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Autore: Keep_Running    28/04/2015    2 recensioni
Helena Jessica Waston, ventidue anni, giornalista.
Sarah Gwendaline Parker, ventidue anni, antropologa.
Ashton Irwin, ventitrè anni, fotografo e regista.
Calum Hood, ventidue anni, medico.
Blekking Williams, ventun anni, musicologa.
Michael Clifford, ventitrè anni, linguista.
Luke Hemmings, ventun anni, artista.
Sette ragazzi, un viaggio in giro per l'Europa, e neanche una straccio di cosa in comune.
Riusciranno ad arrivare alla tanto lontana meta di Helsinki o rimarranno nella fredda stabilità di Londra?
Nessuno lo sa, nè tanto meno i diretti interessanti.
Forse solo il vecchio preside amante delle cravatte colorate, ci aveva capito qualcosa.
Ma solo forse.
[STORIA UFFICIALMENTE SOSPESA]
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Tutti vorrebbero viaggiare, tutti vorrebbero vistare posti sconosciuti, e tutti vorrebbero mollare tutto e vivere avventure incredibili! Ma più di tutti, i neolaureati vorrebbero trovare un impiego!
Ebbene, perché non unire le due cose? L’università di Londra vi darà questa possibilità, cari ragazzi.
Avete la possibilità di fare il giro dell’Europa in nove mesi, qualsiasi sia la vostra facoltà, e documentare il tutto con video, diari, foto e quant’altro! Una possibilità incredibile per conoscere le culture che studiate nel loro habitat naturale, un’esperienza che vi formerà come studiosi ma soprattutto come persone.
Come avverrà il trasporto?
A voi la scelta, ma aerei e treni non sono autorizzati!
La condizione?
Mille sterline, per ben nove mesi.
Come guadagnarsi il resto?
Sta a voi inventarlo!
I posti in tutto sono sette. Aspettiamo numerose richieste!
- la Direzione”

“Sembra la pubblicità della lotteria, e c’è la ripetizione della parola ‘possibilità’”
Fu questo il primo commento della bionda più bionda di Londra (e tutta rigorosamente naturale, ci teneva a precisare). Quando lesse l’annuncio, storse il naso. Non poteva davvero credere che la direzione avesse offerto una possibilità del genere, così assurda e assolutamente inutile, mentre lei combatteva da ben otto mesi per trovare lavoro.
Le avevano detto tante volte che, nonostante i voti ottimi, le attività extracurriculari e un bel visino da fare invidia a molti, non avrebbe trovato subito lavoro. Ma avere la realtà spiaccicata davanti agli occhi non le era piaciuto per niente.
La seconda volta che lo lesse, le fece un po’ meno schifo, ma solo un po’.
Non era l’avviso a essere cambiato, ma lei. Perché la disperazione la stava facendo uscire di testa, e lei non lo sopportava proprio.
Lei, così razionale, giusta, attenta ai dettagli, precisa e ordinata in ogni cosa facesse.
“Non resisteresti dieci secondi”, le disse la sua amica Amber, la terza volta che lo lesse.
E forse fu quello a convincerla, più della sua stessa disperazione. Perché quella troietta non ha la più pallida idea di quello che Helena Jessica Parker è capace di fare.
E dopo quattro giorni dalla prima lettura dell’avviso, fece il video di presentazione. Domande facili, a cui lei, da giornalista ben competente, rispose con sicurezza e tenacia.
Aveva il posto prenotato ancor prima di essere messa al mondo.
E quella Amber l’avrebbe vista volare in alto, molto più in alto di lei e di tutti gli altri, fino a diventare una delle stelle del firmamento, una di quelle più luminose.
Quella rossiccia senza cervello era solo una delle numerose amiche che aveva. Certo, definirle amiche era coraggioso, ma non le interessava tanto. Lei non aveva bisogno di essere sostenuta, tanto.
Aveva otto anni la prima volta che se ne rese conto, e una treccia ancora più bionda di allora. Suo padre la guardava quasi severo, mentre lei reggeva il suo coniglio Fluffy in una stretta ferrea.
“E’ arrivato il momento che tu impari a dormire da sola” le disse. E lui era suo padre, e lei gli voleva bene, e tutto quello che faceva suo padre era giusto.
E non toccò mai più Fluffy.
Ne aveva nove, quando disse addio alla sua migliore amica Amy.
“Se ti piace, te lo avrei comprato”
“Se ti fosse piaciuto te lo avrei comprato, Amy”
“Ok, ma preferisci quello rosa di quello rosso?”
“Si dice preferisci quello a questo oppure quello o questo, capito?”
“Basta, non ti sopporto più!”

Amy cambiò pure scuola, a quel punto. Non la vide mai più.
Il top, comunque, lo raggiunse a quindici anni. Indossava un vestito lungo e rosa, con talmente tanto tulle da soffocarla quasi. Ma non le importava, perché mai prima di allora si era sentita una principessa. E come ogni principessa che si rispetti, aveva anche lei il suo principe. Il suo magnifico principe, che l’aveva invitata al ballo dei maturandi proprio una settimana prima, facendola sentire la ragazza più bella del mondo.
Lo stesso principe che dopo quindici minuti, non si era ancora fatto vedere al ballo.
E neanche dopo mezz’ora.
Né tantomeno dopo un’ora.
E lei rimase lì, in mezzo alle altre cozze che erano state abbandonate la sera del ballo.
Ma lei non pianse, anzi.
Con una dignità che non sapeva neanche di avere, si alzò dalla sedia che aveva occupato per tutto quel tempo, e uscì.
Non tornò a casa a bordo della Range Rover, ma a piedi.
Non tornò a casa con un sorriso, ma dannatamente seria.
Non tornò innamorata, ma consapevole.
E da quel giorno, nessuno riuscì a scalfirla, nessuno riuscì ad ostacolare la sua corsa verso la vetta.
Perciò grazie papà, grazie Amy, grazie Hugo.
Perché lei non aveva bisogno di nessuno, ormai.
Se lo diceva ogni mattina, se lo ripeteva durante la giornata, e ci ripensava pure la sera, prima di andare a letto. Eppure, il sorriso di Ashton Irwin la faceva impazzire comunque.
Quello stano ragazzo, che aveva più bandane che mutande, lo strano ragazzo conosciuto da tutti e amato da altrettante persone.
Lo incontrava tutte le mattine al bar, e prendeva ogni giorno una cosa diversa.
Lei invece, sempre il solito cappuccino, sempre il solito cornetto, e persino sempre le stesse conversazioni con la cameriera.
Quella mattina non lo guardò neanche.
Perché non ne aveva bisogno.
E perché, tanto, non lo avrebbe visto per nove mesi.
 
***
 
Se qualcuno l’avesse visto camminare per i corridoi, avrebbe pensato che fosse decisamente uno strano. Quelli che avevano il privilegio di conoscerlo davvero, potevano pure dimostrarlo.
Michael Clifford era tra le personalità più conosciute di tutto il college, e rimaneva tale anche dopo i due mesi che seguirono la sua laurea.
Non era un tipo particolarmente estroverso e voglioso di fare amicizia, ma con i suoi capelli dai colori sgargianti era davvero difficile.
Aveva cominciato a tingersi i capelli alla tenera età di quindici anni, quando sua madre gli aveva detto che non si doveva assolutamente tingere i capelli.
Si era limitato alla frangia, la sua magnifica frangia, ma a lungo andare osava sempre di più, fino a diventare il ragazzo arcobaleno.
In realtà, quando aveva iniziato, non gli piacevano neanche i capelli. Ma quando cominciarono a partire le scommesse sul suo prossimo colore, nel suo gruppo di amici, decise di accontentare la richiesta del popolo. Era nato come un semplice passatempo, per quanto strano ed improbabile, ma era finito col diventare una vera e propria droga.
Quando sua madre l’aveva visto, si era incazzata davvero tanto.
Ma mai quanto il suo cinque in francese.
Gli aveva detto ‘Non rimarrai ancora a poltrire con quella materia! Farai economia avanzata d’ora in avanti’.
Così all’università decise di fare lingue.
E sua madre, alla fine, abbandonò pure l’idea di disconoscerlo come figlio.
Sapeva che avrebbe tirato fuori felicità e soddisfazioni persino in quello.
Ma Michael voleva davvero tanto bene a sua madre. In realtà voleva bene a più persone di quanto gli piacesse ammettere, e di quanto sembrasse agli altri.
Voleva dimostrarglielo, voleva davvero dirglielo. Ogni volta che incrociava i suoi occhi verdi, ogni volta che sentiva il profumo dei suoi capelli biondi, ogni volta che la sua dolce risata gli arrivava alle orecchie.
Ma non ci riusciva mai, perché lui era solo il ragazzo arcobaleno per lei, e probabilmente lo sarebbe sempre stato.
Continuava a fissarla, nello stesso bar che aveva visto le sue sventure per tutti gli anni dell’Università.
Stava chiacchierando con Ashton Irwin, il ragazzo sorridente di Cinematografia che conoscevano praticamente tutti per ragioni ancora sconosciute.
Rideva, sorrideva, era felice.
E nonostante le premesse poco convincenti, anche il ragazzo arcobaleno era felice.
Tutti lo credevano un dark strafattone, ma lui era davvero felice.
Perché avrebbe passato nove mesi con lei in giro per l’Europa.
Non sapeva se fosse stato preso, né tantomeno se fosse stata presa lei, Brianne Freeman.
Ma continuava a fissarla, felice.
“Hai deciso cosa ordinare o vuoi continuare a fissare la Freeman, bulbasaur?”
Holly fece la sua trionfale entrata, con una delle sue solite battute sui suoi capelli. Era una ragazza fastidiosa, insolente, menefreghista e talvolta inopportuna; inoltre nessuno in quel dannato posto aveva ancora capito quale fosse il suo cognome.
Tuttavia le sorrise.
Più verso le sue grandi tette messe in bella mostra, che verso il suo viso.
“Un muffin al cioccolato, grazie”
Sì, il cioccolato l’avrebbe aiutato a rimanere felice per un bel po’ di tempo.
Se lo sentiva.
 
***
 
‘Perché hai deciso di diventare medico?’
Era questa la domanda che gli era stata rivolta più spesso in assoluto, durante tutti gli anni di università. Ancora più spesso di ‘come stai’ e addirittura di ‘mi passi gli appunti?’.
Lui ormai aveva la risposta pronta, pensata notti intere per sembrare più convincente possibile.
‘Perché mi piace poter dare speranze concrete alle persone’, diceva infatti.
Ma a lui non interessava davvero quello.
Calum Hood, per quanto di buon cuore, non aveva scelto di intraprendere la tortuosa strada della medicina per dare speranza.
L’aveva scelta perché gli faceva letteralmente schifo il sangue. Appena ne vedeva un po’, usciva fuori di testa. Vomitava addirittura, delle volte.
Calum Hood era uno di quei fifoni terrorizzati e schifati da qualsiasi cosa fosse presente sulla terra. Se poi si muoveva, anche peggio.
Aveva paura del buio, dei ragni, del sangue, dei Clown (‘It ha distrutto una generazione’, diceva), delle api e insetti in generali, delle cose viscide, delle cose appiccicose, delle tavole da surf, dai lampadari particolarmente grandi, e da tante altre cose.
Ma era uno di quei fifoni simpatici, lui.
Perché nonostante le sue assurde e numerosissime paure, lui cercava di affrontarne il più possibile cercando di liberarsene. Non ce l’aveva ancora fatta, certo, ma almeno ci provava.
E fino ad allora era stato un buon medico.
Almeno sui banchi di scuola, quando ancora di specializzazione non se ne sentiva neanche parlare, andava tutto alla grande.
Sapeva di essere senza speranze, sapeva di avere un coraggio parecchio sotto la media.
Ma era davvero fiero di tutto quello che stava facendo, compresa la sua ultima trovata.
Perché viaggiare lo terrorizzava, non dormire nel suo letto lo terrorizzava, non poter controllare la provenienza di ogni singola molecole che ingurgitava lo terrorizzava, e lo terrorizzavano pure le persone che non poteva capire. E per una persona del genere, un viaggio all’insegna dell’avventura in giro per l’Europa, non poteva che essere una lapide.
Una di quelle lapidi in cui non si riesce a leggere neanche il nome completo del morto, tanto per essere precisi.
Temeva più per i suoi compagni di viaggio in realtà, che per lui.
E lo sguardo gli cadde su Holly, che ancora non aveva portato la sua ordinazione. Holly, che mostrava con una certa fierezza le sue tette ad uno strano tizio dai capelli verdi, che aveva visto qualche volta in giardino ad ascoltare musica durante le lezioni.
Holly, che in quel momento non si era neanche accorta dell’enorme ape che le svolazzava attorno, come se quel piccolo insetto non potesse assolutamente ammazzarla nel giro di tre secondi con il suo fottuto culo.
Panico.
Prese un respiro, molto profondo. Poi un altro. E un altro ancora.
‘Ha più paura lei di te’, si diceva.
‘E’ ad almeno dieci metri dal mio tavolo, non può pungermi’, si convinceva.
‘Se scappo adesso, non farebbe in tempo a chiamare tutta la sua famiglia e complottare per uccidermi’
Così si alzò con nonchalance, diede le spalle alla nemica, e camminò.
Si allontanò, lentamente, fino a raggiungere le porte dell’università che ormai non lo ospitavano neanche più.
Ed era incredibilmente orgoglioso di lui.
Niente poteva fermarlo ormai, tantomeno l’Europa e i cessi pubblici.
 
***
 
A Sarah piaceva guardare gli occhi degli innamorati, a costo di sembrare una pervertita. E, anche se poteva suonare vagamente sadico, niente la faceva impazzire più dell’amore non corrisposto. Era assolutamente convinta che fosse l’amore più vero, l’amore più puro. L’amore di una persona che non si aspetta assolutamente niente dal partner, se non che continui ad esistere, per essere felice.
Ed era esattamente quello che leggeva tutti i giorni negli occhi della giornalista bionda più invidiata dal sesso femminile, una certa Helena qualcosa. Sarah le invidiava le belle forme, il fisico perfetto, gli occhi così limpidi, e davvero non riusciva a capire come il famoso regista Ashton Irwin non l’avesse ancora notata.
Lo guardò con un certo fastidio, come a rimproverarlo per una colpa che non ha neanche, e proprio in quel momento incrociò il suo sguardo.
Non lo abbassò comunque.
Era timida, carina, non le piaceva essere al centro dell’attenzione, e arrossiva ogni due secondi in media.
Ma non abbassò lo sguardo comunque. Perché quello sguardo, lui, se lo meritava eccome.
Fu lui a distoglierlo, infatti, piuttosto confuso.
Sbuffò, la ragazza, perché nessuno sembrava capire niente in quel posto.
Le piacevano tanto le persone, le piaceva vedere le differenze tra l’italiana violoncellista del Conservatorio, e l’ipotetico asiatico aspirante medico. E gli austriaci, invece, come si comportavano? E gli spagnoli? Un americano avrebbe avuto comportamenti diversi dai suoi.
Non era una fan delle etichette, né dei pregiudizi, ma le piaceva così tanto catalogare le personalità dei vari paesi. La divertiva, lo trovava interessante, perché mentre l’italiana chiamava casa davvero molto spesso, sempre con il suo accento strano, l’asiatico si limitava a messaggiare.
E messaggiava spesso, lui.
Lei invece, da inglesina pura quale era, si limitava a parlare al telefono il minimo indispensabile, ma senza sprecare un solo secondo della chiamata. Parlava a voce bassa e non attirava l’attenzione.
Come la maggior parte degli inglesi, d’altronde.
E ancora, cosa avrebbe fatto un austriaco? Avrebbe massaggiato anche lui o avrebbe preferito telefonare? E l’americano, invece?
Rifletteva, rifletteva davvero tanto, ma non riusciva mai ad arrivare ad una soluzione.
Aveva studiato i comportamenti dell’uomo, le sue origini, cosa cercava di fare e quali erano i suoi obiettivi, ma non riusciva comunque a rispondere a quelle semplici domande.
Ogni giorno che passava era sempre più sicura della sua scelta: quel viaggio in Europa avrebbe fatto al caso suo.
Con il sorriso che da sempre la caratterizzava, cercò di attirare lo sguardo di Holly.
In realtà, per quanto le costasse ammetterlo, non le stava tanto simpatica.
Innanzitutto, aveva notato che non era una grande fan del riciclaggio. E per Sarah, il riciclaggio è vita.
Inoltre, usava vestire il suo Chiwawa George.
‘Come fa a non capire che soffre con quella robaccia?’, pensava ogni volta che li vedeva. E inconsapevolmente, sperava che un giorno avrebbe avuto il coraggio per dirglielo in faccia.
Allora si limitava a lanciare occhiate eloquenti al cane, sperando che almeno lui capisse che qualcuno al mondo fosse pronto a combattere le sue battaglie.
Il cane la guardava sempre confuso.
Confuso quasi quanto Ashton Irwin, che Sarah continuava a guardare.
‘Quando partirò diventerò più coraggiosa, lo so’
Sorrise ancora, lasciando perdere sia Holly che Ashton Irwin.
Era felice.
 
***
 
Ashton Irwin, nonostante la sua popolarità indiscutibile, non aveva poi tanti amici. Ma gli andava bene comunque, perché nonostante le aspettative di ogni commedia rosa, era felice. Sapeva quello che alcuni pensavano di lui: il ragazzo che si comportava in modo falso davanti a tutti, perché una persona non può essere davvero sempre così sorridente. E questo lo rattristiva un po’, in effetti. Lui era davvero una persona felice.
Gli piaceva ridere, gli piaceva sorridere anche agli sconosciuti, e non aveva paura di mostrare questo suo lato al mondo.
Ma non tutti lo capivano.
Forse anche la rossa che in quel momento lo guardava male, pensava che fosse una maschera.
Ma non ci poteva fare niente: gli piaceva passare il tempo con Brianne, la sua cara cugina, ogni tanto.
“L’hai già inviato il video di presentazione per il concorso?”
La ragazza non stava più nella pelle, e ciò era palese pure ad Ashton che vedeva Brianne davvero troppo poco.
“Certo, mi hai costretto tu psicopatica” e si guadagnò uno scappellotto più che meritato.
Quello che non aveva confessato alla cugina, però, era che lui avrebbe sicuramente fatto l’iscrizione anche senza tutte le sue pressioni. Perché solo l’idea di poter vedere tutti quegli incredibili paesaggi, di conoscere tutte quelle culture di cui aveva solo letto piccole curiosità su wikipedia, la sola idea di poter viaggiare, lo elettrizzava più di ogni altra cosa. Aveva anche l’impressione che avrebbe fatto lo scatto perfetto durante quel viaggio, il nirvana dei fotografi. E sì, lui era anche un fotografo ben dotato, come lo definiva il suo maestro con orgoglio.
La sua passione per la cinematografia e la fotografia era nata quando aveva solo cinque anni, e con suo padre era andato per la prima volta al cinema.
Aveva guardato ‘Il grande Dittatore’, il celebre classico di Charlie Chaplin. Forse poco adatto ad un bambino di soli cinque anni, ma anche lui rise di gusto con tutta la sala. Forse contagiato dalle risate degli altri, o forse perché aveva finalmente capito cosa fare nel suo futuro.
Anche lui voleva creare quei capolavori, anche lui voleva far emozionare tante persone e farle ridere contemporaneamente. Persone diverse fra loro, persone che probabilmente se si conoscessero si odierebbero. Ma persone unite da un film, persone unite da una risata.
Ed era tutto perfetto, in quell’inquadratura, in quel preciso punto. Probabilmente oltre i limiti della telecamera c’era un paesaggio sbagliato, un vaso fuori posto, o semplicemente il buio. Ma non importava niente, perché quell’inquadratura era perfetta, indipendentemente da quello che la circondava.
Ogni singola inquadratura era speciale.
Ed Ashton voleva essere l’artefice di un capolavoro.
E cavolo, quante inquadrature perfette avrebbe trovato nel suo viaggio in Europa.
Quello che non si aspettava di certo, era la presenza di persone, in quelle inquadrature così perfette.
 
***
 
“Secondo me è una bufala”
George Harrison, sessantatrè anni di pigrizia e grasso in eccesso, guardava la sua compagna di noia con una certo interesse. Conosceva Blekking Williams da quando aveva messo piede nel conservatorio di Londra per la prima volta, e da allora non era cambiata molto.
Le erano cresciute le tette, forse, ma rimaneva la strana ragazza italiana di sempre.
“Ma tu non eri morto di cancro?”
Le rispose, con una velata acidità. Se c’era una cosa che non sopportava era assolutamente essere distratta mentre leggeva. Soprattutto mentre leggeva una cosa così importante.
Lui comunque, non se la prese. Era già abbastanza fortunato da poter evitare di lavorare tutto il giorno senza mai essere beccato, sicuramente non aveva la presunzione di poter pretendere una compagna di giochi simpaticona.
E poi Blekking  gli piaceva.
“Quando comincerai a cambiare battute avvisami, eh”
“Sappiamo entrambi che non accadrà mai, amico”
Blek rivolse un sorriso a George, un sorriso davvero sincero. Era in assoluto il bidello più pigro che avesse mai conosciuto nella sua relativamente lunga carriera scolastica: passava tutto il tempo a chiacchierare con tutte le persone che gli capitavano a tiro, e non l’aveva mai visto pulire qualcosa. Qualsiasi cosa. Neanche i suoi occhiali alla Harry Potter, che erano sempre dannatamente sporchi.
Ma gli voleva bene.
Perché quando mangiava le patatine in biblioteca, come in quel momento, i suoi tentativi di non farsi beccare da Francis la bibliotecaria erano davvero divertenti.
A distoglierla dai suoi pensieri fu uno starnuto, proveniente proprio dal ragazzo seduto di fronte a lei, ma in un tavolo diverso. Francis si sprecò pure di lanciargli un’occhiataccia, ma lui non ci fece assolutamente caso, continuando a leggere un libro dalla copertina blu.
Erano mesi che vedeva quel biondino, ormai. Andava in giro per il Conservatorio con tranquillità, come se quello fosse davvero il suo posto.
Ma lei sapeva benissimo che lui non era un musicista, o un direttore d’orchestra, e un cantante o qualsiasi altra cosa lì dentro.
Non lo era e basta.
Perché tra concorsi, saggi, orchestra, materie complementari e amici di amici, tutti conoscevano tutti lì dentro.
E lui non era nessuno.
All’inizio le dava pure fastidio la presenza di un intruso in un posto così sacro a lei.
Le dava fastidio quasi quanto la strana rossa che la fissava ogni volta che parlava con sua nonna al telefono.
Ma poi ci fece l’abitudine, e delle volte si sentiva pure confusa quando non lo trovava in biblioteca.
La maggior parte delle volte era semplicemente in bagno.
“Vorresti davvero passare nove mesi in giro per l’Europa all’avventure?”
La distolse il vecchio nuovamente, ma quella volta non gli diede fastidio.
“Non lo so”, si limitò a rispondere.
E non lo sapeva davvero. Perché partire avrebbe comportato conoscere nuove persone. E lei non era affatto brava a conoscere nuove persone. E ciò avrebbe portato all’ennesima spiegazione del suo nome, perché Blekking in realtà non era neanche un nome.
‘Significa illusione in islandese’, avrebbe detto. E non avrebbe aggiunto altro.
Come avrebbe potuto spiegarlo in altro modo? La generazione passata riteneva che i figli vivessero i decenni d’oro: nessuna crisi importante, nessuna guerra nei loro territori, nessuna rivoluzione violenta. Ma quello che non capivano erano le vere conseguenze d tutto quello. Chi doveva subire l’esuberanza di una madre diventata tale proprio quando la febbre del movimento hippy si riaccendeva nel suo animo? Proprio lei, rappresentante della generazione agiata.
E intanto il nome di merda se lo teneva per tutta la vita.
Di certo, questo piccolo particolare non l’aveva aiutata a fare amicizia. Non doveva solo pensare a non essere considerata strana solo per nome, no, doveva anche stare attenta ai suoi atteggiamenti.
Perché lei davvero non capiva come dovesse reagire con il resto dei suoi coetanei.
Era sempre stata una lotta per la sopravvivenza, la sua.
Aveva sette anni quando capì che qualcosa non andava. Perché la sua amica Meredith le stava piangendo davanti agli occhi e davvero non riusciva a capire come la sua bella bambola, a cui erano stati tagliati i capelli, potesse centrare con tutto quello.
E la storia continuò anche nell’adolescenza, con l’amore, le delusioni e le incertezze. Tutte delle sue amiche chiaramente, perché lei non capiva davvero niente.
A quindici anni, Danielle aveva cominciato a vomitare per dimagrire. Così lei, per tirarle su il morale, le offrì un muffin al cioccolato. Dopo che Danielle smise di rivolgerle la parola, si accontentò dell’amicizia di Joy.
Tuttavia, quando lei fu lasciata dal ragazzo e Blek le sorrise per evitare di fare l’ennesima cazzata, perse anche lei.
E a ventun anni, nonostante i numerosi tentativi, quando qualcuno cercava di aprirsi con lei la ragazza continuava a scappare evitando ogni confronto emotivo col mondo.
Ed effettivamente l’Europa non era un’idea così cattiva come pensava.
Forse avrebbe recuperato l’amicizia con Meredith, dopo quel viaggio.
 
***
 
Quella mattina, sul tavolo della biblioteca, trovò un avviso particolarmente interessante. Un avvenimento che incuriosì non poco Luke Hemmings, che sicuramente non si aspettava qualcosa che potesse interessare proprio lui in un luogo del genere.
Già, perché Luke Hemmings e Conservatorio, non potevano stare nella stessa frase senza fare a botte tra loro.
Eppure, gli piaceva davvero più del dovuto stare lì.
Sarà stato il profumo, o le persone che si salutavano continuamente, o forse lo strano bidello nullafacente che ogni tanto  gli rivolgeva un sorriso. Più probabilmente erano i piccoli pezzi di sonate e scale musicali che si sentivano ad ogni ora e ovunque, da parte di ogni strumento possibile e immaginabile. A quell’ora, le undici di mattina, puntuale come sempre, il trombettista cominciò una scala armonica. Luke gli aveva pure dato un nome, era in assoluto il suo musicista preferito: era Kevin. Preciso e puntuale, non lo aveva mai sentito stonare o steccare. Gli stava davvero simpatico.
E sì, forse andava al Conservatorio anche per la strana ragazza che gironzolava per la sua casa con un outfit davvero poco conservatorio, con più magliette di band punk che altro.
Si era laureata in musicologia una settimana prima, lo sapeva perché la nonna (ambiguo personaggio, oltretutto), le aveva fatto visita.
E il giorno dopo, già era tornata a suonare e leggere, come se la sua avventura non fosse affatto finita.
Strana ragazza.
E anche strana famiglia straniera.
Anche lui aveva lasciato la sua famiglia, e sì, anche lui ogni tanto ne sentiva la mancanza. Tuttavia, non si era mai pentito della sua scelta: l’australia gli stava davvero troppo piccola.
Gli piacevano le spiagge, gli piacevano i canguri e pure il caldo asfissiante, ma cosa c’era oltre a quello?
Lui aveva  voglia di sentire anche il freddo, di passare un natale con la neve come nei film della sua infanzia. Aveva voglia vedere alte vette, aveva voglia di mangiare cibi strani e magari anche disgustosi.
E Londra sembrava davvero un’ottima scelta.
Aveva anche la possibilità di studiare in una delle più importanti accademie d’arte del Regno Unito, e dare piena libertà a tutto quello che gli passava per la testa.
Quando aveva espresso questo desiderio, suo zio David gli aveva riso in faccia.
La nonna Kaile le aveva fatto notare che ‘I veri uomini zappano’, mentre sua madre Liz si era limitata ad un ‘Lo sai che ci saremo sempre per te comunque’. Suo padre era stato il migliore, comunque. Aveva alzato lo sguardo dal giornale, l’aveva guardato di striscio, e poi ‘Basta che ti porti dietro quell’ammasso di peli che osi chiamare cane’.
Così, aveva portato tutta la sua vita a Londra. Lasciando a Sidney solo la sua famiglia e, ovviamente, il suo cane Molly.
Londra gli piaceva, aveva passato anni fantastici nell’accademia fino a laurearsi, e Kevin era davvero un ottimo trombettista.
Ma anche Londra cominciava ad andargli stretta.
L’Europa, l’Europa sembrava essere un’alternativa incredibile.
E Dio solo sapeva tutta l’ispirazione che avrebbe potuto ricavare da un’avventura simile.
Non lo spaventava l’imprevedibilità, non lo spaventava dover mollare tutto.
L’unica cosa che lo terrorizzava era la monotonia, e l’Europa sembrava davvero perfetta sotto ogni punto di vista.
Si chiese se Kevin sarebbe migliorato molto nella sua assenza (così sperava).
Si chiese se la nonna della ragazza strana sarebbe venuta di nuovo a movimentare un po’ il Conservatorio, nonché covo di spocchiosa gente con la puzza sotto il naso, come aveva sempre creduto.
Si chiese se la sua ex ragazza Aleisha si sarebbe rifidanzata, ma non volle comunque darsi una risposta.
Conservò quel foglio, con una certa gelosia.
Gli sarebbe piaciuta l’Europa.
E forse, alla fine di tutto ciò, si sarebbe ripreso Molly.
Forse.
  
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