchè a me piace parecchio e spero di averlo reso al meglio :). Vi saluto al prossimo ragazzo di cui narrerò la storia martedì,

So I could be lovely

   
 
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